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2.1 IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE: EVOLUZIONE STORICA E NORMATIVA

2.1.4 La scuola e la Legge Quadro 104 del 1992

Si è già parlato all’interno del capitolo precedente di tale legge, ma in questo contesto occorre trattarla più approfonditamente. Su di essa, infatti, si è basata poi tutta la normativa successiva e, in parte, anche quella attuale, inerente non solo il contesto scolastico, ma anche quello del diritto all’informazione dei disabili, dell’integrazione, dell’inclusione e della didattica individualizzata.

La Legge Quadro n.104 “Per l’assistenza, l’integrazione e i diritti delle persone con disabilità”70

, costituisce una tappa fondamentale nell’evoluzione normativa in materia di diritto allo studio dei disabili. Il testo, da un lato raccoglie e ricompone varie disposizioni precedenti in un quadro organico e, dall’altro, tende a riempire vuoti legislativi che si erano venuti a creare in vari ambiti sociali, come la famiglia, il lavoro, la salute e l’integrazione sociale. Proprio per tale motivo, il testo normativo si presenta in modo piuttosto complesso, poiché sostiene le diverse problematiche inerenti l’inserimento delle persone disabili nei vari contesti e ambiti della vita sociale, lavorativa e culturale del nostro Paese, considerando la tematica sotto più punti di vista, non ultimo quello psicopedagogico.

L’obiettivo è stato quello di abbattere gli ostacoli di qualsiasi natura che si frappongono al pieno sviluppo della persona umana e alla sua effettiva partecipazione alla vita, mediante la garanzia di natura costituzionale del diritto alla partecipazione, all’inclusione e all’informazione. Per tale motivo, la Legge 104 ribadisce non solo il diritto all’educazione e all’istruzione per il diversamente abile, dall’asilo nido fino all’università, ma regolamenta anche i rapporti tra scuola e servizi socio-sanitari dove è previsto il pieno coinvolgimento delle varie istituzioni scolastiche ed extrascolastiche. L’obiettivo è dunque quello della piena integrazione scolastica, agendo sullo sviluppo

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In www.handylex.org/stato/s030687.shtml, consultato il 17/01/2015.

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delle potenzialità del soggetto sia per quanto riguarda il piano affettivo e relazionale, che per quanto concerne il piano cognitivo, ovvero l’apprendimento.

In sintesi, i supporti che vengono disposti dalla Legge Quadro all’integrazione scolastica sono i seguenti71:

1) Programmazione: si richiede una programmazione generale e particolare dei servizi correlata con i vari organi istituzionali nel rispetto delle reciproche competenze. Tali servizi si possono identificare in quelli scolastici, sanitari, sociali, culturali, ricreativi, sportivi e assistenziali. Ciò presuppone che le scuole siano dotate di attrezzature tecniche, di sussidi e di strutture didattiche da approntare alla consulenza pedagogica, alla produzione e all’adattamento del materiale didattico, anche con convenzioni stipulate con centri specializzati.

2) Sperimentazione: viene effettuata, ai sensi del D.P.R. n. 419/74 e serve a rendere efficace l'azione di integrazione72.

3) Insegnanti di sostegno: la programmazione, la sperimentazione e l’integrazione trovano il momento di coordinamento e di raccordo nella figura dell’insegnante di sostegno che acquista la co-titolarità della classe. Tale aspetto interessa tutti i tipi di scuola, in conformità ai principi costituzionali ribaditi dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 215 del 1987, in precedenza citata.

4) Formazione permanente e specifica dei docenti: altro aspetto peculiare consiste nell’esatta individuazione della formazione specialistica del personale docente di sostegno. Tale formazione viene attribuita alle università. Con la Legge n. 341 del 199073, infatti, si erano istituite le lauree abilitanti all'insegnamento anche nei confronti di diversamente abili, a patto che si fossero sostenute materie specifiche concernenti il sostegno e l'integrazione.

71

Ibidem. 72

La sperimentazione è intesa come ricerca e realizzazione di innovazioni sul piano metodologico- didattico (D.P.R. n.419/74, art.2 e 3, ripresi poi nel testo unico 297/94, art 277-278).

Il ricorso alla sperimentazione consente maggiore libertà in un percorso individualizzato. L'adeguamento del sistema scolastico ai bisogni di formazione e crescita della persona con handicap, la flessibilità organizzativa e di contenuti, aperta alla sperimentazione di strategie multidisciplinari, la progettazione congiunta, la realizzazione di progetti di orientamento e di continuità educativa, l'attenzione alla prospettiva della vita adulta, diventano elementi essenziali per la qualificazione del percorso di integrazione.

