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Abusi familiari e mafia, quando lo stato contesta l' educazione antisociale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di laurea in Sociologia e management del servizio sociale

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

ABUSI FAMILIARI E MAFIA

QUANDO LO STATO CONTESTA L’EDUCAZIONE ANTISOCIALE

Il Candidato

Il Relatore

Francesca Elisa Marra Prof.ssa Elena Bargelli

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ABUSI FAMILIARI E MAFIA

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Alle mie bambine, Abigail, Myriam, Fatima e al piccolo/a in arrivo il mio motore, la mia primavera.

A me, Francesca Elisa, che ho saputo trasformare il mio deserto in opportunità, il mio dolore in forza.

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Un bambino che non dà fastidio, che ubbidisce ai genitori, che si lascia guidare non è un bambino educato. Può essere, al contrario, un bambino infelice, incapace di esprimere i suoi bisogni, inibito. Un

bambino che diventerà un adulto conformista, una persona priva di originalità e incapace di scelte autonome.

Si pensa che educare significhi modellare dall’esterno, mentre vuol dire creare le condizioni perché il bambino prenda forma da sé; che voglia dire far tacere, mentre vuol dire dare la parola. Perché vi sia educazione occorre una disposizione preliminare: la capacità di mettersi dalla parte del bambino, di ascoltarne e rispettarne i bisogni. L’adulto che ricorre alla violenza interpreta al contrario il rapporto educativo a partire da sé stesso, dalle sue esigenze, da quello che vuole o non vuole che il bambino faccia. Ogni volta che educhiamo un bambino abbiamo la possibilità di cambiare (in modo infinitesimale, ma non

per questo non significativo) il mondo oppure di confermare le sue strutture di dominio. Antonio Vigilante

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INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO I

ABUSI FAMILIARI

1.1) LA LEGGE 154/2001, CHE COSA CAMBIA

1.2) STATISTICHE E PROBLEMATICHE

CAPITOLO II

QUANDO LO STATO CONTESTA L’EDUCAZIONE

2.1)QUANDO L’ EDUCAZIONE LEDE IL MINORE

2.1.1) CASO RELIGIOSO/CULTUR

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CAPITOLO III

L’NDRANGHETA E IL SAPERE DEL PADRE

3.1)DIFFERENZE TRA MAFIE IN BREVE

3.2) LA PEDAGOGIA NERA ELA TRASMISSIONE DEL SAPERE DEL

PADRE

CAPITOLO IV

PROVVEDIMENTI DELL’ANTIMAFIA

4.1) IL PROTOCOLLO LIBERI DI SCEGLIERE E I PROVVEDIMENTI

DELLA CORTE DI APPELLO DI REGGIO CALABRA

4.2) DIBATTITO CONTRASTANTE

4.3) IL PROTOCOLLO DUE ANNI DOPO: INTERVISTE A CONFRONTO

CAPITOLO V

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BIBLIOGRAFIA

SITOGRAFIA

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INTRODUZIONE

L’articolo 29 della Costituzione riconosce alla famiglia dei diritti. Fin dove però, la famiglia può arrivare senza che lo Stato, in via sussidiaria, intervenga disponendo la decadenza e/o l’allontanamento del minore?

Lo Stato ha dei limiti nel disegnare le caratteristiche che la famiglia deve avere, e questo articolo, se lo leggiamo alla luce degli eventi che hanno preceduto la stesura della Costituzione del 1948, è stato posto anche in reazione e in contrapposizione alla ex dittatura fascista che aveva preteso di modellare la famiglia in quanto funzionale all’interesse pubblico.

È anche vero che, seppur non specificando, quella che deve essere l’impostazione educativa familiare, va da sè che quest’ultima non debba violare i principi costituzionali.

La trasformazione del diritto di famiglia nel 1975 è un punto di svolta, non solo dal punto di vista giuridico, ma anche dal punto di vista sociale e antropologico. Si passa dalla patria potestà alla potestà genitoriale per poi ancora nel 2013 alla definizione di responsabilità genitoriale.

Il termine potestà,che rimanda al concetto di potere, viene sostituito con responsabilità,che rimanda ad un “potere” funzionale all’interesse del minore. I figli iniziano ad essere non oggetto di tutela,ma essi stessi portatori di diritti e i genitori, in questo caso, “ serventi” dei propri figli.

I figli non sono più “vasi” da riempire, ma soggetti che vanno accompagnati in un percorso psico-fisico, che vada a valorizzare le loro naturali inclinazioni e aspirazioni. Infatti l’articolo 316 del codice civile recita: “ Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale, che è esercitata di comune accordo, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio.(…).1

Secondo il codice del 1942, ad esempio, “i genitori erano tenuti a conformare la personalità del figlio ad un modello morale oggettivo e socialmente accettato: di qui i poteri loro attribuiti e lo stato di soggezione in cui versava il figlio , tenuto ad adeguarsi ai comandi genitoriali (…) . In caso di cattiva condotta poteva richiedere all’Autorità Giudiziaria di collocarlo in un istituto di correzione”.2

Dunque vi è, in circa 60 anni, una trasformazione immensa della concezione di genitorialità.

Parlare di responsabilità intende anche avere delle sanzioni qualora il genitore non adempia ai propri doveri, fra i quali ritroviamo quello di mantenimento, istruzione, educazione e più recentemente quello all’assistenza morale, una cura che in precedenza trovavamo solo negli obblighi fra coniugi, una sorta di diritto ad essere amati e non solo curati e assistiti dal punto di vista materiale.

Nel 2001, prima che si mutasse il termine potestà in responsabilità, viene introdotta la legge 141 sugli abusi familiari introducendo dei provvedimenti che vanno a tutelare il minore vittima di sopprusi o comunque persone conviventi .

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http://www.altalex.com/documents/codici-altalex/2015/01/02/codice-civile consultato il 15/07/2017

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Questi comportamenti non hanno bisogno di essere qualificati come reati, non vanno a verificare la buona o la cattiva fede nel recare pregiudizio. Fondamentale è che vi sia un pregiudizio a causa di atti anche non illeciti. In circa sessant’anni le leggi si sono trasformate appoggiando la trasformazione culturale e sociale che attraversa il nostro paese ma negli ultimi anni, nelle ultime sentenze, sembra che lo Stato inizi a contestare l’educazione, infatti una cattiva educazione può diventare un abuso.

Riprodurre dunque quello che ci è stato insegnato può essere sanzionato fino ad arrivare all’allontanamento del minore ed è qui che nasce una riflessione: lo Stato di oggi vuole ricreare un modello morale oggettivo e socialmente accettato o semplicemente si è fatto più garante dei “nuovi” portatori di diritti, ovvero i minori, dando loro sempre più voce? Ci sono diritti predominanti?

In ultimo, interessanti, sono le disposizioni del tribunale di Reggio Calabria e dei comuni che fanno parte della corte di appello reggina che hanno richiesto l’allontanamento di circa quaranta minori appartenenti a famiglie mafiose, così come recentemente i fatti di cronaca hanno visto l’ allontanamento di minori da famiglie musulmane che imponevano il rispetto delle prescrizioni religiose.

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CAPITOLO I

ABUSI FAMILIARI

Il fenomeno della violenza, specialmente quella intrafamiliare, è oggi diventato più visibile per vari ordini di motivi: la nuova tipologia di famiglia, incapace di nascondere “ i panni sporchi” e “ lavarli in casa” e i servizi socio-sanitari, capaci molto più di prima di entrare nelle famiglie attivando specifiche capacità di ascolto, riuscendo a comprendere e a captare problemi dove prima sarebbe stato difficile se non impossibile farlo, hanno portato ad una maggiore sensibilità circa fenomeni di abusi, maltrattamenti e violenza, non per forza fisica.

