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Le tecniche di incriminazione impiegate in materia ambientale: una tipicità in bilico tra

Capitolo II – Funzione e legittimazione del diritto penale dell’ambiente

2. Le tecniche di incriminazione impiegate in materia ambientale: una tipicità in bilico tra

In via di prima approssimazione, come ricorda Licia Siracusa richiamandosi alla pertinente elaborazione della dottrina tedesca, tre sono i possibili modelli di illecito che potrebbero essere adottati nell’ambito della tutela penale dell’ambiente: il primo è il c.d. “modello classico”, ossia quello incentrato sulla produzione di un evento dannoso o concretamente pericoloso per il bene giuridico protetto; il secondo è il c.d. “modello parzialmente sanzionatorio”, ossia quello in cui si incrimina una condotta che, in violazione delle pertinenti disposizioni amministrative, abbia causato un evento dannoso o concretamente pericoloso per il bene giuridico tutelato; il terzo ed ultimo modello, definito “sanzionatorio puro”, è quello in cui la condotta tipica si esaurisce nella violazione di norme e provvedimenti amministrativi, prescindendo dalla verificazione di un evento di danno o di pericolo concreto148.

Nel nostro ordinamento, il legislatore impiega solo il secondo e terzo modello di tutela: come ha affermato Costanza Bernasconi, infatti, “la dipendenza dal diritto amministrativo costituisce una caratteristica pressoché costante della generalità delle fattispecie incriminatrici in materia ambientale”149. La ragione va ravvisata nella elevata conflittualità di interessi che connota il

“campo di materia” ambientale: la protezione dell’ecosistema, già di per sé “polistrumentale”, si contrappone ad altri interessi meritevoli di tutela, di matrice perlopiù economica (produttivi, occupazionali, e così via). Poiché, come ha ricordato la Corte Costituzionale, nessuno di questi valori può essere “tiranno” rispetto agli altri150, il legislatore non adotta soluzioni rigide ed

aprioristiche151 ma, nella prospettiva di un loro bilanciamento dinamico152, si affida all’attività delle autorità amministrative la quale è diretta a determinare, talora con provvedimenti astratti e generali e talora con provvedimenti individuali e concreti, i limiti e le condizioni per lo svolgimento delle attività che impattano negativamente sull’ambiente (c.d. rischio consentito153). Il diritto penale interviene allo scopo di sanzionare la violazione di suddette determinazioni amministrative. In altri termini, esso è funzionale a corroborare, mediante la

148 L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano, p. 84 e 85. 149 C. Bernasconi, op. cit., 2008, Pisa, p. 114. 150 Corte Costituzionale, 9 maggio 2013, n. 85.

151 Secondo L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano, p. 75 e 76, comunque, sarebbe possibile per il legislatore, in alcune

ipotesi, “la previsione di fattispecie di reato nelle quali, per la gravità e l’entità delle lesioni prodotte o producibili, la prevalenza del bene ambiente sugli altri interessi in gioco sia ragionevolmente fissata ex ante”.

152 Di dinamismo e flessibilità della tutela parla G. Rotolo, op. cit., in Jus, 2016, p. 113 ss. 153 Richiamato, ex multis, da A. Gargani, op. cit., in Discrimen, 11 febbraio 2020, p. 1 ss.

comminatoria della pena, l’attività di governo dell’ecosistema svolta dalla pubblica amministrazione.

In effetti, al di fuori dei casi in cui non vi sia un interesse meritevole di tutela a contrapporsi alla protezione dell’ambiente (come nei casi dell’incendio boschivo ex art. 423 bis c.p. o del getto pericoloso di cose ex art. 674 c.p.154), l’adozione di un modello di illecito “classico” sarebbe possibile solo adottando una concezione ecocentrica “estrema”, in cui la biosfera sia tutelata “a prescindere dall’uomo”. Ma, come si è accennato, non è questo il postulato assiologico che ispira la normativa vigente, tant’è che anche a fronte delle offese macroscopiche tipizzate nelle fattispecie di inquinamento e disastro ambientale (artt. 452 bis e 452 quater c.p.) il legislatore ha impiegato una clausola di illiceità speciale con cui subordina la punizione di significativi accadimenti lesivi alla violazione delle pertinenti disposizioni amministrative. Ad ogni modo, prima di approfondire le tecniche di incriminazioni adottate negli ecodelitti previsti dal codice penale, è necessario rilevare che essi rappresentano solo uno dei due pilastri dell’edificio penale ambientale. L’altro è, come noto, costituito dai reati contravvenzionali previsti dalle norme del T.U.A. L’analisi specifica delle forme di tutela impiegate con riguardo all’ecosistema deve muovere da questi ultimi, consideratane la priorità sia sul piano storico sia sul piano logico (ossia, della progressione offensiva155).

