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Minorazione visiva e accessibilità. Gli strumenti per un'informazione e un'educazione senza barriere

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INDICE

Introduzione ... 3 Capitolo I ... 6 DISABILITA’ E AMBIENTE... 6 1.1 AMBITO LEGISLATIVO ___________________________________________________ 8 1.1.1 Nel Mondo ...8 1.1.2 In Europa ... 13

1.1.3 Il Piano Europeo 2020: specificità e criticità in merito alla disabilità... 18

1.1.4 In Italia ... 22

1.1.5 Situazione odierna ... 31

1.2 AMBITO SANITARIO - SOCIALE - FORMATIVO _______________________________ 32 1.3 UNA DISABILITA’ IN PARTICOLARE: LA CECITA’ ______________________________ 35 1.3.1 Barriere culturali... 35

1.3.2 Le conquiste ... 37

1.3.3 L’Unione Italiana dei Ciechi ... 39

Capitolo II ... 43

LA SCUOLA, LA CECITA’ E L’INCLUSIONE ... 43

2.1 IL PROCESSO DI INTEGRAZIONE: EVOLUZIONE STORICA E NORMATIVA ___________ 45 2.1.1 L’istruzione separata ... 46

2.1.2 Le prime esperienze di inserimento ... 47

2.1.3 Dall’inserimento all’integrazione ... 49

2.1.4 La scuola e la Legge Quadro 104 del 1992 ________________________________ 52 2.2 LA CECITA’: I PRESUPPOSTI PER UN’ADEGUATA PROGRAMMAZIONE SCOLASTICA __ 57 2.3 DIDATTICA INDIVIDUALIZZATA ___________________________________________ 60 2.3.1 Creare un clima inclusivo: una corretta prassi operativa _____________________ 62 2.3.2 L’adeguamento della didattica mediante materiale strutturato e non ... 63

2.3.3 Piano Educativo Zonale (P.E.Z.): l’esperienza pisana ... 64

CAPITOLO III ____________________________________________________________ 71 GLI AUSILI ____________________________________________________________ 71 3.1 SCRITTURA TATTILE ___________________________________________________ 71 3.2 AUSILI TIFLODIDATTICI _________________________________________________ 75 3.3 GLI AUSILI INFORMATICI ________________________________________________ 85 3.3.1 Hardware per non vedenti ... 88

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3.3.2 Software per non vedenti ... 90

3.4 CENTRI DI CONSULENZA TIFLODIDATTICA: ALCUNE RIFLESSIONI ________________ 92 3.5 POLITICHE PER L’INTEGRAZIONE ______________________________________ 95 3.6 HANDIMATICA ____________________________________________________ 98 3.7 BARRIERE INFORMATICHE _____________________________________________ 100 3.7.1. L’accessibilità in Italia ... 103 3.8 E-LEARNING _____________________________________________________ 107 3.8.1 Universal Design ... 109 IL CASO DI GIORGIO ... 114 Conclusioni ... 119 BIBLIOGRAFIA ... 122 APPENDICE ____________________________________________________________ 126 Allegato 1 _____________________________________________________________ 126 PROVINCIA DI PISA, ACCORDO DI PROGRAMMA PER L'INTEGRAZIONE SCOLASTICA DI ALUNNI/STUDENTI IN SITUAZIONE DI DISABILITA ... 126

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Introduzione

La nostra Carta Fondamentale, come noto, riconosce e garantisce tutta una serie di importanti libertà dell’essere umano al fine di promuovere, in totale armonia e coerenza con i suoi principi fondamentali, il pieno sviluppo della persona umana e la sua effettiva partecipazione alla vita democratica all’interno dell’ordinamento. E’, d’altronde, altrettanto noto che i diversi, e non pochi, principi di libertà, presenti nella nostra Costituzione, trovino puntuale riconoscimento e disciplina in specifiche disposizioni legislative.

Non tutti i presidi di libertà, però, trovano espresso riconoscimento nelle suddette disposizioni. E’ questo il caso del diritto all’informazione, il cui libero esercizio, anche se non in forma espressa, è riconosciuto e garantito implicitamente dalla nostra stessa Costituzione quale strumento attuativo di accesso alle fonti.

Lo scopo precipuo di questo lavoro sarà, dunque, quello di analizzare come, e attraverso quali strumenti, questo diritto viene garantito alle persone che presentano un deficit visivo, sia nel contesto scolastico che nella vita quotidiana.

La scelta di questa tematica, che in sostanza è un intreccio tra ambiti apparentemente distinti tra loro, è nata in seguito ad alcune esperienze personali e lavorative che spesso hanno indotto la sottoscritta a riflettere su alcune questioni inerenti la disabilità. Si può affermare, infatti, che tutto ciò che i normovedenti danno per scontato perché di facile fruizione, come l’utilizzo di un pc, una passeggiata in centro, una lettura di un libro o l’acquisto di un prodotto alimentare, per un non vedente, o per un ipovedente, diventano “una conquista”. Questo perché la maggior parte dei gesti che si compiono nella vita quotidiana sono correlati ad informazioni che ricaviamo mediante la vista.

Per rendere disponibili tali informazioni a una persona minorata di vista, bisogna però convertirle e rimodularle in modo tale che anche loro ne possano usufruire. Sono necessari, pertanto, accorgimenti adeguati e adattamenti specifici per rendere accessibili, ad esempio, le strutture degli edifici, gli elettrodomestici, gli strumenti di comunicazione, i giochi, i mezzi di trasporto, i materiali didattici e così via; in assenza di questi, i minorati di vista verrebbero completamente esclusi dalla società e limitati nelle azioni di vita quotidiana.

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Nel corso di questo lavoro, per ovvie ragioni, non si potrà argomentare ogni singolo ambito di pertinenza delle tematiche sopra elencate, poiché significherebbe mettere in discussioni e disputare su tutte le questioni inerenti ogni singola barriera architettonica, sulle segnaletiche stradali tattili o acustiche…etc, temi molto vasti e ricchi di sfaccettature. In virtù di ciò, all’interno di questo lavoro verrà analizzato:

 il sistema scolastico italiano, che ha compiuto un lungo percorso di maturazione educativa e didattica in direzione dell’integrazione, presupposto fondamentale per il diritto all’informazione atteso nei termini del trinomio “più integrazione = più accesso = più informazione” ;

 le ICT, che da circa 40 anni hanno reso possibile l’abbattimento delle barriere che impedivano l’accesso alla comunicazione, all’istruzione e all’informazione. Queste, infatti, cercano di soddisfare gli special needs delle persone disabili, garantendo loro, al contempo, maggiore autonomia personale.

In particolare, nel primo capitolo verrà tracciata una mappa dei vari atti legislativi nazionali, europei e mondiali, che sostengono e promuovono i diritti dei disabili. In questa sede ci si concentrerà su una disabilità in particolare, ossia la cecità, riportando le annesse barriere culturali e le conquiste ottenute a livello normativo in tema di tutele; questo argomento verrà approfondito, inoltre, attraverso le esperienze dell’associazione U.I.C. (Unione Italiana Ciechi e degli Ipovedenti) che, con grande maestria, si è battuta, e si batte tuttora, per garantire condizioni di vita adeguati.

In seguito, nel secondo capitolo, si esaminerà l’evoluzione del concetto integrazione scolastica dei bambini portatori di handicap visivi, sino ad arrivare a quello di inclusione; si presenteranno, pertanto, i soggetti responsabili di questo obiettivo e gli strumenti necessari per concretizzarlo. In conclusione, si descriveranno le iniziative del territorio pisano realizzate mediante i progetti P.E.Z.(Piano Educativo Zonale), nonché breve intervista ad un’insegnante di sostegno che ha curato e realizzato uno dei progetti del P.E.Z. in una scuola dell’infanzia.

