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53 Poiché il metabolismo ossidativo cessa alla morte dell’animale, la sintesi di ATP attraverso il

metabolismo anaerobio non riesce a lungo a tener fronte alla scissione, essendo meno efficiente. Per tale motivo nel giro di poco tempo la concentrazione di ATP inizia a scendere causando un progressivo irrigidimento del muscolo, nel quale aumenta la concentrazione di acido lattico e diminuisce il pH. Nel momento in cui il muscolo non dispone più di substrati energetici per la produzione di ATP, le proteine contrattili miosina ed actina perdono la loro capacità di formare legami reversibili e si instaura una condizione di rigidità del muscolo: il rigor mortis (Cattaneo, 2003).

3.2.5. LAFASEDIRIGORMORTIS

In condizioni di anaerobiosi, nel tessuto muscolare scheletrico il prodotto finale del glicogeno è l’acido lattico, che, con l’arresto del circolo dopo la morte, si accumula nel muscolo provocandone l’acidificazione (Cattaneo, 2003). Quest’ultima determina una diminuzione del pH strettamente connessa alla percentuale di ATP metabolizzato in acido lattico, come viene indicato nella seguente tabella (Tab. 7):

La diminuzione del pH e la riduzione della temperatura provocano un cambiamento di fase della membrana del reticolo sarcoplasmatico muscolare, al quale consegue un’ipofunzionalità della Ca- ATPasi che determina l’incremento della concentrazione sarcoplasmatica di calcio da 1 a 500 μM (Marsico, 2015). La presenza di tale ione comporta uno stimolo contrattile persistente sino all’esaurimento delle riserve di ATP. In questa condizione, infatti, il legame tra actina e miosina è inscindibile, determinando il cosiddetto rigor mortis, il quale insorge in circa 24 ore in condizioni di refrigerazione ottimale e rende la carne dura e tigliosa (Honikel et al., 1980). Il rigor mortis è accompagnato anche dall’abbassamento della capacità di ritenzione idrica del muscolo. Ciò è dovuto: sia alla diminuzione del pH, che provoca il raggiungimento del punto isoelettrico delle proteine la cui capacità di idratazione risulta minima; sia al legame tra actina e miosina, che provoca l'espulsione dell'acqua libera intrappolata tra i filamenti proteici. Finché permane la rigidità cadaverica, la carne non è adatta per l'alimentazione essendo dura e tigliosa

Tab. 7: variazione del pH in seguito alla metabolizzazione di ATP in acido lattico nel tessuto

muscolare, dopo la morte dell’animale (Tuberoso, 2016)

pH % di ATP demolito

6,9-7,0 0 (animale vivo)

6,3 15

5,9-6,0 50

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(http://docenti.unicam.it/tmp/5252.pdf). Nell’animale macellato non affaticato, i depositi di glicogeno sono tali da produrre acido lattico in eccesso; mentre in un organismo stressato, la concentrazione di glicogeno è bassa e la glicolisi presto si arresta: insorge prima il rigor, c’è poca acidificazione e il pH non scende a sufficienza (Cattaneo, 2003).

3.2.6. LAFASEPOSTRIGORMORTIS:ILPROCESSODIFROLLATURA

Dopo il rigor mortis, inizia la frollatura: un processo catalizzato da enzimi fisiologicamente presenti nell’organismo animale e che, a seguito dell’aumento della concentrazione di ioni calcio e della riduzione del pH intracellulare post-mortem, determina la trasformazione del muscolo in carne. La frollatura consiste nella degradazione enzimatica dei filamenti di actina e miosina con il conseguente rilassamento della fibra contratta, conferendo alla carne tenerezza (Baldi et al., 2014) (Fig. 26). Alle conoscenze attuali, gli enzimi proteolitici ritenuti i principali attori di tale processo sono: calpaine, catepsine e capsasi (Kemp et al., 2010). Le calpaine sono proteasi citosoliche calcio- dipendenti, che presentano la massima attività a valori di pH prossimi a 7. Durante il processo di frollatura, operano la degradazione delle proteine strutturali di sarcomero e citoscheletro. Le isoforme più attive nell’intenerimento delle carni sono:

 µ-calpaine: attive a concentrazioni micromolari di calcio (3-50 µM), esplicano la loro attività nelle prime 24-48 h post-mortem, in quanto il successivo aumento della concentrazione di calcio ne provoca l’autolisi;

Fig. 26: microfotografia elettronica della rottura verificatasi attraverso una fibra muscolare, in

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 m-calpaine: attive a concentrazioni millimolari di calcio (0,4-0,8 mM), presentano attività costante durante tutto il periodo di frollatura, poiché la concentrazione citosolica di calcio non raggiunge valori tali da determinarne l’autolisi.