Licia Siracusa ha proposto una classificazione delle fattispecie contravvenzionali ambientali sulla base del crescente grado di accessorietà alla disciplina amministrativa che le caratterizza, distinguendo ipotesi ad “accessorietà debole”, come gli illeciti di violazione dei limiti tabellari riguardanti svolgimento di attività inquinanti, ad “accessorietà media”, come gli illeciti incentrati sull’esercizio di un’attività in assenza della prescritta autorizzazione, e ad “accessorietà forte”, come gli illeciti imperniati sulla violazione di specifici provvedimenti o ingiunzioni della pubblica amministrazione156 o sulla mancata collaborazione con le autorità

154 Ipotesi richiamate da C. Ruga Riva, Parte generale, in (a cura di) M. Pelissero, Reati contro l’ambiente e il territorio, 2013, Torino, p. 14. Il modello “classico” o “penalistico puro” è stato, semmai, impiegato nella

giurisprudenza nell’ambito della dilatazione ermeneutica delle incriminazioni di disastro innominato (artt. 434 e 449 c.p.), come rileva A. Gargani, op. cit., in Discrimen, 11 febbraio 2020, p. 1 ss.

155 Come ricorda ancora A. Gargani, op. loc. ult. cit. citando P. Fimiani, L’ambiente tra diritto, economia e giurisdizione, in (a cura di) R. Borsari, Itinerari di diritto penale dell’economia, 2018, Padova, p. 138, essi

rappresentano ormai solo una “tutela di primo livello”.

pubbliche157: nella prima categoria di incriminazioni il rinvio alla disciplina extrapenale “interviene a completare il disvalore di illeciti incentrati sulla realizzazione di un concreto accadimento lesivo”, mentre nell’ultimo gruppo di fattispecie esso “esaurisce la tipicità della condotta”158.

Si tratta di tecniche di incriminazione che presentano vari profili di tensione con i corollari del principio di legalità159: il tema è noto e in questa sede non verrà approfondito ulteriormente. Piuttosto, si preferisce dedicare alcune considerazioni ad un altro aspetto tradizionalmente problematico di tali fattispecie (ed in particolare, di quelle ad accessorietà media o forte), ossia la loro offensività: è solo mediante la considerazione di questo ulteriore profilo (rispetto a quello dell’accessorietà) che si può comprendere la logica regolatoria sottesa alla tipicità delle incriminazioni ambientali.

A tal proposito, occorre rilevare che la maggior parte delle contravvenzioni ambientali, in quanto ascrivibile al modello “sanzionatorio puro”, è di pericolo astratto. Le ragioni per l’adozione di siffatta opzione di tutela sono molteplici e si intersecano per i vari tipi di illecito. Innanzitutto, vi è l’esigenza di intervenire preventivamente rispetto a condotte (come, ad esempio, quelle inquinanti) che, pur singolarmente inoffensive, causano un pregiudizio all’ecosistema se realizzate in forma cumulativa e seriale160. In secondo luogo, il ripristino della componente ambientale deteriorata è spesso difficoltoso (se non impossibile) e suggerisce dunque di non attendere la verificazione di evento dannoso o pericoloso, ma di anticipare la soglia di tutela161. Più in generale, infine, pare opportuno che sia la pubblica amministrazione, in quanto depositaria di informazioni specifiche e saperi tecnici162, a valutare la pericolosità delle attività considerate, spettando dunque al diritto penale un intervento repressivo scevro

157 Si tratta di una insieme di contravvenzioni identificato da D. Franzin, op. cit., 2018, Napoli, p. 58 e che pare

poter utilmente ricondurre alla categoria della “accessorietà forte”.

