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CAPITOLO II: Norberto Bobbio: l’“illuminista pessimista”

I.5 Politica

I.5.1 La politica come esperienza di vita

È doveroso qui affrontare la questione di come Bobbio visse la politica durante il fascismo, la Re- sistenza, il primo periodo della storia repubblicana e poi negli ultimi decenni, allorché alla posizio- ne di eminente intellettuale e docente passò a quella di figura pubblica ascoltata da dirigenti di par- tito e da governanti, fatta oggetto dell’assidua attenzione anche dei mass media: una figura che – per il suo ruolo di filosofo e senatore, la fama internazionale dei suoi scritti e la risonanza dei suoi interventi nelle vicende culturali e politiche del nostro paese – richiamava per visibilità e influenza la posizione che era stata nella prima metà del secolo di Croce e Gentile95. Partito dalla filosofia ded

diritto, Bobbio è approdato in un secondo tempo alla riflessione sulla politica. Bobbio stesso ha sot- tolineato – nella relazione introduttiva a un convegno madrileno del 1992 – la svolta che, nella sua attività di studioso, rappresentò il Sessantotto e, dopo di questo, il trasferimento dalla cattedra di Fi- losofia del diritto alla cattedra di Filosofia della politica96. Bobbio ha ripetuto molte volte di nutrire un forte interesse per lo studio della politica, di avere compiuto in varie fasi della sua vita impegna- tive scelte politiche, anche iscrivendosi a partiti o appoggiandone attivamente alcuni, ma di non sentire alcuna vocazione per la milizia politica, alcuna attrazione per le lotte dei partiti e delle loro correnti, insomma per la politica di coloro che eleggono quest’ultima a passione e professione97. La politica era per lui, come in generale per i pensatori liberali, quella realtà di cui non si può fare a meno, ma che occorre tenere costantemente sotto sorveglianza, perché forte è la sua tendenza a cor-

91 Ibidem. 92 Ibidem.

93N. BOBBIO, Il problema della guerra e le vie della pace, op. cit., p. 46. 94P. P. PORTINARO, Introduzione a Bobbio, op. cit., p. 107.

95G. ZAGREBELSKY M. SALVADORI R. GUASTINI, Norberto Bobbio tra diritto e politica, op. cit., p. 15. 96 Ivi, p. V.

rompersi98. In questo senso Bobbio non aveva il sentimento e la mente dei Machiavelli, degli Hob- bes, degli Hegel e dei Pareto, che pure tanto ammirava e acutamente analizzava, ma quelli degli Erasmo, dei Kant, dei Benda e dei Popper e di tutti coloro che, accostandosi alla politica, hanno messo in primo piano e assunto come proprio il compito di osservare e sorvegliare il pericolo che la politica abbia a degenerare in forme da denunciare e combattere99:

Generalmente si usa il termine «politica» per designare la sfera delle azioni che hanno un qualche riferi- mento diretto o indiretto alla conquista e all’esercizio del potere ultimo (o supremo o sovrano) in una co- munità di individui su un territorio. Nella determinazione di ciò che è compreso nell’ambito della politica non si può prescindere dalla individuazione dei rapporti di potere che in ogni società si stabiliscono fra individui e fra gruppi, inteso il potere come la capacità di un soggetto di influenzare, condizionare, deter- minare il comportamento di un altro soggetto. Il rapporto fra governanti e governati in cui si risolve il rapporto politico principale è un tipico rapporto di potere. Sin dall’antichità il tema della politica è stato connesso con il tema delle varie forme di governo ancor oggi in uso […]100.