È così che, a partire in particolar modo dagli anni 80, si iniziano a smantellare i vecchi archetipi sulla famiglia fino ad allora sacra e inviolabile.

Si inizia a prendere in considerazione anche la figura del minore, seguendo la nascita di una nuova cultura giuridica sempre più sensibile ai problemi familiari e dei minori , che ha portato di fatto all’introduzione di leggi come quella contro la violenza sessuale nel 19963, la legge contro la pedofilia nel 19984 o come quelle del 2001 circa l’allontanamento dalla casa familiare5

e gli ordini di protezione6 .

Sempre “in questo periodo nascono alcuni importanti centri specialistici e le prime iniziative dedicato a questo tema7.Sono mosse da una forte carica ideale, con la finalità di fermare il maltrattamento infantile intrafamiliare, dichiarando la necessità di contrastare e superare il silenzio che isola la famiglia nella violenza,(…). E’ di questi anni l’inizio dello studio e della conoscenza scientifica del maltrattamento infantile: vengono indagate le sue conseguenze e le condizioni degli interventi di cura dei bambini vittime. Da qui nasce il movimento per la protezione dell’infanzia in Italia. (…). Denunciando la dicotomia tra la minimizzazione del maltrattamento verso i bambini e la criminalizzazione dei genitori maltrattanti , il CBM8 propone una terza via, quella dell’esplicitazione del fenomeno e della cura delle relazioni familiari. Il maltrattamento viene infatti definito come sintomo di una disfunzione familiare, (…) in un clima culturale sostanzialmente orientato da una visione progressiva dei servizi (…) sono di questi anni le prime esperienze di diffusione dell’affido familiare, di comunità educative o familiari (…)”9

3 L.56/1996 4 L.n. 259 del 3 agosto 1998 5 L. n. 149 del 2001 6 L. n. 154 del 2001 7 Maltrattamento minorile

8 CBM (centro bambino maltrattato) Milano nasce nel 1984 da una precisa intuizione e dalla coraggiosa determinazione di un piccolo

gruppo di psicoterapeuti, assistenti sociali ed educatori che ha introdotto una innovazione radicale nella valutazione e nel trattamento del minore oggetto di maltrattamento. Forti di una lunga e sperimentata esperienza condotta sul campo e di una solida preparazione scientifica i fondatori del Centro, e via via i soci che si sono aggregati, si sono impegnati non solo a tutelare i minori ma a prevenire e a curare abusi, violenze e traumi chiamando in causa l’intero contesto familiare e sociale all’origine del disagio e a sua volta coinvolto nella sofferenza. Cit in http://www.ilmelogranonet.it/cbm/page.php?34 consultato il 20/07/2017

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T.Bertotti, Bambini e famiglie in difficoltà, teorie e metodi di intervento per assistenti sociali, Carocci Faber,Roma, 2014, pp 25-26

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Se dunque nel ventennio precedente era la figura femminile ad aver avuto una sorta di “riscatto” nel contesto familiare adesso si mentono in luce i bisogni psico-fisici del minore degno di attenzione e ascolto, non più di “proprietà genitoriale” ma oggetto di diritti.

Siamo soliti pensare, quando si parla di abusi alle donne , ad abusi fisici molto spesso, ma in questa sede si cerca di puntare i riflettori sui minori che non vengono picchiati, che non vengono maltrattati ma che subdolamente vengono indottrinati a culture violente o comunque lontano dai precetti costituzionali.

Si tratta di abuso, disporre e plagiare anche inconsciamente “piccole” e indifese menti? Dov’è il confine tra abuso e non? Cosa è concesso ai genitori?

1.1)LA LEGGE 154/2001, CHE COSA CAMBIA, E LE

PROBLEMATICHE

“La legge n. 154 del 5/4/2001 (intitolata: Misure contro la violenza nelle relazioni familiari) ha introdotto un nuovo istituto giuridico: gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, disciplinati dagli artt. 342-bis e342-ter del codice civile. Gli ordini protezione si sostanziano nei provvedimenti che il giudice può adottare nei confronti del coniuge o di altro convivente la cui condotta sia causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale, o alla libertà dell'altro coniuge o convivente, come nei casi di ripetuti episodi di minaccia, violenza o aggressione fisica. Le norme sugli ordini di protezione, però, non sono circoscritte alla coppia: esse, infatti,trovano applicazione in quanto compatibili anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare, diverso dal coniuge o dal convivente: si pensi a un figlio o a un fratello. Né occorre, come ci accingiamo a vedere, che affinché scatti questa forma di tutela debba sussistere uno stato di convivenza fra aggressore e aggredita.

Non solo coabitazione

Il Tribunale di Bari-Monopoli10 ha precisato che, poiché in ambito familiare le condotte persecutorie e vessatorie possono manifestarsi anche al di là dell’effettiva coabitazione, dal momento che la sussistenza di una relazione familiare porta i soggetti ad avere una vicinanza in termini di rapporti e di luoghi di frequentazione,vicinanza che può favorire le condotte al cui contrasto sono preposti gli ordini di protezione, affinché questi possano essere emanati non è necessario che sia ancora sussistente la convivenza tra il soggetto destinatario passivo dell’ordine di protezione e la persona o le persone che s’intendono tutelare. L’ordine di protezione, quindi, ricorrendo nei presupposti, può essere emanato anche se, per effetto della separazione personale intervenuta fra i coniugi, sia da tempo cessata la convivenza fra gli stessi, essendo il

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provvedimento diretto a prevenire o interrompere abusi e prevaricazioni ancora attuali11. Il contenuto

Gli ordini di protezione vengono emessi, su ricorso dell'interessato, con decreto dal Tribunale e si sostanziano nell'ordine impartito alla persona, il cui comportamento debba essere censurato, di desistere dallo stesso, di allontanarsi dalla casa familiare e, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, o al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi d’istruzione dei figli della coppia,salvo che il destinatario dell'ordine non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. In quest’ultima ipotesi, quindi, l’ordine di protezione è di fatto inapplicabile. Il giudice può anche disporre, se necessario, l'intervento dei servizi sociali o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattamenti, e disporre il pagamento di un assegno periodico a favore delle persone conviventi che, per effetto del provvedimento, rimangano prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all'avente diritto dal datore di lavoro dell'obbligato, detraendola dalla retribuzione a lui spettante.

Con lo stesso provvedimento il giudice determina le modalità di attuazione dell’ordine di protezione. Se sorgono difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione dello stesso, il giudice provvede con decreto all’emanazione dei provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’intervento della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.

La durata

La durata dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso, non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte,soltanto se ricorrono gravi motivi e per il tempo strettamente necessario. Nel caso di mancata indicazione, nel provvedimento, del termine di durata della misura di protezione,s’intende che essa sia pari al massimo di un anno stabilito dall’art. 342-ter c.c. 12

. Il provvedimento perde efficacia qualora, nel procedimento di separazione personale dei coniugi, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili dello stesso, siano pronunciati i provvedimenti provvisori previsti,rispettivamente, dall’art. 708 c.p.c. e dall’art. 4 della L. 1/12/1970, n. 89813.