158 L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano, p. 112.

159 Il tema è estremamente complesso. Pare infatti condivisibile quanto rileva F. Giunta, op. cit., in Enc. Dir., 2008,

p. 1151 ss., quando osserva che tali incriminazioni generano una tensione interna al principio di legalità tra i corollari della riserva di legge e della determinatezza. In argomento, tra gli altri, C. Bernasconi, op. cit., 2008, Pisa, p. 37 ss., G. Rotolo, op. cit., in Jus, 2016, p. 113 ss., A. Di Landro, op. cit., 2018, Torino, p. 116 ss. e, da una prospettiva generale, D. Notaro, op. cit., 2010, Torino, passim. Sul profilo della scarsa riconoscibilità del precetto penale ambientale, G. Rotolo, op. cit., 2018, Torino, p. 120 ss. (in particolare, p. da 154 a 159).

160 L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano, p. 399 e 400. Cfr. anche F. Giunta, op. cit., in Enc. Dir., 2008, p. 1151 ss. 161 G. Rotolo, op. cit., 2018, Torino, p. 2.

dalle complicazioni processuali che l’accertamento giudiziale della offensività in concreto della condotta porrebbe163.

Ad ogni modo, è proprio l’astrattezza del pericolo, unitamente alla centralità assegnata, nella tipizzazione del fatto, alla violazione delle determinazioni adottate dalle autorità amministrative, ad aver indotto parte della dottrina a ritenere, talora criticamente e talora in modo neutro, che, perlomeno in talune contravvenzioni, la giustificazione regolatoria del diritto penale sia quella di tutelare non l’ambiente (o l’altro interesse sostanziale apparentemente protetto), bensì la funzione di governo esercitata in tale ambito dalla pubblica amministrazione. Sul tema, di grande interesse, si tornerà nel prossimo paragrafo.

In via generale, comunque, con riferimento all’impiego, in materia ambientale, di reati di pericolo astratto, sembra possibile ravvisare in letteratura un orientamento che, facendo leva sull’elevata rilevanza collettiva dell’interesse tutelato nonché sull’esigenza che si verifichi di volta in volta la “correttezza empirico-criminologica delle valutazioni legislative relative alla pericolosità della condotta tipizzata”164, sostiene la legittimità di tale tecnica di tutela anticipata anche entro il paradigma giustificativo classico del bene giuridico. In altri termini, si sostiene che si tratti non di tutela di funzioni, bensì comunque di tutela mediata dell’ambiente (rectius, di una delle sue componenti), laddove la disciplina extrapenale consenta di ritenere fondata la presunzione di pericolosità delle condotte in contrasto con le determinazioni della pubblica amministrazione165. Nei casi in cui, invece, la tipizzazione del fatto illecito mediante il rinvio alla normativa amministrativa non presenti alcun nesso di pericolosità per l’ambiente, assestandosi semmai alla soglia del mero rischio166, allora l’incriminazione sarebbe illegittima per incompatibilità con il principio di necessaria offensività del bene giuridico, costituendo una mera “disobbedienza al precetto” che ricade entro le categorie, stigmatizzate, del “diritto penale del comportamento” o del “diritto penale amministrativo”167. È comunque significativo

163 D. Franzin, op. cit., 2018, Napoli, p. 68 e 69, G. Rotolo, op. cit., in Jus, 2016, p. 113 ss. (il quale parla di una

promessa di efficacia ed effettività), nonché F. Giunta, op. cit., in Enc. Dir., 2008, p. 1151 ss. Cfr. anche C. Bernasconi, op. cit., 2008, Pisa, p. 129 e 130. Per alcune criticità di tali giustificazioni, ancora A. Di Landro, op.

cit., 2018, Torino, p. 146.

164 Così, letteralmente, F. Giunta, Il diritto penale dell'ambiente in Italia: tutela di beni o tutela di funzioni?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1997, p. 1097 ss.

165 L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano, p. 309 ss. e C. Bernasconi, op. cit., 2008, Pisa, p. 129 e 130.