E più avanti, parlando del «fine» del potere:

Qual è il fine dell’azione politica? Risale all’antichità ed è stata quindi tramandata per secoli sino a oggi, l’affermazione che il fine della politica è il bene comune, inteso come il bene della comunità distinto dal bene dei singoli individui che la compongono. La distinzione fra bene comune (bonum commune) e bene del singolo (bonum proprium) è fra l’altro quella che sin da Aristotele serve a distinguere le forme di go- verno buone da quelle corrotte: il buon governante è colui che si preoccupa del bene comune, il cattivo bada al bene proprio, si vale del potere per soddisfare interessi personali. Questa distinzione è sempre va- lida: il criterio più diffuso di cui si serve l’uomo della strada per giudicare l’azione dell’uomo politico è fondato sulla contrapposizione fra interesse pubblico e interesse privato. Ma proprio perché questa distin- zione serve bene a distinguere le forme buone di governo dalle cattive, non serve altrettanto bene per ca- ratterizzare la politica in quanto tale e quindi cade sotto la stessa critica della precedente: altro è il giudi- zio di valore, altro il giudizio di fatto. Dal punto di vista del giudizio di fatto, che solo permette di con- traddistinguere l’azione politica dalle azioni non politiche, anche l’azione del cattivo governante rientra perfettamente nella categoria generale della politica. […] Anche prescindendo da questo argomento, il concetto di bene comune, nonostante la sua lunga storia, è tutt’altro che chiaro. Esso va incontro almeno a due gravi difficoltà: l’indeterminatezza o varietà di significati storicamente accettabili e la difficoltà di trovare le procedure adatte per accertarlo di volta in volta. […] L’unico criterio ragionevole che è quello di cui sono fautori gli utilitaristi, e che consiste nel tener conto delle preferenze individuali e nel partire da esse, va incontro a tutte le difficoltà inerenti al calcolo delle preferenze e al modo di sommarle in cui si dibatte senza apparente via d’uscita la teoria delle decisioni razionali101.

Concludiamo questa breve introduzione al tema del potere con quest’ultima citazione:

Il criterio più adeguato per distinguere il potere politico dalle altre forme di potere, e quindi per delimitare il campo della politica e delle azioni politiche, è quello che si fonda sui mezzi di cui le diverse forme di potere si servono per ottenere gli effetti voluti: il mezzo di cui si serve il potere politico, se pure in ultima istanza, a differenza del potere economico e del potere ideologico, è la forza. […] In quanto il potere poli- tico viene definito come quel potere che si serve in ultima istanza della forza fisica per raggiungere gli ef- fetti voluti, esso è anche quel potere cui si fa appello per risolvere i conflitti la cui mancata soluzione avrebbe per effetto la disgregazione interna della comunità politica, il venir meno degli «amici», e la sua soppressione dall’esterno, il prevalere dei «nemici». Anche secondo questa interpretazione l’espressione più caratteristica della politica diviene la guerra, in quanto, per l’appunto, massima esplicazione della for- za come mezzo per la soluzione dei conflitti102.

98 Ivi, p.16. 99 Ibidem.

100N. BOBBIO, Elementi di politica. Antologia, op. cit., p. 6. 101 Ivi, pp. 10-15.

La buona politica, nella quale si condensavano i valori di Bobbio, poggiava sulla libertà, sulla de- mocrazia, sulla giustizia sociale, sulla pace. E perciò egli si definì un liberale, un democratico, un liberalsocialista (e anche un socialista democratico), un federalista103.

Come ricordavamo qualche pagina sopra, Bobbio studia e si forma in un ambiente «naturaliter» crociano, soprattutto nelle amicizie e nei contatti avuti all’Università di Torino. Questo crocianesi- mo (non la «filosofia delle quattro parole», bensì uno storicismo interpretato in chiave metodologi- ca) costituisce probabilmente il presupposto remoto del duplice approdo di Bobbio negli anni del dopoguerra: al neoilluminismo e alla dottrina «pura» del diritto di Hans Kelsen104. Anche gli anni della guerra e del dopoguerra segnarono il suo incontro con la politica e soprattutto il suo pensiero antifascista. Cresciuto in un ambiente familiare simpatizzante per il regime (il padre, un noto medi- co, aveva coperto anche posizioni ufficiali), ma legato ad amici che lo avevano preceduto nel rifiuto del fascismo, come L. Ginzburg, Bobbio entrò in contatto, poco dopo la metà degli anni Trenta, con l’ambiente antifascista pisano (in particolare con G. Calogero e A. Capitini)105. Più tardi trasferito a Padova, aderì nell’ottobre del 1942 al Partito d’Azione clandestino, e fu vicino a C. Marchesi; nel 1945-46, poi collaborò con parecchi articoli al giornale del Partito d’Azione «Giustizia e Libertà», diretto da F. Venturi106. In questo periodo la stampa e gli ambienti intellettuali lo definirono un «fi- losofo militante»: decisivo fu il suo confrontarsi sui temi di libertà e cultura con il Partito comuni- sta.

