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La ricezione di Platone nell'opera di David ben Yehudah Messer Leon

1.1 La ricezione dei dialoghi di Platone nel pensiero medievale.

Come abbiamo affrontato nello scorso capitolo, accanto alla tradizione aristotelica - attraverso la mediazione di autori medievali come Maimonide e Gersonide per il pensiero ebraico, Ibn Sina ( Avicenna ) e Ibn Rushd (Averroé ) per quello arabo, o ancora Tommaso d'Aquino per la scolastica-, nel Rinascimento italiano un altro

filosofo greco diviene complementare all'interno delle speculazioni filosofiche: la riscoperta di Platone é sicuramente la chiave di lettura per accedere e comprendere nella sua più completa totalità la filosofia del quattrocento e dei primi decenni del cinquecento.

Come abbiamo già accennato la ricezione delle opere di Platone rispetto a quelle di Aristotele, almeno fino alla seconda metà del trecento, non sembra avere avuto la stessa fortuna e diffusione tra i pensatori e i filosofi dell'epoca. La conoscenza di Platone é infatti quasi interamente permeata dalle influenze dei suoi successori e delle scuole che vedono le dottrine del filosofo greco come fondamento della conoscenza del mondo -ma anche da tendenze completamente estranee al pensiero filosofico "puro" come vedremo- e soltanto alcuni tra i dialoghi di Platone sono stati tradotti e studiati nel periodo medievale; ancora una volta la mediazione delle traduzioni siriache e dei commentatori arabi appare fondamentale per garantire la continuità di pensiero tra il mondo antico e l'epoca moderna341.

Come per Aristotele già a partire dai primi secoli dell'epoca ellenistica soprattutto all'interno dei confini dell'Impero Romano d'Oriente e di quello che poi diverrà l'Impero Bizantino, il pensiero di Platone sembra avere una sorta continuità diretta con gli insegnamenti originali del filosofo.

Già nel periodo classico del mondo latino, il nome di Platone ricorre in molte opere di Cicerone, l'oratore in realtà sottolinea lo stretto rapporto tra le dottrine matematiche e pseudo mistiche di Pitagora e quelle di Platone; allo stesso tempo mette in evidenza che Platone assieme ad Aristotele rappresentano i due filosofi principali di tutte le dottrine "classiche" nel De finibus bonorum et malorum: « Tum Piso: etsi hoc, inquit, fortasse non poterit sic abire, cum hic assit - me autem dicebat -, tamen audebo te ab hac Academia nova ad veterem illam vocare, in qua, ut dicere Antiochum audiebas, non ii soli numerantur, qui Academici vocantur, Speusippus, Xenocrates, Polemo, Crantor ceterique, sed etiam Peripatetici veteres, quorum princeps Aristoteles, quem excepto Platone haud scio an recte dixerim principem philosophorum. »342; ed é

proprio con l'appellativo di principes philosophorum che Platone e Aristotele saranno

341Cfr. Capitolo II. 2.1 Il fenomeno della translatio studiorum.

342Cicerone, De finibus bonorum et malorum, V, III: «Allora Pisone: alla presenza di questo uomo qui, disse mostrandomelo, che non sembra essere un compito facile, tuttavia inizierò a nominare quelli delle nuova Accadamie così come della vecchia, nella quale possiamo annoverare non soltanto quelli che chiamiamo Accedelici come Speusippo, Xenocrqte, Polemo, Crantore, ma anche gli antichi Peripatetici , come Aristotele, che se fatta eccezione di Platone, é chiamato il "principe" dei filosofi.».

spesso ricordati dagli autori del Medievo e del Rinascimento, non solo per quanto concerne l'ambiente latino ma anche in ambiente ebraico é possibile ritrovare questo epiteto. Nei Dialoghi d'Amore Abravanel sembra chiaramente ispirarsi alla tradizione latina di stampo ciceroniano che vedrebbe Aristotele e Platone come principi de'

filosofi ed é proprio Sophia ad introdurre i due autori343 attraverso questa immagine.

Ancora una volta nella storia del pensiero ebraico é possibile sottolineare come il

chaham collel, come Abravanel in questo caso specifico, non solo si inserisca

all'interno dell'ambiente umanistico italiano con un'opera come i Dialoghi, ma dimostra una conoscenza più o meno implicita non solo degli autori contemporanei come Ficino e Pico della Mirandola ma anche della più antica tradizione classica. Per ritornare all'ambiente latino e al rapporto con Platone ancora una volta ritroviamo Cicerone come fonte originale che ci permette di definire nella storia del pensiero antico la figura del filosofo greco in ambiente romano; l'oratore farà riferimento agli insegnamenti platonici in relazione alla figura di Socrate nel primo libro della sua celebre opera il De Repubblica344 e come accenato pocanzi in relazione a Pitagora nelle

Tuscolanae Disputationes345.

