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PAZIENTI

I dati riportati in questo studio riguardano 78 pazienti ricoverati o seguiti presso gli ambulatori dell’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’Ospedale Cisanello di Pisa che sono risultati essere affetti da un’infezione primaria da HIV: 67 tra il 2000 ed il 2007 e 9 tra il 1993 ed il 1999.

Per definire l’infezione primaria da HIV sono stati presi in considerazione criteri anamnestici, clinici e virologici. In particolare, sono stati inclusi nello studio tutti quei pazienti con test di screening per HIV positivo che all’anamnesi presentavano un test di screening per HIV negativo eseguito nei 12 mesi precedenti il ricovero o la visita e/o i pazienti con test di screening per HIV positivo che presentavano sintomi e segni clinici caratteristici di un’infezione acuta da HIV ed un pattern parziale di reattività anticorpale valutata con Western Blot(reattività limitata a non più di 3 antigeni virali). Inoltre, l’infezione primaria da HIV è stata distinta in infezione acuta, contratta nei 6 mesi precedenti la visita o il ricovero, ed infezione recente, che viene fatta risalire a 6-12 mesi prima della visita o del ricovero. Dei 78 pazienti valutati in questo studio, 22 presentavano le caratteristiche di un’infezione recente, mentre per i rimanenti 56 era stata fatta diagnosi di infezione acuta da HIV.

METODI

Di ogni paziente sono stati valutati: età, sesso, nazionalità, fattori di rischio, segni e sintomi clinici, necessità di ospedalizzazione, necessità di terapia antiretrovirale, tipo di terapia eseguita e parametri di laboratorio.

I segni e i sintomi clinici presi in considerazione sono quelli rilevati durante la prima visita o al momento dell’eventuale ricovero, fino alla completa risoluzione del quadro clinico.

I parametri di laboratorio analizzati sono stati: il profilo sierologico anti- HIV, la carica virale basale e la carica virale a 3 e 6 mesi dall’inizio dell’eventuale terapia antiretrovirale, il numero e la percentuale dei linfociti T CD4+ basali e dopo 3 e 6 mesi dall’inizio dell’eventuale terapia, il pattern di reattività anticorpale contro i diversi antigeni HIV, la presenza di polimorfismi e/o di mutazioni nel gene pol correlabili a resistenza a farmaci antiretrovirali, il sottotipo infettante relativamente alla sequenza del gene pol.

Il profilo sierologico anti-HIV è stato valutato con test di screening immunoenzimatici di III generazione, che ricercano anticorpi anti-HIV e con test combinati di IV generazione che ricercano sia gli anticorpi che l’antigene p24.

La positività ai test di screening è stata confermata con Western Blot (Genelabs blot HIV, version 2.2). In un caso è stato utilizzato il test Chiron RIBA HIV1/2 Recombinant Immunoblot Assay.

La determinazione delle cariche virali è stata eseguita con COBAS AmpliPrep/COBAS TagManTM HIV con limite di rilevazione di 40 copie/ml (Roche Diagnostici, Monza, Italia). In una parte dei casi l’analisi è stata condotta con COBAS AmpliPrep/COBAS AMPLICOR HIV-1 MONITORTM Test, version 1.5 con limite di rilevazione di 500 copie/ml.

In accordo con le ultime Linee Guida dell’International AIDS Society- USA panel è stata considerata soppressa una carica virale inferiore a 50 copie/ml.

La caratterizzazione molecolare del gene pol è stata effettuata con test ViroSeqTM HIV-1 Genotyping System, version 2 (Abbott Diagnostics), (Abbott Divisione Diagnostici, Roma, Italia). I dati dedotti dall’analisi della sequenza genomica sono stati interpretati comparando la sequenza ottenuta, con quelle registrate nel database dell’Università di Stanford (http://hivdb-stanford.edu.) e nel subtyping website di Los Alamos (BLAST program). Gli allineamenti delle sequenze nucleotidiche degli isolati con sequenze di riferimento per ciascun sottotipo, sono stati ottenuti utilizzando i programmi CLUSTALX (version 1.8) o BioEdit (version 7.0.3), (http://www.mbio.ncsu.edu/BioEdit/bioedit.htlm). Le sequenze sono state testate per omologie e possibili eventi di ricombinazione, utilizzando il software SimPlot (version 2.5) (http://sray.med.som.jhmi.edu/) . Tutte le analisi virologiche sono state eseguite presso l’Unità Operativa complessa di Virologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana.

