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37 Wer nicht sterben kann, kann auch nicht leben

2. Il genere letterario dell’intervista

2.1. Interviste e conversazioni d’autore

2.1.1. Pier Paolo Pasolin

Cosa ne pensi dell’intervista?

Di solito un intervistatore è come Aziz129, che meccanicamente accepisce delle cose e le riporta, saltando la parte del senso, che gli rimane estranea…130

Ancor più dei coevi protagonisti della scena mediatica in ambito artistico e intellettuale della Germania occidentale appena citati, di particolare interesse ai fini del

125 Herzog, W., Fitzcarraldo, 1982. 126 Kinski, K., Kinski Talks, 2010.

127 Kinski, K., Video im Park, https://www.youtube.com/watch?v=c0Efhz8jxNI 128 Kinski, K., Je später der Abend, https://www.youtube.com/watch?v=zS2h-3rYaXE 129 Personaggio de “Il fiore delle Mille e una notte”.

130 Pasolini, P.P., Interviste corsare sulla politica e sulla vita: 1955-1975, Atlantide, Roma 1995,

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nostro lavoro risulta mettere in relazione Heiner Müller con il controverso autore e intellettuale italiano del ventesimo secolo che maggiormente lo ha coinvolto e interessato in prima persona131, ovvero Pier Paolo Pasolini (1922-1975).

Numerose quanto sostanziali sono le affinità tra Heiner Müller e PPP come intervistati, che purtroppo non trovano spazio adeguato all’interno di questo lavoro132. Ciò che è necessario sottolineare è come, a nostro parere, quello preso attualmente in esame appare come l’unico caso all’interno del panorama delle interviste d’autore qui analizzate in grado di costituire un effettivo parallelo, sia dal punto di vista contenutistico che formale, con il drammaturgo della DDR, sia nel ruolo di Interviewkünstler, che come il poeta e intellettuale tout court, offrendo numerosi spunti di riflessione, sia in ambito artistico, che di analisi sociopolitica. Una prima affinità ci viene presentata dalla ricezione dei due autori nel proprio contesto culturale, che sia mentre erano ancora in vita, che nell’attuale dibattito pubblico in ambito politico e letterario, li ha processati, censurati, estromessi dal milieu intellettuale come scomodi dissidenti, senza poterne tuttavia negare

131 L’interesse di Heiner Müller nei confronti di Pier Paolo Pasolini è un tema che merita un

approfondimento a sè stante, non consentito, per ragioni di spazio e di attinenza, all’interno di questo lavoro. In questa sede è però possibile ricordare i principali riferimenti pasoliniani

all’interno dell’opera di Müller e contestualizzare brevemente l’interesse per l’intellettuale corsaro della letteratura italiana nell’ambito della sua ricezione tedesca. All’interno dell’opera mülleriana, Pier Paolo Pasolini è protagonista, insieme ad Alì dagli occhi blu, di NOTIZ 409 (W 1, p. 320), compare Traumtext. Die Nacht der Regisseure (W 2, pp. 136-140), attraverso una

rappresentazione onirica del proprio omicidio, e viene chiamato in causa all’interno dell’intervista Mich interessiert den Fall Althusser (W 11, p. 452), come alter ego di Amleto, eroe votato al fallimento e all’autodistruzione.

Inoltre, sebbene il regista di Medea (1969), come nota Paolo Scotini (Alì ohne Augen: Müller legge Pasolini) non venga menzionato all’interno dell’autobiografia, Krieg ohne Schlacht. Leben in zwei Diktaturen, il suo ruolo privilegiato all’interno della poetica mülleriana trova ulteriore dimostrazione nella scelta di priettare La ricotta (Ro.Go.Pa.G., 1963) e di leggere una selezione di poesie insieme a Laura Betti per celebrare il sessantacinquesimo compleanno del drammaturgo della DDR al Berliner Ensemble, il 9 gennaio 1994, nel suo peculiare interesse per Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975) e nella scelta di recitare Profezia,come lettura pubblica nel contesto di una conferenza su Walter Benjamin.

Riguardo alla tarda ricezione di Pier Paolo Pasolini in Germania si veda Collini, P., Il consumo di Pasolini in Germania., Belfagor, Vol. XXXVIII, pp. 231-238, 1983.

