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Perkins lettore di Bruno

3. La polemica Perkins-Bruno

3.1 Perkins lettore di Bruno

L’elemento di maggiore interesse dello scambio di libelli tra Dicson e Perkins137

– precisamente sei, includendo anche il testo che dette l’abbrivio, ovvero il manuale di mnemotecnica di Dicson De umbra rationis et judicii, sive de memoriae virtute

Prosopopoeia, di cui quattro di Perkins – è l’acuta ed articolata comprensione che da

essi emerge delle opere bruniane da parte del teologo puritano. Perkins, che nei primi due testi – il Libellus de memoria verissimaque bene recordandi scientia e gli

Admonitiuncula ad Alexandrum Disconum (sic) de artificiosae memoriae, quam publice profitetur, vanitate – analizza l’opera dell’intellettuale scozzese,

individuandone le carenze teoriche e condannandone duramente l’atmosfera ermetizzante, negli altri due – l’Antidicsonus cuiusdam Cantabrigiensis G. P. ed il

Libellus in quo dilucide explicatur impia Dicsoni artificiosa memoria – mostra di

voler analizzare la fonte di Dicson, ovvero Bruno, nominato esplicitamente a partire dall’Antidicsonus138

, del quale egli aveva una conoscenza ampia ed approfondita, addirittura teoricamente più pregnante di quella dello stesso Dicson139.

137

Per una puntuale ricostruzione della disputa, cfr. M.RUISI, Note sulla disputa tra Alexander

Dicson e William Perkins, cit.

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Cfr. W.PERKINS, Antidicsonus, p. VI, 1: «Rogare idcirco ut antiquam libertatem obtineat, &

memoriographi ostentatores, Metrodorii, Rosselli, Nolani, Dicsoni repellantur: hos esse scopulos illos, illas voragines, in quibus elegantior memoriae scientia prorsus afflicta fuisse, nisi ad fidem Rameorum hominum, tamquam ad columnam adhaesisset». Il testo è tratto dalla trascrizione di M. Ruisi dell’esemplare 1030.a.5.(2.) conservato alla British Library. Questo e gli altri libelli della diatriba, ad eccezione del De umbra rationis, per il quale si è utilizzato l’esemplare Syn. 8.58.162 della Cambridge University Library della stampa londinese del 1583 per i tipi di Thomas Vautrollerius, sono citati dalla trascrizione integrale di essi che costituisce l’appendice della tesi di laurea di M. Ruisi, Alexander Dicson e William Perkins. L’ombra di Bruno contro i

nuovi pedanti ramisti, relatore prof. P. Mugnai, Università «La Sapienza» di Roma, a. a. 1996/97.

E’ interessante notare che l’editore dell’Antidicsonus è Henry Middleton, con ogni probabilità figlio di quel William Middleton che aveva pubblicato la traduzione della Phoenix di Copland.

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Nel suo secondo testo, Heii Scepsi defensio pro Alexandro Dicsono Arelio adversus

quendam G. P. Cantabrigensis, Dicson struttura la difesa alle accuse di Perkins, che

aveva contrapposto alla sua mnemotecnica l’ortodossia ramista140

, su due fulcri teorici: la ‘naturalità’ del metodo mnemotecnico fondato su luoghi e immagini e la continuità tra questo ed il ramismo. Egli rileva come la proiezione nella sfera fantastica dei dati acquisiti mediante la conoscenza sensibile costituisca un processo del tutto naturale, come viene confermato, oltre che dal fatto che le più antiche forme di scrittura erano geroglifiche, anche dallo stesso Ramo, che riconosce un suo proprio ruolo ben definito all’immaginazione nella creazione dell’enciclopedia del sapere. Anche per quanto concerne il tema della scrittura geroglifica, ampiamente sviluppato da Bruno nel corso della sua riflessione, anche in terra inglese141, Dicson

Per informazioni sulla sua vita e la sua attività di stampatore, cfr. R. E. GRAVES e A. MCCONNELL, Middleton, Henry (b. in or before 1546, d. 1587), Oxford Dictionary of National

Biography, online edition 2008, URL: http://www.oxforddnb.com/index/101018672/Henry- Middleton.

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A sottolineare questo punto è stato M. MATTEOLI nel corso dell’intervento Un ramista

“eccentrico”: Alexander Dicson e la mnemotecnica di Bruno, tenutosi nell’ambito del convegno Devils Incarnate or Saints Angelifide? Italiani in Inghilterra, inglesi in Italia tra Cinquecento e Seicento, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 9-10 maggio 2007.

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Perkins richiama Dicson all’osservanza delle tre leggi fondamentali del metodo di Ramo: la

lex veritatis (o per omni), secondo cui ogni riflessione è elaborata in un quadro di riferimento

innato, la lex iustitiae (o per se), per cui ogni dato di pensiero è coerente con tale quadro, e la lex

sapientiae (o per universalia), stando alla quale una trama unitaria lega tutte le costruzioni

mentali, dato che sono tutte imbrigliate all’interno di uno stesso sistema di riferimento, rispetto al quale sono coerenti.

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A questo proposito possiamo assistere ad uno scarto teorico di notevole entità tra il primo ed il secondo dialogo di argomento etico-politico, tra lo Spaccio de la bestia trionfante e la Cabala del

cavallo pegaseo, legato a motivazioni di carattere politico che emergeranno con chiarezza nel

corso delle prossime pagine. Nella Cabala Sebasto narra come gli Egizi abbiano deificato l’asino per occultare la macchia della sconfitta inflitta da parte dei Persiani: «Ocho re dei Persi essendo notato da gli Egizzii suoi nemici per il simulacro d’asino, et appresso essendo lui vittorioso sopra de loro, et avendoseli fatti cativi, le costrinse ad adorar l’imagine de l’asino e sacrificargli il bovo già tanto adorato da essi, con rimproverargli che a l’asino il lor bove Opin o Apin verrebbe immolato. Questi dumque, per onorar quel loro vituperoso culto, e cuoprir quella machia, hanno voluto fingere raggioni sopra il culto de l’asino: il quale da quel che gli fu materia di biasimo e burla, gli venne ad esser materia di riverenza», in G.BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, cit., p. 703. Questo racconto, secondo il quale i vinti hanno utilizzato l’oblio volontario come strumento per mantenere intatta la loro dignità di popolo nonostante la disfatta, oltre ad addurre un’ulteriore prova dell’eccezionalità della storia egizia, getta un’ombra sui geroglifici che, mentre nello

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sottopone il pensiero del maestro ad un profondo impoverimento concettuale: mentre per il Nolano la scrittura geroglifica rappresenta una trascrizione dei dati processati in ambito mentale che, a differenza di quella alfabetica, riesce a mantenersi più vicina alle res che vuole designare e riflette, a livello scritto, l’immagine fantastica che è la sostanza della conoscenza, non filtrata da ulteriori media linguistici142, per

simboli, si mostrano come produzioni pur sempre umane e come tali non esenti dalla corruzione. Cfr. N.TIRINNANZI, Bruno e l’arte dell’oblio, in L’antro del filosofo, cit., pp. 55-82.

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Uno degli obiettivi di Bruno, che infatti si cimenta in generi letterari molto diversi tra loro, spaziando dal dialogo in volgare al poema in latino, è quello di far rivivere nel tessuto della pagina scritta la varietà e la complessità del reale. La parola scritta, in quanto figura rappresentata mentalmente e poi estrinsecata nell’espressione linguistica ed infine nella sua forma grafica, è un ente sensibile e, anche se artificiale e dunque non in grado di identificarsi fino in fondo con la res che è chiamata a rappresentare, è modellata dal Nolano, attraverso un sapiente uso del lessico che spesso giunge anche alla creazione di neologismi, in modo tale che questa difformità sia quanto più possibile ridotta. Bruno si propone di rendere la lettura dei suoi testi una vera e propria esperienza cognitiva: il lettore deve in primo luogo entrare in relazione con le parole del testo bruniano, analizzandole visivamente e ripetendole per udirne il suono, dopodiché deve visualizzarle nel teatro della fantasia e poi afferrarne il senso ed elaborarle per ricavarne un possesso conoscitivo di carattere più generale. Anche nel caso della lettura di un testo, la conoscenza si struttura per il Nolano secondo i diversi livelli che operano nel caso degli altri enti sensibili: si parte dalla raccolta dei dati afferenti la sfera della sensibilità per giungere alla formazione di un’immagine – ed essa è tanto più vivida ed intensa quanto più ricca è stata la selezione iniziale – e da essa si estrae un sapere di carattere universale. Un esempio può essere utile per mostrare la maestria linguistica di Bruno, intenzionato a plasmare e foggiare il vocabolario a sua disposizione per esprimere attraverso di esso la pulsante fecondità della Vita- materia infinita. Nel dialogo primo del De la causa, Bruno intende difendere il suo modo di comporre dialoghi ed afferma per bocca di Armesso: «Voglio dir brevemente che vi farò udir paroli, che non bisogna disciferarle come poste in distillazione, passate per lambicco, digerite dal bagno di maria, e subblimate in recipe di quinta essenza: ma tali quali m’insaccò nel capo la nutriccia, la quale era quasi tanto cotennuta, pettoruta, ventruta, fiancuta e naticuta, quanto può essere quella londriota, che viddi a Westmester; la quale per iscaldatoio del stomaco, ha un paio di tettazze, che paiono gli borzacchini del gigante san Sparagorio: e che concie in cuoio varrebono sicuramente a far due pive ferrarese», in G.BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, cit., p.184. Avvicinarsi a questo testo significa innanzitutto leggerlo silenziosamente e scorrerlo visivamente, rimanendo colpiti dall’insistenza sugli aggettivi terminanti in -uta, per poi essere, quasi inavvertitamente, portati a pronunciarne ad alta voce le parole, soffermandosi sull’aspetto fonico – e spesso cacofonico – che scaturisce dall’accostamento dei lemmi. A questo primo livello, che prevede il reperimento degli elementi sensibili, segue una seconda fase, che è quella della formazione dell’immagine: il lettore comincia ad visualizzare nella sua mente la rappresentazione dell’armamentario dell’alchimista contrapposta a quella tutta carnale e corporale della nutrice, tanto più incisiva quanto più si alimenta del materiale verbale visivamente ed uditivamente rilevante. Il passaggio conclusivo è infine quello che dalla composizione mentale di questa immagine passa ad estrapolare da essa ciò che concettualmente vi soggiace, ovvero la contrapposizione tra lessico raffinato ma lontano dalla realtà e vocaboli che instaurano una relazione profonda con le res. Dichiarazione di uno stile che rifiuti ogni dolcezza e prediliga cacofonie e ‘cacocefati’ che riescano a rispecchiare la realtà in ogni sua forma, anche sgraziata e turpe, ed applicazione di questo stesso stile alla trama del testo si fondono in questo passo, attraverso l’analisi stilistico-lessicale del quale risulta evidente come

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Dicson i geroglifici assumono un valore molto più ridotto, di mere forme143. Questa incomprensione dicsoniana, derivante da quella che abbiamo rilevato nel primo capitolo a proposito della teoria dell’ombra, conduce ad uno ‘sdoppiamento’ di ciò che in Bruno è intrinsecamente unitario: immagine e materia da essa rappresentata sono per il Nolano un unicum, che al contrario Dicson scinde riducendo l’immagine a semplice configurazione formale.

Il secondo motivo di dibattito sollevato da Dicson concerne la sua volontà di allineare la sua riflessione mnemotecnica al ramismo. Egli rileva come il suo metodo sia ramista in spiritu ed anzi sia molto più ramista di quello di Perkins, che si limita a citare le tre leggi principali enucleate da Ramo. La sua mnemotecnica, infatti, prosegue Dicson, permette di rammemorare facilmente i dati e di recuperarli con

per Bruno il linguaggio debba essere ‘formato’ in modo tale da ridurre quanto più possibile il divario tra esso e le res che designa e come la lettura si configuri come un atto conoscitivo che, in quanto tale, si genera a partire dal contributo offerto dalla realtà sensibile. Cfr. M.CILIBERTO E

N.TIRINNANZI, Il dialogo recitato: per una nuova edizione del Bruno volgare, Olschki, Firenze 2002.

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Addirittura il Nolano spesso opera in maniera opposta, riconducendo figure retoriche verbali ad immagini, come avviene nel caso dei tropi. Il tropo è una figura semantica per cui un’espressione dal suo significato originario viene ‘traslata’ a rivestirne un altro. Dal punto di vista retorico, i tropi vengono esemplificati da Bruno, insieme alle similitudini per l’affinità esistente tra queste ed i traslati impliciti, nella prima parte dell’Artificium perorandi, commento alla pseudoaristotelica Rhetorica ad Alexandrum incentrato su inventio, dispositio ed actio. Accanto a questa indicazione tradizionale, ne troviamo una ulteriore, nella spiegazione del tredicesimo sigillo, intitolato a Fidia, che può aiutare a gettare luce su come la tropologia assuma un valore profondo nell’elaborazione filosofica bruniana: «E’ lei quello scultore che eresse la famosa statua di Nabuchodonosor e che descrisse in segni l’ordinata sequenza delle fortune del regno; è lei che fabbrica il susseguirsi delle figure retoriche ed è lei che descrive, secondo un ben preciso ordine e nella stessa sequenza in cui le vogliamo ricordare, le condizioni dell’aspetto fisico in un qualche soggetto sensibile, riguardo al quale e nel quale delinea parecchie cose metaforicamente», in G.BRUNO, Opere mnemotecniche, vol. 2, cit., pp. 123-5. Il Nolano sta

trattando delle statue mnemoniche, rappresentazioni icastiche di una figura principale affiancata da vari elementi accessori utilizzabili per raffigurare un concetto base insieme ad una serie di informazioni secondarie, ed in questo quadro teorico delinea la possibilità di creare gallerie di immagini metaforiche costruendole attraverso una successione di traslati: ogni parte della scultura, infatti, allude analogicamente ad alcuni dati, che sono quelli che la mnemotecnica bruniana, attraverso questo espediente, si propone di far rammemorare ad un potenziale discepolo. Eminentemente rilevante è che il tropo si situi in un contesto figurativo, a testimonianza del nesso profondo tra parola ed immagine alla base della combinatoria fantastica bruniana. Il fecondo rapporto instaurato in ambito retorico-dialettico tra tropo ed elemento cui esso allude permette di comprendere il rifiuto bruniano di un uso vuoto delle figure di significato.

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prontezza al momento del bisogno, dopo averli ordinati secondo una precisa

dispositio, ovvero secondo un ordine ben ponderato che suddivide la materia in modo

da raggiungere lo scopo prefissato.

Le argomentazioni di Dicson inducono Perkins a rispondere con gli ultimi due libelli, che contengono il nucleo centrale della polemica, in quanto mostrano la sua profonda conoscenza dell’arte della memoria del Nolano. Numerose sono le sezioni nelle quali Perkins richiama l’elaborazione teorica del De umbris idearum e del Cantus

Circaeus144. Nel De umbra rationis Dicson così definisce il sostrato: «Est autem subiectum aliud absolutum et principale, aliud adiuvans et quasi socium. Illud natura semper, aut manu absolutum est: hoc est autem visionis efficientia plerunque contentum. Cum sit autem ipsum universum, et ima tellus, et continens haec aut illa, et politeia, et oeconomica dimensio, et partes eius: è proximis quidem tribus generibus, absoluta subiecta pro occasione assumuntur: reliqua illa nec sunt opus, nec usuvenire etiam fortasse queant»145.

Perkins, invece, ne fornisce una più stringata spiegazione: «Locus principalis est vel maxime communis, ut sphera mundi, vel minus communis, ut terra, civitas, domus et eius partes, sed usitate ex tribus ultimis generibus loci petuntur»146. Queste due definizioni richiamano quella fornita da Bruno nel Cantus Circaeus:

«Tale sostrato – in quanto particolarmente adatto a recepire le forme memorizzabili, così come devono essere memorizzate – può essere, secondo quanto risulta più conveniente, un composto naturale o semimatematico, oppure anche un insieme di parole stabilito per convenzione. Il sostrato naturale, a sua volta, può essere o comunissimo, in quanto lo si concepisce pari per estensione all’universo, o più

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Su questi elementi si è soffermato M. MATTEOLI nel corso dell’intervento Un ramista

“eccentrico”: Alexander Dicson e la mnemotecnica di Bruno, tenutosi nell’ambito del convegno Devils Incarnate or Saints Angelifide? Italiani in Inghilterra, inglesi in Italia tra Cinquecento e Seicento, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, 9-10 maggio 2007.

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A.DICSON, De umbra rationis, cit., pp. 47-8.

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comune, in quanto si estende nello spazio descritto dalla geografia, o comune, in quanto coincide con i confini di un determinato continente; può essere inoltre proprio, in quanto corrisponde ad una città, o più proprio in quanto lo si immagina della grandezza di una casa o di ampiezza domestica, oppure proprissimo, in quanto coincide con una delle molteplici e numerose parti e sezioni della casa. Poiché esistono tante specie di sostrati, sono particolarmente appropriati alle tecniche qui esposte quelli di ampiezza inferiore al proprio, seppure possono rivelarsi utili anche i sostrati inferiori al sostrato comune. A sua volta, il metodo per operare con questi ultimi può andare di pari passo con il metodo per operare con i sostrati semimatematici, di cui forse diremo qualcosa quando affronteremo le regole pratiche. Ma ora conviene esporre con ordine le condizioni dei sostrati»147.

Entrambi gli autori rilevano come i sostrati possano essere di diversa ampiezza e ve ne siano di ogni dimensione, da amplissimi ad individuali passando attraverso una serie di misure intermedie, ma Perkins utilizza il lemma bruniano communis, il quale non è neutro, ma individua il nesso strutturale esistente tra sostrati più grandi e sostrati in essi inclusi. Molteplici sono poi i passi in cui Perkins mostra, relativamente a dettagli tecnici di notevole complessità, di ‘scavalcare’ Dicson per rivolgersi direttamente al Nolano. Egli, ad esempio, definisce l’immagine mnemonica – che, evitando la confusione dicsoniana, chiama anche imago e non solo

umbra – facendo riferimento non soltanto al De umbra rationis, ma anche al Cantus

147

G. BRUNO, Opere mnemotecniche, vol. 1, cit., p. 673. Riporto di seguito anche il testo originale bruniano, contenuto a p. 672, che permette di constatare la ripresa del lemma communis da parte di Perkins: «Subiectum vero istud – utpote quod est aptum natum ad recipiendas formas memorabiles, ut memorandae sunt – pro commodo esse potest vel compositum naturale, vel semimathematicum, vel verbale positivum. Ipsum vero naturale vel potest esse communissimum, extentum iuxta latitudinem ambitus universi, vel communius iuxta latitudinem geographiae, vel commune iuxta latitudinem alicuius continentis, vel proprium iuxta latitudinem politicam, vel proprius iuxta latitudinem domesticam seu oeconomicam, vel propriissimum iuxta multitudinem atque numerum partium domus et particularum eiusdem. Tot existentibus subiecti specibus, ipsae, quae sunt infra latitudines proprietatis, maxime sunt ad usum praesentem accomodatae, licet etiam hae, quae sunt infra latitudinem communitatis, usu venire / valeant. Porro praxis illarum una cum praxi subiectorum semimathematicorum currere potest, de quibus fortasse in regulis practicis aliquid commonstrabimus. Nunc autem consequens est in medium afferre conditiones subiectorum per ordinem».

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Circaeus. La conclusione della sua spiegazione in merito – «Hic autem per species

significatur non Platonis idea, non essentia incorporea, non forma rei naturalis, sed quidvis cogitatione effectum quod aliud indicare possit, ut pro fortuna pingimus foeminam coecam, et volubili insistentem rotae»148 – riecheggia infatti queste affermazioni del Nolano:

«Anche in questo caso il nostro trattato non assume il concetto di forma secondo come viene inteso nella metafisica platonica, vale a dire nel senso di idea, e nemmeno secondo come viene inteso nella metafisica peripatetica, vale a dire nel senso di essenza; non secondo il significato attribuito dalla scienza della natura, vale a dire nel senso di forma sostanziale o accidentale che informa di sé la materia ovvero il sostrato; non secondo il significato che assume in ambito tecnico, come forma artificiale imposta dall’esterno alle realtà fisiche esistenti in atto, le quali costituiscono il presupposto della sua sussistenza. Si assume invece secondo il significato che le viene attribuito dalla logica non razionale ma fantastica – in quanto assumiamo il termine “logica” in senso più ampio – e che corrisponde al modo in cui in precedenza abbiamo riconfigurato la definizione di sostrato, differenziandola e distinguendola da altre specie»149.

Perkins comprende la carica innovativa insita nel concetto bruniano di forma mnemonica: esso può essere posto in relazione con alcune elaborazioni teoriche precedenti, ma solo in modo negativo, per sottolineare ciò che esso non è. La forma mnemonica, infatti, non è soltanto l’impalcatura strutturale che regge una determinata conformazione di materiale fantastico, ma anche il significato che tale immagine assume al momento della sua visualizzazione mentale: questo elemento, ben compreso dal pastore puritano, sfugge invece completamente a Dicson, come abbiamo precedentemente avuto modo di constatare a proposito della sua concezione

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W.PERKINS, Libellus in quo dilucide, cit., p. VII, 3.

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della scrittura geroglifica. Anche nella sua riproposizione delle praxis del De umbris

idearum Perkins risulta essere molto più preciso e dettagliato dello mnemonista

scozzese: mentre questi aveva soltanto evocato la possibilità di combinare le immagini rappresentanti le lettere, divise nelle tre categorie di figure, azioni e oggetti peculiari150, Perkins ne fornisce un elenco che, come quello bruniano del Cantus

Circaeus151, prevede l’associazione dell’iniziale del nome del personaggio e della

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