Il procedimento

Il procedimento in materia di ordini di protezione è regolato dall’art. 736-bis del codice di procedura civile. L’istanza volta all’ottenimento dell’ordine di protezione deve essere proposta dalla parte, anche personalmente, con ricorso al Tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell'istante. Il Presidente del Tribunale affida l’incarico di trattare il ricorso a un giudice. Questi, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti d’istruzione necessari, disponendo ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria,indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede 11 Trib. Napoli 2/7/2008 12 Trib.Teramo 18/8/2006 13 Cass. 15/1/2007,n. 625

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con decreto motivato immediatamente esecutivo. In caso di urgenza il giudice,assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l'ordine di protezione, fissando l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni e assegnando all'istante un termine non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto. All'udienza il giudice conferma, modifica o revoca l'ordine di protezione. Il Tribunale provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. Il reclamo

Contro il decreto col quale il giudice adotta l'ordine di protezione o rigetta il ricorso,oppure conferma, modifica o revoca l'ordine di protezione precedentemente adottato, è ammesso reclamo al Tribunale entro dieci giorni dalla comunicazione (dalla notifica se l’ordine è emesso nei confronti di più persone). Il reclamo non sospende l'esecutività dell'ordine di protezione. Il Tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. Del Collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

La violenza “assistita”

Se vittima diretta dei maltrattamenti è un genitore e i figli minori vengono loro malgrado costretti ad assistervi, si determina una sovrapposizione di competenze tra il giudice civile,adito ai sensi degli artt. 342-bis e 342-ter c.c. e 736-342-bis c.p.c., e il Tribunale per i minorenni. Questa sovrapposizione di competenze non preclude al giudice civile di pronunciare – intervenuto che sia il decreto del Tribunale per i minorenni che dispone, ai sensi degli art. 333 e 336 c.c., l’allontanamento del genitore violento dalla casa familiare e l’affidamento del figlio minore - non solo l’allontanamento dalla casa familiare del medesimo genitore, ma anche la cessazione della condotta pregiudizievole, quale contenuto essenziale dell’ordine di protezione 14. Se pende giudizio di separazione o di divorzio, se pende giudizio di separazione personale fra i coniugi, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, e si sia tenuta l’udienza di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale, non sono applicabili gli art. 342-bis e 342-ter c.c. ma trovano applicazione, rispettivamente, le disposizioni di cui all’art. 706 e segg. c.p.c. e all’art. 4 della L. 1/12/1970, n. 898, e successive modificazioni; in tali ipotesi, quindi, spetta al Presidente del Tribunale - nell’ambito del potere di emanare i provvedimenti provvisorie urgenti nell’interesse del coniuge e della prole - o al giudice istruttore adottare i provvedimenti previsti dalle suddette norme ed eventualmente quelli aventi il contenuto degli ordini di protezione; tali provvedimenti sono sempre revocabili e modificabili dal giudice istruttore e, in sede decisoria, dal Collegio, mentre contro di essi non è possibile proporre reclamo ex art. 736-bis e segg. c.p.c.15. In ogni caso l'ordine di protezione perde efficacia qualora sia successivamente pronunciata, nel procedimento di separazione personale o di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio promosso dal coniuge istante o nei suoi confronti, l'ordinanza contenente provvedimenti temporanei ed urgenti prevista, rispettivamente, dall'art. 708 c.p.c. e dall’art. 4 della L. 1/12/1970, n. 898, e successive modificazioni 14 Trib. Piacenza 23/10/2008 15 Trib. Catania 11/11/2008

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14 Le sanzioni

Chi non rispetta l'ordine di protezione o un provvedimento di uguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili di matrimonio, è punito, a querela della persona offesa,con la reclusione fino a tre anni o con la multa da 103 a 1.032 euro. Se la violenza si scatena in estate la sospensione della trattazione degli affari civili da parte dei magistrati nel periodo feriale che va dal primo agosto al 15 settembre, prevista dall’art. 92 del R.D. 30/1/1941, n.12, non si applica all’adozione degli ordini di protezione, per cui è possibile far ricorso a questa forma di tutela anche nel periodo estivo. La tutela è senza oneri.

Tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi all'azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, nonché i procedimenti, anche esecutivi e cautelari, diretti ad ottenere la corresponsione dell'assegno periodico di cui sopra sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni altra tassa e imposta, dai diritti di notifica, di cancelleria e di copia, nonché dall'obbligo di registrazione.

Lo stalking

In molti casi l’ordine di protezione consegue o prelude a un reato molto diffuso ma introdotto nel nostro ordinamento giuridico soltanto con D.L. 23/2/2009, n. 11, convertito nella L. 23/4/2009, n.38: quello di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), meglio conosciuto come stalking (il termine deriva dal linguaggio venatorio inglese, in cui sta ad indicare l’atteggiamento di un cacciatore particolarmente ostinato e pressante nel braccare la preda). Pone in essere questa figura criminosa chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, o da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto, o di persona al medesimo legata da relazione affettiva, oppure ancora da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Lo stalking può essere vigilante (consiste nel controllo esercitato sulla vita quotidiana della vittima), comunicativo (realizzato attraverso contatti per via epistolare o telefonica, sms, scritte su muri e altri messaggi in luoghi frequentati dalla persona offesa) e cyber, se posto in essere attraverso le tecniche d’intrusione molesta nella vita della vittima rese possibili dall’uso dei social network.

Si punisce, a querela della persona offesa (il termine per proporla è di 6 mesi anziché 3),con la reclusione da 6 mesi a 4 anni. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato, o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa (l’aumento di pena è fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza, di un disabile o con armi o da persona travisata). Il reato è perseguibile d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di un disabile, o se è connesso con altro delitto per il quale si debba procedere d'ufficio.”16

È in dubbio che la legge 154/2001 abbia portato delle novità, che ovviamente vanno confrontate poi con le situazioni di fatto perché se è vero che la legge propone l’allontanamento coatto del soggetto reo di un comportamento lesivo a danno di un soggetto convivente nel proprio nucleo familiare è anche vero che in

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questi anni si è assistito ad incresciosi provvedimenti nei quali il soggetto imputato non avendo altri domicili veniva domiciliato nella casa di residenza nella quale conviveva anche l’abusato.

Così come le immense novità di poter denunciare situazioni intrafamiliari nascoste e la possibilità di una sorta di assegno, di fatto perdono la loro portata innovativa quando nel momento in cui si sporge denuncia vi è il bisogno di testimoni, significativo in questo senso è la raccomandazione sul sito dei carabinieri17 : “Nella fase critica è importante individuare testimoni, se ci sono dei referti in casa vanno portati dove ci si reca per sporgere denuncia.”

È possibile, però, riconoscere la fase critica se si è vittima di comportamenti attuati quotidianamente che non sono perseguibili penalmente ma che tendono a svuotare e mortificare la persona?

Se si parla di comportamenti intrafamiliari è difficile avere alla portata di mano testimoni che non siano i membri stessi che denunciano tale abuso, i referti poi, abbiamo detto che le violenze non sono solo quelle fisiche ma esistono violenze morale e psichiche che non spariscono con qualche giorno di prognosi.

