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Lo scoring mixer (recording engineer nella denominazione inglese ed europea)115 è uno

dei ruoli tecnici più delicati dell’intero processo produttivo musicale. L’importanza non è solo proporzionale all’alta specializzazione di base di cui un fonico di missaggio musi- che deve essere in possesso per effettuare buone registrazioni orchestrali, ma è in misura maggiore determinata dal fatto che, almeno nelle tendenze degli ultimi venti/trent’anni, il missaggio diventa un importante strumento creativo a disposizione del compositore. In ragione di questa trasformazione, il ruolo dello scoring mixer acquisisce nella pratica attuale margini di intervento e collaborazione creativa con il compositore precedente- mente sconosciuti. Questa non è che l’ultima fase di un fenomeno sempre più marcato

di radicale autonomizzazione del sinfonismo hollywoodiano – e in genere del sinfoni- smo da studio – che ha ormai, come si può intendere, una certa profondità storica116. La

sempre più raffinata resa sonora del medium cinematografico (almeno a partire dal per- fezionamento di standard e riconoscimenti qualitativi: prima con i vari sistemi Dolby seguiti da formati concorrenti come SDDS e DTS117, poi con il THX della Lucasfilm, in

parallelo allo sviluppo di tecnologie di spazializzazione e simulazione dello spazio aura- le) ha profonde ricadute non solo sul Sound Department, ma anche sul missaggio musica e sulla concezione del progetto drammaturgico da parte del compositore. Ciò non signi- fica soltanto che il compositore può progettare con grande precisione una spazializzazio- ne delle sezioni o di singoli timbri ed effetti utilizzando come uno strumento creativo118

il campo aurale ma, più sottilmente, che esso stesso – immagine aurale dell’orchestra – diviene luogo di autonoma esistenza del musicale. Un acousmêtre insomma che si eman- cipa progressivamente dal medium (e con ciò dalla sua convenzionale sociabilità) che in origine questo genere di sinfonismo mirava a simulare, ovvero l’illusione convenzional- mente costruita, e auralmente perseguita dagli ingegneri del mix, di un’orchestra collo- cata sotto lo schermo, in un immaginario golfo mistico119. Federico Savina, sensibile al

rapporto drammaturgico complesso cui dà vita il mixage, nel necessario riequilibrio tra tutti gli elementi della colonna sonora, parla a questo proposito di panoramic sound (o di suono aperto) per identificare il campo aurale che, sia nella prassi americana, sia in quella europea, viene progettato per l’orchestra: un suono che venga recepito dallo spettatore senza tuttavia informarlo sulla sua fonte – «un suono non puntato», «una pasta di suono che non ha presenza», ottenuta collocando i microfoni non solo frontalmente, ma anche attorno all’orchestra. Si evitano infatti prese microfoniche troppo circoscritte, meno che mai strumento per strumento: il risultato sarebbe in quest’ultimo caso un suono orche- strale troppo definito, in cui ogni oggetto sonoro pretende la nostra attenzione, ci infor- ma sulla sua provenienza, rompendo l’incanto aurale del commento musicale: «non il singolo strumento, ma l’impasto che ogni strumento crea assieme agli altri [...] purché non si perda l’unità dell’orchestra» e perché la musica, pur avvolgendo lo spettatore, non impedisca di udire, per esempio, il respiro di un attore in scena (quest’ultimo, un suono puntato che esige tutt’altra presenza acustica)120-121.

Già nel sogno di Bayreuth l’opera aveva corteggiato l’idea dell’invisibilità della musi- ca, sperimentandone la potenza; il cinema realizza questo desiderio. Le relazioni feconde tra l’orchestra, la sua mediazione tecnologica e il campo sonoro autonomo cui dà luo- go, che sono sempre relazioni di senso, non tardano a essere esplorate dai compositori122.