Nel nostro caso specifico, Heiner Müller ha conosciuto Pasolini, quando questi è stato scoperto e riabilitato dalla Germania occidenta e, dunque successivamente alla sua morte e contestualmente alla prima traduzione tedesca dei Freibeuterschriften (1978). Come racconta Peter Kammerer, sociologo e traduttore di Pasolini in tedesco, nonché amico personale di Müller e veicolo di conoscenza del panorama letterario italiano contemporaneo, prima del 1978, la ricezione tedesca di PPP era circoscritta all’ambito cinematografico, e aveva un pubblico molto limitato (Kammerer, P., Pasolini e la Germania, in “Lo Sguardo”, n. 19, 2015, III). In seguito all’inaspettato successo degli Scritti corsari, divenuti un testo di culto per il partito dei Grüne movientisti tedeschi, che, nel corso degli anni ’80, seguono numerose traduzioni delle liriche e della saggistica pasoliniana. Alla luce di tali riflessioni, è senza dubbio interessante notare come, attenendoci ai testi di Pier Paolo Pasolini di cui Müller era in possesso, il suo interesse nei confronti dell’autore di Petrolio in particolar modo come intellettuale e intervistato.

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i traguardi in ambito artistico e letterario, che li ha visti come icone e protagonisti indiscussi, ben al di là delle controversie.

Un secondo ambito che mette i due autori direttamente a confronto è quello poetico. Sia Müller che Pasolini sono stati infatti irriverenti profeti dell’avvento del Terzo mondo e della fine delle utopie, traduttori del mito in epoca contemporanea, indagatori delle radici e dell’identità culturale della propria nazione, acuti e puntuali

Zivilisationskritiker ossessionati dalla Storia, contro un Occidente rivolto al consumo e

all’abuso della tecnologia, ferventi indagatori della natura umana, devoti al conflitto ed esteti della brutalità.

Inoltre, entrambi gli autori hanno fatto della propria vita un documento storico e delle proprie conversazioni pubbliche un’ennesima provocazione, equiparabile ad una delle più complete dichiarazioni di poetica.

Similmente a quanto è possibile affermare riguardo al drammaturgo di

Eppendorf, infatti, il poliedrico autore di Teorema e degli Scritti Corsari, nel corso della propria vita, è stato protagonista del dibattito e dell’attenzione mediatica sotto molteplici aspetti e con innumerevoli ruoli, che spaziano dalla celebrità che scherza con Totò sul set di Uccellacci, uccellini (1966) al caso giudiziario, facendo della propria identità pubblica un’istituzione culturale, che comparirà come ultima performance al proprio funerale.

È attraverso una parafrasi saggistica dell’accorata orazione funebre di Alberto Moravia per l’amico poeta, che, nell’introduzione al volume Pasolini – Der dissidente

Kommunist, Fabien Kunz-Vitali, similmente a quanto avviene nell’analisi fatta da Ralf

Schnell all’interno di Heiner Müller im Kontext, pone l’accento sul fenomeno che potremmo definire come “Pasolini als…”, ovvero sulla molteplicità di funzioni svolte in ambito mediatico dal versatile artista e intellettuale nato a Bologna, che, fino alla drammaticità della propria morte, le cui circostanze, ancora a distanza di quarant’anni, non sono state chiarite, ha rappresentato in se stesso un’opera aperta:

Immer neue Aspekte quellen aus ihm [Pasolini] hervor. Pasolini als Musiker, Pasolini als Zeichner, Pasolini als Dialektologe, Pasolini als Performancekünstler, Pasolini als Denkmalschützer, Pasolini als Massenmedien Theoretiker, Pasolini als Fußballer… Ganz zu schweigen von seinen gesellschafts- und kulturkritischen Positionen, die, zumal keiner Seite eindeutig verpflichtet, gerade deshalb von so ziemlich allen Seiten (und bei Weitem nicht immer arglos) beansprucht werden.133

133 Galli, G., Pasolini. Der dissidente Kommunist, Laika Verlag, Hamburg 2014, p. 7. / Trad.: Su

di lui emergono sempre nuovi aspetti. Pasolini musicista, Pasolini disegnatore, Pasolini dialettologo, Pasolini performer, Pasolini difensore della memoria, Pasolini teorico dei media, Pasolini calciatore…Per non parlare delle sue posizioni di critica sociale e culturale, che, non essendo esplicitamente legate ad alcuna parte in modo univoco, vengono riprese (non sempre con approvazione) da tutte le fazioni.