C’è comunque un’ apertura che va colta, infatti l’allontanamento,il poter denunciare dinamiche nascoste fino ad allora insabbiate, portano a considerare i diritti di ogni singolo membro della famiglia, sia esso maggiorenne o minorenne, alla luce dei precetti costituzionali, dunque a costo di smembrare la famiglia si va a proteggere l’individuo all’interno di essa. Inoltre per rientrare nella fattispecie di abuso familiare l’abusato e l’abusante non devono necessariamente avere vincoli di sangue ma risiedere nello stesso luogo dove avvengono tali abusi; in taluni casi,

come ad esempio per il reato di stalking soprattutto, l’abusato può anche non vivere con l’abusante, infine il pregiudizio arrecato dà luogo ad un risarcimento. Può sembrare scontato oggi, ma non lo era nei primi anni del 2000 dove vi è stato un passaggio epocale da violazione immune da responsabilità civile ad oggi che dà luogo ad un risarcimento nel momento in cui viene leso un diritto garantito dalla Costituzione.

Fino ad allora si riteneva che la responsabilità civile e dunque il danno non patrimoniale si potesse risarcire solo in alcuni casi specifici tranne per il danno biologico.

Iniziano così ad esserci un aumento degli spazi non toccati precedentemente che vengono compresi nella responsabilità civile.

Altra novità è la violenza assistita, anche assistere e non subire è violenza, andiamo però a vedere cosa si intende per violenza, che sfumature può avere l’abuso .

“Analizzando le esperienze attraverso i racconti di chi ha vissuto questo dramma è emerso che chi abusa -controlla i movimenti, i progetti e le attività della vittima generando isolamento sociale. La vittima così prende le distanze dal mondo, diventa più introversa e inizia a non amare più il contatto con gli altri;

-per generare la paura spesso distrugge cose e oggetti ai quali la vittima tiene particolarmente e se ci sono animali in casa prenderà di mira anche loro;

-in situazioni sociali, come nei locali pubblici o in ambienti all’aperto frequentati da altre persone, l’abusante cerca in tutti i modi di umiliare pubblicamente la vittima. Una delle frasi che gli viene facile pronunciare in

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tali ambiti e che è stata spesso riferita dalle vittime è “Sei un/a pazzo/a”. Questa espressione, proprio per la forza che contiene, aumenta psicologicamente la percezione di debolezza della vittima e la pone immediatamente in una condizione di passività;

-spesso accompagna alle violenze fisiche minacce verbali, parole che hanno un forte senso dispregiativo finalizzate a far sentire la vittima “invisibile” e che portano a ridurre l’autostima. Frasi tipiche possono essere: “Sei uno stupido/a”, oppure “Non capisci niente”, “Non sei intelligente” oppure “Non fai mai niente che possa andare bene!”;

-teme l’autonomia della vittima. Di fronte ai comportamenti che manifestano il desiderio di autonomia del/la partner, ricorre a stratagemmi psicologici finalizzati ad annullare le sue volontà. Se la vittima lavora e gode di una certa autonomia cerca in tutti i modi di ostacolare la sua serenità nei rapporti di lavoro. La vittima può così sviluppare atteggiamenti negativi verso i colleghi di lavoro, sentirsi in difficoltà di fronte alle nuove attività, ha problemi di concentrazione. Venendo meno il supporto familiare, lavora in continua tensione e con senso di oppressione;

-rinforza nella vittima comportamenti servili ripetendole che lui/lei è la persona che comanda nel nucleo e che per questo deve essere sempre rispettato/a;

-l’abusante usa i figli per raggiungere i suoi scopi minacciando di portarli via qualora la vittima manifestasse la volontà di lasciare la casa;

-se durante una lite la vittima rimane ferita e tenta di mettere l’abusante di fronte all’evidenza delle violenze inflitte egli tende a negare i fatti di violenza;

-di fronte ai tentativi della vittima di voler parlare con altri dei fatti che accadono fra le mura domestiche l’aggressore le dice che sta esagerando e minimizza l’accaduto affermando che “si trattava solo di una banale lite” e che “simili liti sono normali in ogni rapporto di coppia”. 18

Più precisamente possiamo suddividere la violenza in violenza psicologica, emotiva, fisica, economica, sessuale, se quella fisica e sessuale sono le più eclatanti nascoste e sconosciute appaiono le altre per molto tempo sottovalutate ed ignorate.

“Per violenza psicologica si intende una serie di atteggiamenti sia intimidatori e minacciosi, sia vessatori e denigratori da parte del partner, nonché tattiche di isolamento messe in atto dallo stesso.

L'intimidazione comprende: spaventare con gesti, sguardi e parole, minacciare di violenza fisica o di morte il partner, minacciare di far violenza ad altri familiari e/o ai figli, violenze contro gli animali domestici o danneggiamento degli oggetti personali di valore affettivo per la donna, persecuzioni telefoniche o scritte. La violenza psicologica si configura, dunque, come un insieme di strategie lesive della libertà e dell'identità personale dell'altro, con conseguente insicurezza, paura e svalutazione di sé. In questo tipo di maltrattamento è sempre presente un'eccessiva responsabilizzazione della donna, che si attiva per far fronte a tutti i compiti e le richieste che le vengono fatte dall'abusante, nella continua speranza di non adirarlo e dimostrare la propria adeguatezza come partner e come madre. Possono pertanto far riferimento a questo tipo di violenza i reati d'ingiuria (ex art. 594 c.p.), di violenza privata (ex art. 610 c.p.), di minaccia (ex art. 612 c.p.), di lesioni,

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quando cagionano una malattia del corpo o della mente (ex artt. 582 e 583 c.p.), di abuso di mezzi di correzione e disciplina (ex art. 571 c.p.), di maltrattamenti in famiglia (ex art. 572 c.p.) e di sequestro di persona (ex art. 605 c.p.)La violenza psicologica tende ad essere sanzionata principalmente in sede civile, anche se è possibile talvolta percorrere l'alternativa penale.

La violenza emotiva comprende: ricatti, insulti verbali, colpevolizzazioni pubbliche e private, ridicolizzazioni e svalutazioni continue, denigrazione ed umiliazione pubblica e privata. Tra gli atteggiamenti più spesso rilevati si hanno: tradimenti, menzogne, inganni, pedinamenti ed inseguimenti, limitazione della libertà personale. Fra gli atti che si risolvono in vere e proprie sofferenze morali deve annoverarsi anche la condotta del marito che costringa la moglie a sopportare la presenza della concubina nel domicilio coniugale, oppure quelli del marito che non solo compie atti di infedeltà, ma di questi se ne vanta al fine di mortificare ancor di più la moglie. Per gli esempi sopra riportati si parla anche di violenza morale e di molestie morali. Le molestie morali sono la categoria più difficile da identificare, in quanto consistono in una serie di atteggiamenti che si potrebbero, in crescendo, così elencare: rifiuto dell'altro, sarcasmo, derisione, disprezzo, totale mortificazione, aggressione, sopraffazione e squalificazione dell'altro, isolamento, imposizione del proprio potere e sottomissione, abuso di potere, terrorismo psicologico, annientamento e "omicidio psicologico". Infatti, in molti casi, il maltrattamento psicologico è così pesante che si ha un vero e proprio lavaggio del cervello: esposti a questo modus vivendi, la donna e i figli perdono completamente la stima di sé, sviluppando gravi danni sul piano psicologico, tanto da poter necessitare in seguito anche di terapia riabilitativa. Si tratta di una violenza subdola, che mira a combattere l'identità dell'altro ed a privarlo di ogni individualità, che si consuma nell'ambito di un rapporto perverso di coppia, in cui uno diventa l'aggressore e l'altro l'aggredito, uno il violento e l'altro la vittima. Nei casi più gravi, può scatenare un processo reale di distruzione morale che può condurre alla malattia mentale o al suicidio. L'isolamento comprende: il controllo delle scelte individuali e delle relazioni sociali, come l'impedire alla donna di lavorare, di andare a scuola, in chiesa o di incontrare gli amici e i membri della famiglia; chiusura comunicativa e rifiuto di ascolto, sottrazione dei documenti d'identità, controllo della posta, isolamento in casa senza telefono o mediante la privazione dei mezzi di locomozione. Si palesa dunque un'altra strategia tipica del maltrattamento psicologico, che è data dalla deprivazione, materiale ed affettiva, attuata tramite tecniche di isolamento, silenzio e distanza emotiva, ignorando o ironizzando i sentimenti della donna, le sue richieste d'ascolto, i suoi problemi. Questo tipo di violenza sminuisce ed umilia attraverso continue manipolazioni verbali, attuandosi in modo incostante ed imprevedibile, con il risultato di tenere la donna sempre sul chi vive, insicura ed in stato di soggezione.

