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Sandro Libianchi (a, b), Angelo Cospito (c), Rosanna Mancinelli (d)

(a) Coordinamento Nazionale Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane, Roma

(b) Unità Operativa "Salute penitenziaria", III Casa Circondariale, Complesso Polipenitenziario di Rebibbia - ASL Roma 2

(c) Azienda Socio Sanitaria Territoriale “San Paolo e Carlo”, Milano

(d) Centro Nazionale Sostanze Chimiche, Prodotti Cosmetici e Protezione del Consumatore, Istituto Superiore di Sanità, Roma

Introduzione

L’esercizio della medicina per l’assistenza alle persone detenute presenta significative peculiarità in quanto il compito di prevenzione, diagnosi, cura deve essere svolto in condizioni particolari dovuti alla situazione limitativa imposta al paziente e in una maniera compatibile con la sicurezza della struttura e del paziente detenuto. Il rapporto tra Medicina e detenzione è quindi particolarmente complesso e delicato e la situazione attuale parte prende avvio le mosse dal 1978 che è stato un anno determinante per la Sanità in Italia. Due provvedimenti legislativi promulgati allora, avrebbero condizionato i successivi 50 anni di assistenza sanitaria ai cittadini italiani. La Legge 13 maggio 1978, n. 180 (“Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”) e la Legge 23 dicembre 1978, n. 833 (“Istituzione del servizio sanitario nazionale”) sancivano due principi importantissimi: quello del cittadino di essere sempre assistito dallo Stato in maniera uguale per tutti, abolendo i vetusti “Enti assistenziali” e quello che la sua libertà non poteva essere condizionata rinchiudendolo in strutture manicomiali ancorché presentasse una malattia di mente. Eppure, stupisce ancora oggi come col trascinamento di questa idea di parità e libertà non fossero stati neanche considerati una categoria particolare di cittadini, i detenuti, che la libertà non l’avevano per definizione. Così, per un malinteso senso di giustizia alcune leggi (Legge 740/1970, Legge 354/1975), di fatto esclusero dal sistema sanitario nazionale questo gruppo di persone che forse più di ogni altra avevano bisogno di cure e attenzioni. I vecchi medici di allora ancora raccontano di condizioni impietose in cui avrebbero dovute essere curate queste persone, quando malate. In quegli anni imperversavano le infezioni tubercolari, la sifilide, le polmoniti e la legge non prevedeva una sistematica fornitura di medicine in carcere, se non in maniera estremamente ridotta. Le sezioni dei ‘Dispensari Antitubercolare Provinciali’ non entravano in carcere se non rarissimamente, le altre medicine erano fornite dai medici di medicina di base su campionatura o contributo caritatevole e quando se ne trovava uno disposto a visitare in carcere, questi lo faceva per puro spirito umanitario od in virtù di un rapporto di amicizia con il direttore dell’istituto. Negli anni, molto lentamente, si è venuto a creare una sorta di servizio sanitario parallelo alla sanità del Paese, per lo più sganciato dall’evoluzione organizzativa e culturale del Servizio Sanitario Nazionale e discretamente insufficiente nel suo complesso. In questi contesti non esisteva il concetto di privacy che ancora oggi è difficile da ottenere sul campo, non era previsto alcun tipo di consenso informato od informative sulle proprie condizioni di salute e l’importante era solo di accertarsi della firma del detenuto sotto la dizione ‘rifiuto di eseguire...’ o ‘rifiuto di assumere...’, laddove c’era opposizione da parte sua. Non esisteva il concetto stesso di Educazione alla Salute, per cui l’informazione era sempre ridotta al minimo, anche forse per non fornire eventuali

elementi di rivalsa nei confronti dell’istituzione, qualora qualcosa non fosse andato a buon fine. Il rapporto fiduciario con i curanti resta un tema aperto e talvolta conflittuale.

Proposta

Queste disuguaglianze rispetto alla popolazione generale, sebbene ridotte, oggi ancora rappresentano un problema etico e morale in quanto differenze evitabili, non necessarie e inique (1) e pochi sono gli interventi di salute pubblica con un potenziale positivo maggiore della riduzione delle disuguaglianze che ogni anno causano 1,3-2,5 milioni di anni di vita persi (2). Anche le grandi organizzazioni della sanità (come la World Health Organization) hanno più volte sottolineato l’importanza della giusta presa in carico di questa ‘key populaton’: “... prisoners are the community. They come from the community, they return to it. Protection of prisoners is protection of our communities.” (3). Il 2 febbraio 1997, sotto la pressione di decise istanze da parte egli operatori delle carceri nei confronti dei policy maker dell’allora governo, tre ministri della Repubblica (Giustizia, Sanità, Affari Sociali), per la prima volta, si riunirono presso la sala-teatro del carcere di Rebibbia per discutere del tema dell’assistenza sanitaria in carcere, concordando sull’esigenza di innovare profondamente il sistema. Il 30 novembre 1998, con Legge n. 419 (art. 5), il Governo ebbe la delega ad avviare la grande riforma che grazie all’incessante opera di sostegno e stimolo di Leda Colombini (ex parlamentare) e Bruno Benigni (ex assessore alla Sanità della Toscana), dei quali ci è grata l’occasione per ricordarne la figura e la grande opera svolta a favore della sanità in carcere. Negli anni seguenti numerosi sono state le norme che hanno segnato il percorso della ‘Nuova Medicina Penitenziaria’, ma solo nel 2008 con il DPCM del 1° aprile e i numerosi Accordi e intese sottoscritti in Conferenza Unificata, si sono ottenuti tutti gli strumenti per attuare una reale Riforma del settore. La definizione stessa e la cornice cultuale entro la quale possa trovare una giusta e utile collocazione il concetto di medicina penitenziaria, rappresentano oggi tema di dibattito tra gli addetti ai lavori e ancora un obiettivo importante da raggiungere. Perciò viene qui di seguito proposta una definizione di Medicina penitenziaria elaborata sulla base di dati scientifici e di consolidate esperienze sul campo, quale risultato del lavoro congiunto di coloro che hanno aderito al gruppo di ricerca dell’Accordo di collaborazione scientifica inter-istituzionale dedicato alle problematiche di medicina penitenziaria.

Tale definizione ha l’obiettivo di fissare alcuni “concetti cardine” su cui poter adattare e integrare le modificazioni della realtà sociale e le esigenze che via via si paleseranno:

– La medicina penitenziaria e la tutela della salute in carcere sono il complesso di funzioni sanitarie svolte all’interno degli istituti di detenzione per adulti e minori e di una parte della Area Penale Esterna per alcuni specifici settori laddove siano applicate delle misure alternative (tossicodipendenza, salute mentale, ricovero ospedaliero, ecc.). Essa integra funzioni cliniche, di prevenzione, sociosanitarie in ragione di specifici vincoli ordinamentali.

– La specificità di tale sistema di assistenza è costituita dalle strutture fisiche di esecuzione penale, dagli utenti portatori di specifiche problematiche giudiziarie e fisiche, dal sistema giudiziario, da quello penitenziario, dall’Autorità Giudiziarie.

– La medicina penitenziaria e la tutela della salute in carcere, sebbene non riconosca specifiche patologie ad etiopatogenesi esclusivamente carceraria, anche in frequente concomitanza ambientale, mette in atto speciali interventi sanitari rispetto allo specifico contesto, coniugndo finalità istituzionali di garanzia di salute e di sicurezza.

La proposta è un invito a stimolare e avviare un confronto ampio con gli operatori di settore al fine di arrivare ad una proficua condivisione della definizione di medicina penitenziaria e, di conseguenza, alla condivisione di nuove strategie di intervento.

Bibliografia

1. Whitehead M. The concepts and principles of equity and health. Copenhagen: WHO/Regional Office for Europe; 2000;

2. World Health Organization. Fair Society, healthy lives: a strategic review of health inequalities in England. Geneva: WHO; 2010.

3. Joint United Nations Programme on HIV/AIDS (UNAIDS): Statement on HIV/AIDS in Prisons. 2011; 4. Italia. DPCM 1° aprile 2008: “Modalità e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazionale delle

funzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorse finanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanità penitenziaria. Gazzetta Ufficiale n. 126, 30 maggio 2008.

5. Italia. Decreto Legislativo 22 giugno 1999, n. 230. Riordino della medicina penitenziaria a norma dell’articolo 5, della legge 30 novembre 1998, n. 419. Gazzetta Ufficiale n. 165 Supplemento Ordinario n. 132, 16 luglio 1999.

TUTELA DELLA SALUTE IN CARCERE E MISURE