All’indomani della guerra il partito di Togliatti esercitava una forte attrazione sui giovani che ave- vano preso parte alla Resistenza, magari dopo una formazione fascista in periodo adolescenziale, o che si affacciavano sulla scena politica in un’età di speranze (e di illusioni) nel rinnovamento della società italiana: dopo il 1948 la vita politica in Italia era stretta nella morsa dell’invadenza clericale da un lato, e dall’altro di un nuovo totalitarismo, ispirato al modello sovietico e la culto di Stalin107. Anche Bobbio si rese conto del pericolo che ciò rappresentava per la libertà della cultura; ma, a dif- ferenza di molti altri «azionisti» che proprio per questo divennero anticomunisti, cercò la via del dialogo, del confronto critico e rivendicò l’autonomia della cultura dai partiti e la necessità di ga- rantire le condizioni di libertà indispensabili per il lavoro culturale108.

Nel 1952, alla morte di Croce, egli pubblicò un articolo che poneva in luce il distacco della teoria crociana della libertà dalla tradizione del liberalismo europeo, nato dalle due rivoluzioni inglesi e

103G. ZAGREBELSKY M. SALVADORI R. GUASTINI, Norberto Bobbio tra diritto e politica, op. cit., p. 17. 104 Ivi, p. VII.

105 Ivi, pp. VIII-IX. 106 Ivi, p. IX. 107 Ibidem. 108 Ibidem.

dall’affermazione illuministica dei diritti dell’uomo: diritti di libertà, prima ancora che di proprie- tà109.

Proprio questa tradizione gli appariva messa a repentaglio, se non negata, dal comunismo: già da quello di Marx, ma soprattutto dal comunismo quale si era realizzato nell’Unione Sovietica110. Nac-

quero così i saggi raccolti nel 1955 nel volume Politica e cultura, un libro importante che servì a marcare le distanze tra liberalismo democratico e comunismo, ma anche a non interrompere il dia- logo con il Partito comunista111. Risale a quello stesso periodo, anzi agli anni immediatamente pre- cedenti, la partecipazione di Bobbio all’attività della Società europea di cultura, nata a Venezia nel 1950, che si proponeva di mantenere aperto, nel periodo della guerra fredda, un canale di comuni- cazione con gli intellettuali dei paesi al di là della «cortina di ferro»112:

Ho partecipato alla sessione costituiente della nostra Società nel 1950 e andandomi a vedere l’elenco dei primi soci m’è parso di essere uno degli ultimi sopravvissuti. […] La Società era nata per opporre una re- sistenza morale alla guerra fredda che stava prolungando la guerra reale da cui l’Europa era stata dilaniata per anni. Parlare di una «politica della cultura» significava per noi che gli uomini di cultura non ricono- scevano la divisione dell’Europa in due parti contrapposte, separate da quella che allora si chiamava «cor- tina di ferro». La politica della cultura aveva già allora abbattuto, perlomeno idealmente, il futuro Muro di Berlino. La nostra Europa non era Europa dell’Ovest o quella dell’Est. Era l’Europa della cultura europea che non conosceva confini nazionali. L’Europa della cultura era sopravvissuta grazie ad alcuni grandi scrittori di cui voglio ricordare almeno questi tre. Il primo è Julien Benda che nel 1933, l’anno dell’avvento di Hitler al potere, pubblicava il Discours à la nation européenne, in cui sosteneva che la crisi dell’Europa era nata con la divisione in tante patrie diverse in lotta fra loro per l’egemonia non solo economica ma culturale. Il secondo è Thomas Mann che, esule negli Stati Uniti, aveva lanciato quasi giornalmente dalla radio durante la guerra i suoi Moniti all’Europa che, raccolti dopo la guerra in volume, sono fra le pagine più nobili e veementi scritte per denunciare la barbarie nazista. Il terzo è Benedetto Croce che nel 1932, nell’anno in cui il fascismo celebrava il suo decennale, pubblicò la Storia d’Europa

