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Il costo dell’intero processo produttivo musicale è estremamente elevato, ma vale la pena ricordare che è, tutto sommato, una piccola voce del costo complessivo del film. Indi- cativamente, per range produttivi alti, considerate le molte variabili, pesa solo per lo 0,3%, 0,9% del budget totale1. Si consulti la Figura 1 per un prospetto esemplificativo delle spese

del costo di post-produzione musicale sul film Tomb Raider: The Cradle of Life (Lara Croft Tomb Raider: la culla della vita, 2003, di Jan de Bont). Le pressioni saranno in primo luogo esercitate sul compositore in ragione dello sforzo economico e delle aspettative in gioco. Il compositore è coinvolto relativamente tardi nel progetto dal momento che la realizzazio- ne della colonna sonora appartiene, con le debite eccezioni, alla postproduzione2. Di qui i

tempi stretti. Non è impossibile che fasi preliminari abbiano inizio anche prima: qualche abbozzo tematico potrà ad esempio essere oggetto del lavoro del fortunato compositore che si trovi in questa condizione, sulla base della sceneggiatura o di uno scambio prelimi- nare con il regista, mentre il film è ancora in produzione, ma è prassi che il film sia giunto a una versione di montaggio relativamente stabile e che al compositore sia presentato al- meno un rought cut3, perché egli concretamente possa cominciare a lavorare. Il fatto limita

necessariamente alla postproduzione il tempo disponibile per creazione, registrazione e missaggio preliminare della musica, con una media di 3-6 settimane in tutto.

«I don’t want to make you nervous, but this session is costing a little over than thou- sand dollars an hour»4. Questo è il rilassante messaggio che un produttore è felice di

comunicare a Richard Bellis cinque minuti prima che cominciasse a dirigere una sessio- ne di registrazione. Il rapporto tra costi dell’orchestra e tempo destinato alla recording session è decisivo per comprendere le tensioni tra comparto musicale e produzione: ogni sforzo è stato compiuto nei giorni precedenti per ridurre al massimo costi e tempi della registrazione con le sezioni d’orchestra5, ma ci sono sempre incognite che non è possibile

prevedere. Da quelle più strettamente tecnico-musicali non tanto o non solo per quanto attiene alla difficoltà d’esecuzione orchestrale – di cui il compositore tiene conto già in fase di scrittura modulando la difficoltà di ogni cue sul tempo a disposizione – quanto per l’eterogeneità dell’organico o per una prassi non standard, ad esempio l’impiego di strumenti dall’acustica non compatibile con la registrazione dello spazio sonico orche- strale, che richiedano di conseguenza una presa microfonica e un isolamento ad hoc; o ancora per la presenza di ampie parti elettroniche, che richiede un notevole sforzo di co- ordinamento in sede di incisione. Ma soprattutto, non è pienamente prevedibile la prima reazione dei filmmaker di fronte allo score, di conseguenza la quantità di riscritture, grandi o piccole, che saranno richieste al compositore. Uno dei rischi è dunque quello di ricorre- re a sessioni prolungate o supplementari, che hanno un impatto pesante sui costi, perché le sessioni americane sono rigidamente regolate da accordi sindacali federali che impon- gono un compenso doppio per gli straordinari degli strumentisti. Ci sono poi problemi logistico-organizzativi: la disponibilità di studi, strumentisti e specialisti non è assicurata, perché gli stessi potrebbero essere impegnati per un altro progetto, e il ricorso a nuovi studi e nuovi musicisti in regime di emergenza implica costi aggiuntivi rilevanti.

ro comparto musicale vivono una grandissima partecipazione emotiva, catartica, in cui le tensioni creative e produttive messe in opera nelle settimane precedenti si sciolgono. Ma uno dei momenti più tesi e coinvolgenti dell’intero processo produttivo è quello che precede la prima incisione e in genere le prime sessioni – quando il lavoro, nel rapporto da un lato tra compositore, orchestra e tecnici, e dall’altro tra compositore e filmmaker, non è ancora rodato e definitivamente instradato verso uno svolgimento positivo:

At two minute to the down beat the contractor will take the podium and announce, “Ladies and Gentlemen, good morning. This is a film session for XYZ Productions and our com- poser this morning is…”. The orchestra will start to tune and… You take the podium7.