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Come è lo stesso Giorgio Galli a sottolineare nella propria monografia dedicata all’attualità politica del poeta e regista italiano134, parallelamente alla propria produzione cinematografica, letteraria e saggistica e alla nota passione per il gioco del calcio, Pasolini, già a partire dai primi anni ’50, ha avuto, e ha tutt’oggi135, un ruolo centrale all’interno del contesto mediatico, innanzi tutto come intellettuale dalle grandi capacità comunicative e di analisi critica, tanto da risultare politico e profetico, aspetto che trova il massimo della propria espressione all’interno dei saggi, dei dialoghi con i lettori, delle interviste e delle videointerviste.

Il corpus delle opere pasoliniane appena citate costituisce infatti ben più di un apparato critico o di un Werkstattgesprach, giungendo alle vette del saggio filosofico, politico e artistico e della denuncia sociale, ritraendo un’Italia sbilanciata, povera di un’identità culturale, e in piena metamorfosi. Allo stesso tempo, le videointerviste pasoliniane costituiscono però anche la performance di una maschera ben delineata e costante, dal volto scavato e dalla gestualità composta, divenuta un’icona inequivocabile, dagli innumerevoli ritratti, similmente a quanto è possibile affermare nel caso mülleriano.

Le più celebri conversazioni pubbliche che vedono Pier Paolo Pasolini come interlocutore sono state pubblicate all’interno del volume Interviste Corsare (1955-1975). Fra queste è necessario menzionare la trasposizione scritta della videointervista, nonché performance mediatica dello scomodo Querdenker insieme ad alcuni dei propri compagni di scuola di infanzia, La terza B, facciamo l’appello fatta da Enzo Biagi (1971)136 per la RAI e cancellata dal palinsesto in seguito alla denuncia di “istigazione alla

disobbedienza” e “propaganda antinazionale” nei confronti di PPP, che all’epoca era direttore responsabile di “Lotta continua”, Ma la donna è una slot-machine137, che vede come interlocutrice la poetessa Dacia Maraini, e l’ultima intervista pasoliniana, con il giornalista Furio Colombo, Oggi sono in molti a credere che c’è bisogno di uccidere, pubblicata su “Stampa Sera”, il 3 novembre del 1975, all’indomani della morte dell’autore.

Oltre a essersi sottoposto alle domande di innumerevoli interlocutori, più o meno illustri, Pasolini si è cimentato davanti alla macchina da presa anche come intervistatore.

134 Pasolini, P.P., Interviste corsare sulla politica e sulla vita: 1955-1975, Atlantide, Roma 1995. 135 Nel 1995, ventesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, il giornalista Enzo Golino

ha pubblicato il saggio Tre lucciole a palazzo. Il mito di Pasolini dentro la realtà, in cui raccoglie gli interventi, aventi per oggetto sia plauso che accese critiche, riguardanti l’autore delle Lettere Luterane all’interno dei media italiani fra il 1993 e il 1995 e contandone centoventidue. (Golino, E., Tre lucciole a palazzo. Il mito di Pasolini dentro la realtà, Palermo 1995)

136 Ibid., p. 170. 137 Ibid., p. 201.

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Oltre a Comizi d’amore138, l’ intervista-documentario sul tabu della sessualità alla

popolazione italiana degli anni ’60, che contiene il celebre dialogo sulla normalità con il poeta Giuseppe Ungaretti, di notevole spessore contenutistico è la conversazione pubblica fra l’autore di Teorema e l’amico Alberto Moravia, nonché la celebre intervista con Ezra Pound, del 1968, per il canale nazionale, in cui si assiste al passaggio del testimone tra due generazioni di intellettuali e poeti, antitetici quanto inconciliabili, uniti dalla devozione per la propria arte.

Di notevole interesse ai fini di questo lavoro sono, però, principalmente l’affinità di approccio e la scelta dei temi che accomunano Müller e PPP come intervistati, che raggiungono, a nostro parere, il proprio apice nel confronto fra le Interviste corsare e i due volumi di conversazioni pubbliche fra Müller e Frank Michael Raddatz, avvenute a più di quindici anni di distanza, trovando ancora una volta Walter Benjamin139 come premessa filosofica comune. Se entrambi gli autori, che possono essere definiti, con le dovute differenze date dalle diverse condizioni e realtà politiche di origine, come dei “dissidenti comunisti”, concentrano gran parte delle proprie conversazioni pubbliche sull’analisi del contesto artistico, politico e sociale che li circondano, mettendo in primo piano il proprio paese di origine, si nota una profonda affinità di approccio metodologico nell’affrontare, sia la storia, che il rapporto fra uomo, arte e tecnologia.

[…] Quello che il letterato dovrebbe fare, sarebbe allargare senza fine il proprio orizzonte visivo, su tutti i campi, in tutti i sensi, cercare di capire la propria storia, LA storia: come operazione preliminare, umana, morale.140

Afferma, già nel 1955, Pasolini, fornendo un importante presupposto a quello che sarà il teatro come dialogo con i morti teorizzato dal drammaturgo della DDR, e dimostrando la centrale importanza attribuita alla funzione sociale e didattica dell’arte.

Entrambi i protagonisti di questo paragrafo sono innegabilmente legati in modo viscerale alla storia e all’identità della propria nazione, che li accoglie e li rigetta, disconoscendoli ed esaltandoli simultaneamente, creando un contrasto incolmabile, paragonabile unicamente al rapporto conflittuale, e tuttavia mai privo di una qualche forma, anche distorta, di affezione, che caratterizza le dinamiche relazionali fra padri e figli: un tema cardine della poetica di entrambi.

138 Pasolini, P.P., Comizi d’amore, 1964

139 A tale proposito si veda per approfondire il legame fra Benjamin e Pasolini: Kammerer, P.,

Pasolini e la Germania, a cura di Antonio Lucci, Lo Sguardo – Rivista filosofica, n. 9/ 2015 (III)

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Tale esigenza incombente di presa di coscienza storica da parte di entrambi gli autori trova, inoltre, espressione nello spirito patriottico, rivendicato da Moravia nella sua orazione funebre, e frutto della continua ricerca delle radici culturali e linguistiche, che costituiscono una delle ossessioni della poetica pasoliniana, che si traduce nella presenza costante della Prussia, sotto forma di incubo, visione, auspicio, mancata patria di Heinrich von Kleist e prova di brutalità umana che caratterizza la poetica di Heiner Müller, come avremo modo di approfondire all’interno di questo lavoro.

Come anticipato, altrettanto rilevante appare la comune visione sulla tecnologia moderna, che per entrambi gli artisti vede il proprio antagonista nell’inconscio.

No, perché oggi trionfa l’applicazione della scienza, cioè la tecnologia, non la scienza. Il razionalismo borghese, che vede solo l’utilizzazione pratica delle cose, non ha nulla a che vedere con lo spirito scientifico.141

Il sopravvento della macchina sull’essere umano, che si traduce nella perdita dell’intelligenza come “poesia, saggezza, fantasia e intuito”142, profetizzato da Pasolini negli anni ’60, trova risposta nella conversazione mülleriana Das Böse ist die Zukunft, in cui l’autore di Hamletmaschine a confronto con Raddatz identifica nella memoria e nel ricordo individuale l’ultimo bastione della soggettività, all’interno di una società

occidentale, ritratta questa volta alla fine degli anni ’80, in cui i computer e la tecnologia fungono ormai come surrogato delle emozioni:

Vergessen ist konterrevolutionär, denn die ganze Technologie drängt auf Auslöschung von Erinnerung.143

Un terzo aspetto che ci preme accennare a dimostrazione della profonda affinità fra i due poliedrici artisti dell’intervista presi in esame è dato dal blocco dello scrivere che colpisce entrambi davanti al mutamento sociale. Alle porte del 1968, anno di profonda cesura storica, sia per l’Italia che in ambito internazionale, alla domanda del giornalista e vincitore del Premio Strega (1973) Manlio Cangoni (1916-2015) sul perché abbia smesso di scrivere romanzi e racconti, Pasolini risponde infatti, similmente a quanto vedremo accadere con il protagonista di questo lavoro:

141 Pasolini, P.P., Interviste corsare sulla politica e sulla vita: 1955-1975, Atlantide, Roma 1995,

p. 14.

142 Ibid. 143 JN, p. 71.

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Ho perso fiducia nel genere. Non ne sono più attratto. Io penso che uno scrittore debba essere sempre realistico, unito cioè alla realtà. Ebbene, la realtà che prima mi interssava, intendo dire il sottoproletariato romano delle borgate, sta cambiando rapidamente, non lo riconosco più. […] Oggi sta diventando una frazione del Terzo mondo.144

Se, già alla fine degli anni ’80, con le stesse motivazioni applicate alla realtà della DDR, Müller abbandonerà il teatro, nella conversazione pubblica del 1967 con Manlio Cangioni, Pasolini rinuncia alla prosa, che a suo vedere esige una stabilità sociopolitica, e alla poesia, senza un destinatario145, vedendo nella tragedia l’unica via d’uscita e l’unica possibilità di produrre ancora un effetto sul pubblico:

[…] Il destinatario è uno contro cui polemizzo, contro cui lotto. Il destinatario è il mio nemico, è la borghesia che va a teatro. È con questo spirito che ho scritto i miei quattro drammi.146

È inoltre la visione, quanto mai attuale, del Terzo mondo, protagonista, attraverso gli occhi blu del giovane Alì, della Profezia147 pasoliniana, che incombe con le proprie esigenze e la propria umanità alle porte dell’occidente, come una minaccia e l’unica speranza allo stesso tempo, a trovare eco nelle conversazioni fra Raddatz148 e Heiner Müller, che, come racconta Peter Kammerer149, nel 1991 aveva scelto di recitare al congresso romano su Walter Benjamin la lirica dedicata all’invasione dell’Italia da parte dei giovani africani, ancora puramente umani e non corrotti dalle dinamiche economiche e politiche occidentali.

A conferma di ciò e del profondo legame fra i due autori, oltre che a

testimonianza dell’influenza del personaggio pubblico di profeta controcorrente, Pasolini compare nell’ottobre del 1995, in una delle ultime liriche mülleriane, NOTIZ 409150, il cui protagonista è un Alì privato degli occhi, similmente al proprio autore, brutalmente sfigurato dai suoi assassini, e allo stesso tempo metaforicamente privato della propria dote di preveggenza. L’immagine che ci viene descritta ricorda inevitabilmente l’angelo senza fortuna e senza volto che compare in DER GLÜCKLOSE ENGEL 2151, seconda

144 Pasolini, P.P., Interviste corsare sulla politica e sulla vita: 1955-1975, Atlantide, Roma 1995,

p. 119.

145 Ibid., p. 120. 146 Ibid., p. 121.

147 Pasolini, P.P., Alì dagli occhi azzurri, Garzanti 1965.

148 Per approfondire si veda il capitolo 1.1.2. dedicato alle conversazioni tra Heiner Müller e Frank

Michael Raddatz.

149 Kammerer, P., Pasolini e la Germania, a cura di Antonio Lucci, Lo Sguardo – Rivista

filosofica, n. 9/ 2015 (III).

150 W 1, p. 139. 151 W 1, p. 236.

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rielaborazione dell’Angelus Novus benjaminiano all’indomani della caduta del Muro. Di lui non resta che una voce lontana, a ricordare la Storia nel momento dell’invasione del presente e della scomparsa della realtà.

Anche nel caso di NOTIZ 409 si tratta di un requiem per PPP e per l’autore stesso, entrambi identificati nella figura di Amleto, ormai sconfitto e pronto alla morte, che, metaforicamente per il drammaturgo della DDR, e in modo tragicamente reale per l’autore di Petrolio (1972-1975), giunge per mano della patria, che volta brutalmente le spalle al poeta dissidente ed emarginato nella propria metamorfosi votata al consumo:

[…]

Oder Pasolini

GIB MIR DEINEN ARSCH PELOSI ICH WILL DEINEN DRECKIGEN

ARSCH SOHN ITALIENS

HURE VON MALBORO UND COCA COLA GIB MIR DEINEN DRECKIGEN

Blutige Hochzeit

Mit der Klasse die die Zukunft trägt Auf Schultern tätowiert vom Kapital Die Morgenröte einer Nacht Die Nacht Der Morgenröte

Dann legt Pelosi den Gang ein Und fährt das Auto über den Besitzer

JETZT BIS DU VEREINT PAOLO MIT DEINEM ITALIEN.152

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