Nel terzo ed ultimo capitolo, infine, l’analisi verterà inizialmente sugli strumenti della comunicazione, ossia sugli ausili didattici e informatici che offrono la possibilità ai non vedenti e ipovedenti di formarsi, informarsi e svagarsi. In questo contesto si parlerà approfonditamente delle barriere informatiche e dell’accessibilità garantita in Italia, per

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poi arrivare a trattare della prospettiva dell’Universal Design, la quale invita a progettare ambienti, prodotti e servizi per il maggior numero possibile di utenti, senza ricorrere ad adattamenti a posteriori o a soluzioni dedicate.

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Capitolo I

DISABILITA’ E AMBIENTE

“Vedere oltre i pregiudizi di un mondo che fa dell’apparire

la modalità principale su cui costruire la propria identità”

Nel mondo ci sono persone con diversi tipi di deficit di natura sia fisica che psicologica i quali, indiscriminatamente, colpiscono ogni popolazione e status sociale.

In questo periodo storico, il numero dei disabili è in costante aumento e le cause e conseguenze della stessa disabilità variano considerevolmente da un posto all’altro, essendo spesso il risultato di situazioni socioeconomiche tra loro differenti. Diversi sono anche i provvedimenti che, come vedremo nel corso di questo capitolo, i vari Stati hanno assunto per cercare di garantire il benessere e i diritti di questi cittadini.

Riguardo i cittadini disabili, il World Report on Disability and Rehabilitation1 stima che:

“Nel mondo le persone con disabilità sono 650 milioni: se a queste vengono aggiunti i loro familiari, il numero delle persone coinvolte dal tema disabilità arriva a un terzo della popolazione mondiale. Nei Paesi poveri, così come in quelli ricchi, le persone con disabilità sono generalmente più povere e rappresentano un quinto delle persone che vivono sotto la soglia di un dollaro al giorno, prive di cibo, acqua sicura, vestiti e alloggio. Sempre secondo i dati riportati, il gruppo di persone con disabilità è pari al 10% della popolazione mondiale.

Essendo in aumento sia la crescita della popolazione che la durata della vita, grazie ai progressi della medicina, possiamo stimare che per una vita media di circa 70 anni ben 8 anni sono vissuti con disabilità, cioè l’11,5% della vita. Su dieci persone con disabilità, 8 vivono nei Paesi del Sud del mondo, e la maggior parte è povera, con possibilità ridotte o nulle di servizi di riabilitazione;

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dei 650 milioni di persone con disabilità nel mondo, 200 milioni sono bambini”.

I dati riportati ci invitano già a riflettere sull’importanza e sulla necessità di intervenire e attuare programmi che mirino a fornire strumenti utili a facilitare l’inclusione e l’integrazione sociale delle persone con disabilità, oltre che a fornire loro i beni di primaria importanza.

Oggi, grazie alla perseveranza degli impegni sociali e umanitari, nonché dei movimenti di opinione, si è giunti alla maturazione di una cosiddetta “cultura della disabilità”, quale espressione delle forze congiunte del diritto, della scienza e della sensibilità umana. Ciò vuol dire che la politica sulla disabilità, essendo influenzata da politiche economiche e sociali, ha oggi ampliato il raggio di intervento che va da un interesse più accorato delle istituzioni, per arrivare all’educazione dei bambini con disabilità e alla riabilitazione di persone che sono divenute inabili in età adulta. Attraverso l’educazione e la riabilitazione, di conseguenza, questi cittadini sono diventati non solo più attivi, ma anche colonne portanti di ulteriori sviluppi nella politica in generale. E’ proprio per tale motivo, d’altronde, che sono state create organizzazioni formate da persone disabili e dalle loro famiglie, che hanno reclamato condizioni di vita migliori.

In definitiva, il settore dell’handicap ha avuto negli ultimi anni significativi cambiamenti in positivo in ambito legislativo, culturale, formativo e sociale: tale processo è avvenuto anche grazie alle influenze europee, le quali hanno definito le “guidelines” affinché questo processo si concretizzasse.

Nel presente capitolo, a tal proposito, si approfondiranno in primo luogo le questioni inerenti l’ambito legislativo, da un punto di vista internazionale e intereuropeo, ponendo poi particolare attenzione al contesto italiano. Successivamente, dopo aver diramato una descrizione della disabilità anche per quanto concerne l’ambito sanitario, sociale e formativo, si approfondiranno le questioni inerenti la cecità, che saranno di fondamentale importanza per comprendere meglio quanto verrà affrontato nel capitolo terzo di questo lavoro.

L’inquadramento della tematica dal punto di vista legislativo, culturale, formativo e sociale ci permetterà di inquadrare in maniera più adeguata, all’interno del secondo

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capitolo, la problematica della disabilità all’interno del contesto scolastico e, nel corso dei successivi capitoli, del diritto all’informazione dei disabili.

1.1 AMBITO LEGISLATIVO

1.1.1 Nel Mondo

Sul piano normativo, molte sono state le battaglie che i disabili e le istituzioni preposte alla loro tutela hanno dovuto affrontare nell’arco del loro intero percorso sociale, un cammino costellato da diversi documenti e dichiarazioni che si sono susseguite negli anni definendo in maniera sempre più particolareggiata la questione. Considerata la vastità della tematica, di seguito si citeranno soltanto alcuni degli avvenimenti più importanti verificatesi a livello mondiale.

Nel percorso sociale della disabilità e del riconoscimento dei diritti hanno avuto una fondamentale importanza:

 la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948;

 le International Covenant on Civil and Political Rights e International Covenant on Economic Social and Cultural Right del 1966;

 la Dichiarazione dei diritti delle persone disabili del 1975;  il World Programme on Action del 1982;

 le Standard Rules on the Equalization of Opportunities for Persons with Disabilities del 1993;

 l’International Classificationof Functioning, Disability and Health del 2001;  la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità del

13 dicembre 2006.

La storia dei diritti delle persone con disabilità nell’ambito delle Nazioni Unite ha inizio nel 1948, con la Dichiarazione universale dei diritti umani2, all’interno della quale si parla di diritto alla sicurezza anche per diverse condizioni di difficoltà, fra cui la stessa disabilità. L’Assemblea Generale, infatti, impose che tale dichiarazione dovesse essere

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rispettata in modo universale ed effettivo da tutti i popoli e Stati membri delle Nazioni Unite, al fine di garantire, a ogni individuo, i diritti e le libertà proposte nel documento3.

All’interno della Dichiarazione, d’altronde, si afferma che4

:

“[…] la presente Dichiarazione Universale dei Diritti Dell'Uomo come ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l'insegnamento e l'educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l'universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione”.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Dell’Uomo contribuì ad aprire la strada a numerosi provvedimenti legislativi internazionali, al fine da rendere giurisdizionalmente attuabile ciò che in essa vi era prescritto. Per tale intento, nel 1966, due convenzioni sui diritti politici, civili, economici, sociali e culturali (International Covenant on Civil and Political Rights e International Covenant on Economic Social and Cultural Rights5) completarono il quadro dei diritti umani6, affermando che:

“[…] in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l’ideale dell’essere umano libero, che goda della libertà dal timore e dalla miseria, può essere conseguito soltanto se vengono create condizioni le quali permettano ad ognuno di godere dei propri diritti economici, sociali e culturali, nonché dei propri

3 In realtà la tutela dei diritti umani rientrava nella sfera di competenza interna di ogni singolo Stato, ma in seguito alle violazioni dei diritti umani commesse durante il secondo conflitto mondiale, la loro tutela è divenuta oggetto di norme internazionali. La Carta delle Nazioni Unite (1945) che elenca gli obiettivi dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, già conteneva dei riferimenti ai diritti fondamentali , ma nonostante ciò, il 10 dicembre 1948 l’Assemblea generale adottò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo che, pur non avendo carattere vincolante, pose le basi per l’affermazione di tali diritti a livello internazionale. 4 In www.interlex.it/testi/dichuniv.htm, consultato lo 08/01/2014. 5 In www.admin.ch/opc/it/classified-compilation/19660259/201205220000/0.103.1.pdf, consultato lo 09/01/2014.

