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PER UNA RELAZIONE PROFESSIONALE EFFICACE TRA OPERATORE SANITARIO E PERSONA DETENUTA

MIRATA ALLA PREVENZIONE DELLE MALATTIE

INFETTIVE

Anna Maria Luzi, Anna Colucci

Unità Operativa Ricerca Psico-socio-comportamentale, Comunicazione, Formazione,

Dipartimento Malattie Infettive,Parassitarie e immunomediate, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Introduzione

Secondo le linee guida pubblicate dal Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (European Centre for Disease prevention and Control, ECDC) e dal Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction, EMCDDA), il periodo di detenzione all’interno di un istituto di pena può costituire un’importante opportunità per attivare interventi di promozione e di tutela della salute rivolti al singolo detenuto e all’intera comunità carceraria (1). Ciò è ancor più vero per quanto riguarda la prevenzione, la diagnosi e la cura di alcune patologie infettive per le quali un intervento sanitario precoce rappresenta un elemento focale per una gestione adeguata e un controllo efficace da attuare all’interno di un contesto caratterizzato da aspetti peculiari sul piano strutturale, ambientale, giuridico e clinico.

L’ambito carcerario costituisce, infatti, una comunità “confinata”, un’istituzione totale, nella quale sono presenti soggetti diversi: detenuti, agenti di custodia, amministrativi, educatori, assistenti sociali, medici, infermieri, referenti delle forze dell’ordine, agenti di custodia e della magistratura, i quali si muovono in una realtà fondata su una struttura gerarchica, che deve assolutamente essere conosciuta nella sua complessità, nelle sue diverse sfaccettature e nella rigidità delle sue regole.

In un contesto dove il sovraffollamento e la carenza di personale non consentono di garantire condizioni di vita umane e dignitose, è fondamentale che il singolo detenuto mantenga o ritrovi la propria identità. La persona in stato di detenzione non va identificata con il reato che ha commesso o con la pena che gli è stata inflitta, bensì considerata una persona con la sua unica e irripetibile personalità, dotata di una dimensione fisica, psichica e sociale. Affinché ciò si verifichi è importante che l’operatore penitenziario e tra questi in particolare l’operatore sanitario possegga competenze tecnico-scientifiche e comunicativo relazionali mirate a creare con la persona detenuta un’interazione professionale efficace all’interno della quale possa sentirsi riconosciuta e finalizzata ad evitare quella sorta di depersonalizzazione e di destrutturazione del sé che talvolta colpisce il detenuto.

Il presente lavoro intende proporre una riflessione sull’importanza di una comunicazione professionale efficace nelle carceri, nonché illustrare e condividere l’applicazione di un Modello Operativo comunicativo-relazionale mirato a fornire agli operatori del settore una mappa concettuale di riferimento, un protocollo procedurale utile per gestire un’interazione adeguata in una realtà così singolare quale è quella penitenziaria, al fine di garantire la promozione e la tutela

della salute, del singolo detenuto e dell’intera collettività di reclusi, per quanto attiene in modo specifico l’area delle malattie infettive.

Comunicazione per una relazione professionale efficace in ambito penitenziario

La comunicazione è un processo molto complesso che coinvolge individui appartenenti a una medesima cultura o anche a culture differenti, i quali attraverso segni di varia natura stabiliscono una base per un comune intendimento. Si tratta di un processo di scambio di informazioni, emozioni, vissuti, saperi e influenzamenti reciproci che avvengono in un determinato contesto (2).

Gli esseri umani comunicano attraverso diversi canali:

– il verbale, che fa riferimento ai contenuti, alle parole, ai termini tecnici il cui utilizzo dovrebbe essere sempre fortemente limitato all’interno della relazione tra l’operatore sanitario e la persona detenuta;

– il paraverbale che si riferisce all’inflessione della voce, al tono, al timbro, al ritmo, e alla cadenza delle parole

– il non verbale, che include il movimento (cinesia) e la posizione del corpo, i gesti, l’espressione del viso, il silenzio, il pianto e ogni altra espressione non verbale di cui l’organismo sia capace, come pure i segni di comunicazione che inevitabilmente sono presenti nel contesto in cui ha luogo la comunicazione. Elementi questi che potrebbero sembrare secondari nella relazione professionale tra la persona detenuta e l’operatore sanitario, ma che di fatto nella quotidiana pratica delle carceri rappresentano chiavi di lettura indispensabili per comunicare salute.

Canali questi che non solo coesistono, ma sono reciprocamente complementari in ogni scambio comunicativo e consentono di trasmettere contenuti (il “cosa”) e al contempo permettono di attribuire, attraverso il canale para verbale e quello non verbale, un significato determinato dal tipo di relazione esistente tra i partecipanti allo scambio comunicativo (il “come”). Attraverso il canale para verbale e non verbale vengono trasmesse le emozioni, gli stati d’animo, ma anche il tipo di rapporto gerarchico esistente tra i partecipanti allo scambio comunicativo (3).

Nell’istituzione carceraria il processo comunicativo e all’interno di questo l’ascolto assumono particolare rilevanza; infatti il rapporto tra operatore sanitario e persona detenuta è molto complesso in quanto fortemente influenzato da diversi fattori. La capacità da parte dell’operatore di impostare il rapporto con la persona detenuta in modo che si instauri una vera e propria “relazione di aiuto professionale”, mantenendo costantemente aperta la comunicazione e l’interazione, rappresenta il cardine fondamentale per ottenere risultati efficaci. In questa prospettiva la comunicazione risulta essere un processo complesso in cui entrano in gioco una molteplicità di fattori individuali e di contesto che influenzano la relazione e attivano reazioni di tipo emozionale in base alla personalità di ogni singolo individuo coinvolto nell’interazione e alla problematica specifica oggetto del processo comunicativo.

Tra operatore sanitario impegnato in ambito carcerario e detenuto si instaura una relazione professionale, caratterizzata dall’interazione tra due “complesse dimensioni”: da una parte vi è il professionista che ha le competenze per rispondere ai bisogni di salute e alle richieste dell’altro (persona detenuta) e che entra nella relazione non solo per il suo ruolo e le sue specifiche competenze, ma globalmente con la sua dimensione individuale e sociale oltre che con i suoi valori e modelli culturali; dall’altra parte vi è una persona che va considerata anch’essa

globalmente come portatrice di bisogni, richieste, problematiche che possono assumere un profilo diverso in relazione ai vissuti presenti e passati, al contesto familiare e sociale di appartenenza, al proprio sistema di valori in merito a cosa possa essere accettabile e cosa no, al più ampio quadro culturale di appartenenza o di provenienza come nel caso delle persone detenute straniere.

Ne consegue la necessità che l’operatore sanitario possa entrare in relazione con la persona detenuta comunicando su:

– un piano affettivo (sentimenti ed emozioni della persona);

– un piano cognitivo (modalità proprie della persona di acquisire conoscenze, affrontare i problemi, attuare soluzioni al momento accettabili e soddisfacenti);

– un piano comportamentale, tenendo conto del sistema familiare e sociale di appartenenza, quali ad esempio la presenza/assenza di una rete amicale di riferimento, la presenza/assenza di figli, gli assunti culturali relativamente a come venga collocato il comportamento deviante e la relativa conseguenza del riconoscimento del reato e della detenzione.

Proposta di un modello operativo comunicativo-relazionale da applicare nel contesto carcerario per la prevenzione delle malattie infettive

In questo paragrafo viene presentato un modello operativo comunicativo-relazione da utilizzare nell’interazione tra operatore sanitario e persona detenuta, affinché la relazione professionale non sia improvvisata ma strutturata secondo fasi ben definite, così come è stato sperimentato e implementato in altri settori (migranti, tossicodipendenti, donne vittime di violenza) (4).

I maggiori punti di forza del modello sono da ricercare nell’opportunità di applicare una metodologia standardizzata e, al contempo, rispondente alla specificità del contesto carcerario. Pertanto, nella relazione professionale con la persona-detenuta lo standard del rapporto operatore-persona può presentare enormi limitazioni. In primis le difficoltà che possono comportare un’assenza di comprensione dei reali bisogni sanitari del detenuto, favorendo il rischio di un ritardo diagnostico o addirittura di una mancata diagnosi.

Appare, quindi, evidente l’utilità di incrementare le competenze dell’operatore sanitario sul piano comunicativo-relazionale, nonché integrarle con quelle tecnico-scientifiche, al fine di favorire l’efficacia e l’appropriatezza delle risposte fornite alla persona detenuta. In quest’ottica l’intervento dell’operatore sanitario svolto secondo procedure, azioni e fasi temporali collocate all’interno di un protocollo comunicativo-relazionale standardizzato, può costituire un elemento di base utile per favorire un approccio globale alla prevenzione delle malattie infettive.

Il modello operativo comunicativo-relazionale si articola in quattro fasi: 1. Accoglienza;

2. Proposta di eseguire eventuali accertamenti diagnostici; 3. Comunicazione della diagnosi e discussione della prognosi; 4. Opzioni di trattamento e continuità delle cure.

Ciascuna delle quali prevede specifiche procedure e azioni replicabili, ma al tempo stesso, adattabili ogni volta alla singola persona, alla sua storia, alla sua specifica situazione e all’intervento sanitario richiesto.

RIQUADRO 1. Fasi del modello operativo comunicativo-relazionale

da applicare nel contesto carcerario per la prevenzione delle malattie infettive

1. Accoglienza

• Preparare il setting interno (autoconsapevolezza dell’operatore) ed esterno, considerando la peculiarità del contesto carcerario che rischia di incidere fortemente sulla gestione dei processi di prevenzione, diagnosi e cura della persona reclusa ( porre attenzione all’ambiente fisico, alla presenza /coinvolgimento degli altri componenti dell’equipe e del personale di custodia, considerare norme e regolamenti, eventualmente proporre la presenza di un mediatore linguistico-culturale nel caso si tratti di persone detenute non italiane)

• Accogliere e ascoltare attivamente in modo empatico (comprensione e accettazione incondizionata dell’altro senza confondersi con l’altro, evitando atteggiamenti giudicanti e di pregiudizio, ricordando che l’altro è una “persona”, anche se in quel momento vive in uno stato di detenzione) • Focalizzare il problema

• Individuare e condividere un obiettivo

• Proporre, se necessario, l’accertamento diagnostico, spiegando a cosa servano gli esami indicati e le possibili implicazioni di questo

• Proporre il consenso informato (in modo che la persona detenuta comprenda ed eventualmente firmi) • Fornire indicazioni/informazioni utili a modificare eventuali comportamenti a rischio per la propria

e per l’altrui salute

• Accordarsi per l’esecuzione dei test

• Rendersi disponibili per ulteriori incontri compatibilmente con la normativa e l’organizzazione carceraria

• Salutare adeguatamente (non interrompere in modo brusco o frettoloso il colloquio).

2. Accertamento diagnostico

• Preparare il setting interno ed esterno (vedere Fase 1 - Accoglienza) • Accogliere e ascoltare attivamente

• Fornire chiarimenti sull’accertamento diagnostico che si sta andando ad eseguire

• Comprendere cosa la persona sappia della/e specifiche patologie per le quali viene raccomandato/indicato un esame diagnostico

• Proporre il consenso informato (in modo che la persona comprenda ed eventualmente firmi) • Eseguire l’accertamento diagnostico

• Preparare la persona al risultato dell’accertamento diagnostico e alle implicazioni che un esito positivo potrebbe rappresentare in un contesto carcerario

• Concordare i tempi per la consegna del risultato dell’accertamento • Fornire supporto emotivo

• Rendersi disponibili per ulteriori incontri compatibilmente con la normativa e l’organizzazione carceraria

• Salutare adeguatamente (non interrompere in modo brusco o frettoloso il colloquio).

3. Comunicazione della diagnosi e discussione della prognosi

• Preparare il setting interno ed esterno (vedere Fase 1 - Accoglienza) • Accogliere e ascoltare attivamente

• Comunicare immediatamente il risultato dell’accertamento diagnostico, senza tergiversare, in un linguaggio semplice e non tecnicistico

• Accettare e contenere le emozioni (qualsiasi sia la modalità comunicativa utilizzata)

• Fornire informazioni adeguate sulla malattia, sulle eventuali modalità di contagio se si tratta di una malattia infettiva, sulla profilassi (definire per ciascuna patologia azioni specifiche) e sulla terapia • Affrontare le implicazioni del risultato diagnostico nel presente e in futuro (prendendo in

considerazione la gestione di un’eventuale malattia in carcere, laddove lo stigma legato ad alcune infezioni potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di criticità per la persona detenuta) • Fornire un intervento di prevenzione in funzione dell’esito dell’esame diagnostico (esito positivo,

esito negativo, esito indeterminato)

• Verificare ciò che la persona abbia compreso circa il risultato dell’esame diagnostico e il piano terapeutico

• Informare sulla disponibilità della cura anche all’interno del carcere e delle procedure di profilassi nel caso queste siano necessarie

• Valutare le informazioni che la persona è in grado di recepire • Fornire supporto emotivo

• Predisporre e facilitare l’invio della la persona alla struttura sanitaria specifica e più appropriata qualora in carcere non ci sia la disponibilità di un presidio adeguato

• Predisporre una breve relazione sullo stato clinico della persona detenuta nel caso che questa debba essere inviata ad una struttura sanitaria esterna

• Fornire la possibilità di usufruire di un piano di assistenza, che possa accompagnare la persona detenuta anche nel caso di trasferimenti da una struttura carceraria all’altra o in caso di dimissioni dal carcere

• Valutare la questione della privacy

• Salutare adeguatamente (non interrompere in modo brusco o frettoloso il colloquio).

4. Opzioni di trattamento e continuità delle cure

• Preparare il setting interno ed esterno (vedere Fase 1 - Accoglienza) • Accogliere e ascoltare attivamente

• Proporre il piano terapeutico

• Porre attenzione alla concordanza del piano terapeutico (condivisione del piano terapeutico - implementazione dell’empowerment della persona e coinvolgimento nel processo decisionale) per far sì che la persona aderisca consapevolmente al trattamento farmacologico, assumendo un ruolo attivo nel farsi carico della propria salute. Infatti, per un’adeguata aderenza alla terapia è importante puntare sulla concordanza della persona relativamente al piano terapeutico restituendole consapevolezza, responsabilità e capacità decisionale

• Valutare le modalità più appropriate per la somministrazione della terapia farmacologica, garantendo il rispetto della privacy

• Favorire la continuità delle cure anche in caso di trasferimento della persona detenuta in altre strutture carcerarie o in caso di dimissione dal carcere

• Salutare adeguatamente (non interrompere in modo brusco o frettoloso il colloquio). In questa percorso risulta quanto mai prioritario:

• Lavorare in equipe attraverso il coinvolgimento continuo delle diverse figure professionali e del personale di custodia

• Lavorare in rete con strutture socio-sanitarie governative e non, coinvolte nel sistema carcerario • Attivare protocolli e percorsi di salute basati sul rispetto della privacy.

Abilità e tecniche comunicative

Affinché l’operatore sanitario impegnato nella struttura carceraria accolga la persona detenuta e instauri un’interazione efficace, è fondamentale e prioritario che sia in grado di entrare in contatto con sé stesso, sia pienamente consapevole del raggio di azione e dei limiti del proprio ruolo, conosca a fondo il proprio setting interno (valori, pregiudizi, motivazioni, schemi di riferimento culturali, vissuti personali, emozioni) e, soprattutto, sappia distinguere il proprio sé da quello dell’altro, attraverso una continua azione di auto-osservazione e di auto-monitoraggio di quanto avviene nella relazione. Contestualmente, è necessario che l’operatore sanitario sia consapevole del linguaggio para verbale e non verbale, particolarmente importante in questo contesto, che consente di trasmettere, ai vari soggetti coinvolti nella relazione professionale, il peso e il significato da attribuire a quanto esplicitato a livello verbale.

Alla luce di tutto diventa prioritario per l’operatore sanitario acquisire abilità e tecniche comunicativo-relazionali quali:

– Autoconsapevolezza

L’autoconsapevolezza permette all’operatore di definire, di volta in volta, il setting interno e quello esterno connotato da una precisa dimensione spazio- temporale. Il setting interno fa riferimento alla capacità dell’operatore di aprirsi all’ascolto dell’altro, dedicando alla persona-utente un tempo e uno spazio mentale dove le interferenze presenti nel contesto

carcerario possano essere tenute sotto controllo. Nel carcere, infatti, il setting esterno risulta essere fluido e con confini spaziali poco chiari, pertanto, la consapevolezza dell’operatore di dover definire il proprio setting interno assume una rilevanza cruciale nell’instaurare una relazione costruttiva con la persona detenuta.

L’autoconsapevolezza dell’operatore sanitario facilita l’instaurarsi di una relazione con la persona detenuta, all’interno della quale ogni “rumore” esterno possa essere tenuto sotto controllo, in cui si instauri un clima accogliente, sicuro, rispettoso della persona, scevro da qualsiasi giudizio e pregiudizio.

– Empatia

L’empatia, che consente di seguire, afferrare, comprendere il più pienamente possibile l’esperienza soggettiva della persona detenuta, ponendosi dal suo stesso punto di vista “come se” fosse il proprio, ma con la consapevolezza che appartenga al mondo dell’altro. Si tratta, infatti, di saper entrare nello schema di riferimento della persona detenuta, nel suo “mondo”, al fine di comprenderne pienamente pensieri e intenzioni, di cogliere la situazione che sta vivendo dalla sua prospettiva (empatia cognitiva), condividendo al tempo stesso l’esperienza emotiva dell’altro (empatia emotiva), ma essendo ben consapevole che non è il proprio modo di pensare e di provare emozioni. L’operatore empatico non può e non deve confondersi con l’altro, in quanto, se ciò avvenisse, non sarebbe più in grado di aiutarlo e di sostenerlo nel processo di cambiamento e di fornire, pertanto, risposte appropriate alle sue richieste.

– Ascolto attivo

L’ascolto attivo si basa sull’empatia e sull’accettazione incondizionata dell’altro e consente l’attivazione di un rapporto professionale positivo e di un clima relazionale non giudicante. Saper ascoltare permette di cogliere il contenuto della comunicazione nelle sue tre componenti: verbale, para verbale, non verbale.

L’operatore sanitario ponendosi in un atteggiamento di ascolto attivo mostra un autentico interesse nei riguardi della persona detenuta e ciò costituisce l’opportunità di sentirsi compresa e di poter riportare i propri bisogni di salute senza il timore di essere giudicata. Per l’operatore sanitario saper ascoltare in modo empatico si traduce in una maggiore possibilità di stabilire con l’altro un’alleanza terapeutica efficace.

Nell’ascolto attivo entrano in gioco contemporaneamente diversi piani in quanto attraverso questa abilità l’operatore ascolta i contenuti (comunicazione verbale) e la relativa connotazione emotiva (comunicazione para verbale e non verbale) con la quale questi vengono espressi. Al contempo, l’operatore sanitario ascolta sé stesso, i propri vissuti, il proprio sistema culturale e valoriale, cercando di fare in modo che non interferisca nella relazione. Per ascoltare attivamente la persona detenuta, l’operatore può fare riferimento al metodo del rispecchiamento empatico o della restituzione che si avvale di alcune tecniche, quali: riformulazione, delucidazione, capacità di indagine, messaggi in prima persona:

- La riformulazione consiste nel ripetere e nel restituire alla persona detenuta ciò che ha detto, utilizzando gli stessi termini senza aggiungere nessun altro contenuto. In questo modo l’operatore verifica di aver ben compreso quanto raccontato dal detenuto, contemporaneamente questo sente di essere stato ascoltato ed è disponibile a proseguire nel racconto mostrandosi più collaborativo.

- La delucidazione consiste nel cogliere e nel restituire all’altro le emozioni emerse durante il colloquio; la tecnica è utile per agevolare la comprensione del vissuto emotivo della persona detenuta, che emerge dal para verbale e dal non verbale, in quanto l’operatore sottolinea i sentimenti che accompagnano il contenuto verbale e

attribuisce loro un valore finalizzato a rendere la relazione professionale realmente costruttiva.

- La capacità di indagine è una tecnica comunicativa che consente all’operatore di porre domande appropriate (domande aperte, chiuse, ipotetiche) in funzione della specifica fase del colloquio con la persona. Le domande aperte, utili nella fase iniziale della relazione, lasciano ampia possibilità di risposta, tendono ad approfondire la relazione e stimolano l’esposizione di opinioni e pensieri.

- I messaggi in prima persona permettono all’operatore sanitario di favorire una distinzione tra ciò che pensa, ritiene, percepisce e ciò che invece appartiene all’altro con problematiche legate alla sua salute.

In ultima analisi l’applicazione efficace di un Modello di riferimento comunicativo-relazionale necessita di operatori sanitari formati e costantemente aggiornati, in grado di favorire non solo l’attivazione di un clima di apertura e di disponibilità nei riguardi della persona detenuta, ma anche di acquisire una strategia mirata a proteggere la propria qualità di vita personale e professionale al fine di prevenire il burn out, patologia professionale caratterizzata da esaurimento

emotivo, depersonalizzazione e ridotta realizzazione personale, che colpisce prevalentemente gli

operatori sanitari impegnati in interventi di aiuto in aree particolarmente critiche.

Conclusioni

Il diritto alla salute per la persona detenuta rappresenta il primo dei diritti dai quali scaturiscono tutti gli altri in quanto comprende non solo la necessità di curare il recluso con una patologia in atto o che si ammali durante la detenzione, ma anche di attivare interventi di promozione e tutela della salute al fine di garantire una vita dignitosa, sia durante la detenzione sia durante la fase del reinserimento nella società. In tale prospettiva risulta indispensabile che l’operatore sanitario si appropri e utilizzi procedure operative comunicativo-relazionale standardizzate, con l’obiettivo di rispondere in modo puntuale ed efficace ai bisogni di salute di una popolazione, la quale a causa della mancanza di libertà e delle criticità presenti all’interno dell’ambiente carcerario, ha un patrimonio di salute estremamente vulnerabile. Per la realizzazione di quanto sopra esplicitato emerge la necessità di predisporre e organizzare a livello nazionale e locale specifici percorsi di formazione rivolti al personale sanitario e di custodia del carcere, all’interno dei quali affrontare tematiche riguardanti gli aspetti tecnico-scientifici specifici dei diversi ruoli, nonché tematiche