nel secolo XIX, che cominciava esaltando la «religione della libertà» con cui il secolo era cominciato.

È stato ricordato che due anni dopo la fondazione nel 1953, per invito o per amichevole imposizione di Campagnolo, organizzai a Torino, presso la mia Università, una delle periodiche riunioni del nostro con- siglio esecutivo. Nel discorso introduttivo richiamai l’attenzione degli ospiti su una lapide che non può sfuggire alla vista di chi entra nel grande palazzo storico dell’Università: la lapide ricorda che a Torino ebbe nel 1506 la laurea in teologia Erasmo da Rotterdam. Dissi che se noi avessimo dovuto scegliere un patrono non avremmo potuto sceglierne uno più esemplare di Erasmo, che negli anni delle guerre di reli- gione, che avevano insanguinato l’Europa, aveva affermato la necessità di non lasciar cadere il dialogo fra le parti contrapposte113.

Alla teoria politica si affianca, in misura crescente, l’impegno politico, cui comunque Bobbio ap- proderà a partire dagli anni Settanta del Novecento. Dopo la scomparsa del Partito d’Azione Bobbio rimase a lungo fuori della vita politica; vi rientrò nel 1966, al momento dell’unificazione socialista,

109 Ivi, p. X. 110 Ibidem. 111 Ibidem.

112 Ibidem. Cfr. anche www.societaeuropeacultura.it

113N. BOBBIO, De senectute e altri scritti autobiografici, op. cit., pp. 104-5. Cfr. anche Una politica per la pace. Società Europea di Cultura 1950/1980 – Une politique pour la paix. Societé Européenne de Culture 1950/1980, Marsilio, Ve-

nezia, 1980; Umberto Campagnolo e la Società Europea di Cultura, a cura della Biblioteca Comunale di Este e della Società di Gabinetto di Lettura, Este, 1986; il testo integrale si trova in A.A. V.V., La Sociéte Européenne de Culture e l’Enciclopedia Italiana. A Norberto Bobbio per il 18 ottobre 1989, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1989, pp.

23-25; per il discorso di Bobbio su Erasmo cfr. Omaggio a Erasmo, pronunciato il 29 marzo 1996 nell’Aula Magna dell’Università di Torino, in occasione dello svolgimento della Conferenza intergovernativa dell’Unione europea, sem- pre a Torino, pubblicato in «Il Foglio». Mensile di cristiani torinesi, XXVI, n. 6, luglio 1996, pp. 1-2.

nella quale anch’egli – come tanti altri intellettuali – ripose molte speranze, destinate ad andare an- cora una volta deluse114. Il Sessantotto fu per lui un trauma, anche sul piano personale; ma cercò di comprendere le ragioni della contestazione:

