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Dopo aver brevemente analizzato la figura di Platone in epoca medievale che come abbiamo visto si limita ad alcuni dialoghi in ambiente cristiano, ebraico ed islamico, nel Rinascimento il filosofo greco e le dottrine di Platone diventano centrali soprattutto per le speculazioni filosofiche dell'Italia del Cinquecento. La riscoperta di Platone contraddistingue la fine del Quattrocento e soprattutto la sua figura affianca quella dei teologi dell'oriente e delle dottrine misteriche.

Nel Rinascimento persiste l'associozione che vedrebbe la figura di Platone affiancare quella di teologo e di legislatore.

Ma prima di affrontare questa tematica é necessario, a mio avviso, considerare anche quali siano gli aspetti delle dottrine platoniche che vengono particolarmente studiati dai filosofi ebrei nella penisola italiana nel Quattrocento.

Ancora una volta per comprendere il pensiero di David Messer Leon occorre necessariamente leggere alcuni passaggi delle opere di Yehudah Messer Leon ; nel

Supercommentario al Commento medio delle Categorie di Aristotele, Yehudah fa

alcuni riferimenti al pensiero di Platone riguardo la questione degli universale già precedentemente affrontate da Gersonide.

Questa questione resterà particolarmente cara anche a DML il quale dedica la prima parte del Magen David alla differenza tra nome di sostanza « shem » e attributo « toar », questa tematica rinvia necessariamente agli intelligibili e alle appercezioni dell'intelletto umano, David Messer Leon analizzerà dal punto di vista grammeticale questi due concetti e prenderà come punto di riferimento il Sefer Ha Shem ( il Libro

del Nome ) di Abraham Ibn Ezra.

Ma analizzando alcuni dei commenti di Yehudah Messer Leon appare chiaro che la conoscenza di Platone, pur sempre mediata da Aristotele e da Averroé si concentra anche su altri aspetti che sembrano andare al di là dei dialoghi di Platone sino ad allora studiati dagli autori medievali . Già Gersonide sembra conoscere perfettamente la questione degli universali propria al pensiero di Platone, infatti nella sua più importante opera il Sefer Milchamot ha-Shem, ovvero il Libro delle Guerre del

conoscenza degli accidenti :

« […] Inoltre, in questo modo si é stabilitta anche la conoscenza degli accidenti, e non solo quella delle sostanze – come invece concludono coloro che affermano l 'esistenza delle forme universali al di fuori della mente, i quali, giacché constatano che gli accidenti non possono sussistere di per sé, separati [ dalle sostanze ] ; dicono che gli universali di questi accidenti non esistono al di fuori della mente, e per questo concludono necessariamente che non vi é conoscenza degli accidenti. [ … ] Forse Platone, in realtà, voleva dire proprio questo. E per questo sosteneva che queste forme erano immagini di queste cose percepibili con i sensi, e le chiamava « universali » perché rappresentavano la natura comune ad una molteplicità di cose. Tuttavia, [ queste affermazioni ] comportano delle assurdità, perché egli non le espresse in termini chiari . » 356

Possiamo senza alcuna esitazione confrontare questo passaggio con quello di Yehudah Messer Leon nel Supercommentario alle Categorie di Aristotele. Yehudah nella prima parte del testo confronta le varie posizioni concernenti l'esistenza, o meno, degli universali rispetto all'ordine dell'esistenza nella realtà dei medesimi. Ovviamente questa problematica rientra ancora a pieno titolo nelle questio tipiche della filosofia medievale rispetto ai due concetti di sostanza / attributo e di singolare / universale; questi concetti, come vedremo nel capitolo successivo, saranno fondamentali per le riflessioni cabalistiche contenute nel Magen David.

