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PER UN PO IN CINA Bruno Cerrato

Nel documento Cronache Economiche. N.005-006, Anno 1978 (pagine 93-116)

gli ultimi 30 anni, avviene senza alcuna preparazione. Descrizione di immagini, fatti ed emozioni (personali e di grup-po) vuole essere questo breve reportage di un'esperienza che non poteva non ri-velarsi interessante e che è destinata a restare un episodio indimenticabile, pro-prio perché ogni attimo vissuto continue-rà a suscitare interrogativi e bisogni di chiarezza, quando non rimpianti o sensi di colpa per non aver saputo o osato af-ferrare di più e meglio. Unico alibi, l'im-possibilità di comunicare liberamente per via della non conoscenza della lin-gua ed essere perciò costretto al limitan-te filtro delle guide inlimitan-terpreti, peraltro brave e disponibili a soddisfare al me-glio le nostre curiosità di esploratori, consci di godere del privilegio gratifi-cante di vedere, senza essere diplomatici di carriera, un paese fino a ieri quasi completamente vietato ad ogni sguardo esterno.

p e c h i n o

La stessa trasvolata di avvicinamento, ha contribuito con le sue 16 ore di du-rata e l'audacia della rotta (sorvolante « Chi sta tre giorni a Pechino pensa di

poter scrivere un articolo, chi vive in Cina per 15 giorni ritiene di riuscire a scrivere un libro, chi è da 1 o 2 anni tra i cinesi conclude che non deve scri-vere nulla perché non ha capito niente ». Questo è il commento di una segretaria dell'ambasciata italiana incontrata nel corso del viaggio nella più grande repub-blica popolare del mondo, organizzato dall'Istituto italo-cinese per gli scambi economici e culturali dal 26 aprile al 18 maggio 1978. È una riflessione colma di saggezza che spero influisca positivamen-te nell'esposizione, il più possibile cro-nacistica, di quanto ho avuto occasione di osservare assieme agli altri 17 parteci-panti al tour.

Se è bene, ogni qual volta si va in un paese straniero, meditare almeno tre vol-te prima di tirare conclusioni, per chi approda in Cina deve diventare rego-la assolutamente obbligatoria, tanto più quando il penetrarne la civiltà, e nel suo svilupparsi antico e nelle mutazioni

de-Diciotto giorni di scoperte.

per migliaia di chilometri la bianca, im-mensa, amica e al tempo stesso paurosa catena del Karacorum), la più breve tra il Pakistan e Pechino, a darci una pia-cevole, eccitante carica di avventura. I primi contatti con il grande paese di Mao ci hanno subito fatto sentire su un altro pianeta, impossibile da valutare con i metri occidentali. Le prime im-pressioni: austera essenzialità nelle strutture aeroportuali, gentilezza non di maniera nel personale di servizio, cor-dialità amichevole dei tre interpreti-gui-da che ci accolgono e sotto un diluvio d'acqua reso convulso da un ventaccio tempestoso ci accompagnano, su un au-tobus spartano, in albergo. Poi, tutti col-piti dallo spettacolo del viavai di uomi-ni e donne resi simili dalle casacche gri-gie o blu, dal traffico sostenuto delle nere biciclette sciamanti nelle corsie di destra delle grandi arterie (compatte co-me in una scena di gruppo delle nostre corse ciclistiche, fermate bruscamente solo dalle rapide svolte a destra degli autoveicoli chiedenti senza pietà strada a furor di clacson), dagli enormi ammas-si di ortaggi ammucchiati all'aperto lun-go i marciapiedi.

Nella capitale di questo paese di 900 milioni di abitanti rimaniamo 6 giorni e 6 notti. Città immensa di 7,2 milioni di persone e 2 milioni di biciclette, tagliata in due da ovest ad est dall'arteria prin-cipale, denominata della pace eterna e lunga 44 chilometri, almeno per tre quarti del suo territorio più che una metropoli sembra un continuum di cen-tri rurali con piccole case basse e grigie recintate da muretti, interrotti qua e là, lungo le vie di grande scorrimento gene-ralmente alberate, da imponenti costru-zioni in cemento destinate ad uffici e va-rie istituzioni pubbliche. Perché questa dominante di colore grigio? Perché sola-mente l'imperatore poteva utilizzare i quattro colori fondamentali (giallo, ros-so, verde e blu). Al popolo era concesso soltanto di verniciare di rosso le porte, per tenere lontano gli spiriti maligni.

