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Il polemista, L'affaire Moro e quel terribile Paese L'homme de lettres

«Se dieci anni prima mi avessero detto che Moro avrebbe cambiato la mia vita, avrei riso: invece è stato così. Dopo la morte di Moro, io non mi sento più libero di immaginare. Anche per questo preferisco ricostruire cose già avvenute: ho paura di dire cose che possono avvenire».1 In un'intervista del 1983, Sciascia riflette su quel- lo che il caso Moro ha rappresentato per se stesso, come scrittore e come uomo: dai rimproveri per l'iniziale silenzio dell'intellettuale alla pubblicazione del pamphlet, scritto a caldo nell'agosto del 1978, e uscito in settembre, con il conseguente abban- dono del giallo eretico; dalla consapevolezza di un'Italia che dà al Contesto e a Todo

modo il ruolo di amare prefigurazioni alle polemiche derivate dall'uso di un genere

poco compreso e facilmente - o per convenienza? - bollato come semplice letteratura. Non a torto, Indro Montanelli, commentando il testo, ha parlato di un «Affaire Scia- scia»2: è una formula che sublima in sé tutti i dibattiti, le chiacchiere, le ipotesi su un libro che ha ricevuto varie critiche negative, anche prima di essere pubblicato.

Come per il Contesto, le opinioni a volte possono essere spiegate e giustificate, al- tre volte si nutrono solo di giudizi superficiali e poco attenti al valore intrinseco del testo. Dire Aldo Moro in Italia significa tutt'oggi confrontarsi con una pagina enig- matica e misteriosa della nostra storia nazionale: si è scritto tanto, si ricerca tanto e si discute ancora tanto su quello che è divenuto il «Caso Moro».

Sciascia, ovviamente, nel momento in cui scrive L'affaire non può sapere quanto si dibatterà su quella vicenda. È il 1978, Moro è stato ucciso da qualche mese e l'Ita- lia vive ancora in un clima di terrore, nel quale non si capisce quanto la Giustizia rie- sca ad adempiere il proprio ruolo e, soprattutto, gli uomini del Potere - dopo l'assas- sinio di un loro esponente - si trovano sempre più in una condizione scomoda.

1 La citazione di Sciascia è leggibile in AMBROISE 1987, p. LVIII. 2 MONTANELLI 2009, p. 111.

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Questo è il Paese che Sciascia e gli italiani hanno davanti. Che cosa risponde la letteratura al clima di terrore? Donnarumma sostiene che nessuno dei romanzi della seconda metà degli anni Settanta si è affermato come «il libro italiano sul terrori- smo», a eccezion fatta per L'Affaire Moro, che non è per nulla un romanzo, ma pone al suo centro proprio il rapporto tra storia e letteratura.3

Questa premessa è utile per addentrarci nell'analisi dell'Affaire Moro sia alla luce dei due romanzi precedenti, sia - è chiaro - in correlazione con la cronaca, perché il

pamphlet figura innanzitutto come il racconto di un episodio che pochi mesi prima

dominava le pagine di ogni quotidiano. Certo, nell'Affaire c'è anche lo Sciascia delle citazioni, delle metafore, della rappresentazione quasi ossessiva del Potere, però non si può negare al testo il privilegio di essere stato uno dei primi a tentare di spiegare

quella vicenda capitata a quell'uomo. La storia e la letteratura sono irrimediabilmente

vicine, quindi il plot non può svilupparsi né nel paese immaginato dal Contesto né nell'eremo inventato di Todo Modo: per questa istanza, credo sia doveroso, a questo punto, spendere qualche parola sull'onestà intellettuale di Sciascia, sulla sua attenta capacità di osservare la storia ed essere lungimirante. Commentando le polemiche suscitate dall'Affaire, Montanelli afferma: «Siamo per Sciascia. E non lo siamo solo in questa polemica, dove l'uomo libero che parla da uomo libero è lui».4

In che modo si manifesta la libertà dello scrittore siciliano? Come si pone nei con- fronti dei problemi politico-civili? E infine, quanto la ricerca della verità e della giu- stizia - topos cardine dei precedenti testi qui presi in esame - ha potuto influenzare un'opera di non fiction?

Tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio del decennio successivo, in Italia si assiste al ritorno di temi politico-civili trattati dagli umanisti. Bruno Pischedda ha studiato questa tendenza: la disputa politica, la critica ai diritti del cittadino, i mutamenti delle ideologie sono i concetti prediletti dagli uomini di cultura.