Ad ogni modo secondo la tradizione Cicerone avrebbe tradotto e commentato due opere di Platone ovvero il Timeo e il Protagora i due dialoghi in questione sono ad oggi perduti ma alcuni frammenti del Timeo vengono citati da Agostino nella versione dell'Arpinate346.

343Cfr. Abravanel, Dialoghi d'Amore, II 29a.

344Cfr. Cicerone, De Repubblica, I, 16: «Dein Tubero: 'nescio Africane cur ita memoriae proditum sit, Socratem omnem istam disputationem reiecisse, et tantum de vita et de moribus solitum esse quaerere. quem enim auctorem de illo locupletiorem Platone laudare possumus? cuius in libris multis locis ita loquitur Socrates, ut etiam cum de moribus de virtutibus denique de re publica disputet, numeros tamen et geometriam et harmoniam studeat Pythagorae more coniungere.' tum Scipio: 'sunt ista ut dicis; sed audisse te credo Tubero, Platonem Socrate mortuo primum in Aegyptum discendi causa, post in Italiam et in Siciliam contendisse, ut Pythagorae inventa perdisceret, eumque et cum Archyta Tarentino et cum Timaeo Locro multum fuisse et Philolai commentarios esse nanctum, cumque eo tempore in his locis Pythagorae nomen vigeret, illum se et hominibus Pythagoreis et studiis illis dedisse. itaque cum Socratem unice dilexisset, eique omnia tribuere voluisset, leporem Socraticum subtilitatemque sermonis cum obscuritate Pythagorae et cum illa plurimarum artium gravitate contexuit.' »

345Cfr. Cicerone, Tuscolanae Disputationes, I, 17: « Sed redeo ad antiquos. rationem illi sententiae suae non fere reddebant, nisi quid erat numeris aut descriptionibus explicandum: Platonem ferunt, ut Pythagoreos cognosceret, in Italiam venisse et didicisse Pythagorea omnia primumque de animorum aeternitate, non solum sensisse idem quod Pythagoram, sed rationem etiam attulisse. quam, nisi quid dicis, praetermittamus et hanc totam spem inmortalitatis relinquamus. An tu cum me in summam exspectationem adduxeris, deseris? errare mehercule malo cum Platone, quem tu quanti facias scio et quem ex tuo ore admiror, quam cum istis vera sentire. »

346Cfr. Agostino De Civitate Dei, XI, 21 : «Hanc etiam Plato causam condendi mundi iustissimam dicit, ut a bono Deo bona opera fierent [...] » e De Civitate Dei, XIII, 18: «Si dii minores, quibus inter animalia terrestria cetera etiam hominem faciendum commisit Plato, potuerunt, sicut dicit, ab igne remouere urendi qualitatem, lucendi relinquere quae per oculos emicaret ».

Ovviamente la versione più diffusa del Timeo nel mondo ellenistico fino al Rinascimento é la traduzione e il commento di Calcidio ( 400 circa ). Con Calcidio ci troviamo ovviamente già in ambiente neoplatonico, la traduzione latina infatti risente delle influenze delle correnti filosofiche successive e nel testo spesso si riscontra una sorta di "adattamento" alle dottrine neoplatoniche rispetto al testo originale347.

In ambiente arabo e persiano il Timeo nella versione di Calcidio é probabilmente sconosciuto ma al contrario il dialogo di Platone é affiancato al commento al Timeo di Galeno, quest'opera viene tradotta da Hunayn ibn Ishaq – l'autore infatti ha curato la traduzione quasi integrale dal greco all'arabo di tutto il corpus scientifico di Galeno - intorno alla seconda metà dell'800.

Con molta probabilità anche una versione delle Leggi é stata parzialmente trasmessa in ambiente arabo, infatti autori come Al-Farabi, Al-Ghazali, Ibn Sina e Ibn Rushd ne conoscono perfettamente il contenuto.

In ambiente ebraico la trasmissione relativa ai dialoghi Platone é strettamente relata ai commentatori arabi -cosí come abbiamo visto per Aristotele nel capitolo precedente- dunque il Timeo é l'unica opera che viene trasmessa nella sua integrità.

Tra questi due dialoghi si colloca anche la trasmissione di alcune parti dell'opera capitale di Platone, ovvero la Repubblica. Gli storici della filosofia sono concordi nel riconoscere dei punti in comune tra alcuni libri della Repubblica e il Timeo e le Leggi, infatti é possibile supporre che Platone abbia sviluppato nei due dialoghi successivi alcuni passaggi fondamentali contenuti nella Repubblica. Non é dunque un caso che in ambiente medievale arabo, ebraico e latino circoli la traduzione e il commento al

Settimo Libro della Repubblica nel quale la tematica della creazione del mondo é

strettamente collegata ad un tema che concerne la vita della "poleis" ( che è stata sviluppata nel dialogo delle Leggi ).

Come ho sottolineato nel capitolo precedente secondo Leo Strauss la differenza fondamentale tra il pensiero cristiano e quello arabo ed ebraico é strettamente permeata dal concetto di "legge" e dal suo rapporto con la religione; la trasmissione di questi scritti di Platone sarebbe infatti complemenntare per avvalorare questa sua tesi proprio perché questi dialoghi vertono sue due tematiche strettamente collegate al rapporto tra Legge – intesa come Halachah- e Rivelazione -intesa come Torah-.

347Cfr. Alcuni passaggi di Macrobio il quale sottolineerà come il termine anima nella traduzione di Calcidio e più in generale in ambiente latino ( Cicerone e Seneca ) ed ellenistico sia tradotto spesso erroneamente, si utilizzano indistintamente due termini animus e anima, il primo sostantivo sarebbe infatti strettamente collegato all'intellectus o mens e il secondo corrisponderebbe al concetto di anima platonico.

Per avere un quadro completo della trasmissione di Platone nel Medioevo é comunque necessario ricordare che parallallelamente all'Aristoteles Latinus é possibile parlare di un corpus delle opere platoniche ricordato dagli studiosi come il Plato Latinus. Appare chiaro che rispetto al filosofo peripatetico il fondatore dell'Accademia ha una fortuna minore per quanto riguarda la traduzione dei suoi dialoghi. Oltre a quelli sopra citati possiamo annoverare la traduzione di altre tre opere: Enrico Aristippo di Catania nella seconda metà del XII secolo traduce il Menone e il Fedone348, a quest'ultima si

aggiunge una traduzione parziale del Parmenide elaborata da Guglielmo di Moerbeke ( già traduttore di molte opere aristoteliche e di trattati scientifici di ambiente arabo ).

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La ricezione di Platone nel tardo Medioevo e Rinascimento latino.

Nonostante la parzialità e l'incompletezza del corpus di Platone nel Medioevo, come abbiamo accennato nel paragrafo precedente, le dottrine platoniche al contrario sono parte integrante delle riflessioni filosofiche dei pensatori Medievali e diventano centrali nella filosofia del Rinascimento anche grazie alla riscoperta di alcuni dei dialoghi che fino ad allora non erano stati tradotti e commentati ma che con l'umanesimo vengono nuovamente apprezzati.

Questo cambiamento di prospettiva é sintomatico di un mutamento sulle riflessioni dei pensatori del Quattrocento e del Cinquecento: il cosmos di Aristotele, come abbiamo visto, perde la sua centralità nell'universo ed é l'uomo a diventare il fulcro di ogni indagine, la misura di tutte le cose come é lo stesso Protagora nel Teeteto di Platone ad affermarlo.

Ma volgendo lo sguardo al passato appare chiaro che Platone seppur non come fonte diretta é essenzialmente presente nelle speculazioni ellenistiche e medievali: non soltanto le dottrine dei Medioplatonici e Neoplatonici sono direttamente relate al pensiero del fondatore dell'Accademia ma la figura di Platone é spesso associata alle dottrine mistiche del vicino oriente e numerose sono le leggende che, come vedremo, associano il filosofo greco al Mosé Egizio, all'Asclepio o ancora, come in David Messer Leon – e non solo – , al profeta Geremia.

Già Cicerone nelle Tuscolanae Disputiones associa Platone al pensiero mistico- misterico dei pitogorici e altri autori latini come Apuleio, Aulo Gellio349, Varrone350 e

Seneca sottolineano il forte legame tra i due filosofi dell'antichità.

Senza dubbio la scuola neoplatonica contribuisce alla nuova rilettura di Platone anche se già gli autori latini del periodo tardo antico consideravano il fondatore dell’Accademia filosofo/teologo. Cassiodoro infatti definirà i due grandi filosofi greci, Platone e Aristotele, con un'espressione quasi lapidaria ma altrettanto veridica sullo spirito dei due autori: Plato theologus e Aristoteles logico; molto probabilmente se volessimo sintetizzare e ridurre al massimo i concetti che vengono sviluppati dai pensatori medievali fino alla modernità intorno ai due filosofi greci, probabilmente come Cassiodoro, non potremmo che abbracciare a pieno questa definizione. Nell’Anticlaudianus – un trattato di filosofia morale in poesia scritto tra il 1182 e 1183 - Alain de Lille, come l'autore della tarda latiniyà, sottolinea in versi questa sottile differenza tra i due filosofi greci così :

Illic arma parat logico, logicaeque palestram pingit Aristoteles; sed eo divinius ipsa

somniat arcana rerum caelique profunda mente Plato,sensumque Dei perquirere tentat.

