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Un successo, per caso: la scoperta del blu di Prussia e la sua diffusione in Europa

5. Un blu rivoluzionario Il blu di Prussia nelle stampe nishikie

5.1 Il nuovo blu dell’Europa

5.1.1 Un successo, per caso: la scoperta del blu di Prussia e la sua diffusione in Europa

Che il blu di Prussia fosse, per l’epoca, un colore fuori dall’ordinario è un fatto riconosciuto, ma non sono solo le sue qualità a renderlo particolare: in questo senso, anche la sua storia è piuttosto originale. Nonostante sia stato il primo pigmento sintetico della storia, che a partire dal XVIII secolo rivoluzionò il mondo dell’arte, di fatto la sua scoperta fu del tutto casuale.

La data stessa della sua invenzione, avvenuta a Berlino, non è certa, ma è da accreditarsi tra il 1704 e il 1706, più probabilmente tra il 1705 e il 17066.

Benché la prima testimonianza di questo colore risalga al 1710, all’interno della pubblicazione scientifica Miscellanea Berolinensia ad incrementum Scientiarum dell’Accademia Reale Prussiana delle Scienze (Königlich Preussische Sozietät der Wissenschaften), la storia “ufficiale” della sua nascita venne fornita per la prima volta quasi venticinque anni dopo i fatti reali, nel 1731, in un libro del chimico tedesco Georg Ernst Stahl (1660-1734). Stando a questo documento, dove però non si fa riferimento ad alcuna datazione, gli inventori di questo pigmento sarebbero stati due: un farmacista e

5 Michel PASTOUREAU, Blue. The History of a Color, cit., pp. 21-22, 64, 112-117, 124-127, 131-132 6

Questa datazione è stata ricostruita sulla base delle informazioni biografiche di uno dei suoi inventori, Johann Konrad Dippel, il quale giunse a Berlino – “luogo di nascita” del blu di Prussia – nell’autunno del 1704 e lasciò la città nei primi mesi del 1707, trasferendosi in Olanda. Inoltre, in una cronaca berlinese manoscritta risalente al 1730, si indica il 1706 come data di tale scoperta; si vedano: Alexander KRAFT, “On the Discovery and History of Prussian Blue”, cit., p. 64, SASAKI Seiichi, "Kinsei (18-seiki kōhan ikō) no Ajia ni okeru Purushian buruu…”, cit., p. 14 e Michel PASTOUREAU, Blue. The History of a Color, cit., p. 132

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produttore di pigmenti, Diesbach7 (il cui nome è ignoto), e l’alchimista, fisico e farmacista Johann Konrad Dippel (1673-1734). Diesbach, che condivideva lo stesso laboratorio di Dippel a Berlino, produceva e vendeva un colore rosso, una tipologia di lacca fiorentina, ottenuto da un decotto di cocciniglia misto ad allume e solfato ferroso, che faceva poi precipitare aggiungendovi una sostanza alcalina (potassio). Un giorno, rimasto a corto di quest’ultimo ingrediente, ne chiese in prestito un po’ a Dippel e questi gli fornì del potassio adulterato, che aveva adoperato durante la sua produzione di olio animale e che perciò era stato contaminato da esacianoferrato. Quando Diesbach lo utilizzò, invece del consueto rosso, ottenne un bellissimo blu intenso. Egli non comprese come ciò fosse accaduto, ma Dippel – probabilmente un chimico più esperto – capì che la causa doveva essere proprio il potassio da lui procurato, che – essendo stato ricavato da una sostanza animale – si era deteriorato e aveva agito a contatto con il ferro già contenuto nel preparato di Diesbach, producendo quel blu8.

Non si conoscono con precisione i risvolti successivi a tale scoperta, ma è chiaro che i due inventori fecero il possibile per migliorare tale processo chimico e vendere il colore ottenuto, ma soprattutto per tenerne segreta la formula. La ragione di tale segretezza era, naturalmente, quella di massimizzare i lauti profitti che derivavano dal commercio di questo nuovo, rivoluzionario pigmento. In una serie di lettere scritte tra la fine del 1706 e il settembre 1716 da Johann Leonhard Frisch (1666-1743), insegnante e membro dell’Accademia di Scienze prussiana, residente a Berlino, e il filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716), tale colore viene menzionato più volte, sia usando il nome “blu di Prussia” (Preussischblau) sia quello “blu di Berlino” (Berlinisch Blau o Berlin blau). Da questa corrispondenza si apprende che nel 1709 Diesbach pubblicizzava il suo prodotto tra i pittori della città e che, ancora nel 1715, la ricetta per prepararlo era nota solamente a lui e allo stesso Frisch, che si occupava di venderlo al difuori di Berlino. Secondo altre fonti, Diesbach avrebbe in seguito rivelato la formula a un suo allievo che avrebbe così cominciato a realizzarlo a Parigi9.

