Una delle vicende giudiziarie più importanti riguardanti il rispetto del copyright da parte degli Internet Service Providers è il c.d. caso “Pirate bay”. Il sito in questione si caratterizza per il fatto di ospitare link (magnet link) che consentono all'utente di ricercare risorse disponibili per il download peer-to-peer154. A seguito del procedimento penale condotto nei confronti dei tre gestori del sito, il 1 agosto 2009 il gip accoglie la richiesta del PM ordinando il sequestro preventivo del sito web www.piratebay.org
dato che veniva ritenuto sussistente il fumus delicti ed il periculum del reato di cui all'art. 110 c.p. e 171 ter, comma 2, lett. A-bis). Inoltre disponeva affinchè i providers operanti in Italia inibissero l'accesso al predetto sito. Successivamente viene chiesto l'annullamento del sequestro preventivo dai difensori degli imputati e, con l'ordinanza 24 settembre 2008, il Tribunale del riesame di Bergamo annullava il provvedimento. Malgrado ritenesse sussistente il fumus delicti dato l'elevato numero di contatti che scaricavano opere protette dal diritto d'autore abusivamente tramite il “peer - to - peer” e il periculum visto il consistente traffico sul sito, inducendo così a ritenere l'attualità della condotta criminosa (integrante l'art. 171 ter c2 lett.a bis), affermava che il ricorso al provvedimento cautelare ex art. 321 c.p.p. finisse per svalutarne natura e funzione155. Avverso l'ordinanza viene promosso il ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha così avuto
154 Nel linguaggio comune con tale termine viene fatto riferimento alla tecnologia che
consente a più utenti di scambiarsi direttamente files.
155 “[...] La censurata ordinanza del g.i.p. aveva il contenuto di un ordine imposto dall'Autorità Giudiziaria a soggetti (allo stato) estranei al reato, volto ad inibire, mediante la collaborazione degli stessi, ogni collegamento al sito web in questione da parte di terze persone. Tale misura cautelare, seppur astrattamente in linea con la previsione del D.Lgs. n. 70 del 2003, artt. 14 e 15, si risolveva in una inibitoria atipica, che spostava l'ambito di incidenza del provvedimento da quello reale, proprio del sequestro preventivo, a quello obbligatorio, in quanto indirizzato a soggetti determinati (i cd. provider), ai quali veniva ordinato di conformare la propria condotta (ossia di non fornire la propria prestazione), al fine di ottenere l'ulteriore e indiretto risultato di impedire connessioni al sito in questione”.
l'opportunità di precisare che il ricorso alla tecnologia peer - to - peer non comporta l'esclusione della configurabilità del reato ex art.171 c1 lett a bis l.autore da parte di chi sia il titolare del sito web malgrado egli non detenga mai, all'interno del proprio database, le opere protette (dato che sono detenute dagli utenti stessi che procedono alla condivisione). Da una parte è evidente l'illiceità della condotta dell'utenza del sito, dall'altra non è esclusa la possibilità di configurare un concorso da parte del gestore del sito nel caso in cui non si limiti solo a mettere a disposizione il protocollo di comunicazione peer to peer, ma agevoli la ricerca dei files (tramite un'indicizzazione delle informazioni o all'inserimento di un apposito motore di ricerca)156. Per quanto riguarda il provvedimento cautelare, esso assumerebbe una natura mista: di carattere reale perché avente ad oggetto l'apprensione di una res (che non obbligatoriamente deve essere materiale) quale è un sito web, di carattere inibitorio ma non per questo, se rispettosa dei principi di legalità e tipicità fissati dalla legge, necessariamente illegittima. Inoltre viene sottolineato come l'autorità giudiziaria ai sensi del d.lgs. 70 del 2003, possa esercitare un potere inibitorio, volto ad evitare la perpetuazione delle condotte di cui al 171 ter c2 lett. a) l. autore, consistente nell'ordinare ai provider di impedire l'accesso all'utenza . Di conseguenza un'ordinanza “inibitoria” di tale tipo è contemplabile e legittima nel nostro ordinamento.
Ha inoltre respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione (fondata sul fatto che l'hardware del sito era localizzato al di fuori dei confini nazionali): “è
156 “ […] ossia indicizza le informazioni che gli vengono dagli utenti, che sono tutti potenziali autori di uploading, sicchè queste informazioni (i.e. chiavi di accesso agli utenti periferici che posseggono, in tutto o in parte, l'opera), anche se ridotte al minimo, ma pur sempre essenziali perché gli utenti possano orientarsi chiedendo il downloading di quell'opera piuttosto che un'altra, sono in tal modo elaborate e rese disponibili nel sito, ad es. a mezzo di un motore di ricerca o con delle liste indicizzate - il sito cessa di essere un mero "corriere" che organizza il trasporto dei dati. C'è un quid pluris in quanto viene resa disponibile all'utenza del sito anche una indicizzazione costantemente aggiornata che consente di percepire il contenuto dei file suscettibili di trasferimento. A quel punto l'attività di trasporto dei file (file transfert) non è più agnostica; ma si caratterizza come trasporto di dati contenenti materiale coperto da diritto d'autore.”
vero che lo scambio dei file avviene da utente ad utente (peer-to- peer), ma l'attività del sito web (al quale è riferibile il protocollo di trasferimento e l'indicizzazione di dati essenziali) è quella che consente ciò e pertanto c'è un apporto causale a tale condotta che ben può essere inquadrato nella partecipazione imputabile a titolo di concorso di persone ex art. 110 c.p. ”.
E' stato quindi applicato l'art. 6 c.p. : dato che il reato si perfeziona, tramite il download dell'utenza, sul territorio italiano non è rilevante che la trasmissione dei dati tramite internet avvenga al di fuori dell'Italia, dato che è sufficiente che una porzione dell'azione penalmente rilevante avvenga nel territorio italiano157.
La pronuncia in esame rappresenta un'importante punto di riferimento nel variegato ed eterogeneo panorama delle pronunce concernenti la responsabilità degli internet service providers.
157 F. ALU' ,Caso ''The Pirate Bay'': la parola della Cassazione su file sharing e peer-to-peer, Altalex 11 febbraio 2010
Capitolo quinto
PROFILI DI RESPONSABILITA’ PENALE DEI SERVICE PROVIDERS
Service providers penalmente responsabili: una tematica complessa
Il tema della responsabilità, non solo sotto il profilo penalistico, dei service providers presenta diversi aspetti di interesse e di criticità che hanno portato sia la dottrina sia la giurisprudenza ad affrontare problematiche ancora non del tutto risolte.
Convivono, difatti, esigenze diverse: da una parte quella di poter configurare una responsabilità penale anche per questi soggetti definibili genericamente come “ gestori di servizi di rete158”, dall'altra quella di individuare una serie di comportamenti esigibili in un contesto di concreta possibilità di intervento.
In questo capitolo verrà esaminata in primo luogo la disciplina vigente, successivamente sarà necessario un rapido esame delle pronunce più significative insieme alle considerazioni dottrinali.