6 Queste convenzioni passano alla storia con il nome di “Patto Internazionale sui Diritti” e sono, in definitiva, dei trattati delle Nazioni Unite nati dall'esperienza della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 23 marzo del 1976, che le Nazioni firmatarie sono tenute a rispettare.

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diritti civili e politici […]. Lo Statuto delle Nazioni Unite impone agli Stati l’obbligo di promuovere il rispetto e l’osservanza universale dei diritti e delle libertà dell’uomo […]”.

E’ tuttavia solo con la Dichiarazione dei diritti delle persone disabili7

, stesa nel 1975, che si mise in primo piano la salvaguardia dei diritti delle persone con disabilità. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, rispetto a quest’ultimo punto, chiede a tutti gli Stati membri di attivarsi nell’ambito di programmi e politiche volte a “promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità”.

In seguito a questi importanti provvedimenti di natura internazionale, i successivi

anni ’80 furono segnati da due eventi principali: in primo luogo il 1981 venne dichiarato “l’anno internazionale delle persone disabili”8

, al fine di favorire la loro piena integrazione nella società; in secondo luogo, nel successivo 1982, venne invece adottato il Programma di azione mondiale nei confronti delle persone disabili (World Programme on Action9), che segna una nuova tappa del riconoscimento dei diritti sociali dei disabili. Il World Programme on Action, infatti, suddivide il tema e le politiche nei confronti della disabilità in tre settori: la prevenzione, la riabilitazione e le uguali opportunità, tutte tematiche a cui in seguito si farà riferimento in merito alla possibilità di prevenzione delle disabilità attraverso interventi sulla malnutrizione, sull’inquinamento ambientale, sulle condizioni igieniche scarse, sulle cure inadeguate prima e dopo la nascita, sulle malattie collegate all’acqua, sugli incidenti, sulla vita di milioni di persone con disabilità in zone senza servizi sufficienti. E’ indubbio, pertanto, che tale Programma influenzò notevolmente e positivamente la tutela dei cittadini disabili.

Il 1993 vede poi l’arrivo di un nuovo documento che definisce le regole per assicurare le uguali opportunità di partecipazione alla vita sociale per quanto concerne le persone con disabilità (Standard Rules on the Equalization of Opportunities for Persons

7

In http://www.unric.org/html/italian/pdf/Convenzione-disabili-ONU.pdf, consultato lo 09/01/2014. 8

L’Assemblea Generale ha chiesto un piano d'azione a livello nazionale, regionale e internazionale, con particolare attenzione alla parità di opportunità, alla riabilitazione e alla prevenzione delle disabilità. Il tema principale del piano era la "piena partecipazione e l'uguaglianza", definito come diritto delle persone con disabilità a partecipare pienamente alla vita e allo sviluppo delle loro società, godere quindi di condizioni uguali a quelle degli altri cittadini.

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with Disabilities10

). Inoltre, in base a rapporti regolari forniti dalla figura dello “Special Rapporteur”, si introduce anche un meccanismo di controllo della loro applicazione pratica all’interno delle diverse nazioni.

Altro importante documento, per quanto riguarda gli scopi del presente lavoro, è quello del 2001, l’International Classification of Functioning, Disability and Health11 (ICF, Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) che fu pubblicata dall’Assemblea Mondiale della Salute e approvata da tutti gli Stati membri dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Who). Attraverso tale classificazione viene portata l’attenzione sull’importante definizione di disabilità come “riduzione di salute”, che, in quanto tale, può avvenire in ogni uomo e, dunque, non fa parte solo di una minoranza di persone. La classificazione considera cioè “gli aspetti sociali della disabilità, la quale non viene vista solo come una disfunzione medica o biologica”, ma diventa anche possibile in essa “registrare l’impatto dell’ambiente sul funzionamento della persona”12

.

L’Assemblea Mondiale della Salute è più volte tornata sul tema della disabilità: in questo contesto bisogna ricordare l’intervento del 2005 dove, con un documento che richiama alla prevenzione, alla gestione e alla riabilitazione della disabilità, si da risalto ancora una volta ai bisogni e alle necessità dei cittadini disabili, in ottemperanza a quanto già previsto dal World Programme on Action13, in precedenza già citato. La Who ha, inoltre, sviluppato un piano di attività di sei anni (2006-2011), basato soprattutto sulle regole standard delle Nazioni Unite del 199314.

Oltre a tutti i documenti internazionali fin qui citati, è opportuno fare riferimento anche alla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità15 del 13 dicembre 2006(firmato dall’Italia il 30 marzo 2007) che ha avuto come scopo quello di:

“[…] promuovere, proteggere e garantire il pieno e uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da

10 In www.un.org/esa/socdev/enable/dissre00.htm, consultato il 10/01/2015. 11 In www.who.int/classifications/icf/en/, consultato il 10/01/2015. 12

L. Cottini, Didattica speciale e integrazione scolastica, Carocci, Roma, 2014, p. 47. 13 In www.un.org/disabilities/default.asp?id=23, consultato il 10/01/2015.

14

Il piano di attività previsto dalla Who per gli anni 2006/2011, è consultabile sul sito www.who.int/disabilities/publications/dar_action_plan_2006to2011.pdf?ua=1.

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parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità”.

A tal fine, la condizione di disabilità è ricondotta all’esistenza di barriere di varia natura che possono essere di ostacolo a quanti, portatori di minorazioni fisiche, mentali o sensoriali a lungo termine, hanno il diritto di partecipare in modo pieno ed effettivo alla vita sociale16.

A questo riguardo, inoltre, c’è da dire che, a livello internazionale, per quanto concerne il diritto all’informazione dei disabili, si è spesso parlato nei termini di “accessibilità”. Il documento internazionale di riferimento ufficiale è senza dubbio il Web Content Accessibility Guidelines 1.0 e 2.017, o più brevemente WCAG 1.0 e 2.0, pubblicato per la prima volta il 5 maggio 1999. Nel documento si parla di “accessibilità” nei termini di un contenuto che “può essere usato da qualcuno con una disabilità”. Rendere accessibile un’informazione, pertanto, vorrebbe dire rapportarlo alla possibilità di utilizzarlo in rapporto a qualcuno che ha una disabilità. Non viene considerato accessibile un contenuto genericamente usabile, ma un contenuto che sia usabile da qualcuno affetto da una disabilità.

Il Web Content Accessibility Guidelines, che fa specifico riferimento al mondo del Web, ma non solo, si rivolge prevalentemente a una cerchia di categorie di disabili, come i ciechi, i sordi, i sordo-ciechi, gli ipovedenti, i disabili motori, i malati di epilessia fotosensibile e gli individui affetti da non meglio specificate disabilità cognitive o dell’apprendimento18

. Sono quattro i principi di base da rispettare per salvaguardare il diritto all’informazione di queste: ogni contenuto deve essere percepibile, utilizzabile, comprensibile e robusto (deve essere cioè interpretato in modo affidabile) da qualsiasi tipo di disabile19.

A livello internazionale sono state poi proposte ulteriori raccomandazioni, riguardanti nello specifico il diritto all’informazione del disabile, come20

:

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La stesura della Convenzione ha richiesto la formazione di un comitato apposito (Ad Hoc Committee), il quale dopo otto incontri nell’arco di quattro anni, ha steso il testo sulla protezione dei diritti delle persone con disabilità.

17 In www.w3.org/TR/WCAG10, consultato il 9/01/2015. 18

M. Diodati, Accessibilità, Apogeo, Milano, 2007, p. 4. 19

G. Affino, in http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/deed.it, consultato lo 09/01/2015. 20 Ivi, pp. 6 e ss.

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 Authoring Tool Accessibility Guidelines 1.0, che si rivolge agli sviluppatori di strumenti autoriali per invitarli a rispettare i criteri di accessibilità;

 User Agent Accessibility Guidelines 1.0, che fornisce linee guida per la progettazione di programmi utente in grado di abbassare le barriere verso l’accessibilità del Web a vantaggio di persone con disabilità;

 Accessible Rich Internet Applications, dedicate ad applicazioni Internet ricche e accessibili;

 Evaluation and Report Language 1.0 Schema e Guide, che si rivolge alla creazione accessibile dei linguaggi ipertestuali e non.