Poledouris progetta uno spazio sonico antifonale per Starship Troopers (Starship Troo- pers – Fanteria dello spazio, 1997, di Paul Verhoeven)123, Elfman e il suo orchestratore

Steve Bartek progettano minuziosamente la “presenza” sonica di una espansa sezione di ottoni in Planet of the Apes (Planet of the Apes – Il pianeta delle scimmie, 2001, di Tim Burton)124: il campo sonoro è un luogo di intuizioni drammaturgiche, il sound design

stesso è parte dell’elaborazione del concept musicale del film. In Aliens (Aliens – Scontro finale, 1986, di James Cameron, musiche di James Horner), un equipaggio di soccorso fa ingresso entro un settore di una colonia planetaria con cui è stato perso ogni contatto nei giorni precedenti. Gli echi dello spazio esplorato sono prodotti sia dagli SFX sia da brevi accenti degli archi (tastiera battuta col legno), effetti che ricorreranno lungo il film, spazializzati lontano e con un delay ripetuto di circa mezzo secondo, come una falsa eco; tale semplice dispositivo drammatico, che Horner eredita dal più celebre score di Jerry

Goldsmith per Alien (1979, di Ridley Scott), interpreta tensivamente lo spazio, descrive il fuoricampo dello sguardo, realizzando dei veri e propri crescendo di prossimità. Una tensione percettiva è in atto, ogni qualvolta la musica, confondendosi con il suono e anzi perseguendo questa ambiguità, esplora, alla stregua di un sonar, lo spazio della diege- si125: una delle più profonde funzioni biologiche del campo aurale diviene qui espediente

tensivo, formula reiterata in centinaia di film (soprattutto d’azione e fantascienza): in una sequenza d’azione molti frammenti della partitura sono progettati in funzione del missaggio, del processamento e della radicale spazializzazione che riceveranno.

Ancora, il suono orchestrale potrà sommergere lo spettatore, oppure “appiattirsi” sul- lo schermo, a seconda delle esigenze drammaturgiche: il campo aurale si specializza e si raffina per operare sulla mimesi, conducendo lo spettatore dentro e fuori dal racconto. Gli ingegneri del mix intervengono sulla spazializzazione di alcuni cue contribuendo a rafforzarne l’efficacia retorica. Nel corso del main title, operando alla stregua di una overture, la musica potrà ad esempio portare lo spettatore nel racconto ancora prima che le immagini abbiano cominciato a mostrare qualcosa (in termini greimasiani, la musica si incaricherà in questo caso di produrre un vero e proprio debrayage)126. In momenti di

particolare intensità retorica – ad esempio nel corso di un overview statement – la musi- ca, attraversando la quarta parete, oggettiva l’immagine ristabilendo un hic et nunc della narrazione (un embrayage), riconducendo a un’istanza di enunciazione e distanziando come in una deissi il racconto per immagini. Una retorica che determinerà naturalmen- te un profondo coinvolgimento dello spettatore, invitato come testimone a fruire della storia, ora percepita, per mezzo della musica, attraverso la cornice di un embrayage.

Differenti generi sperimentano molteplici distanze musica/immagine: come ben sanno gli ingegneri del mix e gli stessi compositori, lo spazio aurale dell’azione è incomparabile con quello, poniamo, del romance; ma la collocazione nel campo aurale, una maggiore o minore prossimità agli eventi, consente di porre una questione più profonda: ogni genere progetta la presenza dell’orchestra sciogliendone il paradosso secondo i propri fantasmi at- tanziali (e.g. un golfo mistico nel romance vs. una breccia che sempre è aperta tra diegesi ed extradiegesi, ad esempio, in una sequenza d’orrore).

La ricerca del nuovo suono, lo sperimentare nuove forme di presenza della musica – nuovi spazi e dunque nuove interazioni – è anche una delle regole del gioco e della spie- tata competizione commerciale in seno agli studi di missaggio. Sostiene lo scoring mixer Alan Meyerson: «o metti la tua firma sul suono e fai qualcosa di speciale, o non stai sul mercato»127e il missaggio musiche è in effetti uno dei luoghi creativi più “sperimentali”

e mobili dell’intera e conservativa compagine musicale cinematografica. Il sinfonismo hollywoodiano è, com’è noto, pesantemente mediato, drogato, dall’intervento dell’en- gineering: i bilanciamenti tra sezioni sono completamente e creativamente sovvertiti, la stessa scrittura, dal primo sketch (abbozzo) all’orchestrazione, tiene conto, come ulteriore livello di complessità e di riconoscibilità stilistica, delle possibilità offerte dall’ingegneria del suono e dalle tecniche di registrazione.

