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Pigmenti tra seta e carta: l’influenza della pittura e della tintura sulla palette delle

3. I colori dell’ukiyoe Pigmenti tradizionali delle stampe nishikie

3.1 Tra pittura e tintura: l’origine dei pigmenti delle stampe ukiyoe

3.1.1 Pigmenti tra seta e carta: l’influenza della pittura e della tintura sulla palette delle

palette delle stampe

Se si osserva la gamma cromatica delle opere nishikie, risulta evidente che essa è all’incirca la stessa riscontrabile in pittura3

.

Infatti, i colori principali che si possono ritrovare in opere come dipinti su paraventi o fusuma, emakimono 絵巻物 o altre forme di rotoli illustrati e altre tipologie pittoriche su legno databili a partire dal IX - X secolo sono fondamentalmente bianco, rosso, giallo,

2 Catherine BAILIE, Mary CURRAN e Robert L. FELLER, "Identification of Traditional Organic Colorants

Employed in Japanese Prints and Determination of their Rates of Fading", in Roger Keyes (a cura di),

Japanese Woodblock Prints: A Catalogue of the Mary A. Ainsworth Collection, Oberlin, Allen Memorial

Museum, Oberlin College, 1984, pp. 253-254 e EMOTO Yoshimichi e YAMASAKI Kazuo, “Pigments Used on Japanese Paintings from the Protohistoric Period through the 17th Century”, Ars Orientalis, 11, 1979, pp. 5-6

3 Glen R. CASS e Paul M. WHITMORE, “The Ozone Fading of Traditional Japanese Colorants”, Studies in

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verde, blu e nero – con un’eccezione rappresentata dall’aggiunta di oro o argento4. I pigmenti tradizionalmente utilizzati nella resa di questa palette nella pittura classica giapponese vennero in buona parte introdotti dalla Cina nel VI secolo e rimasero in sostanza invariati dal VII fino al XIX secolo5. Naturalmente, avvennero alcune innovazioni e cambiamenti, specie tra il IX e l’XI secolo e tra il XV e il XVI secolo: nel primo caso con il temporaneo rimpiazzo dell’azzurrite con un sostituto ottenuto dall’unione di ocra gialla e indaco per la resa dei blu, nel secondo con l’introduzione della polvere di conchiglie (gofun 胡粉) per il bianco al posto dell’argilla usata nei secoli precedenti6. Tuttavia, si può dire che in linea generale la palette e i pigmenti tradizionali della pittura giapponese non andarono incontro a grandi trasformazioni nel corso della storia. Tra i colori più usati figuravano l’argilla, la biacca e il gofun per il bianco, il cinabro, l’ossido di piombo o minio (tan 丹), l’ocra rossa e il vermiglione per il rosso, il litargirio, l’ocra gialla e la gommagutta per il giallo, la malachite per il verde e l’azzurrite e l’indaco per il blu. Il viola era in genere ottenuto mescolando dei pigmenti rossi e blu, come il cinabro e l’azzurrite. Infine l’inchiostro cinese era impiegato per il nero, mentre talvolta si poteva far ricorso anche all’uso di polveri o foglie d’oro o d’argento7

. Dunque, si trattava per la maggior parte di coloranti inorganici.

I colori che si possono riscontrare nel campo dell’ukiyoe sono essenzialmente gli stessi, con la sola differenza che, se i pittori utilizzavano, come si è visto, soprattutto pigmenti di origine minerale, gli stampatori invece facevano maggiormente ricorso a quelli organici.

Se ci si domanda per quale ragione la gamma cromatica delle stampe ukiyoe rispecchi quella pittorica, la risposta può essere trovata nelle loro stesse origini. Come già detto, l’ukiyoe nacque come genere pittorico, in particolare dalle opere di Hishikawa Moronobu, che prima di tutto si fece conoscere per i suoi dipinti che raffiguravano

4 EMOTO Yoshimichi e YAMASAKI Kazuo, “Pigments Used on Japanese Paintings from the Protohistoric

Period…”, cit. , pp. 6-9 e YAMASAKI Kazuo, “Technical Studies in the Pigments Used in the Ancient Paintings of Japan”, Proceedings of the Japan Academy, 30, 8, 1954, pp. 782-784

5 Sandra GRANTHAM, “Japanese Painted Paper Screens: Manufacturing materials and Painting

Techniques”, Studies in Conservation, 47, 3, 2002, p. 85

6

Marcella IOELE, Gian Franco PRIORI, Maria Vera QUATTRINI e Daila RADEGLIA, “A seventeenth century Japanese painting…”, cit. , pp. 330-331 e EMOTO Yoshimchi e YAMASAKI Kazuo, “Pigments Used on Japanese Paintings from the Protohistoric Period…”, cit. , p. 9

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scene di genere e poi si cimentò anche nella stampa, dando il via alla produzione xilografica di cui oggi è considerato il padre. Ma anche in seguito molti altri autori di stampe si dedicarono alla pittura, come per esempio alcuni esponenti della scuola Utagawa, come Utagawa Toyokuni e Utagawa Kunisada8. Non deve quindi sorprendere che la gamma cromatica delle xilografie e i materiali utilizzati per ottenerla rispecchiassero almeno in parte quelli della pittura su rotolo e su paraventi. Soprattutto per quanto riguardava le primissime forme di stampe a colori, ovvero le tan e dipinte a mano, vennero impiegati fondamentalmente coloranti già usati in pittura: il pigmento tan, ottenuto dall’ossido di piombo, era di origine minerale, come lo era il giallo di orpimento9. Successivamente, con l’aggiunta di nuove tinte, si assistette a un aumento dei pigmenti organici. Non furono solo i coloranti a risentire dell’influenza dell’arte pittorica tradizionale: anche altri materiali e tecniche vennero “importati”. La pratica di stendere uno strato di dōsa sulla carta prima di applicarvi il colore, per gestirne al meglio il comportamento, era già ampiamente nota nella pittura su rotolo, come lo era, nella preparazione del colore, la prassi di mescolare al pigmento della colla nikawa che fungeva da sostanza legante10 – operazione praticata anche nella pittura su paravento e che, vedremo, sarà impiegata anche dagli stampatori. Sempre nei dipinti su paraventi erano adoperate tecniche come il bokashi e l’applicazione di mica mista himenori con fine decorativo11.