166 Tra gli altri, parla di diritto penale del rischio con riferimento al settore ambientale, P. Patrono, La tutela penale dell’ambiente: dal diritto penale del rischio al rischio di diritto penale, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2017, p. 597 ss. 167 L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano, p. 403 ss. e C. Bernasconi, op. cit., 2008, Pisa, p. 133 ss. Peraltro, è evidente

che un’interpretazione fieramente formalista come quella adottata da talune pronunce della Suprema Corte (Cassazione penale, Sez. III, 21 settembre 2007, n. 36621 e Cassazione penale, Sez. III, 2 febbraio 2011, n. 6256)

osservare che, negli studi più approfonditi, si ritenga l’impiego di fattispecie contravvenzionali di pericolo astratto, imperniate sul rinvio alla disciplina extrapenale, “imprescindibile” nel “campo di materia” ambientale168, tanto da indurre recentemente Francesco Palazzo a parlare

di “bastione portante della tutela penale dell’ambiente”169.

Le contravvenzioni previste dal T.U.A., proprio in ragione della ratio cui rispondono (ossia l’anticipazione della tutela sino ad attingere condotte che presentano una pericolosità per l’ecosistema molto remota170) presentano necessariamente una comminatoria sanzionatoria

ridotta, cui è sovente applicabile l’oblazione. Ciò ha condotto taluni commentatori ad identificare il rischio di una “monetizzazione del diritto penale ambientale”, ossia del diffondersi nella cultura imprenditoriale di una tendenza volta ad ascrivere il “rischio penale” tra i normali costi di esercizio dell’attività produttiva di riferimento171. In questo orizzonte, prima della recente riforma, la giurisprudenza penale aveva deciso di colmare l’assenza di fattispecie delittuose dotate di una pena edittale consona alla repressione di macroeventi dannosi o concretamente pericolosi per l’ecosistema mediante la dilatazione analogica in

richiamate da C. Ruga Riva, Il reato di inosservanza delle prescrizioni contenute nell’autorizzazione: norma

penale in bianco-verde per ogni irregolarità?, in Amb. & Svil., 2013, p. 740 ss. non possa che acuire i timori degli

interpreti.

168 Letteralmente, G. Rotolo, op. cit., 2018, Torino, p. 230. Nello stesso senso, L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano,

p. 420 (con riguardo alle incriminazioni fondate sul superamento dei limiti soglia, ma anche altrove con riferimento ad altre tipologie di illecito: ad es., p. 353 e 354, nonché p. 472 ss.), C. Bernasconi, op. cit., 2008, Pisa, p. 243 e 244, D. Franzin, op. cit., 2018, Napoli, p. 80 e 81 e tendenzialmente anche T. Padovani, op. cit., in (a cura di) G. Marinucci e E. Dolcini, op. cit., 1985, Milano, p. 463 e 464. Contra, P. Patrono, op. cit., in Riv. trim. dir. pen. ec., 2017, p. 597 ss.

169 F. Palazzo, I nuovi reati ambientali. Tra responsabilità degli individui e responsabilità dell’ente, in Dir. pen. cont., 2018, n. 1, p. 329 ss.

170 In quest’ottica, a seguito dell’introduzione degli ecodelitti nel codice penale da parte della l. 68/2015, le

contravvenzioni ambientali rientrano in due dei tre gruppi normativi identificati da T. Padovani, op. cit., in (a cura di) G. Marinucci e E. Dolcini, op. cit., 1985, Milano, p. da 450 a 452, con riferimento al diritto positivo a quel tempo vigente, ossia nel gruppo delle “norme di carattere preventivo-cautelare volte alla tutela anticipata, nella forma del pericolo indiretto, di beni giuridici […] altrimenti tutelati sul piano della lesione o del pericolo diretto” e nel gruppo delle “norme concernenti la disciplina di attività soggette ad un potere amministrativo, in vista del perseguimento di uno scopo di pubblico interesse”. Proprio con riguardo a quest’ultimo insieme di fattispecie contravvenzionali, il chiaro Autore rileva istruttivamente che “il nesso che tali norme presentano con la funzione amministrativa dipende in sostanza dal modo con cui è atteggiata la soluzione del conflitto di interessi. In questi casi esso non viene definito secondo un modulo esclusivamente legale […] ma rimettendo alla p.a. il contemperamento del conflitto o la precisazione dei termini di prevalenza di un interesse sull’altro. Il ricorso a questa tecnica dipende in genere da un dal numero degli interessi in gioco e/o dalla difficoltà di precisare un criterio univoco di soluzione in rapporto alla ‘soglia’ dell’intervento punitivo. […] Se dal punto di vista strutturale questo sottogruppo di ‘contravvenzioni amministrative’ appare omogeneo, dal punto di vista teleologico esso si presenta ovviamente assai variegato, in misura corrispondente alla molteplicità degli scopi cui è preordinato il riconoscimento di un potere amministrativo. In particolare, interferisce in quest’ambito un nucleo piuttosto consistente di ipotesi a carattere prevenzionistico-cautelare (sub a) nelle quali è affidato alla p.a. il compito di determinare i presupposti o di precisare i limiti di attività pericolose per determinati beni”.

malam partem dell’incriminazione del “disastro innominato” (artt. 434 e 449 c.p.)172. A fronte di tale controversa esperienza di “supplenza giudiziaria”173 (e del suo “fallimento” in casi connotati da un elevato clamore mediatico, come quello Eternit174), e a fronte di molteplici indicazioni dottrinali che hanno enfatizzato la necessità di identificare un paradigma punitivo complementare rispetto a quello contravvenzionale di pericolo astratto175, il legislatore ha, con

la l. 68/2015, finalmente introdotto, nel titolo VI bis del libro secondo del codice penale (art. 452 bis ss. c.p.), i c.d. ecodelitti. Non interessa, in questa sede, una disamina accorta delle storture tecniche delle nuove incriminazioni ambientali176, sulle quali è ormai celebre il giudizio

di Tullio Padovani, secondo cui esse sono connotate da un “contenuto sconclusionato, oscuro, e, in taluni tratti, decisamente orripilante”177.

Piuttosto, si intende focalizzare l’attenzione sui due aspetti già menzionati con riguardo alle contravvenzioni previste dal T.U.A., ossia l’accessorietà alla disciplina extrapenale e l’offensività. Sul primo versante, come già accennato, occorre rilevare che i delitti di inquinamento e disastro ambientale (artt. 452 bis e 452 quater c.p.), i quali rappresentano il centro di gravità di questo microcosmo punitivo, come anche le fattispecie assiologicamente “minori” di traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (art. 452 sexies c.p.) e di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 452 quaterdecies c.p.)178, sono caratterizzati dalla presenza di una clausola di illiceità speciale, ossia l’avverbio “abusivamente”, che impone, anche rispetto alla repressione di accadimenti macrolesivi, il coordinamento con le pertinenti disposizioni e determinazioni amministrative: la

172 La letteratura in materia è vasta. Sia consentito rinviare, da ultimo, ad A. Gargani, Fattispecie deprivate. Disastri innominati e atipici in materia ambientale, in Leg. pen., 2020, p. 1 ss. nonché ai contributi di A. Gargani,

D. Brunelli, S. Corbetta e G. Ruta presenti in Criminalia, 2014, p. 251 ss.

173 Così la definisce, tra gli altri, G. Rotolo, op. cit., 2018, Torino, p. 37. Per una ricognizione di questa vicenda,

cfr. anche F. D’Alessandro, La tutela penale dell’ambiente tra passato e futuro, in Jus, 2016, p. 83 ss.

174 Cassazione penale, Sez. I, 23 febbraio 2015, n. 7941, in www.dejure.it. Molteplici sono le reazioni e le

riflessioni che tale pronuncia ha prodotto in dottrina. Nella prospettiva delle presenti considerazioni, ex multis, si segnalano L. Masera, La sentenza della Cassazione sul caso Eternit: analisi critica e spunti di riflessione, in Riv.

it. dir. proc. pen., n. 3, 2015, p. 1565 ss. e, con un taglio differente, G. L. Gatta, Il diritto e la giustizia penale davanti al dramma dell’amianto: riflettendo sull’epilogo del caso Eternit, in Dir. pen. cont., n. 1, 2015, p. 77 ss. 175 Tra gli altri, ancora L. Siracusa, op. cit., 2007, Milano, p. 472 e C. Bernasconi, op. cit., 2008, Pisa, p. da 246 a

248.

