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Performance d’impresa e nuovi strumenti per una gestione sistemica del rischio

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ERGIO

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ALOMONE*

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AVINO

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ANTOVITO

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CICUTELLA 

Obiettivi. L’ambiente, nel quale ciascuna impresa si trova ad operare, si qualifica in virtù del dinamismo con cui

si muovono le differenti variabili che lo caratterizzano; ed il grado di variabilità complessiva dell’ambiente determina condizioni di incertezza, ponendosi in rapporto di proporzionalità inversa con la possibilità di svolgere adeguate previsioni sugli avvenimenti futuri.

Velocità e portata con cui le variabili ambientali - economiche, sociali, commerciali, tecnologiche, politiche, ecc. - si sono evolute negli ultimi decenni hanno reso così difficile e, comunque, approssimata la previsione del futuro evolversi delle condizioni di esistenza delle imprese e dell’intera società, che ad oggi viene messo in discussione qualsiasi modello di business adottato all’interno dei confini aziendali.

Indipendentemente dalle loro dimensioni, le imprese si trovano oggi ad affrontare una dura sfida con la variabilità delle condizioni di esistenza, trovandosi ad operare in un contesto caratterizzato da crescente complessità nel quale le condizioni ambientali si evolvono senza soluzione di continuità, determinando mutamenti nella società e nell’impresa, nonché nei rapporti tra imprese e sovrasistemi (Golinelli, 2017).

Le variabili che più di altre hanno contribuito in modo decisivo a far emergere l’esistenza di uno scenario profondamente diverso rispetto al passato sono da rinvenire nella globalizzazione dei mercati, nei mutamenti delle dinamiche della concorrenza, nella progressiva riduzione del ciclo di vita di molti prodotti, nel ruolo primario assunto dal consumatore, ma soprattutto nella diffusione (e accessibilità) delle nuove tecnologie digitali (Genco, 2017).

Tutto questo consente, dunque, di poter affermare che la complessità in senso sistemico rappresenta una caratteristica dominante nell’attuale realtà delle organizzazioni e questa circostanza impone ad ogni entità organizzativa un profondo impegno volto alla ricerca di nuove soluzioni al problema organizzativo e, conseguentemente, profonde modifiche non solo dei propri processi decisionali, direzionali e gestionali, ma altresì dei processi di integrazione interna ed esterna (Baccarani, 2010).

L’innovazione tecnologica ha cambiato il modo di fare impresa con impatti decisivi su tutta la catena del valore: mutano la produzione e le logiche d’acquisto, spostando gli equilibri della forza contrattuale tra le imprese e tra le imprese ed i consumatori finali; ciononostante aumentano le opportunità, ma anche i rischi, per le imprese tanto di piccole dimensioni quanto per quelle medio-grandi. E se, da un lato, le nuove tecnologie offrono alle imprese nuovi strumenti a supporto non solo dei processi produttivi (Internet of Things (IoT), Cloud Manufacturing, Intelligenza Artificiale (IA), Additive Manufacturing, Augmented reality, Advanced Automation, Advanced Human Machine Interface (Advanced HMI)), ma anche delle fasi di formulazione delle strategie (Big Data, Industrial Analytics, Advanced Planning & Scheduling (APS)) (Bhattacharya, 2017), dall’altro, espongono le imprese stesse ad una nuova “generazione” di rischi (Cybersecurity): lo sviluppo di malware creati per colpire l’Internet delle cose e l’industria 4.0 sta rivelandosi un fenomeno in continua evoluzione, facendo registrare “attacchi di filiera”, che sfruttano accessi privilegiati concessi a fornitori o clienti per superare il perimetro difensivo esterno; da qui, il non perfetto isolamento delle reti di produzione permette il transito degli hacker verso macchine a controllo numerico e ambienti Industry 4.0, con conseguente furto di dati sensibili, brevetti, progetti.

Dunque, l’impresa che voglia sopravvivere e svilupparsi non può sottrarsi all’imperativo dell’adeguamento strutturale e strategico, a partire, ad esempio, da una corretta gestione dell’intera catena logistica da realizzare per il tramite della sincronizzazione dei ritmi di approvvigionamento, produzione e distribuzione (Barney et al., 2017).

