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IN RETE SULL ' ESERCIZIO DELLA POTESTÀ IMPOSITIVA

2. L'approccio alla regolamentazione tributaria del fenomeno da parte dei governi e delle organizzazioni internazionali. I principi ispiratori della politica

2.1. La posizione degli USA

Il regime fiscale delle transazioni telematiche ha cominciato a formare oggetto di attenzione da parte di governi nazionali e di organizzazioni internazionali a partire dalla seconda metà degli anni novanta, quando il profilarsi di una crescita esponenziale di tale forma di commercio e il pericolo che la mancanza di adeguati strumenti per "intercettare" il reddito e il valore aggiunto trasferiti per tale via comportasse rilevanti perdite di gettito li ha indotti a considerare attentamente il fenomeno.243 Tra i governi nazionali, gli Stati Uniti d’America hanno colto prima di altri l'importanza ed intuito le implicazioni fiscali del commercio elettronico. Già nel documento intitolato "Selected Tax Policy Implications on Global

241 Direttiva del Consiglio UE del 13 luglio 2010 recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda le norme in materia di fatturazione (pubblicata in GUUE del 22 luglio 2010).

242Cfr. il CFA dell’OCSE, secondo cui la disciplina fiscale deve essere «weighed against the obligation to operate a fair and predictable taxation system that provides the revenue required to meet the legitimate expectations of citizens for publicly provided services» .

243Per una rassegna di alcuni tra i più rilevanti documenti sul tema cfr. P. ADONNINO, Internet. Diritto tributario», in Enc. giur., op. cit., pag. 5.

Electronic Commerce”, pubblicato a novembre del 1996,244 il Dipartimento del Tesoro americano aveva effettuato alcune osservazioni e considerazioni sulle criticità relative alla tassazione dei redditi prodotti da operazioni transnazionali svolte in tale ambito. Nel documento si osservava che i più rilevanti profili interessati dal crescente utilizzo di internet nel trasferimento delle informazioni, nella prestazione di servizi e nell'effettuazione di transazioni tramite moneta elettronica riguardassero l'identificazione dello Stato o degli Stati ai quali è riconducibile la potestà impositiva sui redditi derivanti dal commercio elettronico, la loro qualificazione ove siano tratti da operazioni aventi ad oggetto informazioni in formato digitale (immagini, programmi per computer, file musicali, pubblicazioni,…), la necessità di distinguere tra royalties da un lato e vendita di beni o prestazioni di servizi dall'altro e di tracciare le transazioni effettuate in via anonima attraverso l'uso di moneta elettronica e la decrittazione.245

Il Tesoro USA dichiarò inoltre che l'utilizzo delle nuove tecnologie non giustificava l'introduzione di nuovi tributi, per cui non avrebbe preso in considerazione l'introduzione di alcun tipo di tributo sulla cifra d'affari (sul modello dell'Iva di matrice comunitaria), di "bit tax" (v. più avanti) o di qualsiasi altra imposta o accisa sul commercio elettronico, mentre osservò che andava

244 Per un esame dei profili esaminati dal documento e alcune riflessioni di politica fiscale in materia ed un esame comparatistico delle prime prese di posizione di alcuni Stati nella seconda metà degli anni novanta cfr. A. J. COCKFIELD, Balancing National Interests in the Taxation of Electronic Commerce Business Profits, 74 TUL. L. REV. 133, 167-212 (1999). TRa i contributi della letteratura fiscale americana sul punto, si vedano (senza alcuna pretesa di completezza) gli scritti di D. TILLINGHAST, The Impact of the Internet on the Taxation of International Transactions, 50 BULL. FOR INT’L FISCAL DOC. 524, 525 (1996) ; C. E. MCLURE Jr., Taxation of Electronic Commerce: Economic Objectives, Technological Constraints, and Tax Laws, 52 TAX L. REV. 269, 313 (1997) ; R. L. DOERNBERG, Electronic Commerce and International Tax Sharing, 16 TAX NOTES INT’L 1013 (1998). Un cenno va fatto anche ai documenti elaborati sul tema a poco tempo di distanza da quello USA dall'Australia (Australian Tax Office, Tax and Internet: Discussion Report of the Australian Tax Office Electronic Commerce Project, Aug. 1997), dal Canada (Minister's Advisory Committee on Electronic Commerce, Electronic Commerce and Canada’s Tax Administration, April 1998) e dal Regno Unito (Inland Revenue and HM Customs and Excise, Electronic Commerce: UK Taxation Policy, Oct. 1998), non privi di spunti e riflessioni interessanti.