Lo scoring engineer ha in genere uno o due assistenti, ed è frequentemente un collabo- ratore abituale del compositore (e.g. Sands per Silvestri ed Elfman, Meyerson per Zim- mer). Non è possibile un’interazione fruttuosa tra mixer, compositore e orchestratori, se ognuna delle figure coinvolte non sa interpretare attitudini e preferenze dell’altra, svi- luppando nel corso di una duratura collaborazione convenzioni e codici comunicativi efficaci. Anche per questa ragione compositori esperti e affermati tendono a rifiutare i

“pacchetti” che offrono, assieme allo studio di registrazione, tecnici e fonici di missag- gio a prezzi vantaggiosi, preferendo negoziare contrattualmente il coinvolgimento di un professionista fidato.

Il mixer è coinvolto precocemente nel progetto: nella serie di riunioni preventive tra compositore e collaboratori è da annoverare sicuramente un incontro preliminare con il fonico di missaggio. Nel momento in cui, in seguito allo spotting il profilo del progetto musicale comincia a delinearsi, il mixer contribuisce a progettare la sessione di registrazio- ne, prevedendo i problemi che potrebbero sorgere o suggerendo quali strumenti o sezione dovranno essere registrate in overdub rispetto all’orchestra. Le decisioni prese da composi- tore e mixer sono determinanti al fine di realizzare correttamente il breakdown e l’ordine di registrazione dei brani. Un problema comune, ad esempio, determinato dal gusto attuale per le sezioni parossisticamente rinforzate di ottoni, è che il tipo di sonorità che per esse i compositori pretendono non è compatibile, in sede di registrazione sincrona, con le sfuma- ture delicate che contemporaneamente ricercano per i legni. Spesso per questo motivo ot- toni e legni non sono registrati contestualmente128 o vengono opportunamente mascherati

in isolation booth (si veda l’eloquente panoramica dell’orchestra nell’immagine in Figura 6b). Negli incontri preliminari con il compositore il mixer propone soluzioni tecniche per una registrazione efficace. Può ad esempio suggerire di registrare in isolamento acustico (in un’apposita isolation booth) o in overdub gli strumenti sonicamente incompatibili con lo spazio orchestrale: è il caso di molti strumenti “etnici”, che per una eccessiva delicatezza timbrica o al contrario, per una eccessiva potenza che rischia di causare rientri e saturazio- ni nei microfoni delle altre sezioni, scompaginando il tessuto timbrico del complesso or- chestrale. Dalle decisioni scaturite il breakdown orchestrale viene modificato ed è dunque fondamentale che il mixer partecipi attivamente alle riunioni preliminari da cui comin- ceranno a delinearsi le specifiche del progetto musicale. Anche tecniche e modalità della sincronizzazione verranno discussi con il mixer: egli comincerà a progettare con anticipo l’assetto dello studio di registrazione, dai particolari tecnici (numero di headsets per i mu- sicisti, numero di isolation booth per percussioni o strumenti speciali, tipi di overdub ecc.), a particolari che influiscono ancora più profondamente sul sound complessivo. Alcuni tipi di studi vengono ad esempio scelti per il tipo di riverbero che offrono in relazione alle sin- gole sezioni (sebbene su questo elemento si intervenga sempre più in fase di missaggio). Lo scoring mixer, spesso un musicista poi specializzatosi nel missaggio orchestrale, userà la partitura come strumento di lavoro, non appena disponibile, e a seconda delle caratteristi- che dello score progetterà la posizione più consona delle sezioni in sala. Se, ad esempio, due sezioni devono produrre figurazioni simili e ripetute non è opportuno siano tenute a di- stanza; se agli ottoni si affidano fanfare coplandiane si studia un’adeguata riflessione delle pareti – una presa microfonica riflessa – per ottenere un amalgama più compatto (un suo- no più “epico”, direbbe uno scoring mixer). Ancora, il mix offerto in cuffia a direttore, stru- mentisti e cabina di regia viene realizzato in base allo specifico cue e preparato in anticipo sulla base dell’orchestrazione definitiva: da quanto ogni sezione riceve in cuffia dipende la stessa auto-percezione degli strumentisti, e dunque la resa dell’intera orchestra. I tipi di microfoni, la presa microfonica, sono strumenti creativi con cui scoring mixer e composi- tore sperimentano diverse gamme di timbro, colore, progettando lo scope (l’aria, il campo sonoro) della musica, uno spazio aurale che verrà poi ulteriormente raffinato al mix, ma il cui esito dipende in stretta misura dall’incisione. Durante una recording session il mixer, assieme a music editor e orchestratore (se presente) è in grado di fornire il parere immediato