In un clima di primavera avanzata, con cielo terso al mattino e come nuvoloso al pomeriggio per via della sabbia solle-vata da una brezza crescente in vento con il calar del sole (al tramonto sugge-stivamente simile ad una palla bianca),

Sulla piazza Tien Ari Meri e dentro la città proibita.

il soggiorno a Pechino ha permesso una presa di coscienza della realtà econo-mica e sociale della nazione che il pro-sieguo del viaggio è poi venuto a detta-gliare o, in alcune circostanze, a fondere. È qui che abbiamo preso con-tatto con le strutture ricettive e siamo stati iniziati alla variatissima e gustosa cucina locale con tanto di apprendimen-to dell'uso delle « bacchettine » (nel corso dell'intera permanenza provere-mo non meno di 100-120 piatti diver-si), è qui che ci siamo accorti che le case non hanno tapparelle (per far buio ci sono tende) e che ogni camera d'al-bergo è dotata di un capace thermos di acqua calda per prepararsi il the (quello verde). È qui che siamo stati sorpresi di poter lasciare tranquillamente aperte le nostre camere; di poter circolare di gior-no e di sera, in centro e in periferia, da soli o in gruppo, senza alcun timore, guardati solo con sorridente simpatia da decine o centinaia di persone; di notare che sotto la specie di divisa indossata da tutti, tutti, ma soprattutto le donne sono coloratissimi; che a tavola, di forma ro-tonda, i pasti non sono serviti se tutti i commensali non sono presenti; che muo-versi con i malconci mezzi pubblici è pressoché impossibile perché supersti-pati; che i taxi non sono molti e si possono prendere solo presso gli alber-ghi; che i negozi e i grandi magazzini sono oltreché affollatissimi anche pieni di merci; che ci sono empori aperti an-che di notte; an-che nelle città principali ci sono « stores » (con reparto alimenta-re) riservati agli stranieri con un'esposi-zione più curata, una varietà più ampia ed una qualità mediamente superiore; che in ogni locale pubblico, negli angoli, fanno bella mostra di sé pitali con un po' d'acqua per raccogliere il frutto di quel-lo che è un vizio di buona parte della popolazione, lo sputare; che la promo-zione dell'ideologia del regime è attuata in ogni manifestazione; che nel paese c'è una grande ansia di modernizzazione e sviluppo; che i cinesi hanno un marcato spirito individualista.

Turismo e « rapina » dell'organizzazione del lavoro industriale e agricolo si sono alternati in piacevole seguenza. Se la vi-sita alla città proibita, la dimora dell'im-peratore, ha fatto consumare a noi e alle

Pechino.

All'interno di una fabbrica. Scorcio della città.

diverse migliaia di visitatori provenienti da tutta la Cina e dall'estero (giappo-nesi innanzitutto, perché sono a sole 4 ore di volo, poi parecchi africani dei paesi protetti) un'innumerevole quantità di rallini fotografici, per l'originalità delle costruzioni di legno laccato e colo-rato con i quattro colori tipici, il curvo tetto in maiolica sul giallo-senape, stu-pendamente decorate e arredate all'inter-no, il calcare la grande muraglia che si snoda a soli 85 chilometri dalla capitale è stato ancora più emozionante. Il ciclo-pico muro, che risale al IV secolo a.C. ed è lungo 6000 chilometri, è ora pres-soché totalmente in rovina, ma rimane, come orgogliosamente ci hanno sottoli-neato le guide, l'unica realizzazione uma-na visibile dalla luuma-na, secondo la testi-monianza inequivocabile delle foto scat-tate dallo spazio.

Recarsi alla piazza Tien An Men di Pe-chino — su cui si apre l'ingresso alla città imperiale (contenuta in un rettan-golo di 1500 per 700 metri) e si erge il mausoleo di Mao — e alla grande mura-glia sono il sogno di tutti i cinesi, tanto che ci sono canzoni che ne celebrano il fascino magico e chi ci va è poi felice di esporre sul mobile più bello la fotografia (in bianco e nero perché le pellicole a co-lori non sono prodotte) che lo ritrae da-vanti agli animali simbolici di bronzo o dorati della prima (leone = potere, ele-fante = prosperità, cicogna = felicità, tartaruga = longevità) o nel vento fred-do e sibilante che sempre, ci dicono, smussa i merli del gigantesco serpente di pietre, alto in media dai sette ai dieci metri a largo fino a cinque, per consen-tire la corsa dei cavalli tra le torri d'av-vistamento che ne segnano il saliscendi sinuosissimo ogni 200-300 metri. E uno spettacolo vedere come vi giungono le comitive dei cinesi: non certo a bordo di pullman, se non pochissimi, ma in piedi sui cassoni dei camion delle fab-briche o delle comuni che hanno orga-nizzato il viaggio con pranzo al sacco, cosi come è stato preparato per noi, do-tati ciascuno di una scatola contenente uova sode, pane integrale affettato, sala-me, dolcini e assieme al sale e al pepe, lo stuzzicadenti.

Anche la visita alle tombe degli impe-ratori Ming (1368-1644), scoperte nel

In alto:

Slogans dentro la fabbrica.

A lato:

Al bar per una scodella di the.

1956 e solo una portata alla luce, è fon-te di grande stupore, per la misfon-teriosità del luogo, l'imponenza degli ambienti sotterranei, le leggende che si raccon-tano circa la tragica fine cui andavano incontro i progettisti e sovente la servi-tù, la maestosa sequenza degli enormi animali e altri simboli propiziatori in pietra costeggiami la strada d'ingresso della valle per almeno 300-400 metri. Ma ancor più avvincente la mezza gior-nata trascorsa nel parco del Palazzo d'estate il 1° maggio. In un mare di gen-te valutabile ad almeno 100 mila perso-ne (diversamente dagli anni passati la festa del lavoro non si è più celebrata con parate, ma con l'apertura gratuita dei parchi pubblici per una sorta di picnic generale), in uno sventolio di cen-tinaia di bandiere rosse, abbiamo ammi-rato le stupende architetture di cedro laccato e mirabilmente dipinto, la deli-zia dei percorsi tra le piante e i fiori at-torno al grande lago seminaturale sulla cui sponda nord la vasta residenza si sviluppa, la dolcezza del paesaggio godi-bile dalle rive del lago (a ovest due sot-tili pagode buddiste, a sud una piccola isoletta).

Abbiamo osservato questo pullulare di uomini lenti nel muoversi, a tutto atten-ti, a nuclei familiari interi (dal vecchio nonno ai piccoli con i loro pantaloncini mostranti i culetti, per via di un'ampia spaccatura lasciata sulla parte

posterio-re), e abbiamo sentito che vivevano quel giorno come vero momento di festa, compunti però, senza alcun grido, senza che un bambino frigni, senza transistors e juke-box, capaci di stare a lungo sotto il sole bruciante a fare coda intermina-bile per salire sul battello per un giro di pochi minuti sul lago, pronti a salu-tarci con calore battendo le mani o agi-tando la mano destra dall'alto in basso (cioè non come facciamo noi che in ge-nere muoviamo la mano a ventaglio) an-che quando ci vedono salire su un bat-tello a noi soli riservato e subito lesto a salpare.

Di fronte a certi fatti è inevitabile sen-tirsi privilegiati e provare imbarazzo, spesso vergogna, come quando dopo aver telefonato in Italia la guida più anziana (uno spassoso quarantenne di Shangai pronunciante tutte le erre, elle)

mi ha fatto osservare che in pochi secondi avevo speso l'intero stipendio mensile di un operaio specializzato (35 mila lire). È chiaro che i poteri d'acqui-sto della lira e dello juan sono diversi, ma l'osservazione non poteva non far meditare.

Tra gli altri luoghi di interesse turistico della capitale, dopo una lunga cammi-nata in salita di primo pomeriggio sotto un sole cocente assieme ad una fiumana di pechinesi, si visita uno dei maggiori templi di Budda della zona, denominato della « collina profumata » per via della somiglianza dell'erta ad un incensiere, e gustiamo, nell'aria frizzante di un primo mattino la purezza delle linee circolari del tempio del cielo, costruito nel 1420, tutto in legno colorato, alto ben 38 metri e largo 32, con la caratteristica ed ele-gante copertura in maiolica di un bellis-simo bleu carico. In quest'ultimo tempio si recava periodicamente l'imperatore per celebrare riti propiziatori del buon raccolto e delle piogge o per implorare i la fine di calamità naturali. Anche qui è

giorno di festa e la grande folla, che non ti opprime mai, diventa cosi parte del paesaggio che non si riesce ad immagi-narne la non presenza. Nel parco che circonda l'area del tempio vediamo di-' slocati punti di pronto soccorso. Non ci

sono cestini per i rifiuti, eppure stradine e spazi verdi sono assolutamente puliti. Il primo impatto con il mondo della pro-ì duzione si ha nella fabbrica di macchine

utensili n. 1, dove 7400 operai, di cui un terzo donne, producono attualmente , 5000 fresatrici di 30 tipi. Otto sono i j livelli retributivi, da 34 juan al mese [ (ogni juan è pari a 510 lire italiane) a S 108, la media è sui 70. Impariamo che

l'avanzamento in carriera dipende si dal-I l'anzianità e dalle capacità professionali, i ma anche dalla valutazione politica che i il comitato rivoluzionario del partito del-f la del-fabbrica dà dei singoli lavoratori. Gli j accompagnatori della visita (la quale,

come tutte le successive, s'inizia in una sala di rappresentanza con l'illustrazione generale dell'azienda, sorseggiando il the e fumando le sigarette copiosamente of-ferte) tengono a sottolineare che tutti gli sforzi del governo sono orientati a recu-perare l'efficientismo produttivistico, che il radicalismo della « banda dei

quat-Su per la grande Muraglia. Di 1° maggio nella capitate. 93

tro » aveva bollato come sintomo di revisionismo borghese. In effetti, pur da inesperti, girando tra i vari reparti si scopre trasandatezza e una diffusa atmosfera di lassismo: i ritmi non paio-no elevati, paio-notevole il disordine e scarsa la manutenzione fatta agli impianti. Apprendiamo che si lavora per otto ore al giorno per 6 giorni la settimana, che la produzione non si ferma mai perché ci sono sfasamenti nelle giornate di ripo-so, che in genere vi sono due turni (con inizio alle 6 e 30 e alle 14 e 30), che l'assenteismo, passato l'influsso negativo della « banda dei quattro », non supera il 3-5%, che i giorni di ferie sono in tutto sette all'anno (che si elevano a 15 per coloro che hanno genitori o parenti che abitano in altra provincia), che il periodo preferito per fare queste vacan-ze è all'inizio di febbraio (festa di pri-mavera), che gli uomini vanno in pen-sione a 55 anni se operai, a 60 se impie-gati (per le donne l'età si abbassa, nello stesso ordine, a 50 e 55), che per il ma-trimonio vengono concessi tre giorni di ferie supplementari, che in caso di ma-lattia, fino a sei mesi viene corrisposto il 100% del salario, dopo soltanto il 6 0 % .

In omaggio alla direttiva di Mao « Con-tare sulle proprie forze e agire in modo autonomo », l'azienda gestisce la mensa, il nido d'infanzia e l'asilo, l'infermeria e corsi di formazione professionale. Ci fanno vedere tutto, procurandoci una dolcissima commozione di fronte all'esi-bizione canora e danzante dei piccoli della scuola materna, bravissimi, estro-versi, tanto simpatici che verrebbe voglia di portarsene via, ognuno, una mezza dozzina. Ovviamente, come ci capiterà di constatare anche in altre città, le can-zoncine che i piccoli artisti ci propon-gono sono dedicate a Mao, Ciu en lai, Hua o a qualche grande protagonista della « lunga marcia » o celebrano mo-menti importanti della rivoluzione. Let-teralmente sbigottiti si resta invece di fronte agli sforzi fisici ed economici pro-fusi, e non ancora finiti, per costruire, sotto ogni stabilimento della città, rifugi anti-atomici: la paura di un attacco nu-cleare da parte dell'Unione Sovietica è vivissima ad ogni livello della popola-zione e la propaganda del regime bada

II tempio del Cielo a Pechino.

in ogni circostanza a tenerla ben desta (si pensi che un balletto di successo è quello che inneggia alla vittoria di 100 piccole api laboriose che riescono a met-tere in fuga un grande orso che vuole impossessarsi del loro miele).

In campagna siamo condotti in una co-mune fondata nel 1958, di 160 chilome-tri quadrati, composta di 17.000 fami-glie (85 mila abitanti), con 10.800 ha coltivati. La comune è articolata il 129 brigate e dispone di 150 trattori di di-versi tipi, 400 motocoltivatori, 20 mieti-trebbiatrici, 120 camion. Rendimento delle produzioni: 4500 kg per ettaro per il grano; 5-5300 kg per il riso. I 170 et-tari di frutteto hanno dato, sempre nel

1977, 2 milioni di kg di frutta, mentre sono stati allevati 83 mila maiali e con-segnati allo stato 270 mila anatre bian-che. Altre cifre: 2300 i capi bovini, con una produzione di latte di 12 mi-lioni di litri nell'anno; 200 gli ettari di stagno, con una resa annuale di pesce di 170 mila kg, soprattutto carpe. I prez-zi di vendita dei prodotti sono fìssati dallo stato.

Ci rendiamo conto che la comune è pressoché autosufficiente, in quanto provvede non solo a costruirsi le abita-zioni e i locali per i servizi sociali e de-stinati ai ricovero delle bestie e degli attrezzi, ma gestisce diverse officine di manutenzione ed una per la costruzione di trebbiatrici. Nella stagione migliore i contadini lavorano anche dieci ore al giorno, d'inverno 6-7. In media guada-gnano 450 juan all'anno, meno degli operai poiché vivono dei prodotti colti-vati. Nella comune funzionano 12 scuo-le medie, 59 scuoscuo-le escuo-lementari, 1 ospe-dale, 9 poli-ambulatori e un centro sani-tario per ognuna delle brigate. Ci par-lano dell'impegno che nel rispetto del "quadro di modernizzazione" del paese lanciato da Ciu en lai (in base al quale i settori da privilegiare sono l'industria, l'agricoltura, la difesa e la ricerca) stan-no promuovendo per la meccanizzazione di tutte le fasi del raccolto e il miglio-ramento del sistema di irrigazione. Restiamo ammirati della straordinaria bellezza dei campi di grano e di raviz-zone e dei lunghi filari di pioppi lungo le strade poderali (poche, non asfaltate e polverosissime), che avvicinano

moltis-Tutti a guardarci con attenzione e simpatia. Mercato ambulante a Shihkiachwang.

simo il paesaggio a quello della pianura padana. Sarà certo una comune modello, o meglio una brigata modello, ma sta di fatto che notiamo una maggior cura in queste officine che non in città, dove c'è da supporre le fabbriche presentate sia-no altrettanto quelle d'avanguardia. Su 85 mila abitanti i giovani che entrano all'università non sono più di 50 all'an-no, un rapporto piuttosto basso, proprio perché l'ammissione dopo la caduta del-la « nefasta banda dei 4 » si è fatta estremamente selettiva. È ciò che ap-prendiamo stando un pomeriggio al Po-litecnico di Pechino, proprio quello da dove parti il moto delle guardie rosse, che attualmente ospita 7000 studenti, per i quali sono a disposizione 3000 pro-fessori.

Dopo 5 anni di elementari e 5 di scuola media si può fare la domanda per entrar-vi, come pure se si hanno due anni di esperienza lavorativa. L'età massima per accedervi, qualora si superi il triplice esame delle doti morali e ideologiche, fisiche e culturali è limitata a 25 anni. Nell'anno in corso sono stati accettati anche alcuni giovanissimi (14 anni), par-ticolarmente dotati. In ogni caso il nu-mero è chiuso, non più di 1500 matri-cole ogni anno, mentre le domande sono state nel 1977 venti volte superiori. Gli ammessi godono di una borsa di studio per il vitto, essendo l'alloggio (per chi viene da fuori città) e l'assistenza a carico dello stato. A chi proviene dalla fabbrica o dalla campagna è garantito il salario. Al conseguimento della laurea si è avviati a lavorare sulla base dei pro-grammi preparati dallo stato, anche se si cerca di venire incontro alle esigenze del giovane, specie se ha genitori o parenti anziani bisognosi di cure. Gli insegnanti sono retribuiti con un minimo di 56 e un massimo di 300 juan al mese, il tri-plo cioè del livello più alto degli operai,

Nel documento Cronache Economiche. N.005-006, Anno 1978 (pagine 93-116)

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