Tutte le tematiche che affronteremo nel corso di questo lavoro hanno dei legami, diretti o indiretti, con le questioni inerenti il diritto all’informazione dei soggetti disabili. E’ quindi importante mettere in risalto fin d’ora tali tematiche.

1.1.2 In Europa

Nel paragrafo precedente si è fatto riferimento ai principali documenti di matrice internazionale che hanno riguardato, e riguardano tuttora, la disabilità e il percorso di riconoscimento dei diritti sociali e dell’informazione.

In ambito legislativo, anche la Comunità Europea ha iniziato ad agire attraverso vari interventi per garantire il riconoscimento dei diritti della disabilità, ma solo a partire dalla fine degli anni '70, poiché nel periodo precedente vi erano stati soltanto interventi sporadici che non riuscirono ad ottenere nulla di concreto.

Tuttavia è soltanto a partire dall’inizio degli anni ’80, e quindi durante il decennio successivo, che furono avviati i primi programmi aventi lo scopo di stabilire strategie volte a tutelare i diritti dei disabili e promuovere la loro inclusione sociale, sulla scia dei provvedimenti internazionali in precedenza citati. Programmi, questi ultimi, che si differenziano tra loro in base all’ambito in cui vengono adoperati: ciò vuol dire che assumono diverse valenze i programmi attuati all’interno del settore formativo, come il programma che porta il nome di Socrates, oppure in quello educativo, come il programma Leonardo, o ancora quello di Gioventù (concetti che verranno approfonditi all’interno del capitolo successivo quando parleremo nello specifico del contesto scolastico in rapporto alla disabilità).

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Tra i più importanti documenti approvati in ambito europeo vi è la Risoluzione del 20 dicembre 199621, approvata dal Consiglio dei Ministri in conformità a una Comunicazione della Commissione Europea, e avente come oggetto principale le pari opportunità per le persone con disabilità. Partendo, infatti, dalle regole standard delle Nazioni Unite, la Risoluzione definisce una serie di azioni volte a favorire l’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro. Tra le varie direttive, non a caso, viene esplicitato che gli Stati Membri devono:

“[…] perseguire l’obiettivo di rendere accessibile un apprendimento per tutto l’arco della vita, all’interno di questo contesto, dando particolare attenzione all’uso delle nuove tecnologie e di internet per migliorare la qualità dell’apprendimento facilitando l’accesso alle risorse e ai servizi e alle possibilità di scambio e collaborazione (elearning); […] fornire, dove necessario, facilitazioni, opportunità formative e risorse economiche per garantire una positiva transizione dalla scuola al mondo del lavoro”.

Questi principi hanno naturalmente dei diretti legami con il diritto all’informazione delle persone disabili, e possono essere considerati come ciò che sta alla base di tutti quegli ausili e quelle facilitazioni che permettono al soggetto disabile di poter usufruire di istruzione, apprendimento e cultura. Tali principi permettono, infatti, di creare una didattica individualizzata, inclusiva e adeguata, attraverso l’utilizzo di ausili che, a loro volta, permettono ad un disabile di superare determinate barriere culturali che ne limitano il suo apprendimento (vedi capitolo secondo e terzo). Significa, in definitiva, rendere “accessibile” l’informazione, come è stato già affermato alla fine del paragrafo precedente.

La tutela delle persone con disabilità viene ribadita nel 1997, quando viene stipulato il Trattato di Amsterdam22, in cui, mediante l’articolo 13, in materia di non discriminazione, viene creata per la prima volta una base legale agli interventi europei per la tutela anche delle persone con disabilità, che fino ad allora erano stati approvati solo con la volontà unanime dei Paesi membri.

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In http://archivio.pubblica.istruzione.it/normativa/2003/allegati/pari_opportunita.pdf, consultato il 10/01/2015.

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In seguito, con la Dichiarazione di Madrid23, nel marzo 2002, si ebbero importanti novità sul percorso di riconoscimento definitivo dei diritti sociali dei disabili. La costituzione della carta riunì più di 600 partecipanti da tutto il mondo, il cui principio ispiratore fu la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE (proclamata ufficialmente a Nizza nel 2000). Nella Dichiarazione si afferma, infatti, che:

“Le persone disabili hanno gli stessi diritti fondamentali degli altri cittadini. Il primo articolo della Dichiarazione Universale sui Diritti Umani afferma: "Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Per raggiungere questa meta, tutte le comunità devono celebrare la diversità nell’ambito della loro comunità, e assicurarsi che le persone disabili possano godere di tutti i tipi di diritti umani: civili, sociali, politici, economici e culturali riconosciuti dalle varie Convenzioni internazionali, dal Trattato dell'Unione Europeo e dalle varie Costituzioni nazionali”.

In sintesi, la Dichiarazione appena citata è stata di fondamentale importanza poiché ha permesso di asserire che24:

 la disabilità appartiene alla dimensione dei diritti umani;

 le persone disabili vogliono pari opportunità e non beneficenza;

 discriminazione ed esclusione sociale sono il risultato delle barriere erette dalla società;

 le persone disabili costituiscono una cittadinanza invisibile;  le persone disabili costituiscono un gruppo differenziato;

 l’inclusione sociale è il risultato non solo della non discriminazione, ma anche delle azioni positive.

L’anno successivo, il 2003, fu proclamato l’Anno Europeo delle Persone Disabili25

con l’invito esplicito a tutti gli Stati membri di assumere iniziative per dare concreta attuazione ai principi di non discriminazione, di pari opportunità e d’integrazione sociale dei cittadini disabili, contenuti nelle risoluzioni e nei trattati comunitari già citati nel corso delle precedenti pagine di questo lavoro di tesi. A questo avvenimento fece

23 In www.consequor.it/VitaIndipendente/Risoluzioni/Dichiarazione_Madrid.pdf, consultato il 10/01/2015. 24 In www.webaccessibile.org/articoli/2003-anno-europeo-del-disabile/, consultato il 10/01/2015. 25 In www.annoeuropeodisabili.it/, consultato il 10/01/2015.

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seguito il Piano d’Azione per la disabilità riguardante il periodo 2004//2010, in cui si è tracciata una strategia di crescita inclusiva anche per le persone disabili (l’argomento sarà meglio approfondito nel paragrafo successivo).

Con la Dichiarazione di Riga26 dell’11 giugno 2006, invece, i ministri europei si sono posti l’obiettivo di rendere accessibili tutti i siti web pubblici nell’arco di pochi anni. Si poneva in evidenza come a fronte di un 15% della popolazione europea con qualche forma di disabilità, solo il 3% dei siti pubblici è conforme ai requisiti minimi di accessibilità previsti, tra l’altro, anche dal WCAG 1.0.

Stando alla Dichiarazione di Riga, gli obiettivi da realizzare per ottenere il risultato sopra esplicitato, che al contempo garantiva dunque una tutela del diritto all’informazione ai disabili, erano i seguenti:

I. Dimezzare entro il 2010 la differenza percentuale presente tra utenti e categorie svantaggiate nell’uso di internet.

II. Sostenere applicazioni standard internazionali in ambito di accessibilità e usabilità.

III. Assicurare l’accesso a tutti i siti pubblici.

IV. Sollecitare il settore privato ad adeguare i propri siti.

Questi, come vedremo, sono alcuni dei punti più importanti per quanto concerne il diritto all’informazione da parte delle persone disabili. A tal proposito, recentemente, nell’European in Action 201327

si è dato un forte comunicato a tutti i Paesi dell’Unione Europea al fine del riconoscimento del diritto all’informazione e all’apprendimento permanente per le persone con disabilità fisica e/o relazionale. In particolare, in tale occasione si è sottolineata l’importanza del linguaggio Easy to Read, un linguaggio facile da leggere e comprendere, che sembra essere uno strumento fondamentale per favorire il diritto all’informazione alle persone con disabilità.