245 Da notare come il Tesoro USA (7.3.3. Proposed regulations on computer program transactions, pag. 29), ritenesse opportune rifuggire dalla qualificazione dei redditi originati dal commercio elettronico con riferimento al fatto che la proprietà dei beni digitali sia qualificabile come "tangible" o "intangible", poiché tali nozioni non riescono a cogliere l'essenza e l'unicità delle "digitalized information". Tuttavia, in questo caso l'utilizzo dei termini "tangible" e "intagible" avviene impropriamente rispetto alla distinzione che anche nel diritto e nella contabilità statunitense si compie tra le due categorie, identificando la prima ipotesi nel programma trasferito su dischetto e la seconda attraverso impulsi elettrici tramite trasmissione telematica sulla Rete.

adottato il principio di neutralità, ai sensi del quale redditi similari vanno trattati allo stesso modo, a prescindere dal fatto che derivino dall'utilizzo dal commercio tradizionale o da quello elettronico. Tra le principali criticità generate delle operazioni svolte in via telematica su cui il Tesoro USA richiamò l'attenzione, era in primo luogo il rischio di doppie imposizioni e di conflitti tra le singole Autorità fiscali nazionali, il che richiedeva l'adozione di strumenti idonei a prevenire le frodi in rete a seguito del crescente utilizzo della moneta elettronica e del correlato trasferimento elettronico dei fondi. Per quanto riguarda invece la politica fiscale da adottare, implicante una scelta di fondo tra la tassazione in base alla fonte e alla residenza, il Tesoro americano ha ritenuto preferibile optare per l'imposizione del reddito nello Stato di residenza del soggetto che produce il reddito, poiché nel c.d. “cyberspazio” risulta piuttosto difficile applicare il concetto di fonte utilizzato per collegare la produzione del reddito ad uno specifico ambito territoriale. Va detto che questa posizione è stata poi confermata dagli USA in altri documenti, in cui essa è giustificata anche dall'opportunità di evitare ostacoli doganali al commercio elettronico, mantenendo la prassi di non imporre dazi sulle trasmissioni elettroniche.246 Sul piano dei successivi interventi normativi, va notato che le decisioni politiche adottate dal Governo federale degli USA si sono concretate in origine in una moratoria finalizzata a non ostacolare le transazioni elettroniche tra Stati federali. Si tratta di una posizione sancita dal legislatore federale attraverso l'Omnibus Appropriations Act del 1998 (meglio noto come Internet Tax Freedom Act) che ha comportato una moratoria in ordine all'istituzione di nuove forme d'imposizione discriminatorie degli scambi interstatali attuati con reti telematiche.247 La ragione della posizione si lega anche al fatto che la sale and use

246“A framework for global elettronic commerce” (1.1.1997), “Internet tax freedom Act (Congresso USA, 20.10.1998). Cfr. G. SACERDOTI, Introduzione: il commercio elettronico tra autonomia privata, interventi statali e iniziative internazionali, in G. SACERDOTI- G. MARINO, G. SACERDOTI- G. MARINO, Il commercio elettronico : profili giuridici e fiscali internazionali, Milano, 2001, pag. 23.