If you are the composer, this is your show8.

Qui la musica incontra davvero per la prima volta la macchina del cinema: un mo- mento di verità per l’intero progetto compositivo, una performance cui parteciperà, al completo, l’intero comparto musicale. I rituali di sessione sarebbero incomprensibili se non tenessimo conto di questo aspetto: agli occhi delle maestranze e dei filmmaker riu- niti in sala di incisione, la musica è uno spettacolo nel più vasto spettacolo del cinema. Fattori tecnici, ragioni estetiche e diplomatiche, determinano l’ordine di incisione dei cue, diverso da quello in cui i brani compariranno nel film. Nei primi momenti di una sessione di incisione una complessa rete di negoziazioni è in atto: con i primi cue non solo verrà ricompensato il lavoro di settimane di un intero comparto musicale, ma si decideranno i rapporti tra compositore e filmmaker e, fatto non secondario, il coinvolgi- mento e la partecipazione attiva di musicisti e orchestrali.

Le ricorrenze narrative prevedranno quasi invariabilmente momenti in cui la musi- ca è chiamata a celebrare uno spettacolo9 (nella retorica proposta dal mainstream, un

momento metadiegetico in cui è sempre lo spettacolo del cinema, prima ancora che uno spettacolo nel film, a essere celebrato)10. Se questo è il caso, dopo uno o due cue seconda-

ri di assestamento il compositore comincerà preferibilmente da qui, «mostrando i mu- scoli» e cercando di impressionare i filmmaker, portando dalla sua l’orchestra e l’intero comparto: un buon lavoro sui primi cue orienterà positivamente l’intera sessione. Un vero e proprio principio drammaturgico orienta le sessioni; una drammaturgia interna, prodotta da e per gli addetti ai lavori – che non è solo rivelatrice dei canoni spettacolari del cinema ma, in questa fase, eccellente punto di osservazione per l’intreccio di valori estetici, ideologici, produttivi che ne presiedono il rituale. Le tensioni che si accumulano sono maieutiche per la performance, lasceranno viva traccia e segno di sé nella registra- zione. Per ogni fonte che lamenterà l’inizio di sessione come il momento di gran lunga più insopportabile e stressante per il comparto musicale potremmo rilevare, con occhio etnografico, l’importanza che tutte le sessioni continuino a essere così per i protagonisti: un intreccio di pressioni artistiche, commerciali, organizzative ed esecutive, una bolla inesplosa di energia. È, in fondo, per la comunità di artisti coinvolta, il migliore antido- to contro un processo creativo così pesantemente industrializzato: la tensione ricompone una presenza – un esserci che in larga misura deciderà natura e carattere della voce d’or- chestra nel film – e che affrancando almeno per un momento dall’alienazione imposta dalla particolarità del medium11, riporta, in seno alla macchina del cinema la vicenda

della musica alla dimensione di rischio, di limite che le è propria: quella cioè di essere Figura 1 Documento riassuntivo delle spese sostenute per il film Tomb Raider: The

Cradle of Life (2003 regia di Jan de Bont), musiche di Alan Silvestri analitico per voci: la musica è la seconda voce dei totali di produzione (tratto da http://www.edwardjayep- stein.com/laracroft1.htm, ultimo accesso: 12 dicembre 2011).

una performance – un antidoto, dunque, a quella che avevamo altrove descritto come la progressiva autonomizzazione del sinfonismo cinematografico.

Nelle pagine che seguono concentreremo l’analisi sul rapporto tra compositore e film- maker, al fine di comprendere quali sono, nella prassi, possibilità e limiti dell’intervento di produzione e soprattutto della regia in questa fase del processo.

L’aneddotica tende qui a polarizzarsi fortemente, insistendo talvolta sul radicale an- tagonismo di compositore e filmmaker, talvolta, soprattutto nel caso di una collaudata e reiterata collaborazione, presentando questo rapporto come un vero e proprio sodalizio, all’insegna di una completa e reciproca apertura. Nessuno dei due punti di vista rende ragione della natura della relazione e delle tensioni in gioco. Come rileva Faulkner:

To emphasize the possible cooperation between composer and filmmaker may be mislead- ing, because the materials suggest that work with an informed filmmaker allows each to express dependence and independence, both cooperation and antagonism. […] The more the project and work relationship allow a freelancer to express both independence and de- pendence both antagonism and cooperation, the greater his involvement in the project. […] A project in which film composer and filmmaker easily cooperate should be less satisfying than a project in which they alternate between fighting and seeing eye to eye. […] Greater involvement in work and greater work satisfaction happen when composers are forced to compete and cooperate with their clients12.

Le nostre fonti concordano pienamente: la migliore descrizione della relazione è quel- la di un antagonismo cooperativo, particolarmente evidente nella sessione di incisione. In sede storica e critica si è molto insistito sul cinema come arte collettiva, sul ridotto potere del regista nel cinema americano. Questa idea del cinema come arte collettiva va estesa al comparto musicale: ma se il processo compositivo della musica – l’abbiamo a più riprese sottolineato – è un vero e proprio percorso condiviso, non va disconosciuta la reale natura dei rapporti di forza tra filmmaker e compositore. Produzione, regia e composizio- ne sono legate, anche dal punto di vista contrattuale, da una relazione gerarchica, vertica- le, nella quale il compositore è al gradino più basso. Anche se si danno casi esemplari di collaborazione paritaria e, nella stragrande maggioranza dei casi, verrà rispettata la compe- tenza di cui è depositario, il compositore è alle strette dipendenze di regia e produzione.

L’insistenza delle fonti sulla totale cooperazione di regia e compositore ha, nella mag- gior parte dei casi, ragioni strettamente diplomatiche. Ma una condizione di antagonismo cooperativo non deve essere considerata sfavorevolmente: essa è anzi funzionale all’istitu- zione di una positiva tensione creativa tra le diverse competenze di compositore e regia.

Come si è visto, la soluzione positiva del conflitto fra il controllo esercitato dai film- maker e l’integrità artistica del compositore è per quest’ultimo una questione centrale per garantire una permanenza all’interno del network sociale e un avanzamento di car- riera. In questa tensione, viva nel corso dell’intero processo, ma che raggiunge il suo apice alla recording session, non si depositano dunque le tensioni di singole relazioni in- terpersonali, il lavoro di un singolo film; ma, più profondamente, vi si scarica il peso dell’intera struttura sociale e delle regole che la governano.

Il regista è di solito molto attento al modo in cui l’intervento della musica ristruttura la narrazione. Vorrà esercitare un controllo stabilendo tono, stile e concept generale della

musica13. Se il contratto prevede contestualmente la commercializzazione di un album

con le musiche del film, i produttori esecutivi cercheranno di imporre al compositore l’osservanza di criteri commerciali, di coerenza di brand e la riconoscibilità di genere per assicurarne il successo sia come realizzazione musicale indipendente, sia come richiamo spettacolare al film. Regia e produzione non sono le uniche competenze in grado di eser- citare una profonda influenza sulla musica. Karlin e Wright, in una sezione introduttiva dedicata alle figure professionali con cui il compositore entra in contatto, arrivano a sti- lare un elenco delle professionalità che possono incidere sulla musica, nell’ordine:

a. regista; b. produttore; c. montatore;

d. supervisori musicale e music executive; e. editor musicale.

In sostanza, tutte le professionalità coinvolte. Viene in mente la nota massima di Al- fred Newman: ad Hollywood «everybody knows his own job – plus music!»14.

Alcune forme di pressione sono sottili, apparentemente trascurabili nel rapporto ge- rarchico che tra compositore e figure tecniche è stabilito all’interno del comparto mu- sicale. La manualistica, unanime nell’attenzione alla dinamica relazionale del processo compositivo, considera la capacità di mediare tra queste diverse influenze una preroga- tiva essenziale del compositore.

Alcuni produttori esercitano sul progetto musicale una profonda influenza affin- ché questo risponda alle strategie di posizionamento della casa di produzione. Klaus Badelt testimonia ad esempio così a proposito del ruolo del noto produttore Jerry Bruckheimer:

Jerry does expect a certain style. He has certain tunes in mind, even though he is really not a musician. If you would ask him, I’m sure he would tell you he has no clue about music, but he does have a very good feel for it and for what he wants. The music in his films has a certain style, and you can recognize them by that. If you write a score for him, you expect to deliver that. Yet you know, there are still opportunities to put your own personality in there […]. With Pirates of the Carribean, the overall sound is very Jerry15.

Bruckheimer stabilisce dunque relazioni privilegiate con una serie di compositori in grado di realizzare le sue aspettative (tra gli altri, Badelt, Zimmer, Rabin). Sul coinvolgi- mento creativo del produttore nella realizzazione del progetto musicale di Con Air (1997), testimonia Rabin: «Jerry just did everything. [Director] Simon West really had very little input»16. Analoga influenza è esercitata da Bruckheimer in Armageddon (1998, di Michael Bay, musiche di Trevor Rabin e Harry Gregson-Williams). Parte delle pressioni che gra- vano sul compositore possono dunque essere determinate dal sonic branding17 delle case di produzione, talvolta – come nel caso di Bruckheimer – di singoli produttori che co- struiscono la propria riconoscibilità mediante il ricorso a canoni spettacolari cui la musica dovrà conformarsi (una prospettiva potenzialmente molto efficace nel rendere conto dei fenomeni e delle tensioni che attraversano il mainstream contemporaneo).

ni differenziate: Bellis sottolinea ad esempio la centralità del film editor18, il montatore,

con il regista figura di continuità del processo produttivo. Su alcune sequenze musica e montaggio lavoreranno in strettissima sinergia e il montatore potrà rivelarsi un alleato del compositore, agevolandone il compito, o irrigidirsi nella difesa di opzioni di montaggio che possono complicare enormemente il lavoro di sincronizzazione. Non si tratta di aspet- ti meramente tecnici o artistici, ma di dinamiche di potere e alleanze stabilite anche in virtù dell’affinità tecnica. Se ad esempio il music editor ha collaborato positivamente con il compositore in tutte le fasi precedenti, sarà probabilmente un suo importante alleato nella più delicata fase di elaborazione e missaggio dell’intera colonna sonora, il dubbing.. Grandi compositori, ma anche grandi registi, hanno un editor di fiducia che conosce i loro orientamenti musicali e drammaturgici, ma può ancora accadere che questi sia uno stabile collaboratore della produzione. A partire da uno stesso ruolo, tre diverse linee di tensione sono dunque possibili. Nel momento in cui un compositore lavora per la prima volta con una regia importante, è probabile che i filmmaker abbiano preventivamente coinvolto nel nuovo progetto il proprio editor musicale di fiducia. Questi, figura di continuità per la re- gia, sarà in questo caso un potente mediatore tra i mondi e le preferenze musicali di film- maker e compositore. Se l’editor musicale è coinvolto alle dipendenze del regista (situazione che occorre con grandissima frequenza) si occuperà anche di alcune operazioni prelimina- ri determinanti per la vita musicale del film. Ad esempio, creerà assieme al montatore una colonna sonora temporanea per le dailies e per gli screenings di regia e produzione. In fase avanzata di montaggio, quando il film è già uscito dalla produzione e si avvicina al rought cut, realizzerà le temp tracks, utilizzate per agevolare alcune fasi della lavorazione – la musi- ca influisce ad esempio profondamente sulle scelte di montaggio – o per anticipare l’effetto spettacolare di alcune sequenze che senza musica risulterebbero incompiute (nell’ottica di regia e montatore, soprattutto le sequenze d’azione hanno un “disperato” bisogno di mu- sica per sembrare credibili)19. Verrà successivamente coinvolto il compositore che, per le

precedenti esperienze e per affinità stilistica, editor musicale, regista e produzione insieme, pensano sia miglior candidato a sviluppare un progetto già profondamente orientato su linee guida stilistiche e compositive decise dalle temp tracks. Anche se nelle fasi successive l’editor si ritirerà di buon grado nella pure importantissima opera di mediazione tra regista e compositore, e nel ruolo tecnico di cui è competente (si veda nello specifico il Cap. 4), le scelte preliminari di cui si è reso responsabile influenzeranno fortemente il destino del progetto musicale del film. Non solo: se lo si considera quale figura di continuità da film a film egli è garante di una stabilità dell’idioma musicale filmico contemporaneo, figura di mediazione attraverso cui si esercita concretamente la forte conservatività del mainstream, la persistenza stilistica e la circolazione di formule e cliché con cui il compositore dovrà creativamente confrontarsi.

Attraverso le temp tracks, registi e produttori tenteranno di esercitare un controllo con- creto sul progetto musicale, ricorrendo a role models per condizionare il lavoro del com- positore. Ma spesso le linee guida possono essere contraddittorie. Il compositore rischia talvolta di dover mediare tra esigenze e visioni del funzionamento della colonna sonora nel film, della generale attitudine o dello stile della musica che non sono di fatto conciliabili. La peggiore situazione, di cui testimoniano diverse fonti20, è quella in cui il compositore

è stretto «tra incudine e martello» di produzione e regia, non solo per le contraddizioni determinate dalla scelta di role models inconciliabili, ma, ad esempio, perché differenti montaggi di una sequenza, uno espressione delle scelte di produzione, l’altro della regia,

costringono il musicista a continue ed estenuanti riscritture di uno stesso cue. La debolezza di un progetto musicale può talvolta originare da un’incerta e contraddittoria attribuzio- ne di genere al film, tra una produzione che vorrebbe iscrivere scene e mood generale delle musiche nell’alveo di specifici codici e una regia che vorrebbe invece sciogliere la dram- maturgia musicale all’interno di opposti modelli di azione-ricezione. Contraddizioni che si traducono, dal lato della musica, in una concettualizzazione incerta per il compositore. Baby’s Day Out (1994), musiche di Bruce Broughton, è uno dei tanti esempi in questo sen- so. Lo sceneggiatore e produttore John Hughes e il regista Patrick Johnson sembrano avere diverse visioni in merito all’appartenenza di genere del film. Racconta Broughton:

Actually, there was some confusion in the movie – the director and the producer didn’t agree about the way the movie should go. I think that if John had entirely had his way, it would have been a flat-out slapstick comedy. Patrick didn’t see it that way. He saw it as a typical family film. He thought it had much more to do with the baby and family values than the slapstick thing. When I first started working on the film, Patrick wasn’t around. I had to rework the film when he came back because, for whatever reason, they decided to go Patrick’s way. I thought it was just a hysterically funny film, but Patrick said that we didn’t want the audience to think of it as a funny film, we wanted them to think of it as a warm film. I said, “Say what?”. He said, “We want them to feel as though the family has been re- united”.The focus of the film whether it was comedy or warmth, was very confusing to me21.

Il passo mette bene in luce come l’ambiguità del caso non sia determinata solamente a livello di referenze stilistiche a generi incompatibili, ma da problemi retorici più generali e sottili: nello slapstick non è all’opera un insieme unitario di regole idiomatiche prede- finite; esso contempla un uso ironico di tutte le convenzioni musicali filmiche esisten- ti, spesso impiegate dal compositore con consapevole sarcasmo proprio nel loro valore di cliché. L’ambiguità qui si gioca più sottilmente sul terreno dell’ironia (che è nozione