Ma come vedremo a breve questa suddivisione spesso non é concisa e netta come ad un primo sguardo appare, l'esempio più eclatante é ovviamente l'attribuzione ad Aristotele – o ad uno pseudo Aristotele- del Liber de causis che altro non é che un commento di Porfirio.

Allo stesso tempo, però, questa “frammentarietà” che ha interessato il destino dei dialoghi di Platone - almeno fino all’epoca Rinascimentale- consente ai filosofi e ai pensatori del medioevo di concentrare le loro riflessioni su uno degli aspetti più interassanti delle dottrine platoniche ovvero la creazione del cosmos mettendo come fulcro del pensiero del fondatore dell’Accademia il Timeo351, donando in un certo

senso una visione della creazione del mondo diametralmente opposta alla visione 349Aulo Gellio avrebbe scritto un Trattato sulle differenze delle scuole di Platone e Aristotele, andato

perduto ma citato da Eusebio di Cesarea nella sua Praeparatio Evangelica XV, 6 e seg.

350Marco Terenzio Varrone avrebbe affrontato in una satira menippea andata perduta "Baiae" le dottrine pitagotiche e la figura di Platone.

351Nel periodo del Medioplatonismo sotto il nome di Alcinoo appare un commento al Timeo, il Didaskalikos, che organizza sistematicamente il pensiero di Platone.

aristotelica ed è proprio per questo motivo che la figura e il pensiero del filosofo greco è strettamente associata alla teologia e alla teleologia.

Probabilmente questa visione della generazione del cosmos e della metafisica che ne consegue è dirattamente legata dalla mediazione dei Neoplatonici per cui l’Idea di Uno platonico viene a coincidere a partire da Plotino come “forma di suprema filosofia teologica e pertanto di filosofia in assoluto”352.

Tra la fine del Trecento e il Quattrocento i pensatori, i filosofi e i letterati latini rivolgono una particolare attenzione ai testi di Platone ed è proprio in questo momento che si intraprendono le prime traduzione dai testi originali greci. Già Petrarca sembra interessarsi alle opere platoniche, infatti sia il Fedone che il Timeo nella versione di Calcidio, ovviamente, fanno parte della biblioteca del poeta, ma sembrerebbe che Boccaccio, attraverso la mano di Leonzio Pilato, avesse voluto intraprendere un’opera di traduzione di alcuni dei dialoghi di Platone attorno al 1365: il progetto fu abbandonato ma Manuele Crisolora nel 1397, anno in cui arriva a Firenze, in collaborazione con Uberto Decembrio intraprende una traduzione parziale in latino della Repubblica. Tuttavia il primo traduttore delle opere di Platone in epoca Rinascimentale è sicuramente Leonardo Bruni che fornirà una versione in latino del

Fedone, del Gorgia, una parte del Fedro, dell’Apologia di Socrate, del Critone, delle Epistole e di una parte del Simposio.

Ovviamente le più celebri traduzioni dei dialoghi di Platone e degli scritti di Plotino sono ad opera di Marsilio Ficino; è lo stesso umanista italiano a spiegare al lettore, nel proemio al commento alle Enneadi di Plotino del 1492, le motivazioni che lo avrebbero spinto ad occuparsi del filosofo greco: durante il Concilio di Firenze del 1439 Cosimo il Vecchio sarebbe stato colpito dalle parole del filosofo Giorgio Gemisto Pletone e fu proprio in quel momento che decise di fondare a Firenze una nuova accademia che avrebbe visto al centro dei propri interessi il pensiero originale di Platone, nel 1463 delegò il giovane Marsilio alla traduzione dei testi dapprima ermetici e poi platonici. Nel 1471 viene pubblicato il primo volume del Corpus Hermerticum sotto il nome di Pimander e tra il 1464 e il 1494 sono i dialoghi e i trattati di Platone e dei Neoplatonici ad essere tradotti: il Filebo, il Fedro, il Simposio, il Timeo e il

Parmenide.

352 Cfr. W. Beierwaltes, Il paradigma neoplatonico nell’interpretazione di Platone in Verso una nuova immagine di Platone, Aa. Vv, a cura di Giovanni Reale, Vita e Pensiero, Milano, 1994; pag. 61.

La tradizione platonica nel pensiero medievale arabo ed ebraico.