Sezione III

RISULTATI

POPOLAZIONE

Come evidenziato in Tabella V.1, dei 78 pazienti esaminati, 64 (82%) erano di sesso maschile e 14 (18%) di sesso femminile, con un rapporto tra i due sessi di 5,6:1 a favore del sesso maschile. L’età media della popolazione presa in esame era di 36 anni, con valori compresi tra i 18 anni ed i 70 anni.

Tutti i soggetti presi in considerazione nello studio erano di nazionalità italiana tranne quattro: un albanese, trasferitosi in Italia 7 anni prima di contrarre l’infezione, un marocchino, trasferitosi 3 anni prima, una nigeriana ed un francese, la cui durata della permanenza in Italia al momento dell’infezione non era nota.

Per 54 pazienti (69%) il contagio era avvenuto per via sessuale (in 33 casi per via eterosessuale ed in 21 per via omo-bisessuale), 5 pazienti avevano contratto l’infezione per via parenterale (quattro dei cinque facevano uso abituale di droghe per via endovenosa ed uno riconosceva come unico possibile fattore di rischio una puntura accidentale), mentre per i rimanenti 19 pazienti non era stato possibile identificare il fattore di rischio.

MANIFESTAZIONI CLINICHE

In Tabella V.2 sono elencate le principali manifestazioni cliniche presentate dai soggetti esaminati al momento della prima visita o del ricovero. I sintomi più frequenti erano febbre, nel 57,3% dei casi, malessere, astenia e calo ponderale, nel 42,6% dei casi e farigodinia, nel 33,3% dei casi. Sintomi meno comuni erano tosse (12%), cefalea (8%), mialgia (6,6%) e sudorazione notturna (4%).

Il 9 % dei pazienti presentava segni e sintomi clinici di una sindrome mononucleosica, con comparsa di febbre, farigodinia, malessere, astenia, dimagrimento, rash cutaneo, linfoadenopatia generalizzata, ipertrofia tonsillare

ed epatosplenomegalia. Per il 57% di questi pazienti era stato necessario istituire un ricovero.

Piuttosto comune era anche l’interessamento dell’albero tracheobronchiale e dell’apparato gastrointestinale, con manifestazioni quali diarrea, nausea, vomito e dolori addominali. Raro, invece, era l’interessamento del sistema nervoso. Un solo soggetto sviluppava una meningomielite, con presenza, al momento del ricovero, di febbre, dispnea, tetraplegia, iperriflessia e rigor nucalis. Un secondo paziente veniva ricoverato con segni di meningismo, associati a febbre, malessere, astenia, nausea, cefalea, epatosplenomegalia e linfoadenopatia.

In 2 casi una polmonite si presentava come manifestazione clinica d’ infezione primaria da HIV. Sintomi quali febbre e tosse si riscontravano in entrambi i pazienti, mentre solo uno dei due soggetti presentava anche dispnea. Il ricovero si era reso necessario solo in un caso.

La linfoadenopatia era il segno clinico riscontrato con maggiore frequenza, nel 70,6% dei casi. L’esame clinico metteva generalmente in evidenza un interessamento simmetrico principalmente dei linfonodi cervicali, seguiti da quelli ascellari ed inguinali. I linfonodi raggiungevano solitamente un diametro di circa 1 cm e si presentavano mobili, indolenti e di consistenza teso- elastica.

Nel 16% dei soggetti esaminati si osservava la comparsa di un rash cutaneo maculo papuloso, spesso associato ad una concomitante infezione luetica. Oltre alla linfoadenopatia ed all’epatosplenomegalia (24%), tra i segni clinici più frequenti era possibile rilevare la presenza di ulcere genitali (5,7%), dermatite seborroica (5,7%) ed iperemia congiuntivale (5,7%), oltre a parodontopatie, gengiviti e mughetto.

Per 29 pazienti (37,2%) l’infezione primaria evolveva in maniera del tutto asintomatica.

Per quanto riguarda la necessità di ricovero, 18 dei 78 pazienti esaminati (23%) sono stati ospedalizzati: di questi 18 pazienti, soltanto 3 presentavano le caratteristiche di un’infezione recente, mentre per gli altri era stata fatta diagnosi di infezione acuta da HIV.

PARAMETRI DI LABORATORIO Profilo sierologico anti-HIV

La positività ai test di screening veniva confermata dal Western Blot in 62 casi, il test RIBA veniva utilizzato in un unico caso, mentre per i rimanenti 15 soggetti non era stato effettuato alcun test di conferma nei mesi immediatamente successivi al riscontro di sieropositività per HIV.

