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Appunti per uno studio “regolatorio” del diritto penale ambientale.

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Academic year: 2021

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(1)

Scuola Superiore Sant’Anna

Classe Accademica di Scienze Sociali

Settore di Scienze Giuridiche

A

PPUNTI PER UNO STUDIO

REGOLATORIO

DEL DIRITTO PENALE AMBIENTALE

C

ANDIDATO

dott. Filippo Venturi

R

ELATORE

Chiar.mo Prof. Alberto di Martino

T

UTOR

Chiar.mo Prof. Giuseppe Martinico

(2)

Indice sommario

Capitolo I – Premesse definitorie e metodologiche ... 3

1. Introduzione ... 3

2. Definizioni del concetto di regulation ... 5

3. Connotati metodologici delle regulatory theories ... 10

4. Premessa. Il tentativo (ambizioso) di Nicola Lacey: criminalisation as regulation ... 15

5. Valore euristico del metodo (e, dunque, del merito) delle regulatory theories per la scienza penale: interdisciplinarità, funzionalismo e pluralismo ... 17

6. Le ragioni di uno studio “regolatorio” del diritto penale ambientale ... 25

Capitolo II – Funzione e legittimazione del diritto penale dell’ambiente ... 28

1. Il contesto assiologico di riferimento, ossia la concezione di ambiente prevalente nella disciplina di settore ... 28

2. Le tecniche di incriminazione impiegate in materia ambientale: una tipicità in bilico tra accessorietà e offensività ... 33

3. La tutela di funzioni come (complementare) fondamento di giustificazione delle contravvenzioni ambientali ... 41

4. Pena e programmi di tutela: la proposta di Giovannangelo De Francesco per una legittimazione teleologica dell’intervento punitivo ... 45

5. Funzione e legittimazione della pena nel programma di tutela dell’ambiente: un modello regolatorio di diritto penale ... 49

Capitolo III – Sanzioni positive e premialità nel diritto penale dell’ambiente ... 55

1. La logica complessiva della riforma degli ecoreati (l. 68/2015): “premio e castigo” ... 55

2. La funzione promozionale delle misure premiali nel diritto penale ambientale, tra realizzazione dell’extrema ratio e recupero dell’offensività ... 56

3. Il paradigma della responsive regulation di Ian Ayres e John Braithwaite: in particolare, il modello della enforcement pyramid ... 60

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4. Analisi critica della disciplina della cooperazione pubblico-privato nel risanamento dei siti contaminati mediante il paradigma dell’enforcement pyramid ... 67

4.1. Spunti de iure condendo ... 79 5. Il risanamento dei siti contaminati nel sistema della responsabilità ex crimine degli enti: premialità de lege lata e de lege ferenda ... 81 6. Il modello ingiunzionale di estinzione delle contravvenzioni ambientali a seguito dell’osservanza delle prescrizioni imposte ... 85 7. Note conclusive: l’ottimismo della teoria, il pessimismo della realtà ... 89 Bibliografia ... 94

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Capitolo I – Premesse definitorie e metodologiche

1. Introduzione

Il presente elaborato si propone di gettare le fondamenta per uno studio “regolatorio” del diritto penale ambientale, inteso quale punto di osservazione privilegiato per l’indagine delle fenomenologie tipiche del diritto penale dello Stato sociale costituzionale. Esso presenta, infatti, taluni connotati che sembrano giustificarsi in un più ampio orizzonte giuridico e culturale, ove la pena si apre a “gli sviluppi della ‘modernità’ (o postmodernità)”1: tra di essi,

in particolare, la progressiva erosione della tutela del bene giuridico come esclusivo paradigma di legittimazione dell’intervento punitivo nonché la proliferazione di misure premiali che escludono o attenuano la pena in presenza di condotte lato sensu riparatorie.

L’originalità del presente studio, tuttavia, non risiede nei temi affrontati, i quali rappresentano in verità un terreno classico della riflessione dottrinale concernente la tutela penale dell’ecosistema. Ad essere innovativa (perlomeno, negli intenti), è, piuttosto, la prospettiva di analisi che si intende adottare, la quale trae spunto dal metodo e dalle acquisizioni concettuali delle “regulatory theories”, ossia degli studi, perlopiù anglosassoni, attinenti alla regulation. La traiettoria di indagine che si tenterà di percorrere sarà, sull’esempio di tali ricerche, connotata da un approccio funzionale olistico e pluralista e si avvarrà, talora, di paradigmi teorici fondati su saperi eterogenei, non solo normativi ma anche empirici.

Ciò chiarito, in queste battute introduttive è opportuno brevemente delineare la struttura dello studio. Il primo capitolo sarà dedicato ad approfondire i principali connotati metodologici e concettuali delle regulatory theories e, pertanto, a chiarire quale contributo esse possano dare alla scienza del diritto penale. In tale prospettiva, si tenterà di evidenziare come tale apporto si apprezzi sul piano del metodo, dei modelli di analisi e dei saperi impiegati. In quest’ottica, le categorie impiegate in tali studi non parranno in grado di sostituire la consolidata dogmatica penalistica: semmai esse potranno suggerire un diverso punto di fuga per la ricostruzione di talune categorie e questioni del diritto penale moderno.

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Con tale consapevolezza, il secondo capitolo si soffermerà poi sul problema del paradigma di legittimazione dell’intervento penale in materia ambientale. A tale scopo, si ricostruiranno brevemente le tecniche di tipizzazione dell’illecito impiegate in tale ambito. Una volta che sarà stata evidenziata l’accentuata accessorietà del diritto penale alla disciplina extrapenale, si muoverà all’identificazione di un fondamento di giustificazione della pena complementare rispetto alla tutela del bene giuridico, il quale si sviluppi a partire dalla considerazione della sua funzione complessiva nella materia ambientale.

Il terzo ed ultimo capitolo, infine, offrirà uno studio delle misure premiali diffusamente impiegate nel diritto penale dell’ambiente. In particolare, si tenterà di chiarire come esse siano coerenti con la funzione delle norme repressive e come, al contempo, contribuiscano a recuperare la compatibilità dell’intero sistema ai postulati di garanzia della materia penale. A tale scopo, si impiegheranno alcuni modelli ricostruttivi tratti proprio dalle regulatory theories, i quali consentiranno di apprezzare la razionalità di scopo della labirintica normativa in esame ma anche i suoi benefici sul piano dei principi penalistici. In virtù di tale analisi, si comprenderà come la funzione e la legittimazione del diritto penale ambientale si colgano correttamente solo nell’interazione dinamica tra repressione e persuasione, pena e premio. Lo studio si concluderà con alcune considerazioni relative al pregiudizio che la pretesa razionalità teorica della tutela penale dell’ambiente subisce in ragione dell’inefficacia e dell’inefficienza della pertinente disciplina amministrativa.

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2. Definizioni del concetto di regulation

In via preliminare occorre, pertanto, tentare di identificare gli elementi distintivi di uno studio “regolatorio” del diritto, per poi coglierne i più consistenti risvolti euristici in ambito propriamente penale.

La letteratura relativa alla c.d. “regulatory theory”2 è, sebbene recente3, già vasta, tanto da lasciar presagire una progressiva acquisizione di autonoma identità disciplinare da parte di questo settore di ricerca4.

Tuttavia, in maniera forse non del tutto sorprendente, tra gli studiosi che si sono occupati di tale materia non sussiste unanimità di opinioni circa l’esatto significato da attribuire all’oggetto delle loro indagini, ossia la regulation5.

Tale divergenza è probabilmente da ascrivere, inter alia, alla circostanza che tale concetto è impiegato da esperti che hanno differenti estrazioni disciplinari6: non solo giuristi, ma anche economisti, scienziati politici, sociologi e altri7. Un’altra ragione di tale incertezza semantica potrebbe farsi risalire al persistere, in questo ambito lessicale, delle scorie ideologiche del dibattito, prima statunitense e poi globale, occorso tra i sostenitori di una “strong state

regulation of business” e i promotori della “deregulation”8.

2 L’espressione è presa in prestito da (ed. da) P. Drahos, Regulatory theory. Foundations and applications, 2017,

Australia.

3 Secondo C. Koop e M. Lodge, What is regulation? An interdisciplinary concept analysis, in Regulation and Governance, 2015, i primi studi in materia possono essere ricondotti agli anni ’70.

4 Ricorre già, negli scritti dei maggiori esperti di questo ambito disciplinare, il termine “regulationists” per indicare

coloro che si occupano specificamente di regulation. Così, in particolare, in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, Regulating Law, 2004, Oxford, passim.

5 Cfr. C. Koop e M. Lodge, op. cit., in Regulation and Governance, 2015, che ricordano come “some have suggested that there is agreement to disagree”.

6 Anche se, come evidenziano ancora C. Koop e M. Lodge, op. loc. ult. cit., non è possibile ravvisare una

corrispondenza biunivoca tra le varie definizioni e i vari settori disciplinari in cui si menziona il concetto di

regulation.

7 R. Baldwin, M. Cave, M. Lodge, Understanding Regulation: Theory, Strategy, and Practice, 2011, Oxford, p. 2. 8 I. Ayres e J. Braithwaite, Responsive regulation. Transcending the deregulation debate, 1992, Oxford, p. 3. Il

rischio di una contaminazione ideologica del dibattito definitorio è ben evidenziato da B. Orbach, What is

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A prescindere da quali siano le ragioni di tale “definitional chaos”9, ai fini del presente studio può comunque risultare utile, a scopo esemplificativo e senza pretese di esaustività, riportare alcune tra le più ricorrenti definizioni della nozione di regulation.

Innanzitutto, anche per priorità cronologica, si può menzionare la proposta di Philip Selznick, il quale parla di “sustained and focused control exercised by a public agency over activities that

are valued by the community”10.

Talune analogie con tale opinione presenta l’elaborazione di Giandomenico Majone, il quale, focalizzandosi sullo specifico fenomeno della “administrative regulation”, la descrive come “economic and social regulation by means of agencies operating outside the line of hierarchical

control or oversight by the central administration”11.

In termini similari si esprime anche David Levi-Faur, il quale sostiene che la regulation consista in “the ex-ante bureaucratic legalization or prescriptive rules and the monitoring and

enforcement of these rules by social, business, and political actors on other social, business and political actors. […] In other words, regulation is about bureaucratic and administrative rule making and not about legislative or judicial rule making”12.

Enfatizza poi la genesi più genericamente statuale del fenomeno Barak Orbach, il quale, facendo leva su una comprensione intuitiva del termine regulation, gli attribuisce il significato di “government intervention in the private domain or a legal rule that implements such

intervention. The implementing rule is a binding legal norm created by a state organ that intends to shape the conduct of individuals and firms”13.

Tra le definizioni più estensive e, soprattutto, pluraliste si inscrive invece la fortunata proposta di Julia Black, la quale afferma che la regulation consiste in “a process involving the sustained

9 Come lo definisce J. Black, Decentring Regulation: Understanding the Role of Regulation and Self-Regulation in a 'Post- Regulatory' World, in Current legal problems, 2001, p. 129.

10 P. Selznick, Focusing organizational research on regulation, in R. Noll (ed)., Regulatory Policy and the Social Sciences, 1985, Berkeley, p. 363.

11 G. Majone, The rise of the regulatory state in Europe, in West European Politics, 1994, p. 83. 12 (ed. da) D. Levi-Faur, Handbook on the politics of regulation, 2013, Israele, p. 6.

13 B. Orbach, op. cit., in Yale Journal on Regulation Online, 2012, p. 6. Cfr. anche A. Ogus, Regulation Revisited,

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and focused attempt to alter the behaviour of others according to defined standards or purposes with the intention of producing a broadly defined outcome or outcomes”14.

Simile è l’idea di Colin Scott, secondo cui “we can think of regulation as any process or set of

processes by which norms are established, the behaviour of those subject to the norms monitored or fed back into the regime, and for which there are mechanisms for holding the behaviour of regulated actors within the acceptable limits of the regime”15.

Una concezione ancor più ampia è offerta da John Braithwaite e Christine Parker, i quali descrivono il fenomeno in esame come “the intentional act of seeking to steer the flow of events

by intentionally pulling one of the strands in a web of controls”16.

Analogamente, allo scopo di identificare una nozione di regulation che (comprenda il, ma) non si esaurisca nel diritto statale17, Peter Drahos sostiene che essa sia “a multilevel dynamic process

in which many actors play a part and have varying capacities and means of intervention”18.

Allo stesso modo, anche Neil Gunningham utilizza il sintagma environmental regulation in maniera ampia, al fine di includere “much more flexible, imaginative and innovative forms of

social control [rispetto alla tradizionale strategia del command and control] which seek to harness not just governments but also business and third parties”19.

Così, Robert Baldwin, Martin Cave e Martin Lodge sostengono che sia utile intendere il lemma

regulation in tre modi: “as a specific set of commands - where regulation involves the promulgation of a binding set of rules to be applied by a body devoted to this purpose. […] As deliberate state influence - where regulation has a more broad sense and covers all state actions that are designed to influence business or social behaviour. […] As all forms of social

14 J. Black, op. cit., in Current legal problems, 2001, p. 142.

15 C. Scott, Analysing regulatory space: fragmented resources and institutional design, in Public Law, 2001, p.

383 ss.

16 Così, in particolare, J. Braithwaite e C. Parker, Conclusion, in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J.

Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 274.

17 Su tale aspetto insistono anche (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, Introduction, passim.

18 (ed. da) P. Drahos, op. cit., 2017, Australia, Preface, p. XXVIII. Già nel 2000, J. Braithwaite e P. Drahos, Global Business Regulation, 2000, Cambridge, p. 28 concepivano la “business regulation” come “the norms, standards, principles, and rules that govern commerce and their enforcement”, includendo dunque tra i regolatori e tra i

regolati sia i privati sia gli Stati.

19 N. Gunningham, Introduction, in N. Gunningham e P. Grabosky, Smart Regulation: Designing Environmental Policy, 1998, Oxford, p. 8.

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or economic influence - where all mechanisms affecting behaviour - whether these be state‐ based or from other sources (e.g. markets) - are deemed regulatory”20.

Può essere infine utile ricordare come, recentemente, Christel Koop e Martin Lodge, all’esito di un’approfondita rassegna dei vari significati attribuiti nel tempo al termine regulation, ne abbiano distinto due diverse possibili concezioni: la prima, ampia, assimila tale fenomeno a qualsiasi “intentional intervention in the activities of a target population”, mentre la seconda, prototipica e maggiormente specifica, lo circoscrive solamente a quel “intentional intervention

in the activities of a target population” che sia però “typically direct – involving binding standard-setting, monitoring and sanctioning – and exercised by public-sector actors on the economic activities of private-sector actors”21.

Si noti, incidentalmente, che neanche l’elemento dell’intenzionalità, sul quale comunque convergono pressoché tutti gli studiosi menzionati, è da reputare ovvio: nella sua analisi del diritto penale come regulation, infatti, Nicola Lacey, definisce, in modo consapevolmente iperestensivo, quest’ultima “as any practice which has the intention or effect of controlling,

ordering, or influencing the behaviour” 22.

Altre definizioni di regulation potrebbero essere ulteriormente richiamate23. Tuttavia, questa breve sinossi definitoria, pur parziale, è già sufficiente a generare un senso di disorientamento e disagio nel giurista continentale. Dalla ricognizione testé compiuta sono infatti emerse divergenze significative con riguardo a tutti i profili atti a delineare il fenomeno: soggetti regolatori, soggetti regolati, materie regolate, strumenti della regolazione, intenzionalità della regolazione, essenza stessa della regolazione (si parla variamente di control, process,

intervention, specific set of commands, e così via)24. Peraltro, occorre rilevare come non tutte

20 R. Baldwin, M. Cave, M. Lodge, op. cit., 2011, Oxford, p. 3. Per la precedente versione di tale tripartizione,

anch’essa piuttosto fortunata, si rinvia a (ed. da) R. Baldwin, C. Scott, e C. Hood, A Reader on Regulation, 1998, Oxford, p. 3 e 4.

21 C. Koop e M. Lodge, op. cit., in Regulation and Governance, 2015. Peraltro, a loro avviso, anche la seconda

concezione, in quanto “radial”, lascerebbe aperta la possibilità di ricomprendere all’interno degli studi regolatori anche “indirect intervention, private-sector regulators, public-sector regulatees, binding standards and

non-economic activities”, con la consapevolezza però che tali epifenomeni si pongano ai margini dell’oggetto di analisi. 22 Cfr. anche N. Lacey, Criminalisation as Regulation, in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 147.

23 Cfr. C. Koop e M. Lodge, op. loc. ult. cit., J. Black, op. cit., in Current legal problems, 2001, p. da 128 a 144 e

(ed. da) D. Levi-Faur, Handbook on the politics of regulation, 2013, Israele, p. da 4 a 6.

24 Per enucleare questi profili di divergenza si è tratto liberamente spunto da J. Black, op. cit., in Current legal problems, 2001, p. 133 e 134, che individua 5 quesiti fondamentali: “What is regulation? Who or what does it? What form does it take? With respect to what actors or area of life? How is it done, via what instruments/techniques?”.

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le definizioni menzionate specifichino ciascuno di questi aspetti, il che rende la possibilità di pervenire a un accordo definitorio ancor più remota.

Chi scrive ritiene che la proposte euristicamente più feconde nella prospettiva del presente studio siano quelle estensive, le quali sono in grado di enfatizzare la natura policentrica e multidimensionale (flou25) del fenomeno regolativo nella società contemporanea, ove i processi di divisione del lavoro26, di accelerazione sociale27 e di globalizzazione28 hanno determinato l’emersione e la coesistenza di una pluralità di legalità interconnesse29. In questa prospettiva,

del resto, si muovono anche i più recenti studi in materia di meta-regulation, smart regulation e di regulatory networks30. E nello stesso orizzonte si collocano anche le riflessioni, ormai risalenti, di Gunther Teubner sulla riflessività del diritto moderno31.

I sentieri analitici che verranno percorsi durante questa indagine passano, dunque, entro una comprensione della regulation come insieme di norme interconnesse poste intenzionalmente da soggetti pubblici o privati allo scopo di perseguire determinati obiettivi sociali mediante la direzione e/o il controllo del comportamento dei regolati. Questo modo, pluralistico e teleologico, di intendere la regulation è affine alla concezione di studiosi come Julia Black32, John Braithwaite e Peter Drahos, sebbene l’attenzione sia circoscritta alle sole norme (rules)33. A ben vedere, tuttavia, in questa sede non interessa accogliere o tentare di elaborare una definizione esatta del concetto di regulation, la quale sarebbe inevitabilmente destinata a rivelarsi arbitraria. Scopo della presente indagine non è, difatti, studiare la totalità delle strategie regolative (giuridiche e non) che possono essere utilmente adottate nel governo di un fenomeno

25 M. Delmas Marty, Le flou du droit. Du code pénal aux droits de l'homme, 1996, Parigi, p. 11 ss.

26 E. Durkheim, La divisione del lavoro sociale, 1999, Torino. Il richiamo al sociologo francese è suggerito da J.

Braithwaite e C. Parker, Conclusion, in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 274.

27 H. Rosa, Social acceleration. A new theory of modernity, 2013, New York.

28 Indicare un’opera di riferimento per il vasto campo di ricerca ricompreso entro l’etichetta “globalizzazione”

sarebbe impossibile. Sia consentito il rinvio a un testo da cui muovere per ulteriori ricerche, M. R. Ferrarese, Il

diritto al presente: globalizzazione e tempo delle istituzioni, 2002, Bologna.

29 G. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Inter-Legality. A Manifesto, in (ed. da) J. Klabbers e G.

Palombella, The Challenge of Inter-Legality, 2019, Cambridge, p. 363 ss.

30 P. Drahos e M. Krygier, Regulation, institutions and networks, p. 1 ss.; N. Gunnigham e D. Sinclair, Smart regulation, p. 133 ss. e, infine, P. Grabosky, Meta-regulation, p. 149 ss. in (ed. da) P. Drahos, op. cit., 2017,

Australia.

31 G. Teubner, Substantive and Reflexive Elements in Modern Law, in Law & Society review, 1983, p. 239 ss. 32 Cfr. anche J. Black, Regulatory conversations, in Journal of law and society, 2002, p. 170, ove afferma che

“regulation is thus understood here to be the intentional, goal-directed, problem-solving attempts at ordering

undertaken by both state and non-state actors”.

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sociale complesso (quale certamente è l’impatto antropico sull’ambiente), quanto piuttosto, in una prospettiva scientifica più modesta, comprendere in che modo l’impostazione analitica e gli schemi concettuali delle regulatory theories possano contribuire alla comprensione critica di alcuni profili e istituti problematici del diritto penale ambientale. La differenza è sottile ma consente di prescindere da una definizione rigida e riduzionista34 del concetto di regulation e

di focalizzarsi, piuttosto, sui più rilevanti connotati metodologici dei principali studi regolatori. È evidente, peraltro, come anche tale esercizio intellettuale risenta, inevitabilmente, della delimitazione dell’oggetto di analisi stipulativamente operata in siffatti studi. Ciò nonostante, si ritiene che esso possa comunque essere utile sul piano scientifico in quanto il suo scopo non è (come invece sarebbe quello di una definizione rigida di regulation) scavare un fossato che ambisca a non essere violato da future avventure interpretative, quanto – all’opposto – costruire un ponte e tracciare un sentiero al fine di promuovere avventure siffatte. In altri termini, l’individuazione dei profili delle regulatory theories più rilevanti per l’epistemologia giuridica è operazione programmaticamente aperta e, pertanto, ammissibile quand’anche la precomprensione del fenomeno regolativo che ne è alle fondamenta si riveli incompleta o lacunosa.

In definitiva, dunque, ai fini della presente indagine non rileva conoscere con esattezza cosa sia la regulation, quanto piuttosto sapere in che modo essa venga intesa e, soprattutto, studiata.

3. Connotati metodologici delle regulatory theories

Da un punto di vista metodologico, le regulatory theories si caratterizzano per alcuni attributi disseminati, in maniera più o meno esplicita, in quasi tutte le ricerche che intendano collocarsi entro questo campo di analisi. Di seguito si tenterà di realizzarne una sommaria elencazione, senza pretese di esaustività. All’opposto, si selezioneranno soltanto quei profili epistemologici più eccentrici e stimolanti per il metodo di indagine del giurista continentale, il quale nell’ultimo secolo si è perlopiù venuto formando, come ha sapientemente rilevato Norberto Bobbio, sull’approccio strutturalistico dell’opera kelseniana35.

34 Contrariamente a quanto autorevolmente suggerito da G. Majone, op. cit., in West European Politics, 1994, p.

77 ss.

35 N. Bobbio, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Bari, 2007 (ed. digitale 2015), capitolo

IV, Verso una teoria funzionalistica del diritto, passim. In particolare, p. 67 e 68: “se si applica alla teoria del diritto la distinzione tra approccio strutturalistico e approccio funzionalistico, di cui fanno grande uso gli scienziati

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Peraltro, non si dubita che taluni dei seguenti profili di interesse costituiscano il precipitato della differente forma mentis degli studiosi (anche giuristi) anglosassoni che si sono occupati del tema della regulation: il loro retroterra culturale è infatti notoriamente divergente (si potrebbe dire, più disinvolto e orientato alla prassi) rispetto al rigore della dogmatica giuridica continentale36. Tale considerazione, però, non sminuisce ma, anzi, accresce, l’interesse che

l’approccio regolatorio può avere (anche) per il penalista italiano37.

Ciò chiarito, dunque, il primo dei connotati a risaltare all’attenzione di colui che si imbatta in uno studio regolatorio dell’ordinamento contemporaneo è l’ostentato disinteresse per i confini disciplinari, interni ed esterni, della scienza giuridica. Nella prospettiva regolatoria, infatti, non pare avere alcuna funzione delimitativa la distinzione tra diritto pubblico e privato38. Inoltre, le prassi sociali e istituzionali “external to law” costituiscono sovente oggetto di analisi39. Come

anticipato, infatti, la prospettiva delle regulatory theories è programmaticamente “kaleidoscope”40, prestandosi ad essere impiegata variamente da esperti di diverse discipline.

Tuttavia, vale la pena rilevare come la versatilità dell’approccio regolatorio si riveli non solo con riguardo alle impostazioni adottate da studiosi differenti ma anche all’interno di singole indagini ove è esplicitamente enfatizzata la valenza “multifocal” della lente regolatoria41:

considerato, infatti, che il diritto opera in un “regulatory space” in cui intervengono anche altri

sociali per differenziare e classificare le loro teorie, non sembra dubbio che nello studio del diritto in generale (di cui si occupa la teoria generale del diritto) abbia prevalso in questi ultimi cinquant’anni il primo sul secondo. Senza indulgere alle etichette, sempre pericolose per quanto utili, credo si possa dire con una certa tranquillità che nel suo sviluppo dopo la svolta kelseniana la teoria del diritto abbia ubbidito assai più a suggestioni strutturalistiche che non a suggestioni funzionalistiche. […] Nell’opera di Kelsen non solo analisi funzionale e analisi strutturale sono dichiaratamente separate, ma questa separazione è la base teorica su cui Kelsen fonda l’esclusione della prima a favore della seconda. Com’è ben noto, per il fondatore della teoria pura del diritto, una teoria scientifica del diritto non deve occuparsi della funzione del diritto, ma soltanto dei suoi elementi strutturali. L’analisi funzionale è affidata ai sociologi e magari ai filosofi”. Comunque, come ricorda lo stesso N. Bobbio a p. 88, anche una considerazione della “funzione promozionale del diritto non inficia per nulla i risultati dell’analisi strutturale kelseniana”.

36 Tant’è che J. Black, Law and regulation: the case of finance, in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J.

Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 34 e 35, sottolinea alcune similarità tra l’approccio del “law in action

movement” e quello degli studiosi della regulation.

37 In argomento, M. Donini, La situazione spirituale della ricerca giuridica penalistica. Profili di diritto sostanziale, in Cass. pen., 2016, p. 1853 ss.

38 Come emerge da (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 5 e da J.

Black, op. cit., in Current legal problems, 2001, p. 144.

39 Ancora (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 3, i quali osservano

anche come il “backward-looking, principled, or rule-based doctrinal reasoning” tipico dei giuristi “emphasizes

the autonomy of legal reasoning from society”.

40 J. Black, op. cit., in Journal of law and society, 2002, p. 163. Cfr. anche I. Losoncz, Methodological approaches and considerations in regulatory research, in (ed. da) P. Drahos, op. cit., 2017, Australia, p. da 77 a 91.

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regimi regolatori non giuridici42, è talora necessario ricorrere a strumenti analitici derivanti dalla ricerca sociologica ed economica. Ne deriva, come è intuibile, un ridotto, se non nullo, interesse per le categorie concettuali giuridiche, nonché una congeniale attitudine ad identificare e approfondire i fenomeni espressivi del pluralismo (giuridico e) regolativo43. A quanto detto si accompagna un ulteriore tratto caratterizzante delle regulatory theories, ossia l’attenzione al dato empirico degli effetti della regolazione sottoposta ad analisi44. In effetti,

non è infrequente ravvisare negli studi di questo genere indagini “fieldwork” (ossia, “sul campo”)45. La raccolta e l’analisi dei dati nonché lo studio dei modelli di comportamento dei

soggetti coinvolti rappresentano infatti un momento nevralgico dell’elaborazione di tutti le principali strategie regolative46. In questa prospettiva si comprende anche l’impegno spesso dedicato all’approfondimento delle dinamiche di enforcement di siffatte strategie47 e, più in generale, alla valutazione della loro “effectiveness, coherence, and responsiveness to social

facts and norms”48.

A tale aspetto se ne correla un altro che ne rappresenta, probabilmente, una specificazione, ossia la ricorrente presenza di analisi costi-benefici della regulation esaminata. Lo studio dei profili economici dei regimi regolativi costituisce, infatti, un tratto comune di queste indagini49. Ciò è probabilmente da ascriversi alla circostanza che gli studi in materia sono originati come teorie

42 Ancora (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 6.

43 Rilevano infatti J. Braithwaite e C. Parker, Conclusion, in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 270 che “regulatory scholarship […] is less wedded than legal scholarship to hierarchical vision of order as handed down from legislatures and implemented by judiciaries and favours more heterarchical conceptions of control”. Sulla capacità delle più moderne teorie e strategie regolatorie di cogliere la

complessità delle interazioni sociali e la frammentazione del potere, si v. anche J. Black, op. cit., in Current legal

problems, 2001, p. 106 e 107.

44 J. Black, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 34. 45 Cfr. K. Henne, Multi-sited fieldwork in regulatory studies, in (ed. da) P. Drahos, op. cit., 2017, Australia, p. 97

ss.

46 Numerosi sono infatti, ad esempio, i passaggi di questo genere sia in I. Ayres e J. Braithwaite, op. cit., 1992,

Oxford, passim, sia in N. Gunningham e P. Grabosky, op. cit., 1998, Oxford, passim (in particolare, p. 36 e 37).

47 Nel modello della responsive regulation, infatti, uno dei momenti intellettualmente più fecondi è rappresentato

proprio dall’elaborazione della c.d. enforcement pyramid. I. Ayres e J. Braithwaite, op. cit., 1992, Oxford, p. da 35 a 38.

48 J. Black, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 39. Aggiunge

l’autrice che “of these, the most important is effectiveness; in their view responsiveness and coherence have

predominantly instrumental rather than intrinsic value”.

49 Al tema è esplicitamente dedicato un capitolo dell’opera R. Baldwin, M. Cave, M. Lodge, op. cit., 2011, p. 316

ss. Cfr. ancora I. Ayres e J. Braithwaite, op. cit., 1992, Oxford, p. 60 ss., i quali sviluppano una riflessione esplicitamente deputata all’analisi economica del loro modello (e basata sulla “teoria dei giochi”). Ma si v. anche N. Gunningham e P. Grabosky, op. cit., 1998, Oxford, p. 28 che, ai fini della valutazione della optimality di un regime regolatorio, attribuiscono preminenza ai criteri dell’effettività e, appunto, dell’efficienza (economica).

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della “economic regulation”50 e riguardano ancora oggi, prevalentemente, la disciplina di

attività economiche51 (anche se non necessariamente orientata a finalità stricto sensu economiche).

L’ultimo connotato metodologico sul quale si intende porre l’attenzione è quello relativo all’impostazione funzionale costantemente adottata dalle indagini regolatorie. Come è stato osservato, infatti, la “instrumental mentality” è un attributo nevralgico della stessa nozione di

regulation, la quale si articola (salvo sparute eccezioni) proprio intorno al dato della “regulatory intention”52. I modelli regolatori sono spesso concepiti come strategie (teoriche e pratiche)

policy oriented, da impiegare per il perseguimento di obiettivi, definiti o indefiniti53, trasversali ai vari mezzi regolatori impiegati: anche per tale motivo, grande importanza è attribuita all’analisi degli effetti empirici e dell’impatto economico della loro applicazione. Le regulatory

theories coltivano dunque, anche in ragione del già menzionato disinteresse per i confini

disciplinari interni ed esterni della scienza giuridica, una prospettiva funzionale di tipo olistico, in cui il diritto è, insieme alle altre forme di regulation, parte di una complessa strategia diretta alla realizzazione di determinati fini54. In quest’ottica teleologicamente orientata si rinviene,

probabilmente, l’ascendente ancora oggi esercitato dall’utilitarismo di Jeremy Bentham55 e di

John Stuart Mill56 sulla cultura anglosassone. È evidente, dunque, come la preservazione

50 Come ricordano C. Koop e M. Lodge, op. cit., in Regulation and Governance, 2015, infatti, questo filone di

studi può farsi idealmente risalire a G. J. Stigler, The theory of economic regulation, in Bell Journal of Economics

and Management Science, 1971, p. 3 ss.

51 Sebbene, come si evince dalle definizioni sopra menzionate, in teoria anche altri aspetti della vita umana

potrebbero essere sottoposti ad uno studio regolatorio. Cfr. J. Black, op. cit., in Current legal problems, 2001, p. 138.

52 (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 4 e 5.

53 Nell’opera di N. Gunningham e P. Grabosky, op. cit., 1998, Oxford, passim, ad esempio, tale scopo è, in senso

ampio, la protezione dell’ambiente (ossia, “enable serious environmental damage to be slowed down, halted, or

ideally reversed”), mentre l’elaborazione di I. Ayres e J. Braithwaite, op. cit., 1992, Oxford, passim è

genericamente volta ad assicurare la compliance dei regolati rispetto agli obiettivi assunti dal regolatore.

54 Come emerge da J. Braithwaite e C. Parker, Conclusion, in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J.

Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, passim. I due autori sostengono, nella prospettiva del “law as a

meta-regulator”, che “we can understand the regulatory project as delineating a web of regulatory controls where different branches of legal institutions are among the strands in the web. […] Strategic regulatory action that has big effects, according to this model, involves having the wisdom to know which is the right strand to pull at the right moment to tighten the web. […] Again this leads us to the virtues of seeking a holistic understanding of how whole webs of regulatory controls interact”.

55 J. Bentham, An introduction to the principles of morals and legislation, Volume II, 1780, Londra. L’edizione

del 1823 è liberamente consultabile online. L’elaborazione del filosofo inglese è, come noto, costantemente sviluppata mediante l’identificazione di uno scopo (quello generale di tutte le leggi è “to augment the total

happiness of the community” e “to exclude mischief”, ma se ne enucleano altri per gli altri complessi normativi,

come ad esempio il diritto penale: si v. p. 14 e 15) e l’enucleazione di principi atti a perseguirlo.

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dell’autonomia della scienza (pura) del diritto57 non rappresenti una preoccupazione dei

regulationists.

In sintesi, dunque, le principali radici epistemologiche delle regulatory theories vanno ravvisate nell’interdisciplinarietà e nel funzionalismo dell’analisi. Da esse, derivano gli altri aspetti testé menzionati, ossia il disinteresse per le distinzioni e le categorie della dogmatica giuridica nonché l’importanza attribuita agli effetti empirici e alla razionalità economica delle strategie proposte e/o esaminate.

Peraltro, come si dirà più approfonditamente con riguardo al diritto penale nel prossimo paragrafo, quanto sinora osservato non vuol certo significare che tali connotati metodologici siano del tutto estranei allo studio (continentale) del diritto. Come ha osservato Julia Black, infatti, sebbene vi siano certamente delle differenze, perlomeno tendenziali, tra l’analisi regolatoria e quella giuridica, tuttavia esse non possono essere ridotte, se non a costo di ingenerose semplificazioni, ai binomi “instrumentalism-non-instrumentalism” e “internal

(doctrine) - external (social impacts)” poiché “there are significant areas of overlap between the two sets of scholarship”58. Pur condividendo tale rilievo, si ritiene tuttavia che il tentativo, appena abbozzato, di delineare i connotati dell’identità metodologica dei regulatory studies possa fungere da utile esortazione rivolta al giurista (soprattutto) continentale affinché torni a meditare su alcune questioni epistemiche di rinnovata (o, forse, mai esaurita) attualità. Come, ad esempio, quella di una legittimazione e comprensione funzionale dell’ordinamento giuridico, già posta circa quaranta anni fa da Norberto Bobbio, il quale, considerando anche la funzione promozionale del diritto, era giunto a definire quest’ultimo, “dal punto di vista funzionale, come forma di controllo e di direzione sociale”59. Si intuisce l’affinità di questa

concezione ad alcune delle definizioni di regulation testé menzionate: vi è un’implicita considerazione del pluralismo degli strumenti di governo della società, mentre il diritto è inteso, sul piano funzionale, come ordinamento non esclusivamente coattivo. Ciò, se da un lato conferma la contiguità e le sovrapposizioni della scienza giuridica con gli studi regolatori, dall’altro suggerisce la proficuità per il giurista di adottare la prospettiva sviluppata da

57 Per la quale si rinvia a N. Bobbio, op. cit., Bari, 2007 (ed. digitale 2015), capitolo IV, p. 67 ss.

58 J. Black, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 40. 59 N. Bobbio, op. cit., Bari, 2007 (ed. digitale 2015), capitolo IX., Struttura e funzione nella teoria del diritto di Kelsen, p. 198 (corsivo nell’originale).

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quest’ultimi60 o, perlomeno, di comprenderla al fine di impiegarne le acquisizioni concettuali,

pur nella consapevolezza del “rischio”, sempre presente, “che il giurista uscito dalla propria isola affoghi nel vasto oceano di una indiscriminata scienza della società”61.

4. Premessa. Il tentativo (ambizioso) di Nicola Lacey: criminalisation as

regulation

Evidenziati dunque alcuni dei principali connotati metodologici (e contenutistici) delle

regulatory theories, si tratta ora di verificare quale contributo euristico esse possano apportare

allo studio del diritto penale.

In termini di premessa, occorre rilevare come una riflessione sulla “criminalisation as

regulation” sia già stata sviluppata da un’autorevole studiosa britannica, Nicola Lacey62. Essa, rappresenta un primo apprezzabile tentativo di teorizzare il ruolo del diritto penale nel

regulatory space. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, tale contributo non riesce a identificare e

concettualizzare gli aspetti più proficui, dal punto di vista euristico, del metodo e, di conseguenza, delle acquisizioni concettuali degli studi regolatori per la scienza penale (continentale). Non è questo, in effetti, lo scopo della riflessione dell’autrice inglese: al contrario, esso consiste nell’analisi del diritto penale dalla prospettiva dei regulatory scholars al fine di identificarne, in via generale, la funzione regolatoria.

Vi sono, senza dubbio, alcune pregevoli intuizioni. Stimolante è, innanzitutto, la premessa in ordine alla pluralità degli attori che concorrono alla formazione del diritto penale intesto come “regulatory space”63. Ed è condivisibile anche l’osservazione secondo cui la circostanza che il

diritto penale operi esclusivamente secondo logiche gerarchiche (command and control) sia ormai un “myth”, sebbene, come tutti i miti, abbia un fondamento di verità64. Altrettanto corretta

pare poi la considerazione secondo cui l’autosufficienza regolatoria del diritto penale può essere correttamente identificata solo con riguardo al c.d. “real crime”, ossia alla criminalità che può

60 Come sostengono ancora (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 4 e

5. in una prospettiva tipicamente anglosassone, infatti, “a regulatory perspective on law may be able to illuminate

multiple innovations in, or recasting of, legal doctrines that have occurred as a result of the blurring of distinctions between public and private law, statute and case-law, regulation and common law”.

61 Ancora N. Bobbio, op. cit., Bari, 2007 (ed. digitale 2015), capitolo III, Diritto e scienze sociali, p. 62. 62 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 144 ss. 63 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 147. 64 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 148 e 149.

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essere sussunta entro la categoria dei mala in se, non essendo invece possibile concepirla rispetto alle c.d. “regulatory offenses”, ossia dei reati che possono essere assimilati ai mala quia

prohibita65. Ed è infine interessante la riflessione sull’adattabilità della dogmatica penalistica agli imperativi dei sottosistemi sociali che essa ambisce a regolare66 e, più in generale, sull’attitudine “responsive” di alcuni “open-texture concepts” impiegati nella grammatica del diritto punitivo, dei quali si enfatizza la tensione rispetto alla democraticità e all’universalità (ossia, l’uguaglianza) che devono caratterizzare questa branca dell’ordinamento67.

Tuttavia, il modo in cui è strutturata l’indagine e i risultati cui essa perviene paiono, in definitiva, insoddisfacenti. La componente innovativa della ricerca è, infatti, divisa in due capitoli: il primo capitolo è relativo alla “distinctive regulatory contribution of criminal law”, ed è a sua volta suddiviso in due paragrafi, uno dedicato alla parte speciale (i) e uno dedicato alla parte generale (ii), mentre il secondo capitolo è dedicato all’approfondimento del ruolo del “criminal law in the late-modern State: meta-regulation and reflexivity” (iii). Mi pare che le acquisizioni cui Nicola Lacey perviene possano essere, pur con alcune semplificazioni, sintetizzate come segue: (i) poiché il diritto penale si radica in “community-based modes of

regulation”, le norme incriminatrici di parte speciale (corrispondenti alla “substance of criminal law”) si fondano su un consenso politico, morale e sociale che contribuisce alla complessiva

legittimazione del sistema punitivo, sebbene tale contributo si riduca significativamente laddove il legislatore ricorra alla criminalizzazione “pragmatically and sometimes

indiscriminately” in un contesto di pluralismo (politico, morale e sociale)68; (ii) la parte generale, invece, attenendo alla forma del diritto penale, prescinde dai mutamenti dei “social

normative systems” cui si applica e costituisce dunque una perdurante fonte di legittimazione

(indiretta) del processo (e più in generale, del sistema) penale (come dimostra l’istituto della

mens rea, introdotto secondo l’autrice allo scopo di legittimare, nella modernità, l’attribuzione

di responsabilità penale per i più gravi reati, ossia i “real crimes”)69; (iii) pur essendo il diritto

penale originariamente connotato da una struttura gerarchica e statale, si assiste oggi a una tendenza “towards using criminalization as the peripheral or last-resort framework

65 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 156. 66 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 164 e 165. 67 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. 166. 68 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. da 153 a

157.

69 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, p. da 157 a

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underpinning practices of self-regulation”, sebbene la contemporaneità del sistema punitivo sia

soprattutto connotata dall’incremento delle “regulatory offences” (intese come “the quick fix

for almost any social problem”), dall’insinuazione del “regulatory reasoning”70 nelle argomentazioni dei giudici e, infine, dalla potenziale “responsiveness” di alcuni “open-texture

concepts” (di cui, come detto, si evidenziano le criticità)71.

In definitiva, pare che le acquisizioni cui Nicola Lacey perviene siano, tutto sommato, modeste. Vi sono, nel suo studio, spunti di notevole interesse, disseminati soprattutto nei momenti iniziali della riflessione ove la studiosa britannica delinea il quadro analitico in cui intende sviluppare la sua proposta teorica. Probabilmente, però, la pretesa di identificare in via generale i connotati della funzione regolatoria del diritto penale nella società contemporanea è eccessivamente ambiziosa ed è, perciò, destinata ad approdare ad esiti generici o già ampiamente approfonditi dalla letteratura penalistica anche continentale. Una riflessione di questo tipo si rivelerebbe senza dubbio più praticabile e, al contempo, più feconda laddove applicata ad un contesto regolatorio specifico (come, ad esempio, quello della tutela dell’ambiente)72. Del resto, è da

supporre che, a fronte della complessità73 dei sistemi sociali di cui si interessa, il diritto penale

assuma molteplici, non sempre manifeste e talora proteiformi, funzioni regolatorie.

5. Valore euristico del metodo (e, dunque, del merito) delle regulatory theories

per la scienza penale: interdisciplinarità, funzionalismo e pluralismo

Abbandonato dunque il progetto volto a individuare un’unica e generale identità regolatoria dell’intervento punitivo, si intende in questa sede adottare una prospettiva differente, diretta a comprendere il modo in cui i contenuti metodologici e concettuali delle regulatory theories

70 Ossia di un ragionamento che, tenendo conto di alcuni caratteri sostanziali del contesto economico di riferimento

(come quello societario), consenta di sormontare alcuni limitanti principi penali (come la identification doctrine) per giungere a un esito punitivo coerente con la logica di suddetto contesto (ossia la punizione di una società di notevoli dimensioni per un illecito compiuto da soggetti non apicali, ossia posti “somewhere in the middle of the

company’s managerial hierarchy”, laddove l’impunità rappresenterebbe invece un iniquo privilegio riconosciuto

agli enti più grandi).

71 N. Lacey, op. cit., in (ed. da) C. Parker, C. Scott, N. Lacey, e J. Braithwaite, op. cit., 2004, Oxford, da p. 161 a

166.

72 Così N. Gunningham e P. Grabosky, op. cit., 1998, Oxford, p. 22, i quali rilevano che “much richer results are likely to be gained from concrete context-specific study than from abstract or generic approaches”, giungendo

così a limitare la loro indagine a degli specifici settori della tutela giuridica dell’ambiente. Peraltro, come rilevano a p. 35, ciò non esclude che se ne possano trarre delle indicazioni generali, anzi: “certainly, we are able to derive

lessons of much broader application from these sector-specific studies. They provide important ‘testing grounds’ enabling the development of policy prescriptions and design principles of general relevance”.

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possono rischiarare alcune delle questioni di maggiore attualità del diritto penale moderno74. In altri termini, muovendosi lungo una traiettoria di indagine parallela (e più agevole) rispetto a quella percorsa da Nicola Lacey, si vuole tentare di capire se e come l’approccio dell’analisi regolatoria possa concorrere allo sviluppo della scienza penale. Tale contributo pare, in via di prima approssimazione, esplicarsi lungo tre fondamentali direttrici.

In primo luogo, si può sostenere che la metodologia interdisciplinare dell’analisi regolatoria potrebbe consentire di compiere qualche ulteriore passo verso la realizzazione del progetto, forse utopico75, di una scienza penale integrale (o integrata) già teorizzata da Franz von Liszt nel 188176 e promossa in Italia, tra gli altri, da Franco Bricola e Alessandro Baratta con la rivista “La questione criminale”77. Senza diventare esso stesso scienza interdisciplinare senza identità

epistemologica, il diritto penale potrebbe attingere ai saperi soprattutto empirici, ma anche normativi, sviluppati dalle regulatory theories nella prospettiva dianzi descritta come funzionale olistica. In quest’ottica, dunque, soprattutto con riferimento ad alcuni settori di interesse della legislazione penale complementare (come ad esempio la protezione dell’ambiente, della concorrenza, della sicurezza alimentare, e altri) gli studi regolatori potrebbero rappresentare un accessibile deposito di acquisizioni scientifiche multidisciplinari organizzate per aree tematiche di riferimento. E ciò coerentemente con l’assunto di Karl Popper, il quale asseriva che “non ci sono discipline; ci sono soltanto problemi e l’esigenza di risolverli”78.

Sebbene questo aspetto possa già ritenersi rilevante nella prassi della ricerca giuridica in ambito penale (e, pertanto, gravido di inattese ma auspicabilmente proficue conseguenze), tuttavia chi scrive ritiene che le regulatory theories possano incidere in una seconda e ancor più profonda

74 Su alcuni temi della modernità del diritto penale si rinvia a F. Stella, Giustizia e modernità. La protezione dell’innocente e la tutela delle vittime, 2003, Milano, Parte I, Capitolo I, p. da 3 a 115 e Parte II, p. 221 ss. Sulle

“crisi da complessità” in cui versa il Sanktionenrecht quando si confronta con le «fenomenologie criminose» tipiche dei sistemi economici moderni, si rinvia a C. E. Paliero, L’autunno del patriarca. Rinnovamento o

trasmutazione del diritto penale dei codici?, in Riv. it. dir. proc. pen, 1994, p. 1220 ss.

75 È scettico sulla possibilità di una proficua interazione con le altre scienze sociali G. Fiandaca, Rocco: è plausibile una de-specializzazione della scienza penalistica?, in Criminalia, 2010, p. 179 ss.

76 Per quanto attiene all’opera di F. von Liszt si rinvia a T. Vormbaum (trad. it. G. Oss e S. Porro), Storia moderna del diritto penale tedesco. Una introduzione, 2013, Padova, p. 175 ss.

77 In argomento, ex multis, M. Donini, Tecnicismo giuridico e scienza penale cent’anni dopo. La prolusione di Arturo Rocco (1910) nell’età dell’europeismo giudiziario, in Criminalia, 2010, p. 127 ss. L’Autore acutamente

stigmatizza, peraltro, il rischio “che il diritto penale diventi una scienza ‘interdisciplinare’ nel significato spregiativo di disciplina che non avrebbe un suo ‘oggetto’ e un suo ‘metodo’, per il fatto di utilizzare sincretisticamente ogni tipo di conoscenza”.

78 K. Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, 1984, Milano, p. 35, richiamato da F. Stella, op. cit.,

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maniera sullo sviluppo della dogmatica penalistica. L’applicazione degli schemi concettuali degli studi regolatori alla riflessione sul diritto punitivo potrebbe, infatti, dare un importante contributo alla tematizzazione in chiave funzionale di alcune sue categorie fondamentali. Poiché, nel prosieguo dello studio, si tenterà di sviluppare, almeno in parte, questa intuizione, è necessario spiegarla più approfonditamente.

Ovviamente, con essa non si intende suggerire che l’idea di scopo sia estranea alla scienza del diritto penale. Al contrario, tale prospettiva può farsi risalire indietro nel tempo, sino alle opere di Franz von Liszt79 e, addirittura, degli illuministi come Gaetano Filangieri, il quale, nella sua opera “La scienza della legislazione”, attribuisce, già nell’enucleazione dei principi che fondano la sua “teoria de’ delitti e delle pene”, un certo rilievo alla finalità complessiva della “conservazione dell’ordine sociale” e alla funzione, specificatamente attribuita alla pena, “di allontanare gli uomini dai delitti collo spavento del male” (ossia, di prevenzione generale del crimine)80. In questa prospettiva, è del resto impossibile ignorare come le teorie della pena siano

state e siano ancora oggi, innanzitutto, teorie della funzione e, dunque, dello scopo della pena81.

Analogamente, non si può obliterare il ruolo, ormai conclamato, dell’interpretazione teleologica nell’attività ermeneutica riguardante le fattispecie incriminatrici82.

Tuttavia, non si può neanche dimenticare quanto osservato da Norberto Bobbio, ossia che la formazione culturale del giurista continentale ha nell’ultimo secolo avuto una matrice prevalentemente strutturalistica83, né tanto meno si può obliterare l’influenza che ancora oggi ha sulla cultura penalistica italiana il tecnicismo giuridico di Arturo Rocco84. Né infine si può, soprattutto, ignorare la circostanza, acutamente sottolineata da Massimo Donini, per cui il diritto penale classico, perlomeno nella sua forma idealtipica, era concepito come “come

79 Su cui ancora T. Vormbaum (trad. it. G. Oss e S. Porro), op. cit., 2013, Padova, p. 167 ss.

80 G. Filangieri, La scienza della legislazione, Libro III, Delle leggi criminali, 1780 (si è consultata la ristampa

fiorentina del 1872, disponibile online), p. da 203 a 206.

81 In argomento, tra gli altri, C. E. Paliero, Il sogno di Clitennestra: mitologie della pena. Pensieri scettici su modernità e archeologia del punire, in Riv. it. dir. proc. pen., 2018, p. 447 ss.

82 Ex multis, R. Bartoli, Lettera, precedente, scopo. Tre paradigmi interpretativi a confronto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 1769 ss. E del resto non si può dimenticare nemmeno l’indirizzo “teleologico” in materia di bene

giuridico, su cui G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. da 37 a 41. L’Autore, a p. 42 ss. offre anche alcune considerazioni su come l’idea di scopo sia stata sviluppata da F. von Liszt e dagli interpreti successivi.

83 N. Bobbio, op. cit., Bari, 2007 (ed. digitale 2015), capitolo V, L’analisi funzionale del diritto: tendenze e problemi, passim, in particolare da p. 92 a 95.

84 Il cui manifesto è la Prolusione sassarese del 1910 (Il problema e il metodo nella scienza del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1910, p. 497 ss.) e sulla cui attualità e limiti riflettono, tra gli altri, M. Donini, op. cit., in Criminalia, 2010, p. 127 ss., G. Fiandaca, op. cit., in Criminalia, 2010, p. 179 ss., T. Padovani, Lezione introduttiva sul metodo nella scienza del diritto penale, in Criminalia 2010, p. 227 ss., nonché D. Pulitanò, La scienza penale tra fatti e valori, in Criminalia 2010, p. 239 ss.

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legittimato a non porsi scopi ulteriori rispetto alla repressione di condotte che violano doveri e diritti fondamentali e sono intollerabili in se stesse”85. Pare possibile asserire, infatti, come, tradizionalmente, la prospettiva funzionale (o strumentale) sia stata sviluppata in una prospettiva meramente endopenalistica, ossia interna al sistema punitivo86. In altri termini, perlomeno nella nostra cultura giuridico-penale, gli sforzi intellettuali sono stati prevalentemente diretti ad approfondire i profili riguardanti lo scopo della pena o della fattispecie incriminatrice, mentre raramente si è assistito ad una riflessione sui fini complessivi perseguiti da programmi di regolazione compositi e sul ruolo, in essi, dell’intervento punitivo. I confini disciplinari infragiuridici sembrano aver per lungo tempo impedito agli studiosi del diritto penale, di spingersi oltre il limite rappresentato dal paradigma giustificativo, ormai spesso ritenuto semplicistico87, della tutela di beni giuridici mediante la funzione preventiva e punitiva della pena.

Ebbene, l’ambizione principale di uno studio regolatorio del diritto penale dovrebbe essere proprio quella di sviluppare un’analisi funzionale (ossia, di identificare il significato teleologico) dei suoi principi e delle sue categorie88, sia dal punto di vista interno sia, in modo

più originale, dal punto di vista esterno, ossia del sistema complessivo in cui si colloca. La vera impresa intellettuale, peraltro, è riuscire a conciliare tale impostazione teleologica o strumentale con il rispetto dei postulati garantistici fondamentali del diritto penale liberale, sintetizzati nella Carta Costituzionale italiana agli artt. 25, co. 2 e 2789. È proprio da tale punto

85 M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale fra differenziazione e sussidiarietà, 2004,

Milano, p. 103.

86 In questo orizzonte endopenalistico, interno al sistema punitivo e giuridico, mi pare collocarsi la riflessione di

A. Pagliaro, Il fatto di reato, 1960, Palermo, p. 24 secondo cui “né il concetto di sanzione, né quello di illecito sono comprensibili al di fuori del riferimento a un fine. La sanzione è il mezzo predisposto onde ottenere un determinato risultato e l’illecito, a sua volta, si caratterizza perché vi è collegata una sanzione sfavorevole per un certo soggetto. Non solo, dunque, quella di sanzione è una nozione teleologica, ma lo è almeno in egual grado il concetto di illecito”.

87 Come osserva G. Fiandaca, Sul bene giuridico. Un consuntivo critico, Palermo, 2014, p. 47 infatti, ci troviamo

sovente “di fronte a strategie di intervento legislativo che sembrano rispondere, piuttosto che all’esigenza di assicurare tutela a specifici e ben circoscrivibili beni giuridici, ad un paradigma ben più complesso: cioè al paradigma di articolati programmi di intervento strategico a carattere preventivo-repressivo, al cui interno la tutela penale si aggiunge a strumenti di controllo a carattere extrapenale, aventi nell’insieme come obiettivo (effettivamente conseguibile o meno, è altro discorso) di contrastare, appunto, fenomeni dannosi a livello macrosociale”.

88 Distingue tra teleologia dei principi e teleologia delle categorie T. Padovani, op. cit., in Criminalia, 2010, p.

250, il quale osserva che: “mentre il telos dei principi […] ha a che fare con funzioni pragmatiche o politiche, il telos dei concetti ‘teorici’ è la costruzione di un linguaggio scientifico adeguato, adatto ad una buona formulazione ed analisi dei problemi che potrebbero interpellare il legislatore o l’applicatore del diritto vigente”.

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di vista che si apprezza il contributo distintivo (e vitale!) del penalista agli studi regolatori: a lui, infatti, pertiene quel sapere idoneo a conciliare un’impostazione funzionale con i principi fondamentali della “Magna Charta del reo”90. Egli deve dunque appropriarsi del metodo regolatorio ed impiegarlo coerentemente con il proprio patrimonio culturale: non si dubita, in effetti, che una ricostruzione ciecamente strumentale e “orientata allo scopo” del sistema punitivo condurrebbe a esiti funesti91, come già avvenuto, secondo taluni, nel contesto delle politiche dell’Unione Europea92: il rischio è, evidentemente, quello di un “diritto penale di

lotta”, ossia di una pena “usata come arma di contrasto generale”93.

Si noti, peraltro, che, nell’attuale letteratura penalistica, sembra potersi già identificare un movimento di pensiero orientato a valorizzare uno studio teleologico e strumentale (perlopiù, da un punto di vista interno o emico) dei principi e delle categorie del diritto penale. A partire dall’opera di Claus Roxin94, infatti, sembra essersi sempre più diffusa una sensibilità

funzionalistica tra i penalisti, come testimoniano le riflessioni di Massimo Donini sul “primato della politica criminale” e sulla costruzione di un illecito penale minore idoneo ad accogliere le legittime istanze preventive della modernità95 nonché lo studio di Giovannangelo De Francesco

sul rapporto tra intervento punitivo e programmi (complessi) di tutela96. Sono proprio le parole

di quest’ultimo a cogliere meglio il modo in cui in cui l’epistemologia delle regulatory theories

90 Secondo il noto paradigma di F. von Liszt, sulla cui fallacia si rinvia ancora a T. Vormbaum (trad. it. G. Oss e

S. Porro), op. cit., 2013, Padova, p. 177.

91 Mette in guardia da tale prospettiva, tra gli altri, M. Donini, op. cit., 2004, Milano, p. 114. Riflette sui pericoli

di un approccio funzionalistico anche G. Fiandaca, op. cit., in Criminalia, 2010, p. 179 ss. (in particolare, da p. 198 a p. 202).

92 Dove “manca invece una compiuta elaborazione della dimensione del diritto penale come garanzia e come limite

della politica criminale”. Così L. Foffani, Il “Manifesto sulla politica criminale europea”, in Criminalia, 2010, p. 657 ss.

93 Così, da ultimo, M. Donini, Integrazione europea e scienza penale, in Discrimen, 16 novembre 2020.

94 C. Roxin, Kriminalpolitik und Strafrechtssystem, Berlino, 1973, secondo quanto sostiene T. Padovani, op. cit.,

in Criminalia, 2010, p. 250. Già nel 1983, peraltro, G. Marinucci, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico

criminali, in Riv. it. dir. proc. pen., 1983, p. 1193 sosteneva che “la dottrina italiana nel suo insieme ricomincia a

pensare teleologicamente, riscoprendo la scienza della legislazione penale e affrontando un vastissimo intreccio di ‘fini’ e ‘mezzi’”.

95 M. Donini, op. cit., 2004, Milano, p. da 75 a 79 e da 121 a 133. Anche in questo scritto (p. 77) si rinvengono

parole molto significative: “la politica criminale, in altri termini, non deve essere concepita, riduttivamente, come politica criminale repressiva del codice penale, degli istituti e delle sanzioni che esso regola, perché essa, in un significato ben più ampio, è quel setto della legislazione e dell’amministrazione dello Stato – di competenza sia parlamentare sia governativa, quanto agli strumenti normativi -, ma altresì di competenza sociale, in senso lato quanto agli strumenti e alle azioni di tipo non normativo, che si occupa della prevenzione del crimine (neutralizzazione o riduzione del fenomeno), e in realtà, oggi, anche delle sue conseguenze, mediante strumenti in primo luogo strutturali, economici, amministrativi, giuridici in senso lato […] sociali, culturali, etc., ivi comprese le tecniche consistenti in meri accorgimenti sociali atti a diminuire le occasioni e le opportunità di un certo tipo di aggressione ai beni protetti”.

(23)

potrebbe contribuire alla studio del diritto penale: egli afferma infatti che vi sono talune tendenze che “mirano a reperire i fondamenti dell’intervento punitivo in una dimensione teleologica ‘eccedente’, per così dire, il profilo di ricostruzione del disvalore del fatto alla stregua del (solo) paradigma normativo formalmente delineato”97. Ebbene, è proprio a queste tendenze che, in definitiva, la prospettiva regolatoria potrebbe giovare.

L’impostazione teleologica di tipo olistico potrebbe avere, infatti, molteplici applicazioni nello sviluppo dei temi del diritto penale contemporaneo. In questa sede, sia sufficiente menzionarne alcune di più agevole identificazione e comprensione. In primo luogo, proprio come suggerito da Giovannangelo De Francesco, una prospettiva siffatta potrebbe contribuire, soprattutto (ma non solo) con riguardo agli illeciti (perlopiù contravvenzionali98) che avvengono in contesto lecito di base e rispetto ai quali è particolarmente avvertita l’esigenza di una prevenzione anticipata99, a identificare un paradigma di legittimazione dell’intervento punitivo ulteriore (e complementare) rispetto al bene giuridico100. Come osservato da Massimo Donini, “la

giustificazione del diritto penale postilluministico, in effetti, esige che considerazioni finalistiche e di output delle conseguenze si pongano alle fondamenta di tutto il sistema penale”101. Nella medesima prospettiva funzionale, inoltre, potrebbe essere riletta anche la

categoria, difficilmente decifrabile, della non punibilità102, da intendersi come sanzione positiva che concorre al perseguimento di uno scopo complesso di tutela103: in questo senso, peraltro, si

97 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 49.

98 Del resto, già l’analisi storica di T. Padovani, Il binomio irriducibile. La distinzione dei reati in delitti e contravvenzioni fra storia e politica criminale, in (a cura di) G. Marinucci e E. Dolcini, Il diritto penale in trasformazione, 1985, Milano, p. 422 ss. rivela come la riflessione sui reati contravvenzionali sia sempre stata

dominata dall’idea dello scopo (p. 438, “esigenza strumentale di utilità pubblica”).

99 Si tratta del c.d. “diritto penale del comportamento” o “del pericolo astratto” su cui, in termini critici, F. Stella, op. cit., 2003, Milano, p. da 515 a 535. Come ricorda M. Donini, op. cit., 2004, Milano, p. 135, però, “tutte le

critiche ai difetti della logica preventiva, all’utilitarismo penale, all’abuso politico dell’idea dello scopo, devono fare i conti con un rischio probabilmente non calcolato che recano con sé: rinnovare le istanze del pensiero retributivo, di una concezione assoluta, ovvero espressiva e simbolica, della pena. […] C’è in realtà, in tutte le critiche al diritto penale ‘moderno’ un nucleo di filosofia retributiva implicita, dissimulata sotto un garantismo liberale”.

100 G. De Francesco, op. cit., 2004, Torino, p. 57 “piuttosto che apparire come il terreno d’incontro con un bene

od un interesse destinato a porsi nello stadio ‘finale’ di un sistema concepito in funzione della sua salvaguardia, [l’intervento penale] giunge ad evocare la base ed il presupposto ‘preliminare’ dell’edificio normativo preordinato a dar corpo e sostanza al ‘programma’ di tutela attraverso l’insieme degli interventi variamente rivolti alla sua concreta realizzazione. Esso suona come un invito alla ricerca di una sorta di coefficiente o ‘precondizione’ strumentale, per così dire, la quale faccia apparire ragionevolmente prospettabile e teleologicamente congruo il complesso delle (ulteriori) strategie di controllo e di promozione sociale di volta in volta utilizzabili per il raggiungimento degli obiettivi ritenuti meritevoli di venire perseguiti”.

101 M. Donini, op. cit., 2004, Milano, p. 137.

102 Su cui A. di Martino, La sequenza infranta. Profili della dissociazione tra reato e pena, 1998, Milano. 103 In questo senso mi pare si orienti la proposta di D. Franzin, Governo penale dell’ambiente e non punibilità condizionata, 2018, Napoli.

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