Il problema dell’adeguamento strutturale e strategico delle imprese appare, pertanto, assai complesso e richiede l’esistenza in seno ai soggetti che operano all’interno delle stesse di combinare caratteristiche di dinamicità, flessibilità e creatività, in maniera tale da consentire una percezione tempestiva dei fattori del mutamento in grado di suscitare modificazioni apprezzabili nelle preesistenti relazioni interne ed esterne all’organizzazione aziendale (Pinna, 2006).

In un siffatto contesto, si ritiene che un modello di business orientato alla gestione dei rischi intesa non solo in chiave di prevenzione e gestione delle criticità bensì come leva per il miglioramento continuo della performance aziendale possa contribuire in maniera efficace nella creazione di valore operata dalle imprese.

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Professore a contratto di Economia e Gestione delle Imprese - Università di Bari Aldo Moro e-mail: sergio.salomone@uniba.it

Associato di Economia e Gestione delle Imprese - Università di Bari Aldo Moro e-mail: savino.santovito@uniba.it

Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università di Bari Aldo Moro e-mail: info@studioscicutella.it

In particolare, obiettivo della ricerca è stato quello di testare le potenzialità di uno strumento utilizzato per la misurazione delle performance d’impresa, quale è la Balanced Scorecard (Kaplan et al., 1992), non solo nella gestione dei rischi d’impresa, ma attraverso questa, anche nel contribuire, contestualmente, all’incremento delle “prestazioni” operative. A tal fine è stato osservato l’orientamento strategico delle imprese alla gestione dei rischi, le principali criticità operative dei processi aziendali riscontrate, e l’impatto prodotto dalla misurazione dei rischi nel miglioramento delle performances aziendali di 90 S.p.A. pugliesi a cui è stato sottoposto alla fine di 5 esercizi (2013- 2017) un modello di “Balanced RiskCard” (BRC), ossia un adattamento della Balanced Scorecard (BSC) riadattata al Risk Management (RM). I dati secondari sono stati raccolti tramite successive interviste ai managers delle aziende osservate.

L’ipotesi di ricerca che si è inteso accertare, dunque, è se l’applicazione della BSC adattata al RM, possa consentire, attraverso una visione sistemica dei rischi aziendali, una gestione più efficiente degli stessi, in grado altresì di migliorare la performance aziendale.

Metodologia. Fase preliminare e propedeutica per la costruzione di una Balanced Scorecard volta alla gestione

dei rischi ha riguardato la valutazione delle criticità tipiche a cui le imprese del campione sono esposte nello svolgimento della propria attività. Per tale motivo, si è inteso condurre una prima indagine esplorativa (effettuata nel primo semestre del 2012), mediante questionario a risposta multipla trasmesso ad un campione di 90 imprese presenti sul territorio pugliese (sia come sede principale che come unità locale), che fosse più rappresentativo dei settori produttivi presenti sul territorio (quali chimico, trasporti, ambiente/ecologia, agroalimentare, mobile/imbottito, informatica, automotive, metalmeccanico, tessile/abbigliamento) al fine di analizzare: 1. l’attuale grado di orientamento strategico delle imprese osservate in relazione all’adozione di misure di risk management; 2. la tipologia di rischi più frequenti e più impattanti riconducibili alla propria attività aziendale.

In seguito, alla luce delle risultanze della prima fase di indagine, (nel secondo semestre del 2012) è stata implementata una Balanced Riskcard che è stata successivamente applicata dal 10% delle imprese intervistate (n. 9 imprese), una per ciascun settore individuato.

Infine, con riferimento all’applicazione della BRC è stato effettuato un monitoraggio a distanza di 1 (con riferimento all’esercizio 2013), 3 (esercizio 2015) e 5 anni (esercizio 2017) dall’applicazione, mediante un’intervista diretta all’amministratore delegato di ciascuna azienda, volta a valutare eventuali benefici apportati da una strategia di risk management basata sulla Balanced Riskcard, con specifico riferimento al miglioramento delle performances.

Le imprese da intervistare sono state individuate utilizzando i seguenti parametri: forma giuridica di Società per Azioni, non quotate in Borsa, con più di 50 dipendenti e fatturato superiore ai 10 milioni di Euro (imprese di medie dimensioni).

Risultati. L’indagine condotta ha prodotto risultati che possono essere sintetizzati lungo le seguenti 3 direttrici.