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5) Interventi finanziari: vengono individuati precisi fondi economici da destinare a favore dei diversamente abili e al processo di integrazione scolastica e sociale a loro carico.

Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Legge Quadro così strutturata, sono seguiti successivamente una serie di decreti attuativi finalizzati a specificare in maniera puntuale gli strumenti dell’integrazione. Fra questi atti, appaiono particolarmente significativi i seguenti:

 il Decreto Interministeriale del 9 luglio 199274

, che fissa i criteri per la stipula degli “accordi di programma” da sottoscrivere fra le istituzioni scolastiche, le amministrazioni comunali e provinciali e le aziende sanitarie locali. La finalità di tali intese è quella di favorire, attraverso il coordinamento delle varie agenzie, il miglioramento dell’integrazione scolastica e una più efficace e ampia azione riabilitativa a favore della persona disabile. L’integrazione scolastica (e sociale), pertanto, non diviene più un compito affidato unicamente alla scuola, ma a tutta la comunità locale, la quale, dal canto suo, deve mettere a disposizione le proprie risorse concertandole con quelle delle altre istituzioni, al fine del raggiungimento degli obiettivi proposti a livello normativo.

 Il Decreto del 24 febbraio 199475

, che fissa i compiti delle ASL locali in materia di alunni in situazione di disabilità. Tali compiti consistono inizialmente nell’individuazione della disabilità mediante un’apposita commissione clinica. L’attestazione di condizione deve essere corredata successivamente dalla Diagnosi Funzionale (D.F.) che, insieme al Profilo Dinamico Funzionale (P.D.F.), va a costituire la documentazione fondamentale che deve essere richiesta dall’amministrazione scolastica ai fini dell’inserimento dell’alunno76. La D.F., di esclusiva competenza dei servizi specialisti del’ASL, oltre ad accertare il tipo e la gravità del deficit di cui è portatore il bambino, deve porre in evidenzia anche le aree di potenzialità dello stesso dal punto di vista funzionale. I riscontri della D.F. costituiscono i presupposti per la compilazione del P.D.F., a

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In www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dm9792.html, consultato il 17/01/2015. 75

In www.edscuola.it/archivio/norme/decreti/dpr24294.html, consultato il 17/01/2015.

76 Questi documenti sono stati introdotti con la legge quadro, la quale, afferma che l’individuazione dei soggetti con deficit di autonomia e relazionali, deve avvenire tramite una specifica certificazione, mediante la quale sarà possibile attivare i servizi individuali previsti per supportare il percorso scolastico.

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cui partecipano i docenti curricolari e specializzati della scuola, l’unità multidisciplinare della ASL e la famiglia. Il P.D.F. fissa, in altre parole, le linee dello sviluppo potenziale del bambino, a medio e breve termine, e consente di individuare obiettivi, attività e modalità del progetto di integrazione scolastica, che trova la sua definizione ultima nel Piano Educativo Individualizzato P.E.I. (di questi strumenti si parlerà meglio nel prosieguo di questo capitolo).

La Legge Quadro n. 104/92 è stata anche ripresa dalla Legge n. 59 del 199777, “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, che ha disposto l’attuazione di modifiche ulteriori all’organizzazione dell’istituzione scolastica. Grazie a tale legge, le scuole hanno acquisito autonomia in termini giuridici, finanziari, amministrativi, didattici, di sperimentazione e organizzativi (ovvero in tutti i punti affrontati dalla Legge Quadro).

Proprio grazie a tale disposizione normativa, il sistema scolastico italiano è diventato policentrico poiché si è abbandonata la tradizionale configurazione verticistica in cui, al suo interno, sussisteva una relazione gerarchica molto forte fra Ministero della Pubblica Istruzione, direzioni generali, provveditorati e scuole. Si è dato vita, cioè, ad un sistema decentrato nel quale agiscono, con distinte competenze e responsabilità, diversi centri come le regioni, gli enti locali e le istituzioni scolastiche78. Il cambiamento ha inoltre previsto la scomparsa dei programmi nazionali, il chè ha significato attribuire maggiore responsabilità progettuale alle stesse scuole. Rispetto all’integrazione degli alunni con disabilità, peraltro, la legge ribadisce il principio dell’individualizzazione degli interventi didattici79.

A seguito della Legge n. 59/1997 vi sono stati altri provvedimenti legislativi, anche se solo in parte riguardanti la disabilità, che, sostanzialmente, sono stati già descritti all’interno del paragrafo 1.1, a cui si rinvia per una disamina. Ciò che premeva sottolineare in questo contesto era il rapporto tra scuola, integrazione e disabilità in alcune delle leggi più importanti degli ultimi decenni, al fine di poter meglio inquadrare quanto verrà detto in seguito a proposito della cecità e dei programmi scolastici individualizzati.