Come mostrato in Tabella V.3 ed in Figura V.1, un solo soggetto presentava una debole reattività ad un’unica banda antigenica, corrispondente alla p24, mentre 15 pazienti, pari al 23,8% del campione sottoposto a test di conferma, presentavano una reattività a due antigeni virali. Tra questi, un soggetto aveva effettuato un test RIBA, che metteva in evidenza una reattività alla gp41 e alla p24/26, mentre i restanti 12 pazienti, sottoposti a Western Blot, presentavano una reattività alla gp160/120 e alla p24.

La reattività a tre bande antigeniche veniva dimostrata per 12 soggetti (19%): cinque di questi presentavano una positività alla gp160/120, alla p24 e alla p17, per altri cinque veniva rilevata una reattività alla gp160/120, alla gp41 e alla p24, in un caso veniva evidenziata una debole reattività alla gp160/120 e alla p66, associate ad una reattività alla p24, mentre nel rimanente caso le bande reattive erano quelle corrispondenti alla gp41, alla p24 e alla p17.

Otto pazienti (12,7%) presentavano un pattern di reattività anticorpale a quattro antigeni virali: la positività per gp160/120, p66, p31e p24 si rilevava in due casi, tre pazienti presentavano una positività per gp160/120, p66, p24 e p17, nei restanti tre casi le bande reattive erano rispettivamente la gp160/120, la

p55/51, la p31 e la p17 nel primo caso, la gp160/120, la p55/51, la p24 e la p17 nel secondo e la gp160/120, la gp41, la p31 e la p17 nel terzo.

Una positività anticorpale a cinque bande si riscontrava in due soggetti (3,1%), con un pattern di reattività composto da gp160/120, p66, p55/51, p31, p24 e p17 in un caso e gp160/120, p66, p55/51, gp41, p31 e p24 nell’altro.

Sette pazienti (11,1%) presentavano una reattività a sei bande, con un pattern positivo per gp160/120, p41, p31, p24 e p17 in tre casi, una positività per gp160/120, p66, p55/51, gp41 e p24 in due casi, una positività per gp160/120, p66, p55/51, p24 e p17 in un caso e per gp160/120, p66, gp41, p31 e p24 nell’ultimo caso.

Due soggetti (3,2%) presentavano sette bande reattive: gp160/120, p66, p55/51, gp41, p31, p24 e p17 in un caso e gp160/120, p66, p55/51, gp41, p39, p31 e p24 nell’altro.

Una reattività completa al Western Blot si evidenziava in 16 pazienti (25,8%).

Tra i 21 pazienti che presentavano un primo Western Blot incompleto, reattivo a meno di tre bande o reattivo a tre bande tra cui la p17, in due casi si sviluppava una positività a tre bande dopo un mese dal primo test eseguito ed in un caso dopo tre mesi dal primo test. In tre casi il Western Blot si presentava reattivo a tutte le bande dopo due mesi ed in cinque casi dopo un mese dal primo test. Gli altri 10 pazienti non venivano sottoposti a Western Blot di controllo.

Parametri virologici ed immunologici basali

Carica virale

Come riportato in Figura V.2, in 31 casi, pari al 41,3% dei 75 pazienti di cui era nota la viremia basale, la carica virale al momento della diagnosi era superiore a 105

copie di HIV-RNA/ml (log10>5). Di questi 31 pazienti, 23

avevano una viremia compresa tra 105

e 106

presentavano una carica virale superiore a 106

copie/ml ed un paziente aveva una viremia superiore a 107

copie/ml (log10>7).

Il 33,3% del campione esaminato (25 pazienti) presentava una viremia basale compresa tra 104

e 105

copie/ml (4<log10<5), mentre il 18,6% (14

pazienti) aveva una carica virale basale compresa tra 103

e 104

copie/ml (3<log10<4).

Quattro pazienti presentavano al momento della diagnosi una viremia compresa tra 102 e 103 copie/ml (2<log

10<3) ed un solo paziente aveva una

carica virale sotto il range analitico del test al momento della sieroconversione. Per tre pazienti non è stato possibile risalire alla viremia basale.

Conta e percentuale dei linfociti T CD4+

Al momento della diagnosi, la media della conta dei linfociti T CD4+ riscontrata nella popolazione esaminata era di 551 cellule/µl, con un range compreso tra 51 e 1329 cellule/µl.