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Un manoscritto cronachistico berlinese del 1730, a proposito dell’invenzione del blu di Prussia, accredita la scoperta a Diesbach, citandone le origini svizzere e indicandone il nome come “Joh. Jacob Diesbach”, ma trattandosi di un documento scritto più di vent’anni dopo i fatti non si possono ritenere tali informazioni del tutto attendibili; si veda: Alexander KRAFT, “On the Discovery and History of Prussian Blue”, cit., p. 64

8 Alexander KRAFT, “On the Discovery and History of Prussian Blue”, cit., pp. 61-62, Barbara H. BERRIE,

“Prussian Blue”, cit., pp. 193-194, Michel PASTOUREAU, Blue. The History of a Color, cit., p. 132 e SASAKI Seiichi, "Kinsei (18-seiki kōhan ikō) no Ajia ni okeru Purushian buruu…”, cit., p. 14

9 Pare inoltre che imitazioni del blu di Prussia apparvero sul mercato fin da subito, tanto che Frisch ne

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Per quanto riguarda Dippel, nel 1707 abbandonò Berlino (dove era giunto nel 1704) e si recò nei Paesi Bassi, dove rimase fino al 1714. Qui egli stabilì la propria produzione del fortunato “blu di Berlino” – che era probabilmente già attiva nel 1709, dal momento che la prima testimonianza dell’impiego di tale pigmento in pittura è un quadro dell’olandese Pieter van der Werff (1666-1720), La sepoltura di Cristo, dipinto proprio in quell’anno. Si hanno inoltre testimonianze di vendite di blu di Prussia avvenute in quel periodo in varie città d’Europa, come Parigi, San Pietroburgo e Lipsia. Tali compravendite erano perlopiù condotte dai pittori stessi, come sembra suggerire uno scritto dell’artista olandese Simon Eikenlenberg (1663-1738), da cui si apprende che nel 1722 il pittore Joan George Collazius pubblicizzava il fatto che avrebbe venduto del blu di Prussia di ottima qualità, a sua volta acquistato da un certo signor Mak di Lipsia. L’uso di tale pigmento è stato riscontrato in opere risalenti agli inizi del XVIII secolo, come alcuni quadri di Antoine Watteau (1684-1721), dipinti in Francia tra il 1710 e il 1712, dei ritratti eseguiti dal già citato Collazius intorno al 1725, alcuni lavori di Adriaen van der Werff (1659-1722), che se lo sarebbe procurato in Olanda (e quindi forse dallo stesso Dippel), e altri di Canaletto del 171910.

Sia Dippel che Diesbach riuscirono a mantenere il segreto della formula del loro portentoso blu fino al 1724, quando sulla rivista Philosophical Transactions of the Royal Society di Londra venne pubblicato un articolo del chimico inglese John Woodward, “Præparatio Cærulei Prussiaci ex Germaniâ missa ad Johannem Woodward” (“Preparazione del blu di Prussia inviata dalla Germania a John Woodward”), in cui se ne svelava la composizione e il processo chimico che ne permetteva la realizzazione. Il testo era seguito da alcune osservazioni in merito fatte dal chimico John Brown, che aveva lavorato con Woodward e aveva eseguito una serie di esperimenti di verifica11.