1. L’orientamento strategico alla gestione dei rischi

L’orientamento strategico definisce le linee guida per la strategia aziendale (Slater et al., 2006) ed ha il compito di consentire all’impresa di collegarsi e allinearsi con il suo mercato di riferimento: quando la strategia incrementa l’efficacia e l’efficienza aziendale, in un modo difficilmente imitabile dai concorrenti, l’impresa ottiene un vantaggio competitivo (Barney, 1991). Si è cercato, quindi, di comprendere innanzitutto il grado di consapevolezza, fra le aziende osservate, dell’importanza assunta dalla gestione del rischio per la propria struttura organizzativa; conseguentemente è stato verificato l’approccio manifestato dalle imprese verso l’utilità e l’implementabilità di questo strumento nei processi di formulazione strategica.

Dall’elaborazione dei dati, rilevati tramite intervista al campione predefinito d’imprese, emerge un approccio imprenditoriale alla gestione dei rischi tendenzialmente positivo in merito alle potenzialità di tale strumento e parzialmente positivo in merito ai relativi aspetti applicativi.

In particolare, la grande maggioranza delle imprese intervistate ritiene la gestione del rischio un’attività aziendale ad alto valore aggiunto a cui è corretto dedicare le opportune risorse e una parte della struttura organizzativa ad essa dedicata (il 41% ritiene utile e il 47% molto utile): è stata riscontrata una ragguardevole consapevolezza della valenza strategica dell’utilizzo di tale strumento per il recupero della competitività e per la salvaguardia del patrimonio aziendale.

Diverso è il riscontro emerso dalle interviste in merito all’applicabilità pratica e organica dei processi di risk management: secondo il parere di imprenditori e managers intervistati, la carenza di professionalità specialistiche sui temi della gestione del rischio rappresenta una seria barriera allo sviluppo di tale processo in seno alla struttura organizzativa aziendale, che funge da deterrente all’investimento di risorse in un’attività tanto ad alto valore aggiunto quanto delicata.

In sintesi, emerge un forte interesse verso il risk management ma si riscontrano grandi difficoltà nell’applicazione delle strategie ad esso associate, principalmente a causa della ridotta presenza di adeguati profili professionali.

2. Le principali criticità riscontrate dal campione

I rischi cui sono maggiormente esposte le imprese intervistate, indipendentemente dal settore produttivo di appartenenza, risultano essere quelli finanziari: ciò non soltanto in termini di frequenza, ossia quantità di imprese esposte a tali categorie di rischio, ma anche in termini di probabilità di accadimento e di potenziale impatto. Nello specifico, tra i rischi finanziari più diffusi sono stati segnalati il rischio di liquidità, legato alle difficoltà di rientro dagli

PERFORMANCE D’IMPRESA E NUOVI STRUMENTI PER UNA GESTIONE SISTEMICA DEL RISCHIO

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investimenti a seguito dei lunghi tempi di recupero crediti relativi alle vendite, ed il rischio di commodity, causato dalle continue oscillazioni dei costi di energia e materie prime. Un dato rilevante deriva dal fatto che tale rischio non riguarda esclusivamente le imprese operanti nei settori agroalimentari, ma anche aziende metalmeccaniche, chimiche, dell’automotive, e perfino del mobile e imbottiti, oltre che il tessile e abbigliamento. Seguono il rischio di cambio, a testimonianza della proiezione delle imprese intervistate sui mercati internazionali, ed il rischio di credito, legato al credit crunch, che si rivela maggiormente impattante, per le imprese che lo hanno segnalato, in termini di probabilità e impatto.

Tra i rischi operativi, anch’essi di forte rilevanza, sebbene meno rilevanti sotto il profilo della frequenza e dell’impatto potenziale, il rischio di business interessa il 90% del campione interpellato: ciò a seguito della sempre più incalzante guerra dei prezzi all’interno di ciascun settore, allo shock negativo della domanda, all’incremento dei costi di produzione, ed al frequente sviluppo di mercati paralleli legati a prodotti sostitutivi; questo dato, dunque, riflette l’elevata turbolenza dei mercati, non solo finanziari, ma anche reali, caratterizzati da un’offerta sulla via della saturazione che si traduce in una agguerrita concorrenza di prezzo. Tale rischio, se analizzato in profondità, si pone a nostro avviso alle radici del predetto rischio di liquidità: la difficoltà di ottenere adeguati ritorni sugli investimenti è inevitabile conseguenza di un mercato fortemente competitivo, caratterizzato da un eccesso di offerta e da una

domanda in calo, tipica di una economia in fase recessiva1. Un altro rischio operativo, avvertito con grande

preoccupazione, è legato alle risorse umane, ossia alla mancanza di competenze specifiche dei candidati ed alla ridotta motivazione del personale assunto, che spesso si rivela un grave ostacolo da parte delle imprese per il conseguimento degli obiettivi operativi. Questo dato riflette una scarsa professionalità, probabilmente legata all’assenza di adeguati percorsi formativi c.d. “tecnici”, ovvero ad una politica di istruzione troppo distante dalle necessità aziendali. A tal proposito preme sottolineare come una recente indagine condotta tra le imprese tedesche abbia rivelato come, nel