La violenza fisica comprende l'uso di qualsiasi atto volto a far male od a spaventare la vittima. Non riguarda solo l'aggressione fisica grave, che causa ferite richiedenti cure mediche di emergenza, ma anche ogni contatto fisico mirante a spaventare ed a rendere la vittima soggetta al controllo dell'aggressore. Alcuni esempi in merito sono: spingere, strattonare, impedire di muovere trattenendo l'altro, rompere o danneggiare oggetti nella vicinanza della vittima, picchiare, prendere per il collo, schiaffeggiare, mordere, causare bruciature di sigarette, tirare calci, pugni, strappare i capelli. Il maltrattamento fisico può comprendere anche

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l'essere chiusi in una stanza o fuori di casa, l'essere tenuti forzatamente svegli o minacciati con un arma. È importante ricordare che l'importanza di alcune forme minori di violenza non deve essere sottovalutata, in quanto ogni atto di violenza fisica è potenzialmente una minaccia alla vita di chi lo subisce.

Nel maltrattamento fisico, la componente psicologica più pesante consiste nella imprevedibilità dell'aggressione, in quanto qualsiasi motivo può essere un pretesto scatenante. Pertanto, la vittima potenziale consuma ogni energia per evitare accuratamente ogni comportamento che potrebbe provocare una reazione aggressiva verbale o fisica del partner.

Da un punto di vista penalistico, la violenza fisica può ricomprendere tutti i tipi di lesioni personali (lievi, gravi o gravissime, ex artt. 582 e 583 c.p.), le percosse (ex art. 581 c.p.), i veri e propri maltrattamenti (ex art. 572 c.p.), l'abuso di mezzi di correzione se attuati con violenza (ex art. 571 c.p.), fino al tentato omicidio o all'omicidio (ex art. 585 c.p.). A tal proposito, va rilevato che una significativa percentuale di aggressioni e di omicidi compiuti dalle donne nei confronti del partner si verificano in risposta alle aggressioni e minacce di costui.

Per violenza economica si intende una serie di atteggiamenti volti essenzialmente ad impedire che il partner diventi o possa diventare economicamente indipendente, al fine di poter esercitare su di esso un controllo indiretto, ma estremamente efficace. Tra questi atteggiamenti rientrano, ad esempio, l'impedire la ricerca di un lavoro o del suo mantenimento, la privazione od il controllo dello stipendio, il controllo della gestione della vita quotidiana ed il mancato assolvimento degli impegni economici assunti con il matrimonio. La violenza economica riguarda, dunque, tutto ciò che, direttamente o indirettamente, concorre a far sì che il partner sia costretto in una situazione di dipendenza e/o non abbia i mezzi economici sufficienti per soddisfare i bisogni di sussistenza propri e dei figli. Nella grande maggioranza dei casi, tale forma di violenza consiste in un insieme di strategie che privano la donna di decidere e/o di agire autonomamente e liberamente, rispetto ai propri desideri e scelte di vita. Questo tipo di violenza viene attuato mediante varie strategie di controllo:

 negando, controllando puntigliosamente o limitando l'accesso alle finanze familiari, quali conti in banca o altre finanze;

 occultando ogni tipo di informazione sui mezzi finanziari della famiglia o sulla situazione patrimoniale in genere della stessa;

 vietando, ostacolando o boicottando l'accesso ad un lavoro fuori casa;

 non adempiendo ai doveri di mantenimento stabiliti da leggi e sentenze;

 sfruttando la donna come forza lavoro nell'azienda familiare (contadina, turistica, artigiana, ecc), senza alcuna retribuzione né potere decisionale o accesso ai mezzi finanziari;

 appropriandosi dei proventi del lavoro della donna ed usandoli a proprio vantaggio;

 indebitando la donna per far fronte alle proprie inadempienze;

 attuando ogni forma di tutela giuridica, anche preventiva, ad esclusivo proprio vantaggio e a danno della donna (quale l'intestazione di immobili o di attività produttive).

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Anche l'avarizia di un partner nei confronti dell'altro può configurarsi come uno strumento vessatorio e denigrante. A tal proposito, è interessante riportare uno stralcio di una recente sentenza della Cassazione (del 7 giugno 2000), in cui le sistematiche vessazioni mediante manifestazioni di avarizia sono state assimilate alla fattispecie di maltrattamenti in famiglia. Ne consegue che "... la pervicace sistematica condotta del ricorrente, tesa a rendere la vita insopportabile al coniuge con l'umiliante ed ingiustificata vessazione di esasperata avarizia, non rappresenta altro che il pallido alibi, dietro cui imporre il proprio autoritarismo gratuito, inconciliabile con il benché minimo rispetto dell'affectio maritalis." Spesso la donna non ha una chiara ed immediata consapevolezza della violenza economica. Infatti, sembra normalmente scontato che la gestione delle finanze familiari spetti all'uomo. Il potere e il ricatto economico possono venire in tal caso usati dal maltrattante per mantenere la donna nella situazione di dipendenza e di impossibilità a lasciare il partner. La violenza economica trapela come uno degli aspetti di un quadro di violenza più complesso, emergendo concretamente nel momento in cui la donna decide di iniziare un nuovo percorso di allontanamento dalla relazione distruttiva di maltrattamento.

Gli effetti della violenza economica si rilevano come uno degli ostacoli più grossi nel momento in cui la donna si sente pronta per uscire dalla situazione di maltrattamento e deve fare i conti con le reali possibilità di sopravvivenza. È per questo che la legge n. 154 del 2001, istitutiva della misure contro le violenze familiari, ha istituito quale misura accessoria a quella principale (ovvero l'ordine di allontanamento coattivo nell'ambito penale ex art. 282 bis c.p. e gli ordini di protezione nell'ambito civile ex artt. 342 bis, 342 ter c.c. e 736 bis c.p.c.), l'obbligo di corresponsione di un assegno alla famiglia. Ciò al fine di apprestare una immediata risposta al problema, non minore, del sostentamento economico della famiglia, specie laddove il familiare violento allontanato sia l'unica o la principale fonte di sostentamento.

Possono far riferimento a questa categoria di violenza i reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare (nella forma di malversazione dei beni familiari, ex art. 570 c.p. comma 2, n.1), maltrattamenti in famiglia (ex art. 572 c.p.) e quello di violenza privata (ex art. 610 c.p.).