Easy to Read è un progetto nato all’interno del programma Lifelong Learning Programme dell’Unione Europea, che si rivolge proprio a favorire l’accessibilità alla formazione e all’apprendimento continuo delle persone con disabilità.

26

In www.pubbliaccesso.gov.it/english/riga-en.htm, consultato il 10/01/2015. 27 In www.europeinaction2013.com, consultato il 10/01/2015.

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Giunti a questo punto della trattazione, dopo aver elencato anche i documenti e provvedimenti adottati anche dall’Unione Europea, c’è da dire che, malgrado queste iniziative siano senza dubbio lodevoli, i progressi sono ancora limitati e lenti, in particolare nell’ambito delle ICT (Information Communication Technology), specie se si fa specifico riferimento al contesto scolastico e al diritto dell’informazione.

La maggior parte degli obiettivi della Dichiarazione di Riga, ad esempio, rischiano di non essere conseguiti a causa della frammentazione delle attività e della carenza di collaborazione tra enti professionali. Di conseguenza, gli sforzi compiuti dai vari operatori del settore per migliorare l’inclusione e, in particolar modo, l’accessibilità e la formazione ai cittadini disabili, sono ancora troppo manchevoli. L’offerta di soluzioni ICT a prezzi accettabili, adatte ad esigenze individuali particolari, resta d’altronde insufficiente. I problemi specifici, in relazione ai quali fabbricanti e fornitori dovrebbero svolgere un ruolo più incisivo sono infatti i seguenti:

 le connessioni a larga banda rimangono inaccessibili in alcune aree dell’Unione europea;

 si registrano ancora dei divari tra le aree urbane e quelle rurali;  vi sono significative differenze di prezzo per i servizi a banda larga.

Per tale motivo, non a caso, in numerosi Paesi, nonostante il WCAG, si riscontra ancora un’accessibilità insufficiente, soprattutto per quanto riguarda i siti Web, la televisione digitale, l’accesso telefonico ai servizi d’emergenza e ai terminali d’informazione pubblica, profilando nuovi ostacoli. Ciò è dovuto a disfunzioni strutturali del mercato interno e all’assenza di strategie comuni che creano difficoltà alle imprese. Le tecnologie e i servizi destinati al mercato di massa continuano perlopiù a non tenere conto della progettazione inclusiva per tutti e, proprio per questo, la Commissione Europea si è recentemente proposta di rafforzare un approccio comune in materia di e-accessibilità28, e di accessibilità, al web, permettendo, in questo modo, l’accesso anche a settori della popolazione, quali i disabili e gli anziani, che ne sono ancora esclusi.

Come avremo modo di analizzare meglio nel corso dei prossimi capitoli, tutta la società non può permettersi di venir meno agli obblighi di tutela sui diritti umani, così

28 In sintesi, dato il gran numero di cittadini europei ancora esclusi dalle tecnologie informatiche e comunicative, la Commissione ritiene sia necessario rafforzare l'approccio comune in materia di e-accessibilità e e-accessibilità al web in modo da garantire a tutti i cittadini europei, la possibilità di accesso a :computer;telefoni;televisione;amministrazione on-line;acquisti on-line;call ecc.

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come d’altronde sancito dai numerosi documenti che finora sono stati descritti all’interno di questo stesso elaborato. Sembra tuttavia che si stia sottovalutando proprio l’importanza dell’accessibilità all’informazione, discriminando in questo modo i cittadini con difficoltà29.

Gli ultimi due anni hanno lasciato dietro di loro un desolante quadro di deterioramento della realtà economica e sociale dell’Europa: milioni di disoccupati, indebitamento pubblico e privato difficile da pareggiare, vistose lacune nel sistema di coesione sociale, ma soprattutto un calo generale della fiducia nelle capacità economico-gestionali del modello europeo. La lezione che dobbiamo trarre da questa crisi è che il valore dell’investimento nelle persone, comprese quelle aventi una qualche forma di disabilità, è più importante di molti investimenti speculativi a vantaggio di fasce sociali medio–alte che, certo, non aiutano a superare i cambiamenti causati dalla crisi.

Tradizionalmente, infatti, le persone con disabilità sono considerate forza-lavoro di riserva; le ultime ad essere assunte e le prime ad essere licenziate, vissute soltanto come dei costi in tempi di crisi economica, un fardello di cui se ne vorrebbe fare volentieri a meno, fino ad ignorare quel senso di solidale considerazione che, da sempre, dovrebbe contraddistinguere una società definita democratica e civile. Ecco perché il Forum Europeo per la Disabilità30 ha sentito la necessità di lanciare un messaggio di forte valenza politica. L’E.D.F. ha chiesto ai governi degli Stati membri che le persone con disabilità e le loro famiglie non paghino il prezzo di questa crisi economica mondiale. Occorre evitare la decurtazione dei redditi e indennità compensative, la diminuzione d’opportunità di lavoro e i tagli ai finanziamenti delle organizzazioni di categoria.

1.1.3 Il Piano Europeo 2020: specificità e criticità in merito alla disabilità

All’interno del contesto europeo, un provvedimento piuttosto importante è il Piano Europeo 202031, già nominato all’interno del paragrafo precedente, ma a cui vale la pena fare riferimento in maniera più dettagliata. Esso, in ambito di politiche sociali, ha anche

29

R. Cattenei, Europa al bivio: declino o ripresa?, in http://www.cavazza.it/vedereoltre/2010-1/Sito_cattani.html.

30

Nel 1997 le organizzazioni europee e nazionali di persone con disabilità e i loro rispettivi familiari, decisero di costituire il Forum Europeo della Disabilità. L’EDF è una piattaforma unica e indipendente in Europa, svolge ruolo attivo verso le istituzioni dell’Unione europea ed ha dei suoi responsabili politici. Il suo scopo è di proteggere e difendere i diritti delle persone con disabilità.

31

Rinvenibile all’indirizzo http://ec.europa.eu/eu2020/pdf/COMPLET%20IT%20BARROSO%20-%20Europe%202020%20-%20IT%20version.pdf, consultato il 10/01/2015.

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riguardato il decennio che ha interessato l’attuazione delle normative della Strategia di Lisbona (2000-2010), conclusosi, anche quest’ultimo, con risultati deludenti.

In merito al Piano Europeo 2020, in linea generale, l’Unione Europea si è promessa di raggiungere l’obiettivo strategico di sostenere l’occupazione, le riforme economiche e la coesione sociale attraverso un’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, che sia ovvero in grado di realizzare una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro. A tal scopo, la Commissione Europea si è trovata nel bisogno di formulare, a seguito della Strategia di Lisbona, un nuovo piano di sviluppo per il decennio 2010-2020, che, in definitiva, è coinciso con il Piano Europeo 2020.

Quanto diramato dall’Unione Europea rappresenta senza dubbio una sfida ciclopica per un agglomerato di Stati preoccupati soprattutto a tutelare la propria sovranità e i propri interessi, piuttosto che devoti ad impegnarsi concretamente a realizzare una comunità economica e politica efficiente. In ogni caso, per riuscire in tale intento, a partire da un complesso e sofferto confronto all’interno della Commissione, sono stati selezionati gli elementi utili per formulare una nuova strategia al fine di ottenere e dare vita ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

In definitiva, con tale strategia la Commissione Europea si prefigge di realizzare, entro il 2020, cinque obiettivi misurabili che guideranno il processo d’uscita dalla crisi sia europea sia nazionale. Tali obiettivi riguardano l’occupazione, la ricerca e l’innovazione, il cambiamento climatico, l’educazione e la lotta contro la povertà. Questi obiettivi sono rappresentati da tre priorità fondamentali32:

• crescita intelligente, ossia sviluppare un’economia basata sulla conoscenza e sull’innovazione, facendo in modo che le idee innovative si trasformino in nuovi prodotti e servizi, atti a stimolare la crescita e l’occupazione;

• crescita sostenibile, ossia promuovere un’economia più efficiente sotto i profili delle risorse, per contribuire a scindere la crescita economica dall’uso delle risorse, favorire il passaggio ad un’economia a basse emissioni di CO2, incrementare l’uso delle fonti energetiche rinnovabili, modernizzare il settore dei trasporti;

32

M. J. G. Arrufat, S. Masini, Politica educativa e integracion de las TIC en el sistema educativo. La situation italiana dentros del escenario internacional, Revista de Curriculum y Formaciòn del Profesorado, Vol. 16, n. 3, 2012, pp. 245-284.