176 Su cui, caustico, P. Patrono, op. cit., in Riv. trim. dir. pen. ec., 2017, p. 597 ss.

177 T. Padovani, Legge sugli ecoreati. Un impianto inefficace che non aiuta l’ambiente, in Guida al diritto, 1 agosto

2015. Più sfumato è il giudizio di F. Palazzo, op. cit., in Dir. pen. cont., 2018, n. 1, p. 329 ss.

178 La formulazione di tale incriminazione risale all’art. 53 bis del d.lgs. 22/1997 (c.d. Decreto Ronchi) e, oltre a

rappresentare il primo delitto in materia ambientale, costituisce anche la primigenia e più importante fonte ermeneutica rispetto ai requisiti di illiceità speciale degli ecoreati introdotti nel codice penale con la l. 68/2015. Sia consentito il rinvio a F. Venturi, La Corte di Cassazione torna sul delitto di attività organizzate per il traffico

illecito di rifiuti: la dilatazione dello spettro punitivo di una fattispecie sovrabbondante di requisiti selettivi, in Cass. Pen., 2020, p. 1125 ss.

giurisprudenza penale, però, probabilmente in ragione dell’elevata offensività dei fatti tipizzati da tali incriminazioni, ha mal tollerato tale requisito, offrendone un’interpretazione talmente lata da privarlo della sua capacità selettiva179. Anche gli altri ecodelitti presentano un’accentuata accessorietà rispetto alla disciplina extrapenale: sia, ovviamente, la fattispecie di impedimento del controllo ex art. 452 septies c.p., la quale è diretta alla tutela delle funzioni di vigilanza delle competenti autorità amministrative e ripropone, pertanto, la medesima logica sanzionatoria testé analizzata180, sia l’incriminazione di omessa bonifica ex art. 452 terdecies

c.p la quale, sebbene mediante un itinerario più tortuoso, presidia comunque un obbligo disciplinato dalla pertinente normativa amministrativa181. Anche nel sistema delineato dai

delitti ambientali previsti dal codice penale, dunque, si conferma la dipendenza dell’intervento punitivo dalla (violazione della) disciplina extrapenale e l’ambiente continua a presentarsi, come rilevato da Alberto Gargani, come referente di tutela che si proietta in una dimensione non empirica, bensì “deontico-normativa”, in cui è immanente un bilanciamento tra esso (inteso come bene “polistrumentale”) e altri interessi, da soddisfare entro l’area del “rischio consentito” (o entro il “margine di antropizzazione” ammesso)182. L’accessorietà, peraltro, assicura anche l’unitarietà dell’ordinamento in un’ottica di progressione offensiva, in cui la più severa pena prevista per la fattispecie delittuosa interviene solo laddove la condotta sia illecita anche “nel segmento di tutela anticipata dell’ambiente”183.

È sul secondo versante, ossia quello dell’offensività, che si apprezza lo scarto qualitativo che contrassegna gli ecodelitti rispetto alle contravvenzioni ambientali. Il modello prediletto dalle incriminazioni contenute nel codice penale è infatti quello “parzialmente sanzionatorio”, ossia

179 Anche in ragione di un esteso impiego del sindacato del giudice penale sulla legittimità degli atti amministrativi

quasi fosse una alternativa forma di “indebita governance degli interessi in gioco” L’espressione è di A. Gargani,

op. cit., in Discrimen, 11 febbraio 2020, p. 1 ss., il quale si esprime in termini marcatamente critici. Più moderato

è il giudizio di A. Di Landro, op. cit., 2018, Torino, p. da 103 a 114. Per ulteriori riferimenti bibliografici e dottrinali, F. Venturi, op. loc. ult. cit.

180 G. Rotolo, op. cit., 2018, Torino, p. 212.

181 Sul tema si tornerà nell’ultimo capitolo. Ad ogni modo, sia sufficiente qui osservare che anche laddove l’obbligo

di bonifica derivi dall’ordine contenuto nella sentenza di condanna del giudice penale riguardante un altro ecodelitto previsto dal codice penale (ecodelitto che, come appena osservato, ha comunque natura “parzialmente sanzionatoria”), esso è, ex art. 452 duodecies c.p., comunque soggetto alla disciplina amministrativa prevista dal titolo II, parte VI T.U.A. In questo caso, come è evidente, la fonte dell’obbligo sanzionato penalmente non è una disposizione o un provvedimento amministrativi, ma è comunque un ordine regolato da una disposizione o da un provvedimento amministrativi e contenuto in una sentenza di condanna determinata anche dalla violazione della disciplina extrapenale. L’accessorietà della fattispecie di cui all’art. 452 terdecies non è dunque, in tale specifica ipotesi, diretta ed esplicita, ma pare comunque potersi evincere dalle trame del complesso normativo in esame.