Stefania Antonioni Laura Gemin
1. La performance come evento partecipativo e luogo di osservazione del sociale
Che il campo della performance culturale, come processo comunicativo evolutosi dalle pratiche rituali per giungere alle configurazioni ibride e complesse della modernità, sia sostanzialmente da sempre un luogo di osservazione del sociale è dimostrato dal suo imprescindibile carattere ri- flessivo. Com’è noto infatti con il termine di per- formance si intende un’azione, una rappresenta- zione, un’esecuzione che qualcuno realizza per qualcun altro. Abbiamo pertanto a che fare con un concetto che è anche una pratica della comu- nicazione e che riguarda le modalità di espressio- ne basate sulla partecipazione attiva, anche se a diverso grado, degli individui. Nella sua declina- zione antropologica – e in particolare nella for- mulazione di Victor Turner (1982, 1986) – la per- formance qualifica tutta una serie di eventi che si caratterizzano come forme della comunicazione dal vivo a partire dal dramma sociale, cioè da una
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ge una comunità. In altre parole la performance è una forma di autorappresentazione del sociale che nasce in concomitanza con eventi che richie- dono di essere metabolizzati simbolicamente dal- la collettività. Nascita, morte e cambiamento di status, da una parte, necessità di elaborare i grandi determinismi naturali, dall’altra, sono oc- casioni “drammatiche” che richiedono la produ- zione della performance come specchio riflessivo, come opera della comunicazione in grado di rap- presentare e allo stesso tempo produrre dei signi- ficati. Da questo punto di vista la performance va quindi intesa come una categoria che si sviluppa nelle forme delle performance sociali e culturali per andare a comprendere in un unico scenario spazio-temporale tutta una serie di manifestazio- ni come il rito, il teatro, la festa, il carnevale, le cerimonie mediali ed eventi spettacolari della più varia connotazione: concerti, rave, flash mob e adunate di diverso tipo, forme della comunica- zione online, e così via. Tutte quelle occasioni, cioè, in cui è chiamato in causa il coinvolgimento fisico e cognitivo dei partecipanti, spettatori e produttori allo stesso tempo dell’evento comuni- cativo. [1] Non è dunque un caso che la dinamica della performance assuma il carattere dell’ espe- rienza vissuta – nei termini dell’Erlebnis di Wil- helm Dilthey (1982) inteso come vivere attraver- so una sequenza di eventi – che però per essere osservata richiede il riferimento esplicito ai con- testi strutturali e comunicativi su cui si svilup- pa.L’esperienza per essere completa ha bisogno che la performance sia uno dei suoi elementi, che si manifesti come atto creativo di retrospezione nel quale agli eventi o alle parti dell’esperienza viene attribuito un significato. L’esperienza è sì un “vivere attraverso”, sperimentare le cose della vita, percorrerla, ma è anche un modo per pensa- re al passato e al futuro. Volgere lo sguardo all’indietro, osservare le osservazioni e proiettarsi allo stesso tempo in avanti, tendere verso i propri desideri. Su questa scia un’esperienza vissuta nel senso di Dilthey è già in se stessa un processo che preme fuori verso un’espressione che la completi e la performance è perciò la conclusione adegua-
ta di un’esperienza (Turner 1982). Da questi pre- supposti si può capire come la dimensione espe- rienziale della performance culturale trovi nella comunicazione il modo per essere completata. Infatti le trasformazioni della performance, che vanno lette in relazione all’ evoluzione socio- comunicativa e quindi al patrimonio culturale, mettono in luce il suo carattere performativo a partire dai due caratteri fondamentali della per- formance: efficacia e intrattenimento (Deriu 1999). Con efficacia si intende la capacità della performance di produrre delle trasformazioni in chi la compie e nello stesso tempo di esplicitare il suo compito socializzatore, cioè di presentarsi come campo dell’esperienza che riguarda da una parte l’inclusione delle persone nella società e che si definisce, dall’altra parte, come pratica im- portantissima per il vissuto individuale. Nel setto- re specifico della teoria della performance il ritua- le, con tutte le sue varianti cerimoniali, può esse- re considerato il tipo ideale della performance centrata prevalentemente (mai esclusivamente) sull’ efficacia. Detto altrimenti: la performance, a partire dalla connotazione del processo rituale, ha un carattere di efficacia – simbolica [2] – dovu- to alla capacità di rinsaldare ciclicamente il rap- porto fra individuo e suo collettivo di riferimento e di mantenere l’equilibrio della persona, ovvero la solidarietà corpo-mente (Piazzi 1999). L’altro polo della performance è l’ intrattenimento, cioè la dimensione legata agli aspetti del divertimento e dello svago che ne caratterizzano una sfaccetta- tura non meno importante. Si tratta di caratteri- stiche che riguardano la possibilità di cogliere la differenza fra una realtà vissuta e una rappresen- tata, così com’è successo con il teatro e poi con il romanzo, ossia con i processi di virtualizzazione della comunicazione avviati dalla scrittura, evolu- tisi con la stampa e consolidatisi con lo sviluppo dei mezzi di diffusione di massa [3] . È perciò da questa prospettiva che può essere interessante tenere conto della progressiva trasformazione della performance culturale sulla base del rappor- to di omologia strutturale con la struttura della società e le forme della comunicazione [4]. Il ca- rattere dell’intrattenimento, che come accennato
Stefania Antonioni, Laura Gemini Performing space. Quando la logica della rete prende forma negli spazi urbani fra arte, media-performance e agire spettatoriale.
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riguarda la forma della comunicazione assunta sulla base evolutiva del sistema dei media (Lu- hmann 1996), si consolida nel contesto sociale più adatto, più complesso rispetto al legame fon- dante (e fondato sul rito) delle società arcaiche a cultura orale. Naturalmente tale contesto è la so- cietà moderna, differenziata per funzioni, in cui il sistema del tempo libero si va progressivamente definendo nei termini di una cultura del loisir (Morin 1962), del tempo da dedicare non tanto all’appartenenza comunitaria quanto alla realiz- zazione di sé e dei propri desideri, nell’universo privato, nel consumo (Dumazedier 1993). L’intrattenimento non può allora che qualificarsi come una dimensione di tipo liminoide, che non ha il carattere obbligatorio e normativo del rito, liminale, non ha un andamento ciclico ma segue un flusso continuo, che si inserisce nella vita quo- tidiana e nel suo scorrere anche se avviene nei contesti delle attività dedicate allo svago, come momento prevalentemente ludico e spettacolare (Turner 1982). D’altra parte il luogo in cui lo spiri- to del tempo trova la sua connotazione moderna non può che essere la metropoli ottocentesca, contesto ideale di osservazione della deriva evo- lutiva del sociale, la sua spettacolarizzazione e le forme del vissuto, e perciò dell’esperienza, che da quel momento in poi hanno richiesto forme ine- dite della performance [5]. La performance cultu- rale, che non si specifica più nelle forme della tradizione, che restano in un certo senso delle pratiche residuali, assume forme ibride, per lin- guaggi e per funzioni, trova nei dispositivi ottici del panorama, dei media di massa e soprattutto del cinema, i suoi canali privilegiati di espressione e nell’industria culturale il suo meccanismo di produzione e diffusione. Ecco allora che il carat- tere prevalentemente iconico dei grandi media dà forma all’immaginario collettivo, cioè all’insieme di mitologie e di simboli che fondano la comunicazione di un sistema sociale (Abruzze- se 2001), e lo qualificano nei termini della rap- presentazione per un pubblico di massa e per un individuo fatalmente definito come spettatore (o lettore, o ascoltatore che dir si voglia). Nello
stesso tempo però la forma primaria della socie- tà, ovvero la struttura, che deve il suo funziona- mento alle operazioni dei sistemi parziali, trova nel sistema sociale dell’arte il luogo in cui i lin- guaggi della società vengono sperimentati e “par- lati” in modi nuovi, dove le possibilità rimosse nel quotidiano vengono percorse e attualizzate (Lu- hmann 1995). Questo significa che, sulla base del rapporto di omologia strutturale che permette di comprendere e spiegare lo statuto della perfor- mance in relazione alle piattaforme socio- comunicative e culturali di un determinato perio- do storico e di una certa configurazione della so- cietà, possiamo ritenerci in grado di cogliere il ti- po di relazione che, nel moderno, sussiste fra l’arte e le forme della spettacolarizzazione media- le. Se è vero che la metropoli [6] si fa dispositivo performante e catalizzatore potente dell’ imma- ginario, bacino semantico in cui si diffonde il ca- rattere sempre più estetico del sociale e il carat- tere panoramico dello sguardo (dai passages alle vetrine, dalle affiche pubblicitarie agli schermi) [7] , è vero anche che essa diventa luogo di inte- resse e attrattore della sperimentazione artistica delle Avanguardie Storiche. Nell’accoppiamento fra la ricerca espressiva, giocata fra l’ assimilazio- ne dei linguaggi mediali e il recupero della per- formance come arte del comportamento, l’arte rivendica, proprio nell’ambiente urbano, il suo carattere sociale, pubblico e partecipativo. La performance diventa ibrida, liminoide (Turner 1986), giocata ora sulla miscela di efficacia simbo- lica e divertimento intesi come concetti da inten- dersi su una diversa semantica. Su un fronte in- fatti si comprende come all’efficacia del rituale, che non può essere rivissuta in virtù del cambia- mento avvenuto al livello della struttura della so- cietà e del livello di complessità raggiunto, si pos- sa riattingere replicandone le forme ossia la di- mensione pubblica, relazionale, partecipativa e coinvolgente. Su un secondo fronte l’intrattenimento, lungi dal definirsi come un luo- go vacuo del divertimento fine a se stesso, si spe- cifica come possibilità per la riflessività e quindi per l’elaborazione dell’ esperienza nei termini del
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osservare i modi in cui, soprattutto attraverso il lavoro delle Avanguardie – arrivando all’apice dell’ elaborazione espressiva degli anni ’60 e ’70, passando per i processi legati alla sperimentazio- ne dell’ormai vastissimo campo dell’arte tecnolo- gica [8]– le nuove estetiche hanno specificato il ruolo del pubblico come attivatore indispensabile e partecipante imprescindibile e creativo all’opera d’arte e ai diversi tipi di performance. Non solo quindi opera d’arte totale, la perfor- mance artistica appunto, ma nuova idea dell’autorialità (collettiva, ad esempio, e connes- sa), da un lato, per audience performative cioè pensate come attive cognitivamente e fisicamen- te, capaci con l’interattività tecnologica di agire sulle opere trasformandole. È in questo quadro che è possibile rinvenire il carattere performativo dell’ immaginario poiché le immagini del mondo, veicolate dalla rappresentazione artistica per via mediale, diventano veri e propri luoghi dell’esperienza contemporanea e non soltanto icone da contemplare. La rete – dalla net art [9] alle forme emergenti dell’arte supportata dalle nuove tecnologie digitali, dai media sociali e dai mondi online (Gemini 2009) – non ha fatto altro che potenziare queste dimensioni e dirigere la deriva evolutiva verso il carattere partecipativo della cultura [10] e verso un nuovo fronte dell’esperienza vissuta. In sintesi i territori dell’arte si sono sempre più espansi verso l’ultima frontiera del superamento della differenza fra a- gire, dell’artista, ed esperire del fruitore in nome della mixed-media performance e della centralità della dimensione partecipativa e co-produttiva – come vera e propria generazione di contenuto da parte dell’utente – al processo di creazione dell’evento.
2. Media-performance. Spazi e arte pubblica per