Se la pittura fu la prima fonte a cui gli artisti guardarono per sviluppare la palette distintiva delle xilografia policroma, un’altra importante arte a cui si ispirarono e con cui si indebitarono dal punto di vista del colore fu quella tintoria.

La tintura dei tessuti si basava essenzialmente su coloranti di origine organica, soprattutto vegetale, ma anche in alcuni casi animale12. Il mondo della produzione tessile, specialmente dei kimono, e della moda era tutt’altro che sconosciuto agli artisti di epoca Tokugawa: Moronobu era uno scrupoloso rappresentatore delle complesse ed

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EMOTO Yoshimichi e YAMASAKI Kazuo, “Pigments Used on Japanese Paintings from the Protohistoric Period…”, cit. , pp. 13-14

8

Donald JENKINS, “Paintings of the Floating World…”, cit., pp. 258-260

9

Glen R. CASS e Paul M. WHITMORE, “The Ozone Fading …”, cit. , pp. 30-31

10 Marcella IOELE, Gian Franco PRIORI, Maria Vera QUATTRINI e Daila RADEGLIA, “A seventeenth

century Japanese painting…”, cit. , p. 330 e Sandra GRANTHAM, “Japanese Painted Paper Screens…”, cit., p. 85

11 Sandra GRANTHAM, “Japanese Painted Paper Screens…”, cit., pp. 85-86 12

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eleganti decorazioni delle vesti delle più note bellezze di Yoshiwara, Harunobu divenne famoso per i suoi ritratti di fanciulle in abiti raffinati, e praticamente tutti gli autori ukiyoe che si cimentarono nella raffigurazione di donne famose per il loro fascino non poterono non documentarne i ricchi e ricercati abiti13. Altrettanto essenziali nel pubblicizzare in tutto il paese e al contempo formare le mode (soprattutto femminili) delle grandi città come Edo o Kyoto furono i libri illustrati come i kusazōshi, che rappresentavano, proprio come le stampe policrome, delle opere attente alle tendenze e agli stili del momento, acquistabili a prezzi irrisori, e perciò assai popolari e distribuite in maniera capillare14. Non è un caso infatti che molti artisti dell’ukiyoe venissero incaricati dagli editori della creazione delle illustrazioni e delle copertine di questi testi. E proprio questa compenetrazione tra moda e illustrazione portò, non a caso, al coinvolgimento di autori di stampe nella realizzazione dei pattern decorativi e del design di kimono secondo le più raffinate tendenze del tempo, divenendone così non solo i promotori ma anche i creatori. Un gran numero di maestri dell’ukiyoe si occuparono dell’esecuzione non solo del design ma anche degli stampi utilizzati per i motivi decorativi15.

Vista la commistione tra stampa e moda, non sorprende che vari coloranti adoperati nella tintura dei tessuti si possano ritrovare tra quelli impiegati nei nishikie. Furono molto probabilmente queste non poi così rare incursioni nel mondo della produzione tessile a influenzare i materiali con cui ne venivano realizzati i colori.

Un maggior numero di pigmenti organici fece la sua comparsa a partire dai tempi delle stampe benie colorate a mano: il principale componente cromatico di queste opere era infatti il rosa, talvolta rosso, beni appunto, ottenuto dal fiore di cartamo. L’indaco, anch’esso di origine vegetale, era ampiamente usato per le sue qualità in tutta l’Asia

13

Pauline SIMMONS, “Artist Designers of the Tokugawa Period”, The Metropolitan Museum of Art

Bulletin, 14, 6, 1956, p. 147

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I kusazōshi, e poi i successivi gōkan 合巻 (“libri combinati”) del XIX secolo, erano libri incentrati su argomenti, personaggi e fatti in voga al momento, perciò altamente sensibili alle mode dell’ultima ora e soggetti ai cambiamenti di tendenze – motivo per cui incontravano i favori del pubblico e per cui gli editori cercavano sempre di fornire informazioni aggiornate e fresche. Per rendere tali pubblicazioni ancora più appetibili e attirare l’attenzione, spesso sia le illustrazioni interne che le copertine venivano commissionate a famosi artisti del tempo. Le copertine, in particolare, erano essenziali per pubblicizzare ulteriormente questi libri, che spesso venivano esposti di fronte alle librerie su dei banconi o appesi assieme alle stampe; si veda: HIOKI Kazuko, “Japanese printed books of the Edo period (1603–1867)…”, cit., pp. 97-100

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come tinta per i tessuti16, mentre altri pigmenti che dovevano le loro origini al mondo dell’arte tintoria erano, per esempio, il giallo ottenuto dalla sofora del Giappone (Styphnolobium japonicum) o dalla Cladrastis platycarpa17 o il rosso ottenuto dalla robbia18.

3.1.2 Una questione d’affari: il mercato editoriale e le sue ripercussioni sul