La violenza sessuale all'interno del rapporto di coppia si manifesta con l'imposizione di rapporti indesiderati. Può assumere diversi aspetti quali, ad esempio, il desiderio del partner di avere un rapporto sessuale dopo aver picchiato e/o umiliato la donna, e la messa in atto dello stesso mediante la forza o mediante ricatti psicologici. Altre forme di violenza sessuale riguardano l'imposizione di pratiche indesiderate, sotto minacce di varia natura, o di rapporti che implichino il far male fisicamente e/o psicologicamente. Anche il riconoscimento della violenza sessuale, all'interno della coppia, risulta difficile. Ciò a causa di radicate rappresentazioni dei doveri coniugali, della difficoltà a parlarne e delle reazioni del contesto socioculturale che tendono a minimizzare o a giustificare la violenza legata al comportamento sessualmente aggressivo del maschio, come prova della sua virilità, o come un suo diritto.

Tuttavia, anche se la violenza sessuale sul coniuge è un fenomeno molto grave, esso non è sempre sufficientemente tutelato, in quanto le vittime possono non trovare il coraggio di denunciare, anche perché trattasi di un genere di violenza che, a differenza dei maltrattamenti fisici, lascia segni meno percepibili. Il timore di non essere credute o delle conseguenze di una denuncia, oltre alla necessità di mantenere unita la

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famiglia, sono motivi che inibiscono la donna a denunciare il marito che le abbia usato violenza. Di conseguenza, molti mariti violenti restano impuniti. Tale situazione è estremamente grave, anche considerando che la violenza carnale tra coniugi si differenzia da quella extraconiugale soltanto per il particolare scenario in cui si muovono la vittima e l'aggressore. Essi non sono due estranei, bensì partners di una relazione intima, fatta di rapporti sentimentali e sessuali precedenti, che crea un'aspettativa di rapporti futuri. Ma, a parte ciò, la natura dell'atto in sé e le conseguenze sulla donna sono esattamente le stesse, sia nella violenza carnale comune che nella violenza carnale coniugale. Anzi, in quest'ultimo caso le conseguenze possono essere anche più gravi. Infatti, da un lato il marito, a differenza di uno sconosciuto, ha praticamente sempre la strada libera all'aggressione della moglie (sia in caso di convivenza che di separazione); dall'altro la vittima, conoscendo l'aggressore, tende a resistergli fino in fondo e ad ostacolargli l'imposizione dell'atto sessuale, con la conseguenza che l'aggressione (anche per reazione alla resistenza) viene spesso messa in atto con maggiore violenza. Inoltre, l'intimità pregressa e la conoscenza della propria vittima facilitano il compito al marito/convivente aggressore, che può dunque decidere di compiere la violenza sessuale (per i motivi più svariati) essendo sicuro di non essere punito, non solo perché nascosto dalle mura di casa, ma anche perché giustificato dal debitum coniugale.

Va rilevato che la violenza carnale, da chiunque commessa, non è semplicemente un rapporto sessuale al quale una parte non consente, né la mera imposizione di una intimità non voluta o la lesione della libertà e dell'autonomia personale. Più che un'attività realizzata invito domino, o un crimine a sfondo sessuale, lo stupro è in realtà un crimine di umiliazione, di sopraffazione e di soggiogazione, destinato a provocare nella vittima profonde ferite, fisiche e psichiche. Tali caratteristiche si rinvengono, identiche se non peggiori, anche nel caso di violenza sessuale perpetrata dal marito. Non sembra che una donna, per il solo fatto di essersi sposata (o di aver iniziato una relazione sentimentale), abbia inteso consentire (implicitamente ed anticipatamente) ad un atto di tal genere, o abbia inteso ratificare tutti i futuri rapporti sessuali, violenti o meno. Per questo motivo, l'ordinamento penale italiano, non facendo alcuna distinzione sulle qualità dei soggetti attivi e passivi del reato, e dunque prescindendo in modo assoluto da un eventuale rapporto di coniugio, punisce con la reclusione il marito responsabile di violenza sessuale nei confronti della propria moglie, anche separata. Per violenza sessuale si intende una serie di atteggiamenti legati alla sfera sessuale, quali le molestie sessuali (anche telefoniche), l'aggressione sessuale anche senza stupro, lo stupro. Le norme sulla violenza sessuale sono inserite nel Libro II - nel titolo XII, capo III, sezione II - del codice penale, dove si regolano i delitti contro la libertà personale. La scelta di fondo è stata quella di eliminare la distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine, per cui la condotta delittuosa della violenza sessuale è data da atti sessuali non determinati, posti in essere con violenza o minaccia, o abuso di autorità (con costrizione), oppure con inganno o abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica (con induzione o soggezione psicologica).”19

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La corte di cassazione penale si espressa a riguardo : “Come è noto, il delitto di maltrattamenti in famiglia configura un'ipotesi di reato necessariamente abituale costituito da una serie di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali acquistano rilevanza penale per la loro reiterazione nel tempo.

Trattasi di fatti singolarmente lesivi dell'integrità fisica o psichica del soggetto passivo, i quali non sempre, singolarmente considerati, configurano ipotesi di reato, ma valutati nel loro complesso devono integrare una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la convivenza particolarmente dolorosa.”20

Si sottolinea dunque che non necessariamente il fatto debba essere considerato in se stesso un illecito, ma è il perpetrarsi di fatti che nel protrarsi del tempo vanno a danneggiare psico-fisicamente un soggetto, una sorta di uno “stillicidio” mentale che l’abusante opera sull’abusato.

Il 22 settembre è stato pubblicato un recente fatto di cronaca21 una rgazza di 25 anni di Susa in provincia di Torino ha presentato un esposto ai carabinieri spiegando di essere stata minacciata di morte dal suo compagno ventiseienne, ha spiegato di aver fatto un simile esposto due anni fa.

“Il giovane imponeva alla compagna di tenere alcuni atteggiamenti sconcertanti fra le mura domestiche : “i pavimenti si lavano in ginocchio, i piatti senza spugna e a mani nude” erano i suoi consigli, La ragazza ha altresì denunciato : “Non potevo fare la doccia se non me lo diceva lui. Diceva che i miei capelli lunghi sarebbero rimasti appiccicati alle piastrelle” (…) Nei suoi confronti è stata poi emessa un’ordinanza di convalida d’arresto e di applicazione di misura cautelare anche per i maltrattamenti in famiglia”22

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In questo caso specifico, l’uomo, è stato arrestato per la detenzione illegale di un vero e proprio arsenale composto da armi detenute illecitamente ma quello che in questa sede preme evidenziare è come atti che presi singolarmente e decontestualizzati non siano illeciti ma che in questo caso prendono forma di un abuso. L’omicidio ad esempio può avere delle attenuanti o avere soggetti non perseguibili ma rimane in qualsiasi contesto, salvo la legittima difesa, un reato, ma il decidere quando l’altro debba lavarsi come nel caso citato non è un reato. Infatti, un genitore può decidere quando un bambino debba lavarsi ma in questo caso il ventiseienne ha cercato di porsi al posto della compagna alienando la volontà di essa, anche nelle piccole cose come quella di occuparsi della propria igiene personale o umiliandola, obbligandola nel farle lavare il pavimento in ginocchio quando esistono strumenti per l’igiene casalinga che facilitano la pulizia.

È da considerare, altresì che la donna abbia già fatto un esposto due anni fa, esposto non preso in considerazione.

Perché non lo strumento della denuncia?

Molto spesso le forze dell’ordine scoraggiano le denunce invitando le parti a conciliarsi e a non proseguire alla molestia.

All’esposto segue una convocazione, dove le forze dell’ordine richiamano il soggetto molesto mentre la denuncia ha un percorso più lungo e finisce davanti alla comparizione di un giudice.