(segue nota) pigmento sintetico; si vedano: Alexander KRAFT, “On the Discovery and History of Prussian Blue”, cit., pp. 62-63, Michel PASTOUREAU, Blue. The History of a Color, cit., p. 132 e Barbara H. BERRIE, “Prussian Blue”, cit., pp. 193-194

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SASAKI Seiichi, "Kinsei (18-seiki kōhan ikō) no Ajia ni okeru Purushian buruu…”, cit., pp. 14-15, Alexander KRAFT, “On the Discovery and History of Prussian Blue”, cit., pp. 63-64, Michel PASTOUREAU,

Blue. The History of a Color, cit., pp. 132-133, Barbara H. BERRIE, “Prussian Blue”, cit., pp. 193-194, 211 e

Philip MCCOUAT, "Prussian blue and its partner in crime", Journal of Art in Society, 2014, 20-4-2018

11 Woodward aveva ricevuto direttamente dalla Germania un documento che svelava la formula del blu

di Prussia, ma non fece mai il nome di chi fosse il suo informatore. Gli esperimenti condotti da Brown servirono a confermare quanto scritto nella lettera e a cercare eventuali altri materiali impiegabili nel processo chimico; si vedano: Alexander KRAFT, “On the Discovery and History of Prussian Blue”, cit., pp. 62-63 e Michel PASTOUREAU, Blue. The History of a Color, cit., pp. 132-133

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Da quel momento le riproduzioni si susseguirono e la produzione del nuovo pigmento sintetico si diffuse velocemente in tutta Europa. Già nel 1725 il chimico Étienne François Geoffroy ne comunicava in Francia il metodo di preparazione e forniva nuove informazioni in proposito. La popolarità del blu di Prussia crebbe in breve tempo ovunque in Europa e raggiunse anche l’America: nel 1748 veniva venduto a New York e già nel 1761 ve ne erano in commercio varie qualità. Pare che fosse prodotto in Inghilterra già intorno al 1770, allorché 1 libbra di questo pigmento si vendeva per 2 ghinee (meno costoso era invece quello di origine americana); mentre si hanno testimonianze di sue manifatture, risalenti al 1778, anche in Siberia. La pittura non fu, naturalmente, il suo unico campo d’impiego. Tra il tardo XVIII secolo e gli inizi del XIX secolo era ampiamente usato nelle arti decorative, soprattutto nella creazione di carte da parati verdi. Si tentò anche di adoperarlo in tintura, per ottenere dei verdi e dei blu più vivaci e meno costosi di quelli derivati dall’indaco, ma con scarso successo: a metà del Settecento comparvero due bellissimi colori, il blu di Macquer e il verde di Körderer, tuttavia fu presto chiaro che non solo non si legavano sufficientemente ai tessuti, ma che non avevano neppure alcuna resistenza alla luce e al sapone.

Già nel 1764 tale pigmento poteva essere utilizzato come acquerello, ma solo dopo essere stato sminuzzato in una polvere estremante sottile. Descrizioni risalenti al 1800 rivelano che era ampiamente impiegato nei colori ad olio, negli acquerelli, nei pastelli, negli inchiostri e persino per la pittura su vetro.

A partire dalla fine del XVIII secolo quella del blu di Prussia iniziò a svilupparsi come produzione di massa, indice dell’elevata richiesta di tale prodotto, e sempre maggiori quantità ne furono immesse nel mercato: i prezzi, infatti, iniziarono gradualmente ad abbassarsi proprio tra il tardo Settecento e gli inizi dell’Ottocento e ciò indica che all’epoca cominciasse a prender piede una sua fabbricazione in serie. In effetti, il fatto che ben tre nomi di commercianti di blu di Prussia (Yallop&Grace, Stock William e Cannan&Brydon) fossero indicati dal London Directory, tra la fine del XVIII secolo e i primi anni del XIX secolo, come fornitori ufficiali della Compagnia delle Indie Orientali inglese, rivela come al tempo la sua produzione si fosse già diffusa a livello industriale, perlomeno in Inghilterra. Il suo successo continuò senza interruzioni durante tutto il XIX secolo: nel 1842 si rivelò fondamentale nel processo di stampa fotografica ideato da John Herschel, la cianotipia. Lo si poteva inoltre ritrovare tra i colori in tubetto del catalogo del 1864 della ditta inglese Rowney e in quello degli acquerelli

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venduti dalla Winsor&Newton del 1878, mentre negli stessi anni era eletto uno dei blu prediletti dai pittori impressionisti12.

La sua produzione in serie continuò a espandersi e i suoi prezzi scesero ulteriormente, ma la sua popolarità non accennò a diminuire – tanto che fino al 1970 lo si poteva tranquillamente definire uno dei pigmenti blu più utilizzati in assoluto13.

5.1.2 I metodi di produzione e il commercio in Europa tra il XVIII e gli inizi del