Ventiquattro dei 78 pazienti osservati (30,8%), presentavano una conta dei linfociti T CD4+ inferiore a 410 cellule/µl (valori normali compresi tra 410 e 1590 cellule/µl). Di questi 24 pazienti, 11 presentavano una conta dei CD4+ compresa tra 350 e 200 cellule/µl, intervallo entro il quale le linee guida consigliano di prendere in considerazione la possibilità di iniziare il trattamento e 4 presentavano una conta dei CD4+ ≤ 200 cellule/µl, limite minimo oltre il quale le ultime linee guida raccomandano l’inizio della terapia antiretrovirale. La conta dei CD4+ al momento della diagnosi nei pazienti esaminati è illustrata in Figura V.3.

Di 6 pazienti non era disponibile la conta basale dei CD4+.

La percentuale dei CD4+ al momento della diagnosi era inferiore al 31% (valori normali compresi tra il 31% ed il 60%) per 56 pazienti (72,4% del campione esaminato), superiore al 31% per 15 pazienti, mentre per 6 pazienti la percentuale basale dei CD4+ non era nota.

Follow-up virologico ed immunologico dei pazienti sottoposti a terapia antiretrovirale

Carica virale

Tra i 46 pazienti che sono stati sottoposti a terapia antiretrovirale al momento della diagnosi, 24 (52,2%) presentavano una carica virale basale superiore a 105

copie/ml, 13 (28,3%) avevano una viremia basale tra 104

e 105

copie/ml, 7 avevano una viremia basale compresa tra 103

e 104

copie/ml ed un paziente presentava una carica virale basale compresa tra 102 e 103 copie/ml. Per

un paziente non è stato possibile risalire alla carica virale basale.

Sei pazienti non sono stati inclusi nell’analisi dei dati in quanto uno aveva interrotto il trattamento dopo un mese dall’inizio della terapia, mentre in cinque casi non erano disponibili dati a tre e sei mesi.

Come è mostrato in Figura V.3, dei rimanenti 40 pazienti, tre (7,5%) avevano effettuato un unico controllo a tre mesi dall’inizio della terapia che evidenziava una carica virale compresa tra 102

e 103

copie/ml, 10 (25%) presentavano una viremia inferiore a 50 copie/ml dopo tre mesi di terapia, mentre in 16 (40%) pazienti la carica virale risultava sotto il range analitico del test dopo sei mesi.

Tra gli 11 pazienti (27,5%) che risultavano ancora viremici dopo oltre sei mesi dall’inizio del trattamento, 8 avevano una carica virale compresa tra 102

e 103

copie/ml, 2 presentavano tra 103

e 104

copie/ml ed un paziente superiore a 104

copie/ml.

Conta dei linfociti T CD4+

La media della conta basale dei CD4+ riscontrata nei 46 pazienti sottoposti a terapia antiretrovirale era di 509cellule/µl, con un range compreso tra 51 e 1252 cellule/µl.

Dei 46 pazienti trattati, 23 presentavano una conta basale dei CD4+ superiore a 410 cellule/µl, 6 avevano una conta basale dei CD4+ compresa tra

350 e 410 cellule/µl, 8 presentavano una conta dei CD4+ basale tra 200 e 350 cellule/µl, 4 avevano una conta basale dei CD4+≤ 200 cellule/µl, mentre per 5 pazienti non era nota la conta basale dei CD4+.

Sei pazienti non sono stati inclusi nell’analisi dei dati in quanto uno aveva interrotto il trattamento dopo un mese dall’inizio della terapia e cinque pazienti non avevano eseguito controlli a 3-6 mesi dall’inizio del trattamento.

I controlli effettuati a 3-4 mesi dall’inizio della terapia antiretrovirale mostravano una media della conta dei CD4+ di 696 cellule/µl, con un range compreso tra 156 e 1284 cellule/µl. Dei 38 pazienti che avevano effettuato un controllo della conta dei CD4+ dopo 3-4 mesi dall’inizio del trattamento, soltanto tre presentavano una conta dei CD4+ inferiore a 410 cellule/µl: il primo si presentava con una conta dei CD4+ di 218 cellule/µl, il secondo con una conta di 169 cellule/µl ed infine il terzo con una conta di 156 cellule/µl.

I controlli effettuati a 5-6 mesi dall’inizio della terapia mettevano in evidenza una media della conta dei CD4+ di 747 cellule/µl, con un range compreso tra 302 e 1226 cellule/µl. Dei 33 pazienti che avevano effettuato un controllo della conta dei CD4+ dopo 5-6 mesi dall’inizio del trattamento, solo uno presentava un basso valore dei CD4+, pari a 302 cellule/µl.

Tre pazienti avevano effettuato un controllo della conta dei CD4 dopo 8 mesi dall’inizio della terapia ed un paziente aveva effettuato un controllo a 9 mesi: in tutti e quattro i casi si rilevavano alti valori dei CD4.

Analisi genotipica

Solo per 67 dei 78 pazienti esaminati era stato determinato il sottotipo infettante relativamente al gene pol. Come mostrato in Figura V.5, il 71,6% dei pazienti risultava essere stato infettato da HIV-1 di sottotipo B, il 17,9% presentava un’infezione sostenuta da isolati di sottotipo F, il 5,9% del campione era stato infettato da ceppi URF (forme uniche ricombinanti), il 2,9% dal sottotipo C ed infine l’1,5% dalla variante CRF02_AG.

La Figura V.6 mette in evidenza le posizioni amminoacidiche della proteasi interessate da polimorfismi al momento della diagnosi. La posizione principalmente interessata era la 63 ( 22,7% ), seguita dalla 36 ( 20,9% ) e dalla 93( 13,6% ). Più raramente risultavano essere interessate le posizioni: 77 e 20, entrambe nell’8,1% dei casi, 13 ( 5,1% ), 71 ( 4,5% ), 69 ( 2,7% ), 10, 33 e 85, ciascuno nell’1,8% dei casi. Un isolato di sottotipo B presentava un’inserzione 35E_D, non considerate ad oggi di nessuna rilevanza per la risposta alla terapia

In tre casi erano presenti mutazioni associate a farmacoresistenza agli inibitori della proteasi: due pazienti risultavano infettati con varianti virali di sottotipo B che presentavano le mutazioni V82A e L90M ed in un caso la mutazione M46L compariva in un sottotipo F.

A carico della regione codificante la trascrittasi inversa, l’analisi genotipica metteva in evidenza in 15 casi la presenza di polimorfismi. In 5 isolati si rilevava la presenza del polimorfismo 333E, in due era presente il polimorfismo 106I ed in altri due erano presenti contemporaneame i polimorfismi 98S e 101Q. Altri sei isolati erano caratterizzati da un unico polimorfismo (101R, 108IV, 118I, 151QK, 210F, 318D).

Due pazienti risultavano essere stati infettati da ceppi virali aventi mutazioni correlate a resistenza nei confronti degli inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa. In entrambi i casi le mutazioni rilevate erano: M41L, E44D, D67N, T69D, L210E, T215CS.

TERAPIA ANTIRETROVIRALE

Dei 78 pazienti esaminati, 46 (59%) erano stati sottoposti a terapia antiretrovirale, mentre 32 (41%) non erano stati trattati.

Tra i 46 pazienti trattati, un solo soggetto era stato sottoposto ad una terapia costituita da un unico farmaco, l’azidovudina (AZT), mentre tre pazienti erano stati sottoposti ad una terapia a due farmaci, composta in due casi da due inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTIs), AZT e didanosina (ddI) e

AZT e zalcitabina (ddC) ed in un caso da un NRTI, la stavudina (d4T) ed un inibitore non nucleosidico della trascrittasi inversa (NNRTI), l’efavirenz (EFV). Per 4 pazienti erano stati utilizzati due NRTIs associati ad un NNRTI: AZT, lamivudina (3TC) ed EFV in tre casi, tenofovir (TDF), emtricitabina (FTC) e nevirapina (NVP) in un caso. Dieci pazienti erano stati sottoposti ad un regime terapeutico composto da due NRTIs ed un inibitore della proteasi (PI): AZT, 3TC e nelfinavir (NFV) in sette casi e AZT, 3TC ed indinavir (IDV) in tre casi.

Ventisei pazienti, pari al 56,5% dei soggetti trattati, erano stati sottoposti ad una terapia basata sulla combinazione di due NRTIs con lopinavir (LPV) associato a basse dosi di ritonavir (RTV): 15 soggetti erano stati trattati con AZT, 3TC, LPV/RTV, in nove casi la terapia era costituita da TDF, FTC, LPV/RTV ed in un caso da abacavir (ABC), 3TC, LPV/RTV.

Due pazienti erano stati trattati con due NRTIs, TDF ed FTC in un caso e AZT e 3TC nell’altro, associati a LPV/ RTV ed enfuvirtide (T20).

Dei 46 soggetti trattati, 11 (23,9%) avevano cambiato trattamento entro un anno dall’inizio della terapia antiretrovirale.

Sezione IV

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