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Cassazione Penale Sez. III del 16 maggio 2007 n. 22850

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https://www.direttanews.it/2017/09/22/reso-la-sua-compagna-schiava-arrestato-un-giovane/ consultato il 22/09/2017

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Molto spesso i soggetti molestati credono che un richiamo possa essere efficiente a fermare la soluzione, altre volte c’è sfiducia nei tempi lunghi della giustizia, altre volte ancora è la vergogna o la paura di non essere prese in considerazione vedi ad esempio la violenza economica.

E i bambini? Per i bambini diventa ancora più difficile in quanto non hanno i mezzi e molto spesso come vedremo nel prossimo paragrafo sono le mamme ad essere i loro aguzzini. La mamma che li ama, li nutre, come fanno loro a capire che quella non è cura?

Inoltre non è sempre facilmente classificabile il comportamento degli abusanti, dove è difficile tracciare un limite tra ciò che è tollerabile, e viene pertanto tollerato, e ciò che è illecito.

1.2) STATISTICHE E PROBLEMATICHE

“Nella nostra cultura, la famiglia sembra rappresentare il luogo del privato, in cui il "disordine" non può essere portato alla luce, a volte per un profondo senso di vergogna, nemmeno da chi è vittima, e pertanto non può essere indagato. Per questo è molto difficile avere dati precisi sull'entità del fenomeno della violenza domestica.

S

i tratta infatti di un fenomeno "sommerso", in quanto la sua reale incidenza nel mondo è ancora lontana dall'essere stimata. In particolare, per quanto riguarda la situazione italiana, gli studi e le ricerche si concentrano:

 sulle statistiche giudiziarie, anche se questi dati non sono molto rappresentativi in quanto sono poche le donne che denunciano;

 sull'analisi dei referti del pronto soccorso;

 sulle statistiche elaborate dai singoli centri anti-violenza, che rappresentano, per il nostro paese, le fonti di base, anche se i dati si limitano ai rilevamenti fatti in ciascuna città.

Se da un lato la sottostima della diffusione della violenza domestica è da ascrivere alla difficoltà delle donne a parlarne - per vergogna, per paura di rappresaglie o perché non interpellate -, dall'altro nella nostra realtà gioca un ruolo fondamentale la mancanza di informazione e di preparazione delle istituzioni, delle categorie professionali e del personale medico a riconoscere le situazioni di violenza domestica, che può essere causa di errori di diagnosi. Spingere, strattonare, afferrare, storcere un braccio o tirare i capelli sono i comportamenti subiti dalla maggioranza delle vittime di violenza fisica (dal 56,7%), una quota quasi altrettanto elevata, il 52%, ha subito minacce di essere colpita, il 36,1% è stata schiaffeggiata, presa a calci, pugni o morsi, il 24,6% è stata colpita con oggetti. Appaiono, invece, meno diffuse alcune forme più gravi, come l’uso o la minaccia di usare una pistola o il coltello (8,1%) o il tentativo di strangolamento, di soffocamento o di ustione (5,3%). Un terzo delle vittime ha subito atti di violenza sia fisica che sessuale e il 21% delle vittime ha subito violenza sia in famiglia che fuori. Nella maggioranza dei casi, la violenza non è episodica: il 52,9% delle vittime, infatti, ha subito più episodi di violenza e tale quota arriva al 67,1% delle vittime di violenza fisica o sessuale dal partner e al 79% delle vittime di violenza sessuale dal partner.

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Anche con riferimento alle violenze subite dal partner negli ultimi 12 mesi emerge che per il 54% delle donne la violenza è ripetuta (contro il 38,2% dei casi quando si tratta di autore diverso dal partner).Con riferimento all’autore delle violenze, emerge che 2 milioni 938.000 donne, pari al 14,3% delle donne che hanno o hanno avuto un partner, hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale dal marito, dal convivente o dal fidanzato. 2 milioni 77.000 donne, il 18,8% delle donne che hanno avuto un partner in passato e che si sono separate da lui, al momento della separazione e/o dopo di essa hanno subito forme di persecuzione che le hanno particolarmente spaventate. Nel 68,5% dei casi l’uomo ha cercato insistentemente di parlare con la donna contro la sua volontà, nel 61,8% dei casi le ha chiesto ripetutamente appuntamenti per incontrarla, nel 57% dei casi l’ha aspettata fuori casa, fuori della scuola o del lavoro, nel 55,4% dei casi le ha inviato messaggi, telefonate, e-mail, lettere o regali indesiderati e nel 40,8% dei casi è arrivato a seguirla o a spiarla .

Lo stalking risulta fortemente associato alle violenze fisiche e sessuali: tra le donne che hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale da un ex partner il 48,8% sono state vittime di stalking con una certa differenziazione, tuttavia, a seconda che l’autore delle violenze fosse l’ex fidanzato o l’ex marito/ex convivente.

Il 7,65 delle donne vittime di comportamenti persecutori al momento della separazione o dopo di essa, comincia invece a subire per la prima volta in questa fase anche violenze fisiche o sessuali dall’ex partner.”23

Per quanto riguarda invece i minori “secondo una recente indagine realizzata da Telefono Azzurro24

in collaborazione con Doxa Kids, le violenze su bambini e adolescenti sono sempre più diffuse. Accentuate dai rischi legati all'uso delle nuove tecnologie e dalla crisi economica, non vengono quasi mai denunciate. Nel 70% dei casi l'abuso si consuma fra le mura domestiche. In arrivo in Italia 15 mila medici 'sentinella', la prima rete anti-abuso del mondo.

Le situazioni di disagio si dispiegano frequentemente all’interno delle mura casalinghe: il 68,9% degli abusi avviene all’interno della casa del minore.

Il presunto responsabile della situazione di disagio di cui soffre il bambino è nel 73,7% un genitore (la madre nel 44,2% e il padre nel 29,5%

tra il 1 gennaio 2015 e il 31 gennaio 2016, sono stati in totale 1068. Di questi, il 26% è composto da casi di abuso psicologico, il 25,3% da abuso fisico, mentre quasi il 10% da abuso sessuale. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l'Italia ha un indice di prevalenza di abusi e maltrattamenti del 9,5 per mille. In realtà non è possibile sapere il numero esatto delle donne che hanno subito queste terribili esperienze, perché questi dati sono relativi soltanto al numero esiguo di donne che hanno denunciato il fatto alle autorità. Si è stimato che oltre il 90% delle vittime non denuncia il fatto; precisamente si è stimato che le donne che hanno subito una violenza da un “non partner” senza denunciare il fatto sono state il 96%, mentre il 93% è la percentuale di donne che non ha denunciato la violenza subita da parte del partner.”

23 http://www.altalex.com/documents/news/2010/01/27/dati-statistici-delle-violenze-in-famiglia consultato il 17/07/2017 24 http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2016/05/12/news/maltrattamenti_sui_minori_tutti_gli_abusi-139630223/ consultato il 17/07/2017

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Dunque secondo le statistiche sono in maggioranza gli uomini adulti ad abusare all’interno del nucleo familiare rispetto alle donne, e quasi il 60% della popolazione femminile è stata oggetto di abusi, angherie e forme di violenza che in pochi casi circa l’8% riguardano violenze fisiche importanti.

Ciò che rende basiti, però, è il fatto che all’interno delle famiglie sia la madre a dare luogo a comportamenti che sfociano nell’abuso.