Non basta che una parte almeno di questi intellettuali rivendichi una matrice illuministica, volter- riana o anglosassone: nel momento della massima esposizione civica, a prevalere sull'analisi di- screta dei fenomeni è più spesso il pólemos, la battaglia a viso aperto contro macchinazioni mali- gne che inibiscono qualunque dissenso.5

3 DONNARUMMA 2010, p. 328. 4 MONTANELLI 2006, p. 113. 5 PISCHEDDA 2011, p. 13.

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Pasolini, Arbasino, Testori, Eco, Sciascia: l'analisi di Pischedda si muove tra i lo- ro testi e il polemos. Il critico, nello specifico, si sofferma sul valore della parola let- teraria nelle opere di Sciascia, quasi fosse l'unica a poter rendere conto dei problemi politici.6 D'altronde, con il Contesto e Todo modo il siciliano ha denunciato il Potere in ogni diabolica macchinazione e ha realizzato la sua accusa sotto forma di roman- zo: al lettore, quindi, spetta il compito di leggere oltre la parola letteraria per ricavar- ne i legami con la cronaca.

L'Affaire Moro, dal canto suo, si presta perfettamente all'esigenza di Sciascia di

rivendicare la verità che deriva dalla costituzione umanistica del suo sapere7, però, questa volta, è l'autore stesso a diventare detective di un fatto di cronaca.

Lo scrittore siciliano si è sempre riconosciuto tra gli hommes de lettres: un omag- gio a Voltaire, che è il grande padre degli opuscoli civilmente impegnati. Per Scia- scia un "letterato" è colui il quale scrive i libri, e soprattutto ne ricava un proprio pia- cere e l'otium è la condizione che consente di scrivere. Per di più, bisogna considera- re anche la parola 'intellettuale', venuta in auge in Francia dopo l'Affaire Dreyfus

(1894-1906).8 Tra l'altro proprio il titolo, L'affaire Moro, richiama la lettera J'accuse

di Emile Zola, indirizzata il 13 gennaio del 1898 al presidente della Repubblica Francese per difendere l'ufficiale ebreo, Dreyfus, accusato di alto tradimento: «se af- faire Moro e affare Dreyfus stringono un patto di mutuo sostegno, è in forza della voce eccentrica ma autorevole che si leva da entrambi i contesti».9 Onofri rileva, come richiamo intertestuale, anche L'Affaire Calas di Voltaire e precisa che la vici- nanza di Sciascia a Zola e Voltaire si nota, anzitutto, nella «coincidenza di civile e politica militanza dalla parte della ragione e della giustizia». L'Affaire Moro, da que- st'ottica, è un libro sciasciano, in tutto e per tutto.10

In un articolo apparso sulla «Stampa» nel novembre del 1977 e in seguito pubbli- cato nel volume La palma va a nord, - Sciascia polemizza con le critiche che erano state mosse agli intellettuali durante gli anni del terrorismo. Democristiani e comuni- sti, riporta lo scrittore, accusavano gli uomini di cultura di non riuscire a creare «una riserva morale» contro il terrorismo, poiché s'impegnavano solo a denunciare il si- 6 PISCHEDDA 2011, p. 15. 7 IVI, p. 105. 8 IVI, p. 103-104. 9 IVI, p.106. 10 ONOFRI 1994, p. 213.

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stema politico italiano, visto come «putridume» [PVN 11].11 La risposta di Sciascia non si fa attendere:

Il terrorismo alligna e cresce come erba tra le rovine; e queste rovine siete state voi a farle. Gli uomini di cultura, «questi uomini di cultura», ne danno la rappresentazione, ne fanno il quadro; ma il bombardamento, la devastazione è tutta opera vostra. E non solo: dello stesso terrorismo voi og- gi state servendovi, e perché appunto nasconde le rovine, e perché vi consente di accusare coloro che sotto l'erba ancora le scoprono e le denunciano. [PVN 12]

È palese che Sciascia riservi la propria critica al Potere sia nei romanzi, sia in un articolo di giornale, giudicando la classe dirigente come la vera colpevole dello stato d'instabilità dell'Italia. Per di più, Arrigo Levi, direttore della «Stampa», aveva accu- sato gli intellettuali di «strizzare gli occhi» al terrorismo. Illuminanti le parole del si- ciliano:

Davvero si può credere che vi siano degli intellettuali, o anche solo un intellettuale, cui si possa at- tribuire questo ruolo, rivolgere questa accusa? L'intellettuale è uno che esercita nella società civile - almeno dall'affare Dreyfus in poi - la funzione di capire i fatti, di interpretarli, di coglierne le im- plicazioni anche remote e di scorgerne le conseguenze possibili. La funzione, insomma, che l'intel- ligenza, unita a una somma di conoscenze e mossa - principalmente e insopprimibilmente - dall'a- more della verità, gli consentono di svolgere.