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• crescita inclusiva, cioè promuovere un’economia con un alto livello occupazionale tale da favorire la coesione sociale e territoriale, migliorare l’efficienza dei sistemi d’insegnamento e agevolare l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro.

Tali fattori ed elementi si incrociano con tanti altri interventi legislativi che, tuttora, sono in corso di attuazione. Emergono però dei problemi, se si fa specifico rimando al contesto della disabilità, poiché spesso nel Piano Europeo 2020 non si fa esplicito riferimento a tale settore della popolazione.

Il Forum, non a caso, ha messo in evidenza che proprio in tale Strategia EU 2020 è presente solo un accenno al tema della disabilità. Per tale motivo, lo stesso Forum si è recentemente attivato per chiedere alla Commissione di inserire nella stessa Strategia EU 2020 un esplicito riferimento al riconoscimento dei diritti delle persone con deficit, al fine che si possa proseguire nel percorso di riconoscimento sociale dei loro diritti e, quindi, anche di quelli inerenti i diritti di informazione a cui accennavamo in precedenza. Il Forum ha chiesto, quindi, la possibilità di realizzare un “Patto sulla Disabilità” da inserire tra gli obiettivi prioritari della strategia, per garantire che in Europa si sviluppi una società genuinamente aperta, ricettiva e inclusiva anche per le persone svantaggiate, in particolare quelle disabili.

Alcune statistiche, rilanciate dall'European Disability Forum33, possono dare l'idea del perché sia fondamentale che le persone con disabilità debbano essere coinvolte. Alcuni dati significativi vengono riportati all’interno della Tabella 1.

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Normodotati Disabili

Il 18% di tutti gli europei va all'Università.

Solo il 9% degli europei con disabilità va all'Università.

Il 69% di tutti europei ha un lavoro.

Solo il 29% degli europei con disabilità ha un lavoro.

Il 37% degli europei senza disabilità, è in stato di povertà.

Il 62% degli europei con disabilità si pone tra le persone più povere in Europa.

Il 12% della

popolazione dell'Unione europea ha una disabilità.

Il 95% dei siti internet della pubblica amministrazione non è accessibile!

Tabella 1. Differenze sociali tra normodotati e disabili, tratto dal sito www.edf-feph.org.

Stando a ciò, considerato che una famiglia su quattro ha al suo interno un membro con disabilità, il Patto sulla Disabilità rappresenterebbe una sorta di road map, avente l'obiettivo di supportare l'implementazione della Strategia Europa 2020. L’European Disability Forum auspica cioè34:

 un aumento del tasso di occupazione tra le persone con disabilità;

 che l'educazione inclusiva divenga la norma preminente per garantire le pari opportunità per le persone con disabilità nel sistema scolastico;

 che siano garantite adeguate tutele sociali per le persone con disabilità, che generalmente sono tra le più esposte al rischio di esclusione sociale, nonchè di vivere in povertà;

 che la ricerca e l'innovazione possano beneficiare tutti i gruppi della società, incluse le persone con disabilità;

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22

 che l'accesso alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione possa essere garantito alle persone con disabilità con differenti esigenze tecniche e redditi, come uno strumento d’indipendenza e partecipazione in quella che si sta rapidamente sviluppando come una società basata sulla conoscenza.

Questi concetti e propositi hanno naturalmente dei diretti legami col tema del diritto all’informazione, poiché supporterebbero l’incentivazione e l’utilizzo di ausili che permetterebbero al disabile di apprendere e istruirsi in maniera più consona.

Tuttavia, allo stato attuale, la strategia non sta ancora tenendo conto degli effettivi bisogni delle persone con disabilità, nonostante le richieste che gli sono pervenute dal Forum. Per questo motivo, lo stesso European Disability Forum, in prossimità della prossima agenda politica dell'UE, sta esortando i capi di stato, i governi e le istituzioni europee a inserire un chiaro riferimento al Patto sulla disabilità.

In Europa, dunque, in conclusione di questa disamina, dopo avere ottenuto dalla comunità internazionale il riconoscimento dei loro diritti umani – segnatamente con la Convenzione ONU – le persone con disabilità si attendono adesso un sistematico miglioramento delle proprie condizioni di vita, nonchè il rispetto per i loro uguali diritti nelle decisioni politiche a tutti i livelli.

Nel prossimo paragrafo si entrerà nel merito della situazione italiana, approfondendo le questioni che si sono sviluppate nel corso dei decenni in merito all’attenzione rivolta a favore delle persone disabili. E’ logico che la situazione italiana debba essere letta in maniera integrata rispetto a quanto detto a proposito dell’Europa e dei vari provvedimenti internazionali.

1.1.4 In Italia

Riprendere e ricostruire la storia della legislazione italiana in favore dei disabili significa anche capire meglio come, quando e quanto sono cambiate nel nostro Paese la concezione dell’handicap e, soprattutto, le condizioni di vita delle stesse persone portatrici di handicap.

Considerata l’importanza che tale paragrafo ha per capire meglio quanto verrà affrontato nei successivi capitoli, di seguito si cercherà di ripercorrere l’evoluzione dei vari interventi istituzionali al fine di descrivere, in maniera sintetica, ma completa, entro

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quali quadri storici passati e recenti si sono sviluppate e modificate le azioni perseguite dai legislatori a favore delle persone con disabilità.

Per operare questo sguardo retrospettivo non è necessario andare molto lontano nel tempo, basta fermarsi, infatti, alla fine del secolo scorso e agli inizi dell’attuale, poiché è soltanto partendo da questo periodo che si è iniziato a delineare un quadro evolutivo della normativa in questo settore.

In epoche precedenti, d’altronde, si è avuta spesso un’evoluzione normativa lenta, complessa, frammentaria, a volte contraddittoria e che soltanto con adeguate forzature possiamo adesso considerare che sia stata portata avanti a favore dei portatori di handicap35. A conferma di ciò, se guardiamo i testi di alcuni provvedimenti legislativi della seconda metà del Novecento, ma anche di documenti recenti, che in qualche modo riguardano i cittadini con handicap, notiamo facilmente con quanti termini essi siano stati e vengano tuttora indicati (mutilati, invalidi, subnormali, minorati, inabili, portatori di menomazioni fisiche e sensoriali). La proliferazione di queste diverse denominazioni è certamente un indicatore del modo disorganico e lacunoso con cui si è sviluppata la legislazione sociale italiana a loro favore. Lo stesso continuo ricorso alla terminologia anglosassone è sintomatico di una mancanza lessicale e di una scarsa elaborazione concettuale a livello giuridico delle attese e dei bisogni delle persone con difficoltà. A tal proposito basti pensare che termini quali “portatore di handicap”, “persona handicappata” e “disabile” sono apparse solo di recente e hanno trovato una prima definizione di carattere giuridico soltanto con la Legge n.104 del 1992, diramata per “l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.

Prima di arrivare alla Legge 104/92, è opportuno però fare un breve accenno ai secoli e decenni precedenti per cercare di capire come la politica italiana si è mossa per favorire la crescita e l’integrazione sociale delle persone con disabilità. Per ovviare a tale scopo, si può suddividere l’evoluzione legislativa italiana in vari periodi storici36:

 epoca primitiva;  epoca medievale;  epoca moderna;  epoca contemporanea;  situazione odierna. 35 In www.conosciamocimeglio.it, consultato il 10/01/2015. 36 Ibidem.