77 In http://archivio.pubblica.istruzione.it/argomenti/autonomia/documenti/legge59.htm, consultato il 17/01/2015.

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L. Cottini. Per una didattica speciale di qualità, Morlacchi Editore, Perugia, 2008. 79 Ibidem.

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2.1.5 Accordo di Programma: un approfondimento

Nel sottoparagrafo precedente si è fatto riferimento all’Accordo di Programma, così come disposto dalla Legge Quadro 104 e successivamente reso attuativo dal Decreto del 9 Luglio 1992. Considerata la sua importanza, per ciò che nel seguito di questo capitolo verrà riportato, è necessario dedicarvi un piccolo approfondimento.

A tal proposito, come si è evinto dalla disamina finora condotta, la scuola ha da sempre rappresentato la prima grande sfida per la realizzazione della persona dal punto di vista dell’integrazione sociale, nonché il momento fondamentale per l’acquisizione del corrispettivo bagaglio culturale, necessario alla crescita personale e lavorativa. Tale compito, di natura qualitativa, può essere perseguito solo attraverso una programmazione coordinata, che riguardi non solo l’attività didattica degli insegnanti, ma anche, e soprattutto, una progettazione coordinata a livello territoriale. Lo strumento giuridico dell’accordo di programma, dunque, può essere considerato quello più funzionale proprio per conseguire tale scopo.

In questo quadro le scelte operative fatte a livello politico, territoriale e pedagogico vanno tradotte in programmi operativi, relativamente all’attività didattica, affinchè si possano sviluppare obiettivi unitari nei confronti della persona disabile. Questo consente, peraltro, a ogni gruppo istituzionale, di svolgere il proprio ruolo secondo le proprie competenze e di collocare le proprie attività all’interno di una visione complessiva che assicuri la soddisfazione dei bisogni del soggetto disabile. La misurazione dei risultati e il confronto di essi con gli obiettivi indicati per ogni unità organizzativa potranno poi mettere in evidenzia le responsabilità e le modifiche del ciclo organizzativo che, eventualmente, sarà opportuno mettere in atto. L’unitarietà di intenti e il suo rafforzamento tramite azioni integrate sono cioè il presupposto indispensabile per lo sviluppo di strategie, con le quali si cerca di evitare il rischio di non essere capaci di rispondere ad esigenze contingenti che in più circostanze possono emergere. Questo traguardo è raggiungibile solo tramite una buona conoscenza delle varie organizzazioni istituzionali e dei suoi corrispettivi elementi interni, come ad esempio il personale, le risorse disponibili e la struttura sociale all’interno della quale queste ultime si collocano; oltre a ciò, è importante sostenere una funzionale capacità comunicativa tra i vari professionisti che sono coinvolti nell’ “accordo”.

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A questo proposito si è ritenuto utile riportare in Appendice un esempio di accordo di programma80 stipulato dall’Ufficio scolastico provinciale di Pisa, dalla Provincia di Pisa, da tutti i Comuni della provincia e dell’azienda USL n. 5, per meglio approfondire gli aspetti del cambiamento culturale e della portata operativa che la sinergia istituzionale comporta81. Lo scopo di un accordo, infatti, è quello di coordinare i servizi di un vasto territorio e costruire percorsi efficienti di tipo educativo, di formazione professionale e di autonomia personale (art.13, legge 104/92), nonché di inserire in modo mirato le persone disabili all’interno dei vari servizi pubblici.

L’accordo consente di raggiungere, in altre parole, uniformità di comportamento e permette di formulare obiettivi a partire da semplici indicatori di massima, in modo da controllare i risultati di ogni azione organizzativa: è solo così che si può costruire e proporre un’adeguata programmazione scolastica che sia individualizzata, integrata ed inclusiva. Tematiche, queste ultime, che verranno affrontate all’interno del successivo paragrafo, in cui ci focalizzeremo sulla tematica della cecità che è già stata introdotta all’interno del paragrafo 1.3 del precedente capitolo.

2.2 LA CECITA’: I PRESUPPOSTI PER UN’ADEGUATA

PROGRAMMAZIONE SCOLASTICA

Per svolgere al meglio il loro ruolo, gli insegnanti devono necessariamente conoscere il tipo e il grado di disabilità del bambino, al fine di garantire un approccio ideale e un’adeguata programmazione educativa che sia individuale e personalizzata e che possa garantirgli un adeguato diritto all’informazione e alla crescita sociale.

Se si fa specifico riferimento al deficit della cecità, come gli scopi del presente lavoro vogliono, la legge 138 del 200182 definisce i criteri per classificare i ciechi e gli ipovedenti in base al visus e all’ampiezza del campo visivo (la porzione di spazio che l’occhio è in grado di vedere davanti a sé), ovvero:

 cieco assoluto: colui che non vede nulla o, al massimo, è in grado di percepire una fonte luminosa o il movimento di una mano posta davanti all’occhio;  cieco parziale: soggetto con un visus inferiore ad 1/10;

80 Vedi Allegato 1. 81 In www.provincia.pisa.it, consultato il 17/01/2015. 82 In www.parlamento.it/parlam/leggi/01138l.htm, consultato il 17/01/2015.

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 ipovedente grave: colui che ha un visus compreso tra 1/20 e 1/10 oppure una riduzione del campo visivo tra il 50% e il 60%;

 ipovedente medio-grave: colui che ha un visus compreso tra 1/10 e 2/10 oppure una riduzione del campo visivo tra il 30% e il 50%;

 ipovedente lieve: colui che ha un visus compreso tra 2/10 e 3/10 oppure una riduzione del campo visivo tra il 10% e il 30%.

Questa classificazione è molto importante nell’ambito scolastico in quanto, insieme ad altri documenti informativi come la certificazione medica oculistica e la diagnosi funzionale, permette sia di organizzare le fasi dell’accoglienza nei confronti di un disabile visivo, sia di scegliere come utilizzare in modo ponderato i metodi e gli ausili necessari per garantire ai bambini con deficit visivi il pieno accesso all’informazione e all’istruzione.

A livello generale, come già riportato in precedenza, la legge n. 104/92 ha previsto dei documenti (P.D.F. e P.E.I., vedi sottoparagrafo 1.1.4) che consentono di progettare e regolamentare una specifica metodologia di lavoro scolastico che realizza il processo di integrazione e di educazione. In maniera più specifica con P.D.F. si intende la costruzione di un quadro articolato in merito ai punti di forza e di debolezza dell’allievo, sul quale verranno delineati gli obiettivi e le attività tangibili per quel soggetto, tenendo in considerazione la situazione e le risorse che sono realisticamente a disposizione dello stesso.

Nel caso particolare dell’alunno disabile visivo, la definizione di questi obiettivi deve essere frutto di un’osservazione che tenga conto di alcuni punti fondamentali quali:

 la curiosità dell’alunno e le sue strategie di esplorazione/osservazione;  le modalità di comunicazione dell’esperienza vissuta;

 la condotta del chiedere e dell’offrire;

 il desiderio di conoscere l’alunno da parte del contesto scolastico;  l’immagine dell’alunno nel contesto scolastico;

 le offerte e le richieste da parte del contesto scolastico.

Creare un Profilo Dinamico Funzionale adeguato è di fondamentale importanza, poiché è a sua volta funzionale alla progettazione di attività didattiche opportune. La sua

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creazione comporta poi la costruzione del P.E.I. che, ricordiamo, è un documento, a differenza del P.D.F., che rappresenta il tentativo ultimo e concreto di offrire una risposta valida ai bisogni educativi speciali del bambino disabile. Dopo aver stabilito gli obiettivi didattici appropriati, cioè, con questo documento bisogna definire le strategie, i mezzi, i tempi e i luoghi idonei per raggiungerli. Il P.E.I, redatto dagli insegnanti con la collaborazione degli specialisti e della famiglia, comprende tutti gli interventi integrati predisposti per l’allievo in situazione di handicap: costituisce, in definita, la sintesi di tre progetti, ossia quello didattico, quello riabilitativo e quello di socializzazione.

Nel caso degli alunni ciechi/ipovedenti il P.E.I. definisce quali dovranno essere :  Le esperienze significative da supportare: un alunno disabile visivo ha

soprattutto bisogno di percepire l’ambiente scolastico; ha bisogno di sperimentare e di costruire la propria autonomia; di fare esperienze reali e concrete che possano aiutarlo a costituire la base per le elaborazioni simboliche della vita scolastica. Egli deve essere cioè aiutato a conoscersi, a valutare la propria condizione e a porvi fiducia. Attribuendo maggiore dignità e validità ai suoi mezzi di osservazione, egli potrà integrarsi nel gruppo classe senza dover mimetizzare la sua diversità e divenire protagonista del suo apprendimento.