20182, il primo rischio più temuto per l’economia sia costituito dal gap tra domanda e offerta di lavoro. La mancanza

di lavoratori specializzati viene considerata un rischio per la crescita del business dal 60% delle imprese, contro il 43% del 2016 e il 16% del 2010, a dimostrazione della crescente necessità di personale specializzato con l’evolversi dei processi produttivi al passo con l’utilizzo nelle nuove tecnologie (Industria 4.0).

Meno diffuso e meno frequente è il rischio legato all’efficacia e all’efficienza dei processi, il che dimostra che le nuove tecnologie, sempre più frequenti all’interno delle imprese del campione, garantiscono risultati soddisfacenti sotto il profilo della produttività. Meno frequenti, ma di rilevante impatto, sono i rischi legali (legati ai contenziosi), nonché il rischio di delega che nasce laddove non siano stati adeguatamente formalizzati gli assetti di governance.

Infine, tra i rischi esterni, generalmente meno frequenti nell’esercizio delle imprese interpellate, vengono segnalati quello di mercato, legato alle ripetute oscillazioni della domanda, e quello di normativa, a seguito dei continui mutamenti legislativi, dei tempi incerti della giustizia e della farraginosità della burocrazia, che finiscono per impattare sulla competitività delle imprese, ostacolando le opportunità di business. Per l’entità del loro impatto sono reputati cruciali anche i rischi di concorrenza, di danni ambientali e di compliance, sebbene siano stati riscontrati da una percentuale inferiore di imprese.

Infine, incrociando i rischi finanziari con quelli operativi, è stata costruita una mappa di posizionamento che prova a riassumere i risultati dell’indagine, circa le criticità riscontrate dalle imprese, ponendole in relazione al settore di appartenenza delle imprese interpellate.

Fig. 1: Posizionamento delle imprese intervistate in relazione a rischi finanziari e rischi operativi

Fonte: Ns. elaborazione

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Si ricorda, infatti, che l’indagine relativa ai rischi riscontrati dalle imprese risale al 2012.

2 Indagine effettuata su un campione di 26mila aziende interpellate dall’associazione delle Camere di commercio - Dihk, Deutscher Industrie und Handelskammertag. Febbraio 2018.

La mappa evidenzia come i settori metalmeccanico, automotive e tessile-abbigliamento siano quelli esposti non solo ad un maggior numero di rischi (prevalentemente finanziari per i primi due settori, maggiormente operativi per il terzo), ma siano anche più vulnerabili in termini di frequenza e potenziale impatto.

Si riduce il numero di rischi cui sono esposte, ma resta all’incirca invariata la probabilità di manifestazione e l’intensità potenziale dell’impatto, per le imprese appartenenti ai settori dell’agroalimentare, del mobile e dell’informatica. Meno esposte, invece, risultano le imprese operanti nell’ambiente (ecologia, energie rinnovabili), nei trasporti (privati) e nella chimica, ossia quei settori che, in Puglia, si sono rivelati più resistenti alla crisi, grazie all’innovazione tecnologica adottata, e, nel caso specifico dei trasporti, al crescente flusso turistico in entrata.

Viene, infine, confermata, dall’ampiezza delle circonferenze, la maggiore esposizione ai rischi finanziari piuttosto che a quelli operativi. Unico caso in cui c’è perfetto equilibrio nella duplice esposizione ai rischi è quello delle imprese del tessile/abbigliamento, probabilmente il settore più esposto ai rischi del campione esaminato, anche perché hanno risentito maggiormente della concorrenza dei Paesi emergenti.

Si ribadisce, infine, che i risultati relativi ai punti n.i 1 e 2 fanno riferimento ad una indagine condotta nel primo semestre 2012.

3. Il ruolo della misurazione del rischio nel miglioramento delle performances

Una volta indagati i rischi “tipici” per le imprese del campione, si è proceduto alla costruzione di una Balanced Scorecard per i rischi (c.d. Balanced Riskcard), individuando 4 prospettive coerenti con le categorie di rischio più (frequentemente) rilevate dalle imprese intervistate.

