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Le sezioni dei Sigilli dedicate all’inventio: il possibile pubblico cantabrigense del Nolano

2. Gabriel Harvey: un ramista eclettico

2.2 Le sezioni dei Sigilli dedicate all’inventio: il possibile pubblico cantabrigense del Nolano

Un’analisi dell’Explicatio triginta sigillorum può, a mio parere, mostrare come sia proprio al pubblico dei ramisti ‘eclettici’ cantabrigensi che Bruno guardi al momento della composizione di quest’opera e come sia perciò verosimile che essa sia stata pubblicata dopo l’accusa di plagio e l’allontanamento da Oxford, quando al Nolano si pose il problema della ricerca di un altro pubblico di lettori al quale rivolgere le sue opere. A stupire, nell’Explicatio, è la presenza di una serie di inserti sull’inventio retorica, mancanti nella precedente presentazione, nei quali Bruno espone l’ossatura dialettica del sigillo, lasciando da parte l’aspetto mnemotecnico connesso all’immagine per individuare, in filigrana, la configurazione schematico- organizzativa soggiacente. Tale scissione tra ‘scheletro dialettico’ e ‘corpo fantastico’ risulta, ad una prima lettura, artificiosa ed invita alla riflessione: perché Bruno si è sentito in dovere di operare questa distinzione, quando nella sua gnoseologia il secondo ‘passo’ dopo il reperimento dei dati ‘grezzi’ sensibili è costituito dalla loro rielaborazione in immagini operanti nel multiforme teatro della fantasia90 e le nozioni create attraverso l’azione plastica della fantasia si configurano

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Cfr. Il quintuplice e semplice grado del progresso del Sigillus sigillorum, in G.BRUNO, Opere

mnemotecniche, edizione diretta da M. Ciliberto, a cura di M. Matteoli, R. Sturlese, N.

Tirinnanzi, vol. 2, Adelphi, Milano 2009, pp. 209-11: «Dobbiamo per questo regolare i quattro gradi in cui sono scandite le potenze cognitive così da ascendere senza errore dal senso, che concerne i corpi, alla fantasia, che concerne i simulacri dei corpi; da questa all’immaginazione,

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immediatamente come immagini significanti che, interagendo l’una con l’altra, possono creare ulteriori significati? La risposta sta nella sua volontà di instaurare un dialogo proficuo con i puritani ramisti cantabrigensi che, come Harvey, non erano adusi – ed anzi erano avversi – all’utilizzo delle immagini, ma potevano essere interessati ad una forma organizzativa del sapere quale quella bruniana, che si proponeva di ordinare il materiale all’interno di una cornice unitaria, contemporaneamente sistematica e non dimentica del particolare concreto.

Può essere a questo punto utile un excursus a proposito della gnoseologia bruniana, volto a chiarire perché la separazione tra immagine ed elemento retorico-dialettico sia una scelta calcolata, fondamentalmente estranea alla teoria della conoscenza del Nolano. Il senso91, in quanto primo grado tra i cinque (senso, fantasia, immaginazione, ragione e intelletto) in cui si articola il processo conoscitivo, è oggetto, nel Sigillus sigillorum, di una densa riflessione da parte di Bruno. Obiettivo del Nolano è quello di mostrare l’unità fondamentale del processo gnoseologico, parallela a quella esistente sul piano ontologico: la Mente universale, informando di sé realtà tra loro differenti, genera in esse una diversa capacità conoscitiva, che si organizza secondo plurimi livelli, ma contemporaneamente garantisce la sostanziale unità gnoseologica del reale, per cui non può esistere alcun approccio cognitivo che non derivi da una partecipazione almeno parziale della realtà conoscente all’intelletto. Senso, fantasia, immaginazione, ragione e intelletto sono dunque cinque gradini di un’unica scala, che può essere analizzata sia a partire dall’estremo

che concerne i contenuti dei simulacri, e da qui all’intelletto, che medita sulle nature comuni ai singoli contenuti».

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Per una limpida e accurata trattazione in merito, cfr. M. CILIBERTO, Senso e intelletto nei Dialoghi di Bruno, in Sensus-Sensatio: VIII Colloquio internazionale (Roma, 6-8 gennaio 1995), atti a cura di M. L. Bianchi, Olschki, Firenze 1996, pp. 199-213; F.PAPI, Antropologia e civiltà

nel pensiero di Giordano Bruno, La Nuova Italia, Firenze 1968; L. SPRUIT, Il problema della

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più alto, sia a partire da quello più basso, ovvero il senso. Anche se al livello inferiore del processo conoscitivo, il senso partecipa comunque dell’unità gnoseologica che culmina nell’intelletto e perciò «se nel senso si dà partecipazione all’intelletto, il senso non sarà altro che intelletto [sensus erit intellectus ipse]»92

. I cinque gradi hanno nomi diversi in quanto, entrando in relazione con enti strutturalmente vari, la Mente universale genera in essi una potenza conoscitiva differente, ma tali nomi servono soltanto ad enucleare una distinzione funzionale cui soggiace un’unità essenziale. Il senso concerne i corpi ed il suo compito – rileva Bruno – non è quello di «conoscere limpidamente quanto è fuori dall’anima, ma di annunciarlo alla facoltà che conosce»93, tema sul quale il Nolano tornerà anche nelle

Theses de magia, rilevando come l’errore non risieda nel senso, dato che esso «non

afferma e non nega, ma riceve soltanto le specie che gli si presentano»94. In netta opposizione ai Platonici – il riferimento polemico è Plotino – che affermano che il senso è ‘nostro’ perché siamo in ogni momento in grado di sentire, mentre l’intelletto è separato da noi, che per pervenire ad esso non possiamo fare altro che cercare di elevarci fino a raggiungerlo, Bruno, ribadendo l’unità inscindibile esistente tra il livello più basso e quello più elevato del conoscere, sostiene che l’intelletto è ‘nostro’ tanto quanto il senso. E’ la capacità intellettiva che talvolta viene a mancarci, dato che «non sempre intendiamo, non sempre siamo illuminati»95, ma la sua condizione è sempre in noi. Lo sforzo bruniano di reductio ad unum delle diversificate attività cognitive già individuate dalla tradizione filosofica a lui precedente prosegue anche a proposito delle definizioni del senso. Esso solitamente

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G.BRUNO, Opere mnemotecniche, vol. 2, cit., pp. 217-9.

93

Ivi, p. 211.

94

G.BRUNO, Opere magiche, cit., p. 379.

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viene distinto in senso inferiore proprio anche delle piante, «quello per cui non si distingue la natura della cosa, né alcuna sua qualità, ma si avverte solo una sollecitazione trasmessa secondo quelle che sono le qualità corporee»96, e senso superiore proprio solo degli animali, che al contrario percepisce sia natura sia qualità dell’oggetto, dimensioni alle quali si affianca «un terzo modo di essere da cui il senso è significato»97, quello per cui Epicuro definisce «senso ogni cognizione, Democrito ed Empedocle chiamano così l’intelletto, i Pitagorici la mente e lo spirito che dà vita e che intendono presente in tutte le cose secondo la sua ragione»98. Queste distinzioni, conclude il Nolano, individuano differenti punti di vista che possono essere integrati alla luce della sua posizione:

«E’ infatti la mente, che anima la mole dell’universo, quella che dal centro figura il seme e lo fa germinare con tanto mirabili ordini nella sua figura esteriore, intesse con tecniche così sapienti, abbozza e dipinge in modo perfettissimo le piante e le vene delle pietre, cui non viene ancora a mancare spirito di vita, e da tutte le quali si effondono le virtù animali, come è abbastanza evidente a quanti non sono ciechi nella contemplazione delle cose naturali. Se la tua riflessione insisterà su questo punto, non potrò credere che ti sia stata attribuita invano la facoltà di sentire»99.

Evidente risulta dunque il nesso esistente tra gnoseologia ed ontologia: il senso è un livello esplicativo della Mente universale, ovvero della Vita-materia infinita, accomunato a tutti gli altri livelli del reale dalla partecipazione alla scala del conoscere e dell’essere. La presenza di un principio unico ed unificante, la Mente universale, che feconda l’intera realtà e si esplica in essa secondo una pluralità di livelli, conduce del tutto coerentemente Bruno nella Cabala del cavallo pegaseo alla

96 Ivi, p. 213. 97 Ibid. 98 Ibid. 99 Ivi, pp. 213-5.

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valorizzazione della corporeità e di un organo di senso particolare, la mano, per la fondazione del primato della specie umana. L’asino Onorio, discorrendo con Sebasto, sostiene l’omogeneità della materia spirituale presente in tutti gli enti: l’anima «de l’uomo è medesima in essenza specifica e generica con quella de le mosche, ostreche marine e piante, e di qualsivoglia cosa che si trove animata o abbia anima: come non è corpo che non abbia o più o meno vivace e perfettamente communicazion di spirito in se stesso» e tale spirito «viene a giongersi ora ad una specie di corpo, ora ad un’altra: e secondo la raggione della diversità di complessioni e membri, viene ad avere diversi gradi e perfezzioni d’ingegno et operazioni»100

. Di fronte alle affermazioni dell’asino, che giunge a sostenere che alcuni animali, come il serpente, «possono aver più ingegno e molto maggior lume d’intelletto che l’uomo»101

, Sebasto, dapprima rifiutatosi di parlare nel caso degli animali di ‘intelletto’ e limitatosi a definirlo ‘istinto’, è poi, sotto la pressione incalzante delle domande di Onorio, costretto ad ammettere la presenza in essi di «un’efficacia de sensi interiori»102 che, come rileva l’asino, in fondo è soltanto una perifrasi per indicare l’intelletto. Ribadendo temi del Sigillus sigillorum, Onorio mostra come uno solo sia il senso e uno solo l’intelletto, esplicantisi «secondo tanti specifici e numerali gradi di complessioni, quante sono le specifice e numerali figure e complessioni di corpo»103. Ne consegue che unicamente facendo leva su un elemento proprio della conformazione corporea umana, la mano, definita dall’asino «organo de

100

G.BRUNO, Dialoghi filosofici italiani, cit., p. 717.

101 Ivi, p. 718. 102 Ivi, p. 721. 103 Ivi, p. 720.

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gli organi»104, Bruno può fondare la supremazia dell’uomo ed individuare il motivo della nascita della sua civiltà.

Soltanto uscendo dalla dimensione cognitiva del senso, al quale, come abbiamo avuto modo di constatare, pertiene non propriamente di conoscere limpidamente quanto è nel mondo fenomenico, ma di annunciarlo alle facoltà superiori, è possibile pervenire alla conoscenza dell’infinito. Per questo in apertura al De l’infinito Filoteo si dedica ad un’ampia critica del senso contro l’ottuso aristotelico Burchio, ribadendo a più riprese i limiti costitutivi della conoscenza sensibile:

«Non è senso che vegga l’infinito, non è senso da cui si richieda questa conchiusione: per che l’infinito non può essere oggetto del senso; e però chi dimanda di conoscere questo per via di senso, è simile a colui che volesse veder con gli occhi la sustanza e l’essenza: e chi negasse per questo la cosa, per che non è sensibile o visibile, verebe a negar la propria sustanza et essere. Però deve esser modo circa il dimandar testimonio del senso: a cui non doniamo luogo in altro che in cose sensibili, anco non senza suspizione, se non entra in giudizio gionto alla raggione»105.

La testimonianza fornita dai sensi, per essere accettata, deve riferirsi esclusivamente ad enti sensibili e deve ottenere l’assenso della ragione, condizioni ineliminabili perché essa riesca a fornire un vero apporto conoscitivo: i sensi servono a procurare materiale alla ragione, ma non possono su tale materiale formulare un giudizio, «onde la verità come da un debile principio è da gli sensi in picciola parte: ma non è nelli sensi»106. L’importanza essenziale di questa tematica risulta perspicuamente dal suo ripresentarsi, secondo una costruzione anaciclica volta ad evidenziarne la rilevanza, anche al termine dell’opera, nel dialogo quinto, nel contesto della critica svolta dal Nolano alla dottrina sensistica di Epicuro. Esclusivamente rilevando il

104 Ivi, p. 719. 105 Ivi, p. 324. 106 Ibid.

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primato dell’intelletto, capace di creare griglie concettuali in grado di organizzare il materiale grezzo proveniente dai sensi, è infatti possibile, rileva Bruno, interpretare correttamente i dati empirici e superare il concetto epicureo di infinità, intrinsecamente carente, per giungere all’affermazione della Vita-materia infinita: «l’ochio del nostro senso, senza veder fine, è vinto dal spacio inmenso che si presenta; e viene confuso e superato dal numero de le stelle che sempre oltre et oltre si va moltiplicando: di sorte che lascia indeterminato il senso, e constrenge la raggione di sempre giongere spacio a spacio, regione a regione, mondo a mondo»107. Solo la potenza intellettiva è in grado, al contrario del senso che è vinto e confuso dal moltiplicarsi esponenziale degli spazi, di aggiungere uno spazio all’altro, un mondo all’altro, e di ‘scoprire’ l’infinito: affiora il nucleo basilare del metodo bruniano, secondo il quale solo l’intelletto è in grado di inserire il materiale proveniente dai sensi all’interno di un quadro teorico coerente, alla luce del quale poi effettuare ulteriori e più mirate osservazioni.

Evitando di far compiere al senso attività che esulino dalle sue competenze, esso fornisce un contributo gnoseologico fondamentale ed insostituibile e per questo in Bruno, accanto ad una valutazione negativa del senso utilizzato in un modo sregolato non facente riferimento ad una precisa gerarchia delle attività cognitive, sono frequenti significativi riconoscimenti, seppur mai disgiunti dall’individuazione dei suoi limiti. Soffermandosi sulle metodologie cognitive individuate dal Nolano – la conoscenza della molteplicità degli enti e della trama di rapporti esistenti tra di loro, capace di creare un’enciclopedia del sapere da ricordare servendosi di tecniche precise, e l’ascesa verso l’unità che soggiace al divenire costituita dall’eccezionale

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esperienza del furore –, è possibile mettere in luce come in ambedue i casi il campo d’azione della sensibilità rivesta un ruolo essenziale. Il primo processo conoscitivo ha come punto di partenza ineliminabile la realtà fenomenica in perenne mutamento: l’uomo, essenzialmente legato ad una dimensione ‘umbratile’ e dunque capace di accedere solo alle ombre delle idee, ‘impronte’ che, per quanto non perfettamente identiche a ciò che realmente esiste, ne forniscono una traccia corrispondente e costituiscono l’unico nesso possibile tra anima e mondo empirico, può pervenire alla conoscenza intellettuale solo tramite un processo avente come fondamento l’ombra fisica proveniente, attraverso gli organi di senso, dal mondo corporale e procedente per gradi successivi di astrazione, come mostra chiaramente «la scala di Minerva, ovvero le disposizioni del conoscere»108 della Lampas triginta statuarum. A partire dalle ombre può essere effettuata l’ascesa dalle tenebre alla luce della conoscenza; il mondo sensibile, soggetto al divenire, costituisce dunque per Bruno il punto di partenza del processo conoscitivo: confinato a vivere in una dimensione costitutivamente legata alla sola possibilità di accesso alle ombre delle idee, l’uomo deve partire proprio dai vestigia per iniziare il suo ascensus. L’ombra – afferma Bruno nel De umbris idearum – rende possibile tanto l’ascesa dalle tenebre alla luce quanto viceversa la discesa dalla luce alle tenebre e, se dal punto di vista ontologico essa conduce all’emergere di enti molteplici dal grembo delle Vita-materia infinita, per quanto riguarda la gnoseologia umana permette all’individuo di procedere, astraendo progressivamente, dall’ombra fisica alla conoscenza intellettuale:

«Si dà infatti un processo che da quanto è di per se stesso superiore all’essenza discende alle essenze, dalle essenze alle realtà esistenti, da queste alle loro tracce, immagini, simulacri e ombre, e che si compie sia verso

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la materia, perché le cose siano prodotte nel suo grembo, sia verso il senso e la ragione, perché le cose siano conosciute ad opera delle loro facoltà»109.

Il percorso cognitivo che può condurre l’uomo alla verità affonda le sue radici nella realtà sensibile che, per quanto offuscata, è il solo luogo nel quale possa avere luogo quello scambio di contenuti attraverso il quale la provvidenza divina comunica all’anima le ombre delle idee, che costituiscono un ‘annuncio’ dell’esistente e, unico nesso possibile tra anima e realtà extramentali, sono il principio formale a partire dal quale strutturare ogni conoscenza possibile. Sebbene le ombre siano solo impressioni ‘fantasmatiche’ del reale, esse sono nondimeno affini a ciò che rappresentano ed è esclusivamente attraverso una loro preliminare valutazione che è possibile avviare il complesso iter conoscitivo. Ad animare i dati che provengono dalla conoscenza sensibile della realtà fisica è lo spiritus phantasticus, definito nel De imaginum

compositione, pubblicato a Francoforte nel 1591, «primo veicolo dell’anima, medio

tra realtà temporali ed eterne»110: esso non crea ex nihilo i propri contenuti, che al contrario ricava dai sensi, ma, diversamente da questi ultimi, non rimane legato al dato recepito volta per volta e riesce a spaziare, alterando e combinando i contenuti e dunque trasformando le rappresentazioni grezze ricevute dai sensi, provenienti da enti finiti, in manifestazioni dell’infinito e della libera e creativa vitalità che lo pervade. Esso anima i materiali inerti provenienti dai sensi esterni, combinandoli tra loro ed infondendo in essi nuovo vigore, in modo tale da renderli una manifestazione della Vita-materia infinita avente un determinato posto all’interno della trama di relazioni in perenne mutamento che percorre il reale. Il grande teatro della fantasia, sul cui palcoscenico si svolgono sia i processi cognitivi spontanei sia la pratica

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G.BRUNO,Opere mnemotecniche, vol. 1, cit., p. 49.

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dell’arte della memoria, si riempie di personaggi e scenografie grazie all’apporto dei sensi, che forniscono le basi empiriche di ogni successiva rielaborazione, e rimarrebbe privo di attori e di scenografie senza le preliminari informazioni rudimentali tratte dalla sfera del sensibile: appare dunque evidente come per Bruno il pensiero sia una riflessione che si svolge attraverso immagini costruite con elementi sensibili e che sia attraverso l’‘occhio’ della fantasia, operante tramite sequenze di figure, che si svolgano le attività mentali. L’apporto dei dati sensibili rielaborati attraverso immagini è dunque basilare in un’ottica bruniana, testimonianza dello strettissimo legame tra ontologia, cosmologia e gnoseologia presente nella «Nolana filosofia» cui si è fatto cenno anche nel capitolo precedente e che è facilmente riassumibile valutando la presenza del lemma ‘seno’ e del suo corrispondente latino ‘sinus’ nell’opera del Nolano. Nel De la causa Bruno utilizza più volte l’immagine del ‘seno della materia’ per indicare, nel contesto della fondazione della sua rivoluzionaria ontologia, il seno gravido di forme del principio materiale; in particolar modo quest’espressione ricorre nel dialogo quarto ed infatti essa è presente anche, a suggello dell’importanza che assume all’interno di questa sezione dell’opera, nell’argomento del quarto dialogo contenuto nella Proemiale epistola, laddove come quinto punto enucleato viene indicato «che nessun savio disse mai le forme riceversi da la materia come di fuora: ma quella cacciandole come dal seno, mandarle da dentro»111. Il dialogo quarto si apre con un lungo monologo del pedante Polihimnio, contenente una serie di affermazioni a proposito della materia facenti capo a differenti correnti filosofiche: in questo vero e proprio mosaico di fonti, emerge in particolar modo l’opposizione, afferente alla tradizione aristotelica, tra la

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materia/femmina passiva e la forma/maschio attiva ed agente sul sostrato materiale. Il Nolano, uno degli obiettivi del quale è quello di ‘smontare’ pezzo per pezzo, citazione per citazione, il monologo del pedante per mostrare come certi paradigmi concettuali enucleati all’interno di esso possano essere stravolti alla luce della sua rivoluzionaria ontologia, valorizza in modo particolare l’immagine del ‘seno della materia’ perché vuole rovesciare la visione aristotelica a partire dalla similitudine che essa stessa adduce come esempio. Se gli aristotelici intendono sminuire la materia paragonandola alla femmina, per sottolinearne la passività, considerandola un grembo inerte atto solo ad accogliere il principio della generazione portato in esso dal maschio, Bruno mina a partire dalle sue fondamenta questo accostamento, mettendo in primo piano la fecondità della femmina e, fuor di metafora, della materia. Lungi dall’essere un prope nihil come l’avevano considerata la tradizione facente capo allo Stagirita e quella neoplatonica, la materia è un principio vitale ed eminentemente attivo, che non riceve le forme dall’esterno, come agenti che volta per volta la sottraggano al suo stato di indeterminatezza ontologica per condurla finalmente ad una definizione, ma «manda dal suo seno le forme e per consequenza le ha in sé»112. Il principio materiale produce dal suo interno le forme, è il datore della vita, esattamente come è il grembo materno ad accogliere e nutrire la vita umana in procinto di venire alla luce: esso è animato da un desiderio infinito che lo induce ad ‘accogliere’ o ‘rifiutare’ le forme e questa sua brama per il Nolano non è un tratto negativo, un costante senso di mancanza paragonabile a quello della femmina mai sazia di maschi, bensì una prova della sua maggiore dignità rispetto alle forme che, al di fuori del suo seno fecondo, non troverebbero vita e possibilità di

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