247La legge citata, adottata dal Congresso, il 20 ottobre 1998 (47 U.S.C.S. § 151 sec.1102, H.R.4328), la cui moratoria era in origine di tre anni (poi prorogati a 5), prevedeva che gli Stati non introducessero nuove imposte gravanti sull'e-commerce in attesa che fossero meglio comprese le implicazioni giuridiche del fenomeno e ha previsto l'istituzione di una E-commerce Advisory Commission, con il compito di studiare e monitorare l’evolversi dell’economia telematica composta rappresentanti delle imprese, del Governo federale e degli Stati federali, i cui lavori sono sfociati nel 2000 in un rapporto (reperibile in www.ecommercecommission.org) in cui si appoggia la proroga della moratoria e l’adozione di misure fiscali agevolative del commercio on-line (cui però si mostra contraria la dottrina tributarista americana: vedi nt. 102).

tax applicata sulle transazioni commerciali negli USA comporta che l'obbligo di riscuotere e versare il tributo sia disciplinato – tra l'altro – da due disposizioni, la Due Process Clause e la Commerce Clause, le quali sanciscono il principio secondo cui l'assoggettamento alla giurisdizione fiscale di uno Stato si verifica con la presenza fisica e sostanziale dell'operatore economico sul territorio.248 E' evidente che tanto le operazioni off line (vendite a distanza con consegna del bene in formato tradizionale ordinato per telefono, posta o anche internet) quanto quelle on-line sfuggono a tale requisito poiché, salvo il caso in cui la vendita di un bene avvenga tra cliente ed impresa localizzati nel medesimo Stato, l'impresa non è fisicamente presente nello Stato in cui si trova l'acquirente del bene.

Pertanto, la politica fiscale americana, sfavorevole in via di principio alla tassazione delle operazioni telematiche (e in ciò in evidente contrasto con le esigenze dell'UE) si coniuga non solo con ragioni di opportunità economica (non a caso gli USA sono tra i più importanti esportatori di tecnologia) ma anche con altre ragioni di ordine giuridico.249

Peraltro, tale posizione ha suscitato le critiche di una parte della dottrina americana per la quale alla base della pretesa di non tassare il commercio on line e l'equivoco di identificare la tassazione dell'accesso in Rete con la tassazione delle operazioni effettuate sulla Rete. Queste ultime andrebbero invece tassate, pena la riduzione del gettito fiscale da destinare al welfare o l'aumento di altre imposte

248 Cfr. G. CORABI, E-commerce ed imposizione indiretta nell'Unione europea: riflessioni a margine delle proposte di modifica della VI Direttiva, in il fisco n. 43 del 2001, pag. 13790 e ss. La Sales and Use Tax è, a differenza dell'IVA, un'imposta a "cascata" sulle vendite, che può o meno essere imposta dai singoli Stati federali e la cui l'aliquota varia da uno Stato all'altro. Prima dell'avvento di Internet, l'esclusione da questa imposta era limitata alle vendite per corrispondenza, per loro natura, trans-statali. I dati riportati dalla letteratura fiscale americana evidenziano con preoccupazione come l'aumento del commercio on line abbia determinato una forte contrazione del gettito degli Stati (quasi tutti tranne la California e il Nuovo Messco) che nonla applicano all'e-commerce, con conseguenti ricadute in termini di contrazione delle disponibilità per il welfare. Cfr. NEWMAN, The great internet tax drain, Technology Review, n. 5/6, 1996, il quale rilevava che nel 1995 il minor gettito causato dall'e-commerce per quell'anno era stimabile in oltre 3 miliardi di dollari.

249 Come nota G. CORABI, loc. cit., dal combinato disposto dell'art. 1, sez. 8, comma 3, e degli emendamenti nn. V e XIV della Costituzione federale, si evince la regola secondo la quale i singoli Stati non possono introdurre misure di qualsiasi natura (anche fiscale) i cui effetto sia quello di pregiudicare il commercio interstatale. Sulla base di ciò, il Governo federale ha adottato la richiamata moratoria.

per compensare la riduzione delle entrate fiscali imputabili all'aumento del commercio on line a scapito di quello bricks and mortar.250

2.2. La posizione dell'OCSE nell'imposizione diretta. Le ipotesi di