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Parole di “libertà” tra le pagine dei clandestin

LA NOSTRA POSIZIONE»

Dopo l’isolamento di mesi, Firenze tenta faticosamente di articolarsi nella nuova vita pubblica italiana: mentre i suoi figli lottano e muoiono sui lembi settentrio- nali e occidentali della città, mentre il cannone nazista si ostina a rammentarci l’onor militare germanico, mentre gli ultimi tiratori fascisti aggiungono morte e lacrime al prezzo del nostro riscatto, Firenze, pur nell’impaccio nelle restrizio- ni decretate e nell’anchilosi prodotta nelle iniziative del paternalismo statale, si sta svegliando. Bisogna che il processo acceleri il suo ritmo, che nessuno di questi giorni preziosi vada perduto. Vi sono, è vero, problemi civici e domestici assillanti: dalle sepolture alla assistenza ai feriti, dei profughi e dei senza tetto; dall’acqua al fuoco; ma vi è un problema generale, non meno urgente degli al- tri: bisogna conoscere le nuove forze, acquistare fiducia negli strumenti nuovi, cominciare tutti a impadronirsi di questi strumenti, a saperli maneggiare: il go- verno di popolo cui auspichiamo non si fa per decreto: perché sia effettivamente tale, se implica la volontà cosciente d’una nutrita minoranza, postula altresì una rispondenza e una sensibilità altrettanto coscienti ed attive nelle moltitudini; im- plica una differenzazione dai netti contorni delle opinioni, delle posizioni, degli interessi a salvaguardia della nebulosità che porta inevitabilmente al conformi- smo di qualunque colore possa essere.

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sumere una posizione chiara nella vita politica che è cominciata per noi. Non dobbiamo aspettare: intanto dobbiamo epurare e sollecitare gli alleati a farlo. Dobbiamo riunirci, mettere in piazza, discutere, mettere in piazza coloro che, isolati o a gruppi, pescano nel torbido. Non lasciamo per indolenza e scarsezza d’iniziativa che le posizioni reazionarie si consolidino. Le notizie da Roma, in questo senso, non sono buone. La lotta clandestina e la guerra di Liberazione sono state per la massima parte opera dei partiti di sinistra […] mentre nelle terre liberate il fortilizio reazionario è forte e deciso, avendo avuto buon gioco dal rinvio forzoso della questione istituzionale,dal quale rinvio trae ossigeno e alimento.

[…] Vi è poi un partito nuovo, ancorché operante ininterrottamente come «Giu- stizia e Libertà» prima come concorso di movimenti, poi, dal 1925 ad oggi è il Partito d’Azione.

Dalle sue origini esso, ritenendo insufficienti le posizioni tradizionali ha pro- spettato nella costituzione di una solida ed agile democrazia il presupposto d’o- gni progresso sociale. Lungi dalle teorie classiste e materialiste esso promuove la rivoluzione del lavoro, che vale quanto dire rappresentare e sostenere l’esi- genza di quanti vivono del proprio lavoro. Partito socialista in quanto afferma un socialismo moderno ed ardito e deciso alle battaglie estreme, partito liberale in quanto non transige riguardo al decentramento e all’autogoverno, unica ga- ranzia per l’attuazione e l’evoluzione costante del socialismo. In definitiva, vo- gliamo assicurare ad ogni lavoratore i diritti di uomini liberi, possibilità effettive di miglioramento e di progresso condizionate solo alla sua capacità ed alla sua volontà. Oggi uscendo per la prima volta alla luce del sole, la Sezione Toscana del partito d’Azione è in prima linea per la conquista, ancora dura e faticosa, della giustizia e della libertà.

«RESTAURAZIONE O RIVOLUZIONE?»

Noi siamo per la Rivoluzione. Non ti spaventi, né ti esalti la parola. Non propo- niamo né notti di San Bartolomeo, né fiumi di sangue, né orge di vendette. Vogliamo creare dalle rovine ereditate dal Fascismo una società nuova, la Re-

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pubblica Socialista. Non vogliamo restaurare l’Italia del 1914. Quel che morto è morto e i morti vanno seppelliti, magari con tutti gli onori, ma seppelliti e seppelliti bene.

La società borghese, il regime capitalista, l’ordinamento monarchico hanno fat- to il loro tempo. Hanno dato alla società quel che potevano dare di bello, di buono, di utile. Poi sono divenuti vecchi, ingombranti, infetti e hanno prodotto quei malanni che ci affliggono dal 1914 circa ad oggi. Restaurazione vorrebbe dire preparazione di nuove sciagure per tutti.

Rivoluzione vuol dire Società nuova. Come la realizzeremo? Quando? Come meglio e quanto prima potremo.

Non siamo né demagoghi che promettono Bengodi né poeti che sognano paradisi terrestri. Conosciamo le ferree leggi storiche e quelle bronzee dell’Economia Abbiamo i piedi in terra (in una terra semidistrutta!) e sappiamo che in un mon- do in rovina non ci possiamo permettere né azzardati «esperimenti» né affrettate costruzioni.

Realizzeremo quanto più potremo e quanto prima e meglio potremo il nostro programma socialista. Di questo possono essere certi i nostri amici di destra e quelli che credono di essere e non sono più a sinistra. E lo possono credere e temere i nostri avversarsi di ieri e di domani.

Pur tra contraddizioni e battute d’arresto, dovute anche alle differenze ideali e program- matiche tra i partiti che lo componeva, il Ctln aveva dato vita, non senza fatiche e in modo graduale a un’articolata rete di comitati locali provinciali, comunali e, talvolta, rionali, svolgendo, soprattutto tra il settembre 1944 e la fine del 1945, assistenza materiale alla popolazione e occupandosi di servizi e di ordine pubblico, con risultati vari e alterni, ma partecipando, comunque, in modo attivo, alla prima ricostruzione.

Era stato solo con la fine di quel lungo agosto 1944 che anche le zone della città più set- tentrionali erano state definitivamente liberate. Altissimo, in termini numerici, il prezzo pagato dagli uomini e dalle donne della Resistenza nella battaglia per Firenze e si aggiun- gano le vittime civili, i danni – gravi e diffusi – alle infrastrutture e agli edifici, le dure

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condizioni di vita a cui era sottoposta ormai da mesi la popolazione: poco il cibo, scarsa l’acqua, insufficienti i ripari.

Ma era davvero l’ultimo atto di quella tragedia. Tutto quel dolore, quel senso di impotenza e di umiliazione sarebbero presto diventati storia. La promessa, racchiusa in un articoletto di fondo apparso sulle pagine de «La Giovane Italia», il 13 agosto 1944, era quella di un «vita migliore». Ne era presupposto essenziale proprio quella riconquistata libertà, perché l’affermazione era perentoria: «Libertà è vita».