Anche noi accademici siamo stati colti completamente di sorpresa. Personalmente credevo che l’esperienza di centro sinistra si fosse ormai consolidata e che le nostre istituzioni sarebbero andate incon- tro a un periodo di più compiuta democrazia e di più rapida modernizzazione. […] Riconoscevo che la contestazione prendeva di mira disfunzioni reali, specialmente nel rapporto fra docenti e studenti, ma non sino al punto di cadere in uno stato di esaltazione collettiva: corsi autogestiti, in cui erano gli studenti a decidere che cosa studiare, portando agli esami semplicemente dei papers scritti da loro, non individual- mente ma a gruppi, su temi d’attualità, come la guerra del Vietnam o la rivoluzione cinese o la rivolta di Praga. Ero contrario agli esami di gruppo e al voto di gruppo, perché l’esame – dicevo – è un atto di re- sponsabilità individuale. Ma non trovavo orecchi disposti ad ascoltarmi. Soprattutto ero contrario alla vio- lenza verbale (e in alcuni casi non soltanto verbale), con cui la contestazione accompagnava spesso le proprie richieste, che ispirava molti suoi documenti e riempiva le pagine di «Lotta continua», che mi arri- vava a casa tutti i giorni (credo di essere uno dei pochi a possederne l’intera raccolta). Purtroppo noi do- centi eravamo impreparati a fronteggiare la rivolta: la contestazione ci è piombata addosso senza che l’avessimo prevista. […] Nell’evoluzione verso una democrazia da consolidare è avvenuto quello che nessuno s’immaginava: lo scoppio di furori rivoluzionari, gravido di serie minacce […].

Non posso non accennare al fatto che nel mio caso al conflitto del professore con gli studenti si sovrappo- se, rendendolo sotto certi aspetti più drammatico, ma sotto altri aspetti meno radicale, un conflitto fami- liare. Luigi, mio figlio primogenito, è stato uno dei leader del movimento studentesco. […] Non avevo nessun potere «politico» su mio figlio e, anche se lo avessi avuto, non lo avrei esercitato. L’unica volta che l’ho pregato di moderare il suo atteggiamento per non crearmi imbarazzo è stata in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico 1968-69, in cui doveva, secondo la tradizione, prendere la paro- la anche il segretario dell’Interfacoltà. L’anno prima avevamo assistito a una scena penosa, perché Allara [l’allora Rettore] aveva cacciato il rappresentante degli studenti prima che riuscisse a finire il discorso. Lo pregai soltanto di farmi leggere il suo discorso. Devo dire che non volle dispiacermi e la manifestazione si risolse senza incidenti115.

La «battaglia» di Bobbio si condusse soprattutto sulle pagine della rivista «MondOperaio», tradu- cendosi soprattutto in una riflessione su socialismo e marxismo. A partire dal 1976 Bobbio iniziò la collaborazione alla «Stampa», di cui divenne ben presto l’articolista più autorevole e ascoltato: un’attività che gli permise di parlare ad un pubblico più vasto116. La nomina a senatore a vita da parte del presidente Pertini, avvenuta nel luglio del 1984, sancì il nuovo ruolo che egli aveva assun- to sulla scena politica italiana117. Ma, pur assolvendo con il consueto scrupolo i doveri istituzionali connessi alla carica parlamentare, Bobbio si sentì sempre estraneo ai compromessi e ai maneggi della politica quotidiana e con l’andare del tempo si distaccò sempre più dalla politica, pur conti- nuando a seguirne le vicende e non mancò mai di denunciare apertamente la degenerazione del si- stema e soprattutto del clima politico italiano118.

L’ultimo decennio del vecchio secolo, e i primi anni del nuovo, segnarono per Bobbio un progres- sivo ritiro dalla scena politica come dal dibattito intellettuale: sempre più la sua riflessione si rivol- geva alla sua esistenza, alle «ombre del passato, tanto più invadenti quanto più lontane nel tempo»,

114G. ZAGREBELSKY M. SALVADORI R. GUASTINI, Norberto Bobbio tra diritto e politica, op. cit., p. XIV. 115N. BOBBIO, Autobiografia, op. cit., p. 154 e sgg.

116G. ZAGREBELSKY M. SALVADORI R. GUASTINI, Norberto Bobbio tra diritto e politica, op. cit., pp. XIV-XV. 117 Ivi, p. XV.

e insieme al senso introvabile della storia, di una storia contrassegnata dall’irrimediabile divario tra progresso tecnico e assenza di progresso morale119.

II. “Il problema della guerra e le vie della pace”: la risposta di Bobbio alla guerra e al paci-