Ora, che il terrorismo possa oggi essere strumento di liberazione e di rivoluzione, non pare ci sia uomo intelligente che lo creda; e tanto meno quel professionista dell'intelligenza che sarebbe l'in- tellettuale. L'intellettuale, anzi, non può che essere convinto del contrario; e cioè che il terrorismo non solo produce, come ormai è evidente, forme di terrorismo contrario e che servono a consolida- re il potere com'è; ma ugualmente sortirebbe ad effetti reazionari, più vastamente e tragicamente reazionario, anche se riuscisse a collegarsi con gli strati popolari più disagiati e disperati e addirit- tura con la classe lavoratrice. [PVN 13]

Sciascia, quindi, è fedele al proprio status di homme de lettres e, aggiungiamo, di polemista. Quest'ultimo aspetto, secondo Ambroise, non è ricavabile solo nel pensie- ro dell'autore negli anni Settanta, ma di certo quel periodo rivela al meglio l'amore di Sciascia per la polemica. Arturo Carlo Jemolo, giurista e storico, durante il sequestro Moro affermò: «Caro Sciascia, nei suoi libri e novelle che tanto apprezzo, non ho mai trovato il consenso unanime di tutto il popolo, né una comune visione della giu- stizia; ho trovato l'Italia qual è».12 Di fatto, abbiamo dimostrato che il Contesto e To-

do modo, sebbene la fiction sia la struttura narrativa portante, hanno un forte riscon-

tro nella cronaca.

È facile pensare a prefigurazioni o a profezie: d'altronde Aldo Moro è stato ucciso e in Todo modo alcuni uomini del potere democristiano erano vittime di un ingra-

11 Sciascia riporta, per l'esattezza, le parole di Flaminio Piccoli (presidente del gruppo parlamentare dei democristiani alla Camera dei Deputati).

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naggio incomprensibile; i gruppuscoli di sinistra del Contesto potrebbero essere un'anticipazione delle azioni delle Brigate rosse (ricordiamo che però il romanzo è del 1971 e, giustamente, l'autore non dà rilievo a quei gruppi extraparlamentari). Non credo si debba fare di Sciascia necessariamente un profeta perché il suo immaginario si nutre di cronaca, e sono quegli avvenimenti che, dalla Strage di Piazza Fontana del 1969, hanno gettato il Paese nel caos. Forse, si può affermare che Sciascia sia stato perspicace nel capire che la vera crisi nasceva proprio dal pasoliniano Palazzo, per- ché da intellettuale - ma forse anche da cittadino - non si sentiva protetto da quelle istituzioni.

Al giornalista che gli chiede cosa ha pensato guardando la foto di Moro prigionie- ro delle Brigate Rosse, Sciascia replica:

«Ho pensato ad un uomo che subisce violenza da altri uomini. Ho pensato che per processare un uomo di potere hanno ammazzato cinque persone senza processo. Tutto questo è atroce. La vio- lenza posso contemplarla astrattamente, ma non vederla nella realtà. Come scrittore potrei ralle- grarmi di aver scritto Todo modo; come uomo, in questo momento, non me ne rallegro».13

Nella stessa intervista lo scrittore afferma che come romanziere, che ha scritto Il

Contesto e Todo modo, vede una proiezione delle cose immaginate e da questo gli

deriva un senso di «smarrimento e preoccupazione».14

Nei romanzi menzionati l'attacco è rivolto al Potere, unico responsabile degli atti criminali, sempre grazie al pòlemos: «Sciascia, con costanza, porta avanti una pole- mica delle polemiche e cioè una rivendicazione di poter fare polemiche; polemizza perché rimanga possibile la polemica».15 Arriva un momento, però, in cui la parola letteraria non basta al polemista, perché la paura di immaginare troppo è talmente grande che Sciascia si affida alla formula del pamphlet e si mette nei panni di un uomo di quella stessa classe democristiana che aveva denigrato appena quattro anni prima. La triste storia di un uomo solo: la cronaca era, forse, un giallo di per sé e Sciascia non si sentiva in grado di immaginare ancora.

13 STABILE 1978. 14 IBIDEM.

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