più affidabile sul cue appena realizzato; interviene dunque frequentemente nel processo per esprimere valutazioni, convalidare un take, o proporre al direttore d’orchestra – partitura alla mano – soluzioni che possano far risaltare determinati momenti del cue: il mixer può ad esempio suggerire che trombe e tromboni vengano tenuti verso l’alto nel corso di un inciso particolarmente enfatico129; o consigliare di correggere dinamiche apparentemente

ottime in sala, ma di resa inadeguata in rapporto alla presa microfonica adottata. Come quella di un direttore d’orchestra, la partitura del mixer è finemente studiata, densa di se- gni: marcando ad esempio in rosso le idee tematiche primarie e in blu quelle secondarie il mixer predispone il missaggio affinché l’incisione sia rapida ed efficace.

Un buon mixer, sottolinea il fonico di missaggio musiche Dan Wallin, è abituato a valutare la resa microfonica di una recording session sulla base dell’effetto cinematografi- co, più che sulla resa di sala: un sound buono per le gran vistas – il sinfonismo hollywoo- diano dei grandi spazi – non è necessariamente il suono ottimale di una registrazione or- chestrale concertistica: sarà un suono caratterizzato da una forte presenza della camera (dello spazio di sala), con molta “aria”130, un suono che costruisce la sua vastità a partire

dalla presa microfonica e dal bilanciamento di suono diretto e suono riflesso. A casca- ta, la prassi della registrazione orchestrale, informerà di sé altre competenze del dipar- timento musicale. L’orchestratore Pete Anthony dichiara ad esempio di orchestrare con un orecchio esplicitamente rivolto alla recording session, in modo da lasciare il necessario “air space” per le voci strumentali in primo piano. Sin nei dettagli dell’orchestrazione, dunque, le competenze della fonica di missaggio abituano compositore e orchestratore a concepire il colore orchestrale in termini di spazio e di aria: le possibilità e i proble- mi di una mediazione tecnologica diventano frammenti di un’estetica, possibilità pro- spettiche attraverso cui concepire l’orchestrazione stessa. Prosegue Anthony: «Quando il suono diretto oblitera completamente il suono riflesso dalle pareti, la sala suona più piccola»131. Bisogna dunque evitare eccessivi raddoppi allo scopo di ottenere un suono

sufficientemente “vasto”, in termini di campo sonoro, e per avere tale ampiezza il suo- no non deve essere troppo potente. Si orchestrerà dunque tenendo conto dell’incisione in studio – della catena di rimediazione tecnologica più che del diretto effetto in sala – talvolta sovvertendo proporzioni e principi di un’orchestrazione canonica. Si è detto, generi differenti o differenti situazioni drammatiche all’interno di un medesimo film necessitano di prese microfoniche ad hoc. Secondo lo scoring mixer Meyerson, per le se- quenze d’azione i compositori sono alla ricerca di un suono più secco, immediato132, che

dia l’illusione di una certa prossimità alla fonte sonora: un’assenza di “aria” caratterizza l’azione, in opposizione allo spazio sonico delle gran vistas.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma qui basta rilevare la grande pertinenza estetica di scelte e competenze solo superficialmente relegabili a un ambito tecnico: esse hanno un immediato impatto sul piano drammaturgico, sensoriale, cui la nostra espe- rienza di spettatori ci ha del tutto naturalizzato, ma la cui decostruzione è di notevole interesse critico. Un cue romantico, affidato prevalentemente agli archi, ha bisogno di ri- costruire un campo stereofonico più classico e contemplare, ad esempio, la scelta di mi- crofoni a nastro che diano una risposta in frequenza old fashion; filtri che processano il suono non solo tecnicamente, ma “culturalmente”, restituendo una memoria aurale che, introducendo una distanza (qui implicita in una grana-del-suono), decide fisionomia e identità della fonte orchestrale secondo specifici codici sonico-culturali: in altre parole, la sola scelta di presa microfonica è già drammaturgia. Talvolta ci si serve dell’opacità (il

nostro cue romantico), talvolta si insiste sulla trasparenza (la nostra sequenza d’azione); quel che conta è che la catena di rimediazioni tecnologiche è già concepita in partitura, dal compositore prima e dall’orchestratore poi: l’esperienza della fonica di missaggio si trasferisce, a ritroso, al processo compositivo e in ciò contribuisce a quella “autonomiz- zazione del sinfonismo hollywoodiano” di cui abbiamo già fatto menzione.