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Nella società primitiva e agricola, la persona con handicap deteneva un suo ruolo, una sua identità. Nella società rurale, infatti, i bambini, gli anziani e i vecchi avevano uno spazio preciso e dignitoso così come lo avevano gli invalidi fisici e quelli con disturbi psichici. Fino a quando la produzione economica si è basata sul settore primario, il portatore di handicap è stato quindi accettato, se non altro tollerato, senza eccessivi problemi.

Con il cristianesimo la persona con handicap ha assunto addirittura un significato positivo, in virtù dei principi della carità cristiana. Persisteva, tuttavia, un’ambivalenza religiosa rispetto al male che raffigurava un significato positivo di redenzione e, allo stesso tempo, di peccato. L’intera comunità religiosa si sentiva coinvolta e interveniva con provvedimenti di segno opposto: da un lato la solidarietà, la preghiera, il ricorso a esorcismi; dall’altro la persecuzione e il rogo. Da quest’ultima ambiguità derivò una pratica assistenziale che, di fatto, si realizzava nell’esclusione delle persone con disabilità.

In seguito, nel corso del Medioevo, e soprattutto verso la fine di quest’epoca, cominciarono a nascere le prime fondazioni ospedaliere e insieme l’accettazione sociale del mendicante infermo. Ad ogni modo, sempre durante il Medioevo, la figura sociale della persona disabile deteneva prevalentemente una connotazione quasi totalmente marginale, che si è concretizzata quasi sempre con l’esclusione e l’isolamento dalla vita politica e sociale del cittadino con handicap.

E’ soltanto nel secolo XV che l’assistenza ai disabili, a cui abbiamo accennato, assumerà sostanza e forma giuridica, ma è proprio da questo periodo che la persona disabile perderà progressivamente quell’identità positiva che aveva caratterizzato la società primitiva, dove, pur con tutti i suoi limiti, era stata presente, così come lo era nelle prime ere cristiane e lo era stata, in parte, anche nel Medioevo.

Dopo il Medioevo, e quindi con l’avvento dell’età moderna, la figura del portatore di handicap venne associata a quella dei poveri e degli atipici. La situazione di marginalità in cui si viene a trovare fa sì che la persona con handicap non assuma caratteri sociologici tali da distaccarla dalla massa dei poveri in genere. Le prime forme istituzionali di assistenza che cominciano a nascere si esprimono nei termini di una reclusione di massa dei poveri e dei diversi che coinvolge anche quanti hanno difficoltà fisiche e psichiche.

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Si da avvio, proprio a seguito dell’età moderna, a un lungo periodo storico di transizione che, per quanto riguarda l’assistenza, vede l’alternarsi di metodiche le quali preannunciano i termini dell’assistenza pubblica e privata attuale. Le città e i poteri amministrativi si organizzano, infatti, nelle forme proprie della società moderna. Le autorità preposte all’ordine pubblico dispongono, adesso, non solo di carceri, ma anche di luoghi di ricovero più o meno coatti (istituti di segregazione): questi ultimi sono essenzialmente luoghi di reclusione, a metà tra l’ospizio e il carcere, dove si riceve assistenza, ma anche punizioni e contenzione, e dove le condizioni igieniche e di vita sono molto precarie.

Con le nuove idee diffuse nel secondo Settecento dall’Illuminismo, e con l’affermazione dei diritti dell’uomo e del cittadino propagati dalla Rivoluzione Francese, anche in Italia questi istituti di segregazione verranno chiusi e la condizione dell’handicappato, almeno in linea teorica, verrà distinta da quella del povero e del criminale.

Nel nostro Paese, quindi, fino alla metà dell’Ottocento, la condizione dei disabili non è stata mai distinta, in generale, da quella degli indigenti e dei poveri. L’assistenza nei loro confronti è stata considerata un fatto privato, di cui prevalentemente si è fatta carico la Chiesa attraverso varie istituzioni specializzate per categorie di assistiti: gli ospizi per i pellegrini, gli ospedali per gli infermi, i lebbrosari per i lebbrosi.

In particolare, la funzione assistenziale nei confronti dei disabili è stata svolta quasi esclusivamente dalle Opere Pie. Lo Stato è sempre rimasto in disparte e si è limitato soltanto ad interventi di tutela dell’ordine pubblico.

In sintesi, i sistemi d’intervento assistenziali che si sono succeduti in Italia possono essere così distinti e schematizzati37:

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L’ultimo sistema d’intervento assistenziale sopra figurato, ovvero quello dell’assistenza come “sicurezza”, coincide con lo sviluppo delle società contemporanee industrializzate. Con l’inizio del secolo, questo sistema comincia d’altronde a diffondersi anche in diversi paesi europei, tra cui l’Italia. E’ solo da questo periodo che, in fondo, si può cominciare a parlare di vera e propria legislazione sociale nel nostro Paese, con specifico riguardo ai portatori di handicap.

Ad ogni modo, prima dell’unità d’Italia non è possibile ritrovare riferimenti legislativi che valutino la persona disabile come tale, e quindi con diritti soggettivi. L’unico provvedimento precedente, che in qualche modo può considerarsi rivolto anche ai cittadini con handicap, è la legge 17 luglio 1890 n. 6972 “Norme sulle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza”, tuttora vigente, che individua le IAPB nelle Opere Pie e gli istituti di beneficenza che abbiano come fine:

a) “di prestare assistenza ai poveri tanto in stato di sanità, quanto di malattia”; b) “di procurare l’educazione, l’istruzione e l’avviamento a qualche

professione, arte o mestiere, od in qualsiasi altro modo, il miglioramento morale ed economico”.

Occorre sottolineare che questa normativa non considera specificatamente i disabili, se non come “poveri in stato di malattia”.

Alla fine del secolo scorso, la situazione italiana in campo assistenziale si basò, di conseguenza, quasi esclusivamente su principi di carità e su disposizioni relative alla

Assistenza come beneficenza e carità privata: si origina nel

cristianesimo e si attua nel medioevo

Assistenza come ordine pubblico: si attua soprattutto nei

regimi monarchici assoluti dal XVI al XVIII secolo

Assistenza come diritto legale: si

tratta di un sistema politico- culturale che si afferma attraverso l’Illuminismo e il

Positivismo e si riscontra nell’enunciazione dei diritti

dell’uomo

Assistenza come sicurezza sociale: è la teoria che si

manifesta nelle società avanzate e la cui espressione più nota è costituita dalla teoria del Welfare

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beneficenza pubblica. Nei confronti dei disabili non si riscontra alcuna norma di tutela socio-assistenziale se non la possibilità dell’istituzionalizzazione in apposite strutture emarginanti. A tal proposito, nel Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1889 si legge:

“Gli invalidi riconosciuti dalle autorità locali di pubblica sicurezza inabili a qualsiasi lavoro, privi di mezzi di sussistenza e di congiunti tenuti alla somministrazione degli alimenti sono a cura delle autorità medesime, inviate in un ricovero di mendicità o altro istituto equivalente”.

Di conseguenza, se si vuol indicare un inizio dell’evoluzione legislativa italiana per le persone con handicap, esso non può che essere collocato agli inizi del Novecento. La normativa in favore delle persone con handicap inizia a svilupparsi, infatti, proprio nel corso dei primi decenni del Novecento e si struttura subito come un sistema che procede in maniera separata rispetto all’evoluzione della legislazione sociale di carattere generale.

C’è da dire che l’evoluzione della normativa dedicata ai disabili è anche unita a tante altre evoluzioni che in quegli anni si sviluppavano. Nei primi anni del Novecento proliferano, ad esempio, una serie di enti pubblici e privati i quali tutelano e rappresentano determinate categorie di cittadini (INAM, INPS, OMNI, INAIL), ma che solo marginalmente si occupano dei bisogni dei cittadini disabili; sorgono, inoltre, gli ECA (Enti Comunali di Assistenza) che assorbono le funzioni delle IAPB in materia di tutela dei poveri.

