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1. La qualificazione del reddito nel commercio elettronico. Profili generali. La distinzione tra utili d'impresa e royalty in ambito convenzionale e nella tassazione dei soggetti Irpef ed Ires fiscalmente non residenti in Italia ai sensi del t.u.i.r. 2. La royalty come provento derivante dall'uso o dalla concessione in uso del bene immateriale. Profili generali 3. In particolare: la concessione in uso dei diritti d'autore. I diritti di riproduzione, di distribuzione e di comunicazione al pubblico sulla rete. Profili incidenti sulla qualificazione reddituale dei proventi tratti dai beni immateriali 4. Le modifiche al Commentario nella versione del 2008 e la posizione del Fisco nelle Risoluzioni n. 169/E del 30 luglio 1997 e n.128/E del 3 aprile 2008 5. Concessione in uso del bene immateriale e prestazione di servizi. In particolare: la distinzione nel commercio elettronico diretto tra concessione del know how e prestazione di consulenza informatica 6. Contratti misti e qualificazione reddituale 7. Qualificazione reddituale dei proventi tratti dal software 7.1 Corrispettivi derivanti da diritti che implicano una cessione "parziale" della proprietà 7.2 Corrispettivi relativi al solo diritto d'uso del programma 7.3 Corrispettivi per le cc.dd. «estensioni di licenza» 7.4 Corrispettivi per la concessione di know how 7.5 Corrispettivi per la cessione totale o parziale della proprietà del "copyright" 7.6 Corrispettivi pagati in relazione ai cc.dd. contratti misti 7.7 Il trattamento fiscale dei compensi corrisposti ad una software house non residente da un distributore italiano in ordine all'importazione di software standardizzato 7.8 Il trattamento fiscale del software prodotto su commissione 8. Le banche dati 9. La qualificazione reddituale degli altri prodotti digitali. Il ruolo dell'attività di downloading 10. Casistica OCSE TAG su transazioni nell'ambito dell'e-commerce.

1. La qualificazione del reddito nel commercio elettronico. Profili generali. La distinzione tra utili d'impresa e royalty in ambito convenzionale e nella tassazione dei soggetti Irpef ed Ires fiscalmente non residenti in Italia ai sensi del t.u.i.r.

Nel capitolo I si è evidenziata la centralità della forma digitale (la natura dematerializzata) dei beni nella disciplina fiscale del commercio elettronico diretto e come essa costituisca (il più delle volte) l'estrinsecazione di un bene immateriale inteso secondo la nozione elaborata in precedenza.

Nel capitolo III si è invece studiata l'attività d'impresa "dematerializzata" nel commercio elettronico diretto svolta tramite la stabile organizzazione e sono state esaminate le peculiarità di quella che abbiamo denominato stabile organizzazione “cibernetica”.

Occorre ora passare dal profilo dinamico a quello statico del commercio elettronico diretto, ossia dall’esame dell'attività d'impresa a quello delle singole operazioni telematiche in cui essa si sostanzia, provvedendo alla loro qualificazione in punto di diritto tributario interno ed internazionale.

A tale proposito, è opportuno premettere che in quest'ultima prospettiva le criticità di natura interpretativa ed applicativa ruotano essenzialmente intorno alla qualificazione dei proventi derivanti dalle transazioni telematiche come reddito d'impresa ai sensi del t.u.i.r. (e come utili d'impresa ai sensi dell'art. 7 del Modello OCSE) o come canoni (i.e. royalties) i quali – come già accennato in tema di beni immateriali – assumono una loro autonoma valenza fiscale a livello convenzionale (dove sono espressamente disciplinati dall'art. 12 del Modello OCSE) e nel t.u.i.r., seppure limitatamente all'ipotesi in cui essi siano percepiti da non residenti [cfr. art. 23, comma 2, lett. c), del t.u.i.r.].

Infatti, poiché gran parte dei beni digitali che formano oggetto di transazioni telematiche altro non sono che beni protetti dal diritto d'autore (si pensi al software), assume centrale rilievo stabilire se i proventi tratti da tali operazioni derivano dalla mera cessione di tali prodotti o invece dall'uso o dalla concessione in uso dei beni immateriali471 che si estrinsecano in essi.

Dall'inquadramento dei proventi citati nell'una o nell'altra categoria derivano importanti conseguenze di ordine pratico.

Se il reddito tratto dal commercio elettronico diretto percepito da un soggetto fiscalmente non residente in Italia costituisce reddito d'impresa, esso sarà ivi tassato solo ove derivi da un'attività svolta per il tramite di una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato (cfr. l’art. 23, comma 1, lett. e) del t.u.i.r., nonché gli artt. 151, comma 2 e 152, comma 2, del t.u.i.r. con specifico riferimento ai soggetti Ires).472 Se si è in presenza di canoni, il provento sarà

471Stante l’esposizione già effettuata sui beni immateriali, l’argomento verrà integrato in queste sede accennando ai diritti di sfruttamento economico del diritto di autore (rilevanti ai della qualificazione di proventi tratti dal software) e compiendo alcune ulteriori precisazioni sul software e sul know how in funzione della qualificazione del reddito tratto dalla loro cessione o dalla loro concessione in uso.

472Per la verità, l'art. 152, comma 2, del t.u.i.r. stabilisce il principio della forza d'attrazione della stabile organizzazione, per cui le società e gli enti commerciali non residenti con stabile organizzazione in Italia determinano il reddito complessivo secondo le regole del reddito d'impresa in base ad un apposito o dei profitti e delle perdite relativo alla gestione della stabile organizzazione e altre attività produttive di redditi imponibili in Italia. Secondo il t.u.i.r., pertanto, le royalties conseguite da un ente commerciale non residente con stabile organizzazione in Italia andrebbero incluse nel reddito complessivo imponibile della stabile organizzazione secondo le regole del reddito d'impresa anche se derivanti da diritti che non sono relativi alla stabile organizzazione. Tuttavia, in presenza di una convenzione conforme al Modello OCSE stipulata tra l'Italia e lo Stato contraente in cui risiede l'ente commerciale con stabile organizzazione in Italia, torna applicabile il principio della forza di attrazione "limitata" per cui la royalty sarà tassabile in

tassato in Italia (i.e. nello Stato della fonte) con la ritenuta alla fonte a titolo d'imposta del trenta per cento ai sensi dell'art. 25, comma 4, del d.p.r. n. 600 del 1973, salva l'applicazione delle più favorevoli ritenute previste, di volta in volta, dalle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate tra l'Italia e il singolo Stato contraente in cui risiede fiscalmente il beneficiario del reddito.473 A tale proposito, occorre sottolineare che mentre l'art. 12 del Modello OCSE prevede la tassazione delle royalties in via esclusiva nello Stato di residenza del beneficiario, le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia prevedono invece la loro tassazione concorrente nello Stato della fonte.474 Può anche darsi il caso che la royalty sia esentata dalla ritenuta nello Stato della fonte ove ricorrano i requisiti di cui alla direttiva n. 2003/49/CE (concernente il regime fiscale applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi), recepiti dall'Italia all'art. 26-quater del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600.475 In tal caso l'esenzione sarà estesa anche ai proventi relativi all'uso e alla concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali e scientifiche, altrimenti tassati con ritenuta alla fonte ai sensi dell'art. 25 del d.p.r. n. 600 del 1973.

Italia solo se il diritto o il bene da cui deriva il provento sia effettivamente connesso a tale stabile organizzazione. Cfr. C. GARBARINO,

473 Le aliquote convenzionali variano da un minimo del 4 per cento (v. Convenzione con la Spagna, art. 12) ad un massimo del 30 per cento (Convenzione con il Pakistan, art. 12 par. 2). All'interno di singole convenzioni le aliquote variano a seconda del tipo di royalties. Le aliquote subiscono modificazioni anche rilevanti, in relazione alle singole Convenzioni applicabili in Italia. Poiché ai sensi dell'art. 169 del t.u.i.r., le norme convenzionali non possono generare fattispecie impositive non previste dalla normativa domestica dei singoli