Le catepsine sono proteasi lisosomiali coinvolte nei processi apoptotici. La loro fuoriuscita dai lisosomi avviene a seguito della riduzione dei valori di pH e temperatura e risultano attive principalmente tra il terzo e il nono giorno post-mortem, in quanto presentano massima attività a valori di pH acido. Le isoforme attive durante il processo di frollatura (catepsine B e L) degradano principalmente le proteine miofibrillari. Le caspasi sono proteasi, le cui principali isoforme attive nel processo di frollatura son le caspasi 3, 7 e 9. Esse esplicano la loro attività soprattutto nelle prime 32 ore post-mortem, in quanto necessitano di ATP e sono degradate in peptidi non proteolitici dalle calpaine. Le capsasi sono attive nei confronti di troponina e tropomiosina. Il processo di frollatura determina non solo l’aumento della tenerezza, ma anche il miglioramento delle caratteristiche qualitative e organolettiche, grazie all’incremento della concentrazione di lattato, alla produzione di composti volatili (ipoxantina, acetaldeide e composti solforati) e all’aumento della finezza della grana (Girolami et al., 2009).

Negli animali giovani si ha in 3-7 giorni ad una temperatura di refrigerazione di 1-4°C; negli animali più maturi almeno 14 giorni. La frollatura lunga (10-14 gg) in realtà, viene effettuata solo per le produzioni di elevata qualità, come la Chianina e la Romagnola che sono tutelate da marchi europei (IGP) e devono seguire particolari disciplinari di produzione. Le carni bovine più economiche sono frollate per circa 24-48 ore (https://iaassassari.files.wordpress.com/2011/03/8- produzione_carne_sta.pdf).

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CAPITOLO 4

4.1. INTRODUZIONE

Dopo aver analizzato i processi biochimici che si realizzano a carico del muscolo trasformandolo in carne, dobbiamo prendere in considerazione i parametri a carico dei quali dipende la qualità del prodotto finale. Sono numerosi i fattori in grado di influenzare positivamente o negativamente la qualità delle carni nelle fasi successive all’allevamento. Animali con caratteristiche qualitative eccelse e ottimamente gestiti nella fase di allevamento e di invio al macello, possono infatti dare luogo a carni di mediocre o addirittura di scadente qualità, qualora la macellazione e la frollatura non avvengano nel modo corretto. Il processo di macellazione presenta numerosi punti critici, tra i quali i più importanti sono un elevato stress degli animali, la presenza di microemorragie e un’alta contaminazione microbica delle carcasse, in grado di compromettere in maniera grave e irreversibile la qualità delle carni.

4.2.

LAQUALITÀDELLACARNEBOVINA

L’International Organization for Standardisation (ISO) definisce la qualità di un bene come “il grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche di un prodotto o servizio soddisfa “i requisiti”, dove per requisito si intende “una esigenza o aspettativa che può essere espressa o implicita o cogente”. Quindi, è attribuito al consumatore un ruolo primario, con particolare riferimento alla sua opinione e alle sue aspettative, nonché alle sue esigenze. Tuttavia, se da un lato tali disposizioni fanno esplicito riferimento alla interrelazione tra qualità e soddisfazione del cliente, dall’altro ci si domanda se il consumatore sia in grado di individuare i requisiti e le relative caratteristiche, nonché le modalità di valutazione delle stesse. Per quanto riguarda la carne bovina, la definizione delle sue caratteristiche qualitative dipende dall’approfondita conoscenza del tessuto muscolare, delle sue modificazione nel corso dello sviluppo corporeo e delle trasformazioni che intervengono dal momento dell’abbattimento dell’animale a quello del suo consumo. La qualità della carne dipende dall’insieme di diverse caratteristiche, alcune delle quali sono distinte in tecnologiche, organolettiche e igienico sanitarie (Percivale et al., 2002).

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