Tale modello, adattato alle caratteristiche ed alle esigenze di un minor numero di imprese selezionate all’interno del campione (nove imprese, una per ogni settore indagato), è stato applicato in un arco temporale corrispondente a 5 esercizi (dal 2013 al 2017).

I risultati di seguito presentati sono stati ottenuti mediante intervista diretta al soggetto responsabile, all’interno dell’organizzazione aziendale, dell’applicazione della Balanced Riskcard (direttore generale ovvero responsabile area finanza e controllo).

Per quanto concerne i rischi finanziari, è stato riscontrato, unanimemente dall’intero campione, come l’applicazione della BRC abbia consentito innanzitutto di formalizzare e condividere con l’intera organizzazione le criticità cui è esposta l’impresa di appartenenza. Ciò ha fatto sì che si creassero maggiori sinergie tra le funzioni aziendali interessate (nel caso specifico approvvigionamento, vendite e finanza) ottenendo benefici sotto il profilo della liquidità aziendale (riducendone, dunque, il rischio), e limitando, conseguentemente, l’esposizione e la richiesta di credito verso gli intermediari finanziari. In bilancio, il beneficio è stato riscontrato attraverso una riduzione degli oneri finanziari.

Con riferimento, invece, ai rischi di cambio e di commodity, la BRC ha permesso di porre in evidenza tutte le “iniziative” a disposizione per limitare le perdite, nonché di valutare, tra le alternative, quelle più conformi alle proprie necessità. Dunque, è stato possibile razionalizzare l’azione di riduzione del rischio, in quanto, attraverso la definizione di una soglia di sostenibilità delle perdite su cambi così come di un limite di tolleranza di oscillazione delle materie prime, è stata agevolata la scelta dello strumento finanziario (contratto di opzione) più efficace (nella riduzione del rischio) e più efficiente (in termini di costi), con il risultato del mantenimento dei rispettivi parametri imposti e, quindi, del controllo dei relativi rischi. In tal senso, è emerso altresì come la BRC abbia agevolato anche il compito del soggetto terzo (intermediario finanziario) nell’individuare lo strumento più adatto alle esigenze dell’impresa per la copertura di tali rischi.

Passando ad esaminare i rischi esterni, buona parte delle imprese hanno dichiarato maggiori difficoltà nel riscontrare benefici dall’applicazione della BRC, in quanto i “target” da raggiungere non sempre hanno consentito una misurabilità in termini numerici. Questo dato, a nostro giudizio, rivela una difficoltà delle imprese del campione a tradurre la strategia in numeri e, quindi, ad una corretta adozione dello strumento BRC, ma riteniamo ciò comprensibile in considerazione della natura sperimentale di tale applicazione.

Ciò nonostante, la BRC ha consentito, come nel caso precedente, di poter condividere le principali criticità derivanti dall’ambiente esterno a cui le stesse risultano esposte, di poter stimarne più verosimilmente l’impatto e di poter meglio individuare le azioni più adeguate per la loro gestione.

In particolare, nel caso del rischio di normativa, si è riscontrato come le imprese si siano dotate (o nel caso in cui già lo avessero fatto, abbiano perfezionato) di un sistema di divulgazione dell’aggiornamento legale, evitando “alibi” da parte dei dipendenti.

Alcune imprese del campione (in realtà meno della metà), inoltre, hanno colto l’occasione per formalizzare e predisporre piani di emergenza, in caso di danni accidentali provocati dalle loro produzioni, ovvero in caso di necessità di set-up.

Nel caso del rischio di danni ambientali, la BRC ha stimolato iniziative di revisione degli impianti, portando, inoltre, alla definizione periodica di revisione e controllo dei processi e degli impianti e macchinari, che possono rappresentare potenziali fonti di inquinamento.

La BRC, inoltre, ha stimolato buona parte delle imprese interpellate ad assumere un orientamento al cliente, dedicando maggiore attenzione al monitoraggio della customer satisfaction, introducendo strategie di Customer Relationship Management (CRM).

Per quanto riguarda, invece, i rischi operativi e strategici, vi è unanimità nell’affermare l’efficacia della Balanced Riskcard quale leva per affinare la strategia e, quindi, l’operatività della gestione, riducendo i rischi che ne derivano.