Concludendo dal punto di vista legislativo vi è stata una sensibilizzazione alle diverse forme di violenza che assumono un peso diverso a seconda di contesti e circostanze diverse, l’allontanamento immediato e la diffida dall’avvicinarsi al soggetto offeso, in teoria, va a tutelare il soggetto abusato ponendo fine all’abuso stesso. La stessa sensibilizzazione, però, spesso non sembra palesarsi in chi raccoglie le denunce, vi è difficoltà nel denunciare e dunque questo prezioso strumento viene mal impiegato o spesso vi è una tale ignoranza che porta a non essere consapevoli dell’abuso in corso o semplicemente che vi è una legge che permette l’allontanamento immediato dell’abusante.

Vi è poi tutta la categoria dei minori. Quando l’educazione sfocia in abuso?

Lo Stato non può sostituirsi ad una donna o procedere d’ufficio al posto di un maggiorenne capace di intendere e volere che non denuncia l’abuso, lo può fare nei confronti del minore.

In questa sede verrà approfondito il tema dell’educazione, perché è condivisibile che lo Stato proceda d’ufficio in seguito ad una segnalazione, tramite i servizi sociali, all’allontanamento del minore abusato fisicamente, soggetto ad incuria, maltrattato verbalmente e psicologicamente, ma quando questo non accade? Quando invece è l’educazione stessa ad essere contestata?

Può un genitore essere limitato nella riproduzione di codici, linguaggi, modi, fede che a sua volta nell’infanzia sono stati inculcati? Può lo Stato interferire?

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CAPITOLO II

QUANDO LO STATO CONTESTA L’EDUCAZIONE

2.1 RESPONSABILITà GENITORIALE E DECADENZA

Lo stato italiano con l’articolo 29 e 3025

della Costituzione tutela l’istituto della famiglia, dandone ampi margini di autonomia, indicando diritti e doveri che saranno poi ripresi e ribaditi nel codice civile negli articoli 147 e 316.

Il secondo comma dell’articolo 30 della Costituzione recita: “la legge provvede a che siano assolti i loro compiti” ma in che modo e, soprattutto, quali sono questi diritti/doveri citati dalla costituzione?

Per comprendere meglio l’importanza di questo articolo, che tutela questi diritti/doveri a livello costituzionale e la portata che ha quotidianamente a livello normativo, bisogna fare un breve excursus di quella che è la disciplina indicata all’interno del codice civile.

Si parla di doveri dei genitori per la prima volta nel libro I nel titolo V del codice civile che tratta il matrimonio.

L’articolo 147 intitolato “Doveri verso i figli” recita così:

Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis.

Dunque nell’articolo 147 viene ripreso, ma non più come diritto/dovere generico dell’articolo 30 della costituzione ma come obbligo, l’impegno di mantenere, istruire ed educare e assistere moralmente la prole. La seconda parte dell’articolo riprende l’articolo 315 bis del codice civile dove vengono descritti i diritti/doveri :“Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori,

nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”.

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Art. 30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio.Nei casi di

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Ecco quella che viene definita la responsabilità genitoriale descritta nell ‘articolo 316 del codice civile che recita “Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo

conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore.”

La responsabilità genitoriale deve così essere capace di proteggere ma promuovere contemporaneamente . Il genitore diventa rappresentante del minore e non “oggetto” di proprietà del genitore.

La violazione di tali obblighi può dar luogo a provvedimenti, quali anche decadenza della responsabilità genitoriale. Il codice civile con gli articoli 33026 e 33327 del codice civile dichiara che in presenza di una condotta pregiudizievole per il minore il giudice possa intervenire facendo decadere la responsabilità, sospendendola e/o allontanando il minore o semplicemente prevedendo dei provvedimenti, ammonimenti, prescrizioni.

Questo viene ribadito nel titolo IX istituito con la legge 154 del 2001, di cui parlato in precedenza, dove si parla di lesioni all’integrità fisica e morale o alla libertà del convivente (inteso chiunque risieda all’interno del nucleo familiare. L’articolo 342 bis che recita, appunto, : Quando la condotta del coniuge o di altro

convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, [qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d'ufficio,] su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342-ter, non è riferito espressamente alla

responsabilità genitoriale, infatti viene dedicato un titolo a parte, in quanto si parla di qualsiasi provvedimento ma esteso anche ad essa.

Se estendiamo l’ articolo 342bis alla responsabilità genitoriale diventa interessante la parola libertà che può connotare in una libertà positiva ovvero liberi di poter essere e non solo liberi da, simile al rispetto delle capacità, inclinazioni e aspirazioni del figlio.

Dunque non basta mantenere, istruire, educare, assistere moralmente i propri figli se non vi è il rispetto del loro Io.

Sono evidenti, palesi quando vengono a mancare il mantenimento, l’istruzione, l’educazione e l’assistenza morale, quando avvengono violenze fisiche, violenze verbali.

Sono invece subdoli quegli abusi che vanno a minare, seppur nel rispetto dei diritti/doveri costituzionali, l’Io del bambino dove non vengono rispettate le inclinazioni naturali e aspirazioni del figlio, dove non si tiene conto delle capacità.

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Art 330 codice civile : “Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o

trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore”

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Art. 333 codice civile: “ Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza

prevista dall'articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l'allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.

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Alla luce dell’articolo 342bis e dell’articolo13 della Costituzione che recita: “La libertà personale è inviolabile.(…)Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà(…), non è azzardato definire abuso la compressione dell’Io del proprio figlio.

2.2)QUANDO L’ EDUCAZIONE LEDE IL MINORE

Un’adolescente può capire se i propri genitori stanno osteggiando una particolare capacità, può sentirsi non capito, non accompagnato in un percorso che lo deve rendere “libero di essere di” ed ha maggiori strumenti per farlo presente, ha maggiore consapevolezza di un bambino.

Il minore può percepire ma non avere la consapevolezza dell’abuso e dunque sentirsi “sbagliato”, non idoneo alle aspettative dei propri genitori, o semplicemente vengono inculcati valori e tradizioni che il bambino percepirà giuste ma in contrasto con quanto previsto dalla costituzione. Valori e tradizioni che possono limitare la propria libertà di essere di ma che non verranno viste come costrizioni, costrizioni e sovrastrutture strette ma accettate.

Quando interviene lo Stato?

Nella costituzione e nel codice civile fra gli obblighi abbiamo quello dell’istruzione e quello dell’educazione, mentre in quello dell’istruzione vi è una compartecipazione dello Stato, in quanto esso provvede attraverso personale, strutture e mezzi a tale fine e il genitore si impegna nel far assolvere l’obbligo scolastico del proprio figlio. Per quanto riguarda l’educazione vi è libertà per la famiglia, nel rispetto dei principi costituzionali, anche se l’articolo 403 del codice civile in merito all’intervento dello Stato in caso di genitori inadempienti recita: “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali

insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui, la pubblica autorità a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in un luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”.

Merita considerazione la parola immoralità e la parola educazione, cosa è immorale e chi lo decide? Quello che si riteneva immorale sessant’anni fa oggi non lo è, cosa significa saper educare?

Educare significa “v. tr. [dal lat. educare, intens. di educĕre «trarre fuori, allevare», comp. di e-1 e ducĕre «trarre, condurre»] – 1. In generale, promuovere con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali, estetiche, e delle qualità morali di una persona (…)2. a. Sviluppare e affinare le attitudini e la sensibilità (in modo assoluto o dirigendole verso un fine determinato(…).28

Insegnare v. tr. [lat. *insĭgnare, propr. «imprimere segni (nella mente)», der. di signum «segno», col pref.

in-1] (– 1. a. In genere, far sì, con le parole, con spiegazioni, o anche solo con l’esempio, che qualcun altro

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