Yehudah distingue i nominalisti ovvero coloro che negano l'esistenza degli universali nella realtà, i realisti ovvero coloro che affermano l'esistanza reale degli universali e altre due scuole, quella di Platone – come lo stesso Yehudah Messer Leon afferma – e una quarta scuola in cui gli universali si troverebbero soltanto nell'intelletto in atto dunque probabilmente si riferisce alle dottrine di Guglielmo d'Occham ; per rivenire a Platone possiamo dunque leggere il passaggio di Yehuadah :

La terza scuola pensa che gli universali si trovini al di fuori dell'intelletto ed esistono separatamente dai loro individui, ossia [ ritiene ] che esistono essenze e forle private di qualsiasi individualità, eterne e sussistenti per 356Gersonide, Guerre del Signore, Libro I cap. 6.

sempre. Questa era l'opinione di Platone, e a spingerlo a questa opinione – secondo quanto ha narrato il filosofo [ Aristotele ] nel libro I della

Metafisica – furono due cose.

Il primo [ motivo é ] che egli non vedeva la possibilità di conoscere qualcosa se non facendo questa ipotesi – ossia, [ riteneva ] impossibile che vi fosse una scienza dei particolari , i quali si generano, si corrompono, si alterano [ passando ] da una cosa ad un'altraz, e dunque non possono essere conosciuti specificamente, perché la conoscenza riguarda solo le cose nessarie. [ Platone ] dunque ipotizzò che vi fossero delle essenze universali ed eterne, di cui fosse possibile avere una vera e propria conoscenza, e ipotizzò che per ogni specie vi fosse un universale al di fuori dell'intelletto, in questi termini : per esempio, l'essenza del cavallo, l'essenza dell'uomo , e così via per le altre specie.

Il secondo motivo che lo spinse a questo é ciò che noi vediamo accadere ad alcuni animali, che vengono generati senza che vi sia congiunzione di un maschio e di unba femmina [ di quella specie ], ma a partire da cose in putrefazione, per esempio i vermi, le mosche e le cose del genere – mentre di norma ciò che é generato viene generato a partire da ciò che é simile ad esso. Ora, non si vede perché le cose debbano andare così, a meno che noi non diciamo che questi animali sono simili per specie a quella forma astratta che ne é la causa.

Per questi motivi, Platone crede nell'esistenza di quegli universali e delle forme astratte, ritenendo che si tratti di cose eterne e sussistenti al di fuori dell'intelletto, separate dagli individui . Ma già Aristotele ha confutato completamente questa opinione nella Metafisica, portando prove che non serve riportare in questa sede. Se poi sia possibile che le parole di Platone vengano interpretate in un senso che si accorda con la verità, lo spiegherò nel moi commento alla Metafisica – se Dio mi consentirà di scriverlo. Molti dei commentatori hanno affermato, infatti, che Aristotele ha preso le parole di Platone in un senso diverso da quello che intendeva quel sapiente [ … ]357.

357Yehudah Messer Leon, Supercommentario al Commento medio di Averroé alle Categorie di Aristotele, 43 r

La posizione di Yehudah Messer Leon in qualche modo segue una linea diretta con il pensiero medievale di Gersonide ma come abbiamo già sottolineato Yehudah é uno degli ultimi filosofi in ambiente ebraico italiano ad essere strettamente legato al pensiero tipico e alle tematiche affrontate da un autore medievale e soprattutto la sua forte opposizione al pensiero cabbalistico rappresenterebbe un vero e proprio baluardo per la difesa dell'aristotelismo nel Quattrocento così come l'opposizione alle dottrine di Platone. É comunque necessario sottolineare, come Novak ha notato nel suo saggio « Giovanni Pico della Mirandola and Jochanan Alemanno », che molti importanti autori e pensatori ebrei nel Rinascimento, per affermare la superiorità della religione ebraica sulla dottrina cristiana, avrebbero semplicemente ricorso alla figura di Platone nell'interpretazione arabo-islamica per non incorrere all'interpretazione teologico- mistica data da alcuni autori cristiani, come Ficino o Pico della Mirandola. In un certo qual modo avrebbero dunque « strumentalizzato » la figura di Platone attraverso una rilettura tipicamente aristotelico-averroista non considerando in alcun modo la l'interpretazione proposta da altri autori contemporanei notamente Pico della Mirandola e Ficino che avrebbe visto in Platone uno dei più grandi esponenti di un sincretismo religioso che può essere considerato come trade union tra due culture quella ebraica e quella cristiana.