Al termine della registrazione lo scoring mixer e i suoi assistenti (ogni mixer ha al se- guito uno o due assistenti) preparano il cosiddetto postmix, predispongono cioè la mu- sica per il dubbing (nella prospettiva del dubbing il postmix sarà invece definito pre-mis- saggio). In condizioni normali al postmix sono affidati dai quattro ai sei giorni in media. Ma, si è detto, raramente in questa fase del processo ci si trova in una tale disponibilità di tempo. Per questa ragione gli scoring mixer e i suoi assistenti potranno optare per un postmix effettuato in coda alle sessione di incisione: considerando che il mix è prepara- to nei giorni precedenti la recording session, sulla base della partitura o delle indicazioni dirette del compositore, e che ogni cue ha una media di quattro-cinque take133, inclusa

una prima prova di lettura a prima vista, un mixer esperto ha tempo di raffinare il mix durante i primi take, riducendo notevolmente il tempo destinato al postmix in caso di emergenza. Nella piena disponibilità di tempo, una serie di operazioni di routine ven- gono effettuate sulla musica prima che questa giunga al dubbing; può essere necessario ad esempio, in caso di conflitto fra underscore e dialogo, intervenire sulle frequenze fil- trandole in modo da ridurre le armoniche che possono collidere con il registro della voce parlata134. Alcuni specifici “mixing nightmares” (incubi del mix sotto dialogo), ritornano

con frequenza nelle testimonianze. Un buon esempio è «un dialogo sussurrato in riva al mare»135 per cui sia contestualmente previsto un commento musicale: un missaggio che

risulterà sicuramente problematico in sede di dubbing.

Il formato audio in cui la musica arriva al dubbing è spesso oggi multicanale136; in que-

sta fase un design preliminare sul surround è già stato abbozzato (soprattutto se il concept della colonna sonora ne fa un uso creativo), ma le scelte finali sono di competenza dei fo- nici di missaggio del dubbing. La musica esce dal pre-mix per giungere al dubbing con un totale medio di tracce che va da un minimo di 16 a un massimo di circa 24. Come si è già accennato, scoring mixer e compositore possono decidere di splittare (separare) le va- rie componenti della musica, ovvero di separare tutti gli elementi su cui è plausibile che i fonici vogliano esercitare un controllo. In particolare ciò vale tanto per i momenti dram- maturgicamente ambigui (i già citati casi di un effetto musicale che si confonde con un effetto sonoro o i casi in cui alcuni frammenti della musica sono utilizzati al fine di esplo- rare lo spazio della diegesi – musica-esplora-spazi), quanto per gli elementi della musica che, una volta missati agli effetti sonori, andranno nuovamente bilanciati, dal momento che questa operazione può alterare gli equilibri sonori del mix musicale originario. Ponia- mo il caso di un fraseggio dei violoncelli che vada malauguratamente a sovrapporsi a un sonoro d’ambiente in esterni. Se le sezioni non fossero state precedentemente splittate in sede di incisione e di post-mix, aumentare il volume complessivo della musica per superare in potenza l’effetto sonoro potrebbe determinare uno sbilanciamento di altre sezioni or- chestrali: i violoncelli del nostro esempio sarebbero udibili, ma i violini sul registro acuto, non mascherati dall’ambiente, risulterebbero troppo forti. Operare sulla traccia splittata dei violoncelli permette di bilanciare l’insieme. Questa accortezza, avvertono le fonti, può tuttavia rivelarsi un’arma a doppio taglio per il compositore, poiché consente molta (trop- pa) libertà di ristrutturazione al dubbing, sia da parte degli ingegneri del mix, sia da parte

del regista. Viene dunque talvolta contraddetta la procedura descritta e, per ragioni di in- tegrità – soprattutto se i rapporti tra compositore e filmmaker sono tesi, o ancora se l’editor musicale che assiste il missaggio non è un fiduciario del regista –, il compositore può deci- dere di “bloccare” un missaggio evitando eccessivi split.

Professionisti del premix e del dubbing di grande esperienza non si affidano totalmen- te ai raffinati impianti audio degli studi e tengono piuttosto in considerazione i cinema reali, i reali “strumenti” cui il lavoro è destinato: si tende cioè a produrre un missaggio