 I contesti che, interagendo tra loro, favoriscono l’integrazione del bambino: l’integrazione non può esaurirsi alla sola esperienza scolastica. Proprio per questo motivo, il P.E.I. indica spesso la necessità di condurre esercitazioni, ricerche guidate, esperienze di riabilitazione e attività socioculturali che esigono contesti di attuazione distinti dall’ambito scolastico. Il P.E.I. dovrà inoltre indicare, in tale direzione, anche il luogo e le figure coinvolte di ogni singolo progetto di attività che riporta. Tutto ciò, naturalmente, presuppone un rapporto collaborativo e costruttivo tra scuola, famiglia e servizio sociosanitario.

 Gli ausili scolastici e i sussidi didattici: nell’intervento educativo questi rivestono un ruolo fondamentale in quanto agevolano le rappresentazioni mentali. In sostanza aiutano a rinforzare la concretezza delle esperienze e a ridurre la distanza conoscitiva tra il bambino disabile visivo e il mondo circostante, soprattutto nelle situazioni difficili da esperire direttamente. Ogni

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sussidio deve essere scelto con competenza e usato con la giusta modalità, tenendo conto delle capacità espresse dal bambino.

In concreto, quindi, quando una scuola riceve la domanda d’iscrizione di un bambino con un deficit visivo, è necessario che ad essa venga in primo luogo allegata la Diagnosi Funzionale o, se ancora non redatta, la certificazione medica oculistica che ne attesti il livello di disabilità. La D.F. risulterà fondamentale in quanto con essa si potrà giungere a conoscenza della tipologia-gravità di disabilità presenti, nonché si potranno attivare le disposizioni previste dalla normativa vigente.

Dopo circa un mese dall’inizio della scuola (in genere a fine settembre), verrà poi istituita una riunione con le figure competenti per elaborare il Profilo Dinamico Funzionale dell’alunno che, a sua volta, verrà aggiornato in media ogni tre anni, salvo richieste particolari provenienti dalla scuola o dall’ASL. Sulla base della D.F. e del P.D.F., verrà compilato il Piano Educativo Individualizzato, come sopra riportato. Questo documento sarà compilato dal G.L.I.C. (Gruppo di Lavoro Interregionale sul Caso) che viene convocato sia all’inizio anno scolastico, per esporre gli obiettivi prioritari e i bisogni dell’alunno in relazione alle sue capacità, e sia a fine anno per verificare il raggiungimento o meno degli obiettivi previsti dal P.E.I.

E’ proprio seguendo tali principi, qui ripresi in merito alla disabilità visiva, che si può dare vita allo sviluppo di una vera e propria didattica individualizzata: di seguito inizieremo a parlare, pertanto, proprio di tale aspetto e di come si possa favorire la creazione di un clima inclusivo. Tali concetti torneranno utili per comprendere quanto verrà affrontato nel capitolo terzo di questo lavoro in merito agli ausili della disabilità.

2.3 DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA

Come si è evinto dai paragrafi precedenti, il sistema scolastico italiano ha compiuto nel corso degli ultimi decenni un lungo percorso di maturazione educativa e didattica in direzione dell’integrazione. Attualmente è però chiamato ad un ulteriore passo innovativo nella considerazione della diversità: essa deve cioè diventare una condizione naturale all’interno dei processi scolastici.

Prima di affrontare nel dettaglio le questioni che seguiranno, occorre sottolineare che l’idea di un’educazione intrinsecamente differenziata, rivolta agli allievi più deboli, va sostituita con l’idea di un’educazione adeguata in obiettivi, metodi, mezzi e servizi sulla

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base delle caratteristiche e delle difficoltà di apprendimento di ogni soggetto, così come delineato proprio nel paragrafo precedente. In altre parole “al sistema duale unificato, fondato sui concetti di necessità educative speciali, di educazione speciale integrata, deve sostituirsi il sistema unico che privilegia i concetti di inclusione, diversità, educazione di qualità per tutti; quindi, educare nelle diversità non si basa – come alcuni pretendono – sull’adozione di mezzi eccezionali per le persone con necessità educative specifiche, ma sull’adozione di un modello di curricolo che faciliti l’apprendimento di tutti gli alunni nelle loro diversità”83

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Sulla base di ciò, non si può parlare dunque di integrazione se gli alunni in difficoltà fanno cose diverse dal resto della classe o, peggio ancora, se vengono portati fuori dalla classe. Come afferma Ianes “non occorre fare altro, ma farlo in altro modo con la consapevolezza che l’alunno in situazione di handicap necessita di essere riconosciuto non solo per quegli elementi di specificità che lo caratterizzano, ma soprattutto per la normalità del fondamentale bisogno di educazione e formazione che è uguale per tutti”84

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