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Pena e programmi di tutela: la proposta di Giovannangelo De Francesco per una

Capitolo II – Funzione e legittimazione del diritto penale dell’ambiente

4. Pena e programmi di tutela: la proposta di Giovannangelo De Francesco per una

In questo studio, De Francesco muove da un assunto di grande interesse sulla funzione della teorica del pericolo (concreto e astratto) nell’odierna dogmatica penalistica: tale concetto “prima ancora di segnare una ‘tappa’ nell’iter di sviluppo in direzione dell’offesa” viene considerato “una sorta di ‘metafora’ concettuale destinata ad evocare l’esigenza di reperire un

202 Si prendono in prestito le espressioni impiegate in termini generali da M. Donini, op. cit., 2004, Milano, p. 105,

106 e 117.

203 L’espressione è tratta da G. Fiandaca e E. Musco, Perdita di legittimazione del diritto penale?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, p. 23 ss.

204 Ad es., M. Donini, op. cit., 2004, Milano, p. 104. Ma la adombra criticamente anche F. Consulich, op. cit., in Leg. pen., 2018, p. 1 ss.

referente della tutela che il fatto tipico, in sé e per sé considerato, non è in grado di rivelare compiutamente”, proiettandosi in “un campo di valutazioni in cui la razionalità politico- criminale delle scelte effettuate è destinata ad interferire con esiti e prospettive che esulano dalla logica delle singole tipologie di condotta colte nelle loro implicazioni immediate”205. Tale postulato iniziale è rivelatore dell’abbandono di una prospettiva di indagine endopenalistica a favore di un approccio olistico alla questione, “originaria”, della legittimazione della penalità nelle società contemporanee, la quale peraltro viene inquadrata attribuendo particolare valore euristico alla nozione di “scopo” dell’incriminazione, intesa come elemento distinto dal bene oggetto della protezione penale206. Come viene chiarito nel prosieguo della riflessione, infatti, “il radicamento della tutela in una dimensione normativo- assiologica sostanzialmente autonoma ed autoreferenziale è destinato ormai a cedere il posto ad una ‘ricerca di scopo’ - criminal-politicamente connotata - tale da comportare un graduale processo di erosione della stessa idea di assicurare una corrispondenza integrale tra bene giuridico e fattispecie normativa”207.

Sulla scorta di tali ipotesi, la tesi centrale dello studio è dunque rappresentata dall’affermazione secondo cui, innanzi alla complessità sociale sottesa alle moderne esigenze di tutela, “il diritto penale, se non può aspirare al ruolo di costituire lo strumento attraverso il quale simili compiti possano venire concretamente adempiuti […] è destinato tuttavia a giocare una funzione di legittimazione a tutt’oggi meritevole di venire preservata e riconosciuta: quella, cioè, di identificare […] un momento di ‘snodo’ essenziale affinché i percorsi di sviluppo e di concretizzazione degli obiettivi di volta in volta perseguiti […] non rimangano privi di un presidio […] idoneo ad assicurare la ‘tenuta’ dell’edificio complessivo”208.

Dopo una ricognizione anche storica della dimensione teleologica delle teorie sul fondamento giustificativo del diritto penale, De Francesco giunge infatti ad affermare che, nella modernità, “il fatto tipico viene sempre più a stagliarsi in guisa di ‘strumento’ per perseguire delle finalità”, la cui “ragionevolezza”, come ha evidenziato la stessa Corte Costituzionale, deve essere valutata con riguardo non solo al bene giuridico, bensì anche al “significato” e alla “attitudine

205 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 18. 206 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 22 e 23. 207 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 43. 208 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 24.

del ‘mezzo prescelto’ al perseguimento di obiettivi di ben più vasta portata ed estensione”209. Alcuni interessi (tra i quali “emblematico” è proprio quello ambientale) sottendono secondo il chiaro Autore, già nel dettato della Carta fondamentale, un “novero di valutazioni che sarebbe, ad un tempo, eccessivo e limitativo ritenere traducibili in una dimensione legale volta a farne ‘oggetto’ specifico e puntuale di disciplina repressiva”, poiché loro tutela “può esprimersi, da un lato, in uno stadio d’intervento tale non comportare l’effettiva compromissione di un interesse dato […]; ma richiede, dall’altro, un giudizio di capacità e di congruità finalistica, empiricamente fondato e verificabile, rispetto ad esiti di più vasta portata laddove questi” necessitino dell’intervento del diritto penale210.

In questo orizzonte normativo, allora, il fondamento giustificativo della penalità va ravvisato “in una dimensione teleologica ‘eccedente’ […] il profilo di ricostruzione del disvalore del fatto” legalmente tipizzato211. Innanzi ai timori espressi in dottrina rispetto ai rischi di una ricerca siffatta (ossia, orientata allo scopo complessivo della fattispecie incriminatrice), De Francesco osserva che, anzi, tale impostazione, lungi dal legittimare “un uso potenzialmente illimitato” del diritto penale, “giunge invece a caratterizzarne i contenuti qualificanti, in termini tali da conferire ad esso un ruolo ed una portata selettiva sufficientemente (ed anzi […] ancor più rigorosamente) definiti e circoscritti”212.

A suo avviso, infatti, l’intervento punitivo si legittima, in chiave funzionale, come “base di sostegno” delle strategie normative di realizzazione dei programmi di tutela enucleati dalla Costituzione213. Ed è proprio in tale prospettiva che viene rivitalizzato il principio di extrema

ratio, il quale va inteso non come direttiva di “limitazione delle scelte repressive al solo

momento dell’offesa ad un bene giuridico”, bensì come indicazione diretta a “secernere sfere di comportamenti, la cui mancata criminalizzazione renderebbe impossibile (od estremamente problematica) la costruzione […] di un assetto o programma di tutela” composito.

Per De Francesco, dunque, il diritto penale deve fungere da “precondizione strumentale” delle “(ulteriori) strategie di controllo e di promozione sociale di volta in volta utilizzabili per il

209 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 45. 210 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 46 e 47. 211 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 49. 212 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 53. 213 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 56.

raggiungimento degli obiettivi ritenuti meritevoli di venire perseguiti in un determinato momento storico”214.

Tale quadro concettuale, calato poi sul settore della normativa ambientale, consente di ritenere teleologicamente legittime quelle incriminazioni che sanzionano la violazione della pertinente disciplina amministrativa: considerato, infatti, che, come più volte ribadito, il programma di tutela è in tale contesto diretto alla “permanenza” e allo “sviluppo di rapporti di corretta interazione” tra le attività umane e l’ecosistema, risulta “allora chiaro come la possibilità di esplicare un controllo sull’attività di volta in volta intrapresa non possa che rappresentare il dato ‘strumentale’ preliminare affinché tale programma possa risultare, per l’appunto, efficacemente e concretamente attuabile”215. Il riferimento è, come si può intuire, alle incriminazioni ambientali incentrate sullo svolgimento di un’attività senza la prescritta autorizzazione. Ma, ad avviso di chi scrive, le medesime conclusioni potrebbero essere formulate con riguardo alle fattispecie che sanzionano lo svolgimento di attività in violazione delle relative prescrizioni amministrativo, mentre esse non sembrano valere rispetto alle norme che puniscono le condotte di mancata collaborazione con le autorità competenti (in quanto atte solo a “facilitare” l’intervento di tali autorità).

All’esito della sua feconda indagine, peraltro, De Francesco ritiene di dover soggiungere che la ricostruzione (ad un tempo descrittiva e prescrittiva) del diritto penale come “condizione essenziale preliminare” dei programmi compositi di tutela degli interessi costituzionali permetta “di guardare con minore ansia e preoccupazione all’emergere progressivo di fattispecie ormai lontane dalla polarizzazione del modello legale su di un’offesa”: la legittimazione di siffatte incriminazioni, infatti, andrebbe ricercata non tanto nella presenza di “una lesione, o [di] un pericolo, più o meno concreto ed effettivo”, quanto piuttosto nella loro idoneità ad adempiere a quella funzione, coerente con il principio di sussidiarietà, di garanzia delle “basi di partenza” necessarie alla realizzazione di siffatti programmi. Idoneità che, come anticipato, andrebbe valutata nel contesto di “un più vasto e lungimirante scenario prospettico, nel quale gli obiettivi di conservazione e di promozione sociale vengano chiamati a confrontarsi

214 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 57. 215 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 65.

criticamente con le condizioni ed i presupposti essenziali perché essi possano concretamente”216.

5. Funzione e legittimazione della pena nel programma di tutela