E’ soltanto nell’immediato primo dopoguerra che lo Stato, per la prima volta, interviene con specifici provvedimenti diretti a soggetti portatori di handicap. Queste prime disposizioni riguardano esclusivamente una precisa categoria: gli invalidi e mutilati di guerra.

Nei loro confronti vengono previsti interventi economici e sanitari e forme di avviamento professionale. Tra queste disposizioni si possono ricordare la Legge 481 del 25 marzo 1917 che riguarda il collocamento obbligatorio per i mutilati e invalidi di guerra e, successivamente, la Legge 1132 del 21 agosto 1924 che stabilisce le aliquote di invalidi di guerra da assumere obbligatoriamente da parte dei datori di lavoro. Sono leggi che nascono come “risarcimento” dello Stato al “danno” che queste persone hanno

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subìto partecipando al conflitto bellico. In seguito, con diverse e disarticolate disposizioni legislative, si prevedono benefici per categorie di persone la cui mutilazione o invalidità non trova origine nella partecipazione al conflitto, ma in cause diverse (invalidi civili per cause di guerra, invalidi per cause di servizio, invalidi per cause di lavoro, ecc.). Contemporaneamente vengono previste anche le prime forme di assistenza ai ciechi, ai sordomuti e agli ex malati di tubercolosi. Le categorie da assistere vengono perciò individuate o in base all’origine dell’handicap o in base alla tipologia.

Verso gli anni ’30 e ’40 si susseguono altri provvedimenti rivolti sempre a gruppi di “minorati” specifici e ben definiti. Questa normativa frammentaria, indirizzata a categorie così specifiche, porta ad una situazione di disparità fra i portatori di handicap, sia per i trattamenti economici, sia per gli interventi socio-assistenziali.

Caratteristica comune a tutta questa legislazione è la sua forte impronta pensionistica: l’intervento assistenziale viene considerato quasi esclusivamente mediante l’erogazione periodica di somme di denaro. Non troviamo alcuna predisposizione e offerta di servizi a favore dell’autonomia e dell’integrazione.

Per avere una vera e propria svolta per quanto concerne lo sviluppo della normativa a favore delle persone handicappate, bisogna attendere il 1992, con la legge 104.

La promulgazione della Legge-quadro sull’handicap, pur non riuscendo a soddisfare tutte le attese, segna un’inversione di tendenza rispetto al passato e apre un nuovo capitolo per l’effettiva integrazione dei disabili. Sul piano culturale la legge esprime finalmente una concezione sociale della persona con handicap al passo con i tempi. Accoglie, infatti, le definizioni sostanzialmente proposte dall’O.M.S. che nel 1980 aveva elaborato una classificazione della disabilità e della condizione di handicap corretta e universalmente condivisa, come abbiamo avuto modo di affermare all’interno dei paragrafi precedenti. Come già ricordato, a seguito degli interventi dell’O.M.S. la persona handicappata viene definita come “colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.

In Italia, così come nel resto d’Europa, sul piano legislativo si pone così per la prima volta al centro la persona nella sua globalità, indipendentemente dallo stato e dal tipo di disabilità che possiede, con un approccio nuovo che considera il disabile nel suo

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sviluppo unitario, dalla nascita alla presenza in famiglia, nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero. Con la sua entrata in vigore, la Legge 104/92 avvia peraltro un processo di coinvolgimento sulla realtà dell’handicap che interessa le diverse amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e offre nuovi spazi e opportunità alle forze dell’associazionismo, del volontariato, della cooperazione e del privato sociale. La legge, al fine di assicurare l’esigibilità dei diritti delle persone handicappate, individua, tra le altre cose, nell’azione coordinata delle istituzioni centrali e nella maggiore responsabilizzazione degli enti locali i percorsi operativi e necessari affinchè si possano davvero salvaguardare i diritti delle persone con disabilità.

Sul versante istituzionale e organizzativo, la legge 104/92 ha rappresentato il superamento di una situazione che era contraddistinta da un’ormai cronica frammentazione delle competenze e della settorialità delle prestazioni che, oltre ad accrescere nel tempo il carattere speciale della normativa a favore dei disabili, di fatto ne aveva limitato fortemente l’applicazione. La legge segna, quindi, il passaggio dallo Stato assistenziale allo Stato sociale, predisponendo alcune condizioni strutturali a livello normativo per offrire risposte adeguate e globali alle persone con difficoltà. Il testo ridefinisce e regolamenta, a livello nazionale, l’insieme delle norme per tutelare la dignità della persona handicappata.

Questo nuovo approccio legislativo, tuttora in progress, oltre a garantire il pieno rispetto della dignità della persona disabile, insiste sulla necessità di rimuovere le situazioni invalidanti e di predisporre interventi che evitino processi di emarginazione. Si chiarisce che la persona con handicap è considerata tale quando la minorazione di cui è portatrice causa delle difficoltà e può determinare processi di svantaggio sociale.

La sua completa applicazione incontra tuttavia ancora difficoltà di rilievo, in parte connesse all’azione sinergica dei diversi soggetti coinvolti a vario titolo e a vario livello, la cui operatività richiede un continuo, articolato e permanente processo di collaborazione interistituzionale. Più che un punto di arrivo la Legge 104/92 è quindi da considerare come un ulteriore punto di partenza del cammino che ancora oggi resta da compiere nel nostro Paese, per la completa affermazione dei diritti civili dei disabili. Per raggiungere questo traguardo occorre che in questo percorso finale non venga meno il coinvolgimento globale e permanente di tutte le istituzioni e delle risorse sociali, inteso a dare attuazione ai principi costituzionali che vengono richiamati. E’ necessario che non solo gli organi centrali dello Stato, ma anche e soprattutto le amministrazioni locali, a

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partire da quelle regionali, svolgano il loro ruolo in un contesto di continua interazione e collaborazione reciproca. Le Regioni, infatti, nel rispetto e in osservanza delle competenze istituzionali in materia, sono chiamate a svolgere un ruolo di primo piano e fortemente incisivo. In questo processo dinamico non può e non deve mancare un crescente coinvolgimento della società civile, nelle sue diverse forme ed espressioni. L’inserimento e l’integrazione sociale dei portatori di handicap si realizza, d’altronde, sensibilizzando la società e le amministrazioni pubbliche ai loro problemi e creando, di fatto, una nuova cultura in cui ogni cittadino sia riconosciuto come componente a pieno diritto dell’intera struttura sociale. Le stesse persone disabili e le loro famiglie sono chiamate a superare sempre più il ruolo di soggetti di assistenza e di delega e ad esercitare, magari con il supporto dell’associazionismo, delle forze del volontariato e della cooperazione, una crescente partecipazione alla gestione sociale delle problematiche connesse all’handicap e alla disabilità, anche e soprattutto in virtù del diritto dell’informazione, dell’integrazione scolastica e lavorativa.

Se si fa riferimento specifico al diritto all’informazione, la normativa italiana stabilisce con l’art. 5 della Legge 4/2004 che le disposizioni di accessibilità si applicano anche al materiale formativo e didattico utilizzato nelle scuole di ogni ordine e grado38. Tale norma è stata confermata successivamente con il Decreto del 30 Aprile 2008 in tema di “Regole tecniche disciplinanti l’accessibilità agli strumenti didattici e formativi a favore degli alunni disabili”, il quale detta le regole tecniche che disciplinano l’accessibilità degli strumenti garantendo il diritto all’educazione e alla formazione degli stessi studenti disabili. Le regole, che integrano quelle del Decreto Ministeriale 8 luglio 2005, prevedono che un contenuto formativo ed educativo, per essere accessibile e per garantire il diritto all’informazione al disabile, deve39

:  fornire alternative testuali;

 essere provvisto di contenuti audio, video, animazioni;  essere adattabile, distinguibile, accessibile da tastiera;

 garantire di essere letto a livello di tempistiche, nonché navigabile, leggibile, prevedibile e compatibile con le capacità del soggetto disabile.

38 G. Affino, in http://creativecommons.org/licenses/by-nc-sa/2.5/it/deed.it, consultato lo 09/01/2015. 39 Ibidem.

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