2.1 IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE: EVOLUZIONE STORICA E NORMATIVA
2.3.3 Piano Educativo Zonale (P.E.Z.): l’esperienza pisana
Abbiamo più volte ripetuto che la situazione del disabile, e il suo diritto all’informazione, non è interesse esclusivo dell’organizzazione scolastica, ma anche dell’intero sistema sociale di cui fa parte.
90
D. Ianes. Alunni con BES- bisogni educativi speciali, op. cit. 91 In www.scuolemarchirolo.gov.it, consultato il 19/01/2015.
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A tal proposito, nel territorio pisano, sono ormai da anni finanziati progetti che mirano proprio a favorire l’effettiva integrazione degli alunni con disabilità. In questo contesto si inserisce, ad esempio, il piano educativo zonale P.E.Z., varato dalla Conferenza dei Sindaci dell’area pisana per l’anno 2013/14, che ha costituito una programmazione unitaria ed integrata che ha consentito di articolare attività di educazione formale e non formale per la fascia di età 0-18 anni. Il Piano è stato finanziato con fondi regionali, comunali e provinciali appositamente stanziati. Si è articolato in azioni volte alla fascia scolare 3-18 anni per favorire92:
l’inclusione scolastica degli alunni diversamente abili e con diversità di lingua e cultura;
l’inclusione degli alunni diversamente abili;
l’inclusione degli alunni con diversità di lingua e cultura di provenienza; le esperienze educative e di socializzazione durante i periodi di sospensione del tempo scuola;
il contrasto al disagio scolastico.
Attualmente, i progetti finanziati dal P.E.Z. riguardano93:
a) l’educazione alla cittadinanza attiva (educazione alla pace e alla gestione dei conflitti, conoscenza di se e dell’altro, educazione alla legalità);
b) l’educazione musicale e la globalità dei linguaggi (laboratori teatrali, musicali, cori, lezioni interattive con utilizzo di strumenti specifici);
c) l’educazione scientifica;
d) le attività riguardanti i disturbi specifici dell’apprendimento DSA; e) le attività inerenti la continuità educativa;
f) le attività di sportello d’ascolto per alunni/e e insegnanti/genitori degli istituti Comprensivi e Superiori dell’area pisana, finanziato con fondi comunali e provinciali, oggetto di apposita convenzione fra la Provincia di Pisa i sei Comuni dell’area, la Società della Salute e l’USL5.
92
In www.regione.toscana.it, consultato il 19/01/2015. 93 Ibidem.
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Al fine di offrire un esempio concreto di progettazione inclusiva finanziata dal P.E.Z., riporto di sequito un progetto realizzato, mediante materiali non strutturati, presso una scuola dell’infanzia pisana.
2.3.4 Progetto Pez: “Giochiamo con il mondo sonoro”
Motivazione
Il progetto si inserisce nell’area del movimento e della musica ed è finalizzato a favorire l’inclusione degli alunni disabili attraverso il canale espressivo musicale e motorio. Le attività proposte mirano a far emergere verso l’esterno l’identità della bambina al fine di favorire, attraverso situazioni ludiche, occasioni di conoscenza del sé per incrementare relazioni positive con i compagni.
Coniugando la musica e il movimento, infatti, è possibile sviluppare condotte gesto- motorie utili per l’acquisizione di una più sentita coscienza psicomotoria da parte dei bambini e delle bambine. Partendo dagli stimoli musicali il bambino, d’altronde, comprende e realizza tecniche motorie utili per affrontare geometrie corporeo-spaziali che l’ambiente e le relazioni (con le cose e con gli altri) gli propongono di realizzare.
In base a ciò, offrendo loro brani musicali come input, si suggeriscono azioni motorie che permottono al bambino di provocare condotte emotive, ludiche e fantastiche. Il progetto, finalizzato all’apprendimento di tecniche motorie funzionali all’espressione e alla comunicazione della propria identità attraverso i linguaggi non verbali, accoglie e applica quanto riportato dalle Nuove Indicazioni Nazionali, in cui si legge che:
“Le esperienze motorie consentono di integrare la parola e i gesti, di produrre e fruire musica, di accompagnare narrazioni, di favorirela costruzione dell’immagine di sé e l’elaborazione dello schema corporeo”.
Le proposte musicali utilizzate mirano così a far vivere ai bambini un’esperienza motoria che amplifichi loro la sfera delle possibilità fisiche, attraverso un viaggio fantastico sostenuto dal racconto di una storia, “Cuore di pane” (autrice Rosa Iacopini),
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che consenta loro di vivere e scoprire se stessi, attraverso lo stimolante gioco di scoprire il mondo.
Le attività, sviluppate in un clima giocoso e ludico, permettono una libera e originale espressione del sé e del proprio corpo, mostrando atteggiamenti creativi, favorendo una libertà motoria lontana da condotte convenzionali, lasciando invece spazio ad azioni personali, appartenenti al sé. In questo modo i bambini hanno modo di far emergere il corpo proprio e quello vissuto, coniugando emozioni reali all’immaginazione fantastica.
Destinatari
I bambini coinvolti nel progetto sono stati in totale sedici, divisi in due gruppi da otto, in ognuno dei quali vi era inserito un bambino disabile. Entrambi i gruppi, omogenei al loro interno per età (3-4 anni e 5-6 anni), sono stati formati da bambini appartenenti alle tre sezioni della scuola, al fine di favorire l’inclusione dei bambini a tutto tondo, senza creare differenze di sezione di appartenenza.
Spazi
Il progetto si è svolto all’interno della scuola dell’infanzia “M. Betti”, in una sezione del plesso, adattando e modificando lo spazio per consentire lo svolgimento delle attività motorie previste.
Obiettivi
Sviluppare la capacità di interagire tra compagni e adulti; ascoltare storie e racconti; esprimersi in modo personale; prendere coscienza del proprio corpo; stimolare il linguaggio corporeo espressivo; imparare ad ascoltare i suoni all’interno di ambienti diversi; esplorare i linguaggi non verbali; stimolare il piacere dell’invenzione; esprimersi con la mimica; imparare a percepire ed ascoltare; osservare il proprio movimento; elaborare il proprio schema motorio; sollecitare la condivisione; toccare e affinare i propri gesti; individuare qualità e proprietà dei materiali; organizzare il movimento nello spazio; esplorare le proprie possibilità simbolico rappresentative.
Breve intervista all’insegnante che ha curato il progetto
G: Quanti bambini disabili erano coinvolti nel progetto?
I: Il progetto è stato presentato ai bambini dell’intero plesso, i quali sono stati
suddivisi in due gruppi e, all’interno di uno di essi, vi era un bambino ipovedente di tre anni (affetto da cataratta congenita monoculare). È stato deciso di garantire la piena e
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totale inclusività del bambino; per tale motivo, è stato pensato di formare due gruppi “misti”, inteso con bambini frequentati tutte le sezioni della scuola.
G: Come mai ha scelto il canale musicale e corporeo?
I: Considerando le difficoltà principali del bambino disabile, sono state scelte delle
attività che potessero essere estese a tutti i bambini e il canale motorio-musicale si è imposto come quello più adeguato e rispondente ai bisogni dell’alunno. Non dimentichiamoci che nella scuola dell’infanzia, tutte le esperienze che i bambini fanno passano dal corpo che diventa un’unità di misura e uno strumento di apprendimento.
G: Un’esperienza simile, quanto ha contribuito all’inclusione del bambino?
I: Sicuramente ha rafforzato i legami con i coetanei del proprio gruppo classe e delle
altre sezioni, andando a creare al contempo un clima positivo nel quale il bambino viveva serenamente lo spazio e l’ambiente. La musica e i giochi di movimento (singoli, in coppia e in piccoli gruppi) hanno dato una veste ludica a tutte le attività, favorendo una percezione positiva del sé. I comandi dati, infatti, non prevedevano una prestazione motoria unica, ma lasciavano ogni bambino libero di esprimersi con creatività e fantasia. Questo ha fatto sì che non emergessero i limiti motori del bambino dovuti all’ipovisione, ma anzi gli hanno permesso di sentirsi uguale agli altri visto che non esistevano movimenti definiti giusti o sbagliati.
G: Con queste attività, quali messaggi-informazioni pensa che siano stati trasmessi ai
bambini?
I: Certamente quello che la musica e il movimento non hanno limiti di essere
interpretati, ognuno può farlo come meglio crede e che il corpo è uno strumento per comunicare con gli altri. Il bambino ipovedente ne ha dato dimostrazione. Esso può mostrarsi “diverso” per via del bendaggio ad un occhio, ma se le attività vengono poste in modo accessibile a tutti, anche lui può parteciparvi e così tutti fanno tutto!
G: Pensa che sia stato produttivo per il bambino?
I: Io penso proprio di sì. Questo progetto in sostanza ha creato degli spazi e dei
momenti nei quali il bambino ha fatto quello che facevano tutti gli altri come se non ci fosse alcuna disuguaglianza. Lui in quel contesto non ha percepito la sua “diversità” cosa che invece potrebbe accadere nel vissuto quotidiano. È questo quello che deve fare e garantire la scuola e non solo…
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A conclusione di questo capitolo, riporto una riflessione di Girelli che sembra essere una sintesi di quanto scritto fin ora94:
“Una tendenza diffusa è quella di considerare queste diversità come “incidenti” e tendere ad eliminarne ogni traccia cercando di normalizzarle al più presto. Tale tendenza è collegata ad una idea di scuola centrata sull’insegnamento, dove l’alunno è il destinatario che deve ricevere e restituire il messaggio e le discipline sono il fine della scuola. Se le consideriamo occasioni, vuol dire che abbiamo un’idea di scuola diversa: le diversità non costituiscono un ostacolo perché segnalano in modo evidente che la realtà non è uniforme, che la
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normalità è costituita appunto da plurime diversità. L’eterogeneità è la normalità. L’alunno in difficoltà diventa un’occasione perché la scuola si ripensi come strumento di successo formativo per tutti e le discipline di insegnamento diventano il mezzo per promuovere la personalità dell’allievo in tutte le sue dimensioni”.
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CAPITOLO III
GLI AUSILI
Esaminata la normativa e analizzati i presupposti per una corretta prassi operativa affinchè si generi un contesto di inclusione e di individualizzazione della pratica didattica, così come descritto all’interno degli scorsi capitoli, di seguito entreremo più nel merito degli ausili e del loro utilizzo. Gli ausili, infatti, in relazione a certi deficit sensoriali e/o di altra natura, hanno il compito di facilitare l’individualizzazione e l’inclusione dell’apprendimento e della didattica.
3.1 SCRITTURA TATTILE
Sappiamo che la comunicazione è il mezzo attraverso il quale si rende possibile il rapporto con gli altri e si permette che ogni essere vivente da elemento individuale diventi elemento sociale. Paul Watziawick, noto psicologo statunitense, definisce questo rapporto nei termini di “comunicazione interpersonale”95.
Attraverso il linguaggio, che possiamo definire come l'insieme di codici intersoggettivi che consentono di trasmettere, conservare ed elaborare informazioni, avviene la comunicazione umana. A tal proposito, l’uomo si serve di vari mezzi per comunicare, quali: il canto, la musica, il gesto, la danza, la raffigurazione, i sistemi grafici, ma il modo più raffinato e articolato è proprio il linguaggio verbale che si esprime attraverso la parola scritta96. Non è un caso che la scrittura si è rivelata, nel tempo, un efficace mezzo di comunicazione, capace di trasmettere e conservare la cultura dei popoli97. Essendo però la scrittura percepibile solo attraverso gli occhi, è nata l’esigenza di costruire, per i non vedenti, un sistema tattile alternativo.
Le prime prove di scrittura tattile risalgono alla seconda metà del XVII secolo. Queste, però, non ebbero allora alcun seguito. I tentativi furono ripresi solo più tardi e soprattutto durante la prima metà del XIX secolo, grazie a Valentin Hauy, Charles
95
P. Watzlawick. Pragmatica della comunicazione, Astrolabio, Roma, 1967, passim. 96
Questi linguaggi utilizzati dall’uomo, che in sostanza sfruttano gli organi fisiologici riceventi, possono essere classificati in tre forme: udibili, come la musica e il canto; visibili, come la danza, la raffigurazione, il gesto e la scrittura; e in fine tattili che possono essere di svariate modalità, attualmente è in uso per il codice Braille.
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Barbier de la Serre e Louis Braille, che si sono progressivamente adoperati per creare un sistema che, come sappiamo, è tuttora utilizzato da tutti i ciechi del mondo98.
Più in particolare, Valentin Hauy aveva ideato un metodo di lettura a beneficio dei ciechi utilizzando lettere di legno riportate su un cartone in rilievo. Il metodo evidenziava però alcuni limiti: i testi per ciechi risultavano cioè eccessivamente voluminosi e, sebbene il testo ottenuto fosse ben visibile e leggibile per i vedenti, risultava ostico per i ciechi. La composizione dei testi richiedeva inoltre parecchio tempo. Aldilà dei suoi difetti, il metodo di Hauy ha rappresentato la prima breccia nel muro che divideva i vedenti dai ciechi per quanto riguarda la lettura, la scrittura e l'apprendimento.
Successivamente, dopo svariati tentativi e dopo l’incontro con il militare Charles Barbier de la Serre, Louis Braille99 inventò l’alfabeto fonetico tattile che tuttora porta il suo nome: il codice Braille. Si tratta di una tavola di 64 segni che, basandosi sull’associazione di sei punti, consente la scrittura di lettere, numeri, punteggiatura, note musicali e caratteri matematici. L’inventore pensava che i ciechi, non potendosi servire della vista, avrebbero dovuto utilizzare le dita per leggere e sarebbe stato necessario disporre una serie di segni realizzati ad hoc100.
Come spesso accade nel mondo odierno, anche l’ambiente culturale di allora non era tuttavia pronto ad accogliere la novità e per qualche tempo l’invenzione geniale fu messa da parte. Si preferiva immaginare che i privi di vista potessero scrivere tracciando caratteri simili a quelli usati dai vedenti, disegnandoli col punteruolo, e utilizzando, quindi, il metodo Hauy101. Col tempo, però, il metodo Braille prese il sopravvento e divenne la scrittura universalmente accettata da tutti.
98
In www.clubitalianobraille.it, consultato il 9/02/2015. 99
All’età di tre anni il giovane Louis si infortunò all’occhio sinistro nell’officina paterna. A causa dell’estendersi dell’infezione perse la vista anche all’occhio destro e divenne cieco. Nel 1821 venne ispirato da una visita a scuola da parte di un militare, Charles Barbier de la Serre, che descrisse un metodo per trasmettere messaggi in rilievo basato su dodici punti usato dalle forze armate per i dispacci notturni. Braille inventò il metodo basato sui sei punti, che porta ancora il suo cognome, Braille. Più tardi ideò un’estensione del metodo per la matematica (Nemeth Braille) e per le note musicali (Codice musicale Braille).
100
In www.libritattili.prociechi.it, consultato il 9/02/2015. 101 In www.clubitalianobraille.it, consultato il 9/02/2015.
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Codice Braille.
Per poter scrivere in Braille, esistono fondamentalmente due strumenti tuttora in uso: la tavoletta braille e la dattilo braille, alle quali, negli ultimi anni, con l’avvento dell’informatica, si è aggiunta la stampante braille che, collegata ad un comune PC e usando appositi software, permette al non vedente di avere documenti stampati su carta Braille. Inoltre, per garantire l’accessibilità ai libri di ogni genere letterario, partiture musicali, testi scolastici e di consultazione, nel XX secolo sono sorte le prime stamperie braille per la produzione di libri e riviste102. Di seguito viene offerta una descrizione di questi strumenti103.
La tavoletta braille: è il primo strumento di scrittura con cui ci si approccia al Braille, per la sua maneggevolezza e immediatezza. Si tratta di un piano rettangolare in plastica o in metallo provvisto di una serie di scanalature orizzontali equidistanti e un telaio, per fissare il foglio, il quale serve anche come guida su cui far scorrere un righello formato da due righe di caselline della dimensione di una cella Braille. Per scrivere si pone il foglio tra il piano e il telaio, si posiziona il righello all'altezza desiderata e si imprimono i punti Braille mediante il punteruolo che fora il foglio braille dall’alto verso il basso. Ne consegue che i punti in rilievo si sentono dalla parte opposta del foglio e che, pertanto, dovendo essere capovolto per la lettura, cambia la modalità di scrittura che dovrà essere effettuata da destra verso sinistra per essere poi letta da sinistra
102
Tra le stamperie meritano una menzione particolare: la Stamperia Nazionale Braille “Vittorio Emanuele II” di Firenze, che, soprattutto tra gli anni trenta e gli anni cinquanta ha stampato vario materiale e la Biblioteca Italiana per Ciechi “Regina Margherita” di Monza, la quale oltre ad avere una propria stamperia, ha avuto tra i suoi compiti istituzionali quello di prestare volumi di lettura.
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verso destra. I limiti di questo ausilio sono i lunghi tempi di preparazione o di controllo e difficoltà di correzione per eventuali errori104.
Tavoletta Braille.
La dattilobraille: in questo caso il sistema di scrittura cambia radicalmente. Questo strumento assomiglia ad una macchina da scrivere comune, ma, a differenza di essa, non ha un tasto per ogni carattere, poiché è caratterizzato dalla presenza di una tastiera composta solo di sei tasti per la scrittura, a cui se ne aggiungono uno per lo spazio, uno per tornare indietro di una posizione e uno per andare a capo. I punti braille vengono invertiti e questo perché la scrittura, fermo restando il principio della foratura del foglio, avviene da sinistra a destra ed è subito fruibile. Per ottenere un carattere è necessario premere contemporaneamente tutti i tasti che corrispondono ai punti necessari a formarlo105.
104
Ibidem.
75
Dattilobraille.
La stampante Braille: può essere utilizzata mediante l’utilizzo di specifici programmi di traduzione e formattazione, permettendo di stampare in braille documenti presenti nel PC. Ne parleremo in maniera più approfondita all’interno del paragrafo 3.3.1.
Oltre a mezzi di scrittura-lettura appena descritti, la tiflodidattica106 adopera altri ausili che concorrono a guidare l’allievo attraverso un percorso di studio, in modo da facilitarlo nell’apprendimento individuale di ogni modulo didattico. Vedremo nel paragrafo seguente quali sono i mezzi, procurati mediante strutture specifiche107, che comunemente vengono adoperati nelle scuole o dalle famiglie.
3.2 AUSILI TIFLODIDATTICI
Gli ausili tiflodidattici rappresentano l’insieme degli strumenti che favoriscono il processo di sviluppo e di apprendimento dell’alunno con disabilità visiva nell’ambito di un percorso didattico specifico108. In quest’ultimo, gli ausili devono essere inseriti in maniera strutturata, avendo sempre cura di rapportarli alle capacità espresse dell’alunno, valutando i prerequisiti e le conoscenze pregresse, e avendo chiara la finalità per riuscire ad adottare adeguati metodi di valutazione dei risultati ottenuti. Essi sono suddivisi per aree disciplinari: linguistica, logico–matematica, tecnico–espressiva, scientifica, storica e geografica, sino ad arrivare al materiale ludico.
106 Dal greco tiflòs che significa cieco. 107
Per strutture specifiche si intendono le basi operative del Centro Nazionale Tiflotecnico, abilitate nella produzione e distribuzione degli ausili.
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All’interno di ogni area, i sussidi sono disposti in successione secondo una gradualità che muove dall’acquisizione dei prerequisiti di base sino ad arrivare alle competenze specifiche determinate dalle diverse discipline. Ci sono, quindi, i sussidi propri per la scuola materna, quelli per la scuola elementare e quelli per la scuola media inferiore e superiore109.
Per la svariata quantità di questo tipo di ausili, è impossibile enumerarli tutti in dettaglio, ed è per tale motivo che mi limiterò ad elencare solo quelli più comunemente utilizzati, almeno secondo la mia personale esperienza.
Gli ausili tiflodattici per l’area linguistica sono i seguenti110: Barra Braille;
Stampante Braille; DattiloBraille;
Tavoletta Braille con punteruolo; Libri ad immagini tattili.
Dei primi quattro ausili abbiamo già parlato all’interno del paragrafo precedente. I libri ad immagini tattili, invece, offrono una grande opportunità di interazione culturale e creativa. Essi aiutano i bambini con deficit della vista a condividere esperienze e ad integrarsi con gli altri, incrementando la quantità e la qualità dei contatti fra loro. I libri tattili stimolano anche la curiosità, consentono al bambino di comprendere e ricostruire fatti e situazioni, e di acquisire nuove informazioni attraverso l’analisi percettiva delle immagini. La loro funzione è pertanto quella di riprodurre, mediante svariati materiali, oggetti di uso quotidiano.
Un libro tattile.
109
Ibidem.
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Gli ausili tiflodattici per l’area tecnica espressiva sono invece i seguenti:
Piano in velcro: è uno strumento per la rappresentazione grafica a rilievo, costituito da un piano (generalmente in legno) ricoperto da strisce di velcro su una delle due facce. La rappresentazione grafica si realizza attraverso l’apposizione di cordoncini sintetici sulla superficie di velcro.
Piano in velcro.
Piano di gomma: anch’esso è uno strumento per la rappresentazione grafica, ed è composto da un piano ricoperto di gomma su una delle due facce, per uno spessore di circa mezzo centimetro. Presenta inoltre un telaio su cui fissare un foglio di plastica trasparente delle stesse dimensioni del piano. La rappresentazione grafica si realizza incidendo il foglio di plastica con una comune penna. L’impiego di questo ausilio, generalmente introdotto dopo esercizi propedeutiche su piano in velcro, investe vari contesti didattici, quali: