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Per un’antropologia del processo creativo:

la sincronizzazione musica e immagine

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Per più di una ragione, nel tentativo di comprendere e descrivere prassi ed estetiche della cultura musicale cinematografica, il nodo relativo alla sincronizzazione musica/ immagine risulta cruciale. Tecniche e tecnologie dedicate al processo di sincronizza- zione divengono ben presto, sin dagli esordi del cinema sonoro, strumenti essenziali e fondanti l’atelier del compositore cinematografico. Tali tecniche sono state investite, nel corso dei decenni, da progressivi cicli di innovazione tecnologica2; ogni ciclo costruisce e reinterpreta, specializzandole, le funzioni del sistema precedente3, proponendo siner- gie tra continuità e cambiamento, nonché stratificazioni tecnologiche (e di prassi) di eccezionale densità storica. La tecnica di sincronizzazione musica/immagine costituisce ancora oggi una delle più riconoscibili specificità del mestiere del compositore cinema- tografico, eppure il tema non ha mai ricevuto, sul piano storico-critico, l’attenzione che, riteniamo, dovrebbe meritare. L’interesse per l’aspetto tecnologico-compositivo, non- ché l’esigenza di proporre una prima ricognizione sull’argomento, non nascono esclu- sivamente dal desiderio di documentare un aspetto importante della prassi, ma dalla constatazione – corroborata dall’osservazione diretta sul campo – che tali tecniche non cessano di esercitare, in ogni momento del processo compositivo, una grande influenza sull’estetica: i due piani, come cercheremo di argomentare, non sono del resto mai di- sgiunti nella prassi.

Acquisizioni recenti nel campo dell’antropologia cognitiva del processo creativo4 hanno dimostrato quanto la stratificazione tecnica della scrittura contemporanea, nel rapporto tra partitura, composizione e media digitali, sia determinante nella prospettiva di una più esauriente descrizione del processo creativo. Sebbene tale terreno analitico sia al di là dei limiti che questo scritto si impone, speriamo si possa evincere, con gli esempi che presenteremo, che una più matura cognizione degli aspetti tecnici relativi alla sin- cronizzazione ha ricadute non trascurabili sul fronte critico ed ermeneutico5. Per ciò che concerne le tecnologie di sincronizzazione, la fotografia che fonti consultate restituisco- no copre un periodo temporale che va dagli anni Trenta al termine degli anni Novanta circa e descrivono compiutamente la prassi in uso nei dipartimenti musicali delle major hollywoodiane. Come si è accennato al Cap. 4, le fonti manualistiche arrivano a rendere conto con completezza solo della prima rivoluzione digitale, un ciclo di innovazione che, dal principio degli anni Ottanta, portò quasi uniformemente le sale d’incisione all’ado- zione del sistema Auricle o di sistemi concorrenti6. La seconda e più significativa rivo- luzione tecnologica – la digitalizzazione dei sistemi – determina oggi un panorama più sfaccettato e meno standardizzato di quello che qui tratteggeremo. Tuttavia, molte delle tecniche e delle tecnologie descritte sono tutt’ora in uso (è il caso, ad esempio, del siste- ma di sincronizzazione Auricle). Per ragioni di sintesi sceglieremo di attenerci anche noi a questo limite, anche perché lo stesso testimonia coerentemente di una trasformazione

(di tecnologie, di mentalità compositiva e di assetto produttivo) che per essere esaurien- temente descritta meriterà in futuro un’autonoma trattazione.

Il processo di sincronizzazione ha inizio già allo spotting, con la redazione – se il percorso prescelto dal compositore è quello tradizionale – delle spotting notes7 che daranno le coordinate essenziali di inizio e fine cue e delle timing notes che eviden- zieranno gli snodi drammatici principali di ogni singolo cue, con indicazioni dramma- turgiche dettagliate emerse dalla discussione della sequenza con la regia e con la pro- duzione creativa. Compositore e regia prendono appunti sul timing accurato di ogni hit e di ogni sync point – vale a dire, momenti dell’azione che potranno, a seconda delle scelte operate in corso di composizione, essere “accentuati”, “colpiti” dalla musica o nei cui confronti la musica dovrà reagire in qualche modo. Ricevute dal music editor le timing notes il compositore comincia a lavorare sui singoli cues. In relazione al tipo di cue e alle caratteristiche musicali dello stesso verrà progettato il metodo di sincroniz- zazione più adeguato. Poniamo il caso di una sequenza che non necessiti di punti di sincronizzazione estremamente accurati (e che richieda uno o al massimo due hit per brano), che il tipo di musica composta per la sequenza in esame sia essenzialmente non ritmica, abbia un tempo flessibile, un’espressività fluente che possa supportare il ruba- to, o accelerandi e ritardandi senza pregiudicarne la resa. All’estremo di questo tipo di cue, una musica che scorre sulle immagini stabilendo un’atmosfera e un mood senza al- cun punto di sincronizzazione è comunemente riferita come washing through the action8 (che scivola sull’azione). Se queste sono dunque genericamente le caratteristiche del cue è preferibile che lo stesso venga eseguito in tempo libero (free time), il che non significa naturalmente senza indicazione di tempo musicale, ma senza ausili di sincronizzazione forte. Un free time è usualmente preferito a una click track – cioè, genericamente, una traccia metronomica in cuffia per direttore d’orchestra e musicisti – per la libertà, per la “naturale” espressività con cui il brano potrà essere eseguito dal direttore alla sessio- ne d’incisione. Continuiamo a seguire il nostro esempio e supponiamo di trovarci di fronte a un classico cue per una commedia romantica. Le spotting notes richiedono al compositore la realizzazione di un brano che accompagni il dialogo dei due protagonisti principali. Il cue offrirà al compositore una serie di spunti drammatici interni da inten- dere non tanto come precise azioni, quanto piuttosto come possibilità di interpretare musicalmente la reazione a ciò che viene detto. È probabile che questi snodi drammatici diventino punti di sincronizzazione per la musica, ma anche che gli stessi siano deboli e non richiedano il rispetto di un sync estremamente accurato; piuttosto, si tratterà di una sincronizzazione perfettamente eseguibile dal direttore in sede d’incisione sulla sequen- za filmica. Nel caso in cui il cue sia stato composto ad arte e una forma di sincronizza- zione debole sia già suggerita dalla musica, il direttore potrà sincronizzare l’esecuzione all’evento filmico con buona approssimazione; anzi il margine d’errore – in particolare in alcuni generi, come la commedia romantica o quella drammatica – e la naturale ten- sione della performance orchestrale nel cercare il sincrono, daranno al cue molta della forza partecipativa che si rende necessaria: l’imprecisione, il leggero asincrono non sa- ranno in questo caso aspetti deteriori, ma diverranno tratti espressivi caratterizzanti del discorso musicale.

Non è superfluo rilevare en passant che già questa piccolissima constatazione – e cioè il fatto che l’asincrono sia meglio tollerato per determinate tipologie di eventi fil-

mici e che anzi contribuisca a caratterizzare la cifra drammaturgica di alcuni generi filmici –, è estremamente densa: è, essenzialmente, una questione di presenza dell’or- chestra in relazione agli eventi, di equilibri di forze in seno al supernarratore filmico. Differenti generi filmici sperimentano differenti distanze tra musica e immagine9: nella commedia o, anche, nei momenti romance dei generi d’azione, l’orchestra deve esse- re riconoscibile come tale, con una partecipazione para-attanziale, come “voce d’or- chestra” (l’illusione convenzionalmente costruita, e auralmente perseguita dagli in- gegneri del mix, di un’orchestra collocata sotto lo schermo, in un immaginario golfo mistico), come presenza acusmatica coordinata allo spazio aurale e allo spazio imma- ginario di una voce-over, dunque come narratore che partecipa con il proprio discorso, con la propria testimonianza (in ciò si articola primariamente l’idea di una distanza)10 all’evento drammaturgico complesso che è in corso: asincronismi e imprecisioni lievi non faranno che enfatizzare questa modalità di partecipazione drammaturgica.

Per quanto concerne i cues in free time, il music editor, con l’accordo del compositore e del direttore potrà preparare per l’incisione alcuni ausili visuali alla sincronizzazione: punches, streamers e flutter punches (anche detti reference punches). Gli streamers consi- stono in barre verticali che scorrono orizzontalmente sullo schermo fronte direttore; i punches, in brevi serie di flash luminosi. Punches e streamers vengono oggi generati via software sulla versione digitale del film (ad esempio tramite sistema Auricle)11, mentre nella prassi analogica, in anticipo sulla sessione, il music editor preparava fisicamente la pellicola, lavorandola su un’apposita streamer board 12: scalfendo per mezzo di una punta l’emulsione di una copia del film, egli incideva lo streamer su ogni singolo fotogramma alla distanza prefissata e in posizioni proporzionali tali da generare il movimento regola- re della barra verticale. Lo streamer è in genere bianco, dal momento che l’emulsione non è più presente nella zona in cui è stata incisa la barra verticale. Un altro tipo di streamer (warning streamer) è posto all’inizio della sequenza musicale, in genere all’inizio del conteggio delle misure battute fuori, ed è di colore differente: giallo o rosso. Esistono tre tipi differenti di misure temporali per gli streamer: essi possono venire incisi a 3, 4 o 5 piedi di distanza, generando dunque tre diversi intervalli temporali impiegati dalla barra verticale per raggiungere l’estremità opposta dello schermo, precisamente 2, 2,6 e 3,2 secondi (lo streamer di 3,2 secondi è di gran lunga il più usato). Lo streamer è posto in modo da terminare con esattezza sul fotogramma centrale del punto di sincronizza- zione13. Il punto di sincronizzazione, già evidenziato dallo streamer, è marcato da una serie di flash luminosi, cioè i punches. Nel processo analogico ogni singolo punch era in origine costituito da un foro praticato centralmente sul fotogramma, cosicché più serie di punches davano luogo alla breve sequenza di flash. Anche i punches sono realizzati oggi elettronicamente sulla sequenza digitale del film, mediante la sovrimpressione di un ovale o di un cerchio bianco sul fotogramma (Figura 1 e 1b). Tra i due estremi della click track e il cosiddetto recording wild (incisione libera), ovvero senza nessun ausilio di sincronizzazione lo streamer è per il direttore d’orchestra il tipo di ausilio visuale più morbido: permetterà cioè di ottenere una performance fluida e naturale, non irreggi- mentata da una traccia metronomica in cuffia. I flutter punches sono una via intermedia. Si tratta di punches posti a distanza regolare – distanza calcolata con i metodi di con- versione che prenderemo in considerazione tra breve – in corrispondenza di ogni misura musicale14: per sequenze molto lunghe il direttore può rendersi conto dell’anticipo o del

ritardo sul tempo e apportare le necessarie correzioni in corso d’esecuzione15. A streamers e punches corrispondono segni diacritici che, a seconda delle preferenze di compositore e direttore, possono essere riportati in partitura con il segno “+” o “⊕” per i punches e “⊣” per gli streamers. È da menzionare il fatto che, in ulteriore aggiunta agli ausili qui citati e per chiarezza di referenza temporale, lo schermo in sala presenta anche il window burn, ovvero un riquadro sovrapposto all’immagine che riproduce il minutaggio SMPTE per la sequenza (relativo all’intero film o alla specifica sequenza); il riferimento SMPTE è utile poiché, rispetto a streamers e punches, che sono ausili visivo-processuali, il window burn consentirà agli addetti ai lavori, soprattutto per ciò che concerne lo scambio tra cabina di regia e podio, di riferirsi a specifici intervalli o fotogrammi del film e di iden- tificarli con precisione.

Figura 1 Tre istanti di uno streamer da 2,6 secondidurante l’incisione del main title di Lilo & Stitch (2002, di Dean DeBlois e Chris Sanders), con le musiche di Alan Silve- stri. In alto sullo schermo il window burn con le informazioni temporali. Nella quarta immagine: uno streamer nella prospettiva del direttore (lo stesso Silvestri). Nella quinta immagine un istante dei punches (il cerchio bianco al centro dell’immagine) generato elettronicamente, come una serie di (tre o più) rapidissime pulsazioni luminose sul sync point al termine dello streamer. (Le immagini sono tratte dal Making-of della release DVD del film).

Come metodo intermedio tra il wild e gli ausili visuali può essere utilizzato – sebbene la pratica sia ormai desueta – uno stopclock, vale a dire un orologio di grandi dimensioni per mezzo del quale direttore e music editor controllano se la durata complessiva del cue è stata rispettata. Questo è, tra gli ausili alla sincronizzazione, il metodo meno preciso: non consente sincronizzazioni fini, determinando dissincronismi che possono superare gli 8 fotogrammi, dunque superiori alla soglia percettiva differenziale (che sta in media tra i due e i tre fotogrammi)16; il metodo garantisce tuttavia, come nella registrazione completamente libera, una grande flessibilità e versatilità di interpretazione musicale nel caso non si abbia la necessità di rispettare hit molto precisi.

Se invece la sequenza filmica ha un numero di hit elevati e richiede frequenti punti di sincronizzazione estremamente accurati (denominati dead hits oanche hard hits)17, e se, contestualmente, il brano è caratterizzato da un tempo rigido, per cui anche i sottili aggiustamenti che vengono operati dal direttore in presenza degli aiuti visuali rischiano di influire negativamente sulla quadratura del tempo musicale; o, ancora, se il cue verrà costruito tramite sovraincisione (overdubbing) e sovrapposizione in una o più registra- zioni successive delle differenti sezioni orchestrali, in tutti questi casi il metodo utiliz- zato di preferenza è la click track. L’impiego di una traccia metronomica in cuffia sin- cronizzata alla velocità di scorrimento della pellicola non è tuttavia così semplice come potremmo superficialmente supporre: tecniche e metodi di calcolo per la composizione e per la successiva incisione di un brano musicale mediante l’impiego di una click track costituiscono non a caso il cuore dell’artigianato musicale-filmico relativo alle tecniche di sincronizzazione musica/immagine e hanno dato storicamente luogo a stratificazioni tecniche che riverberano ancora nella prassi contemporanea. Per ricostruirne la comples- sità processuale e, nel contempo, per tentare di dar conto sinteticamente della filogenesi storica del metodo, ci lasceremo guidare da un esempio tratto dal manuale Hagen, qui modificato ad hoc al fine di far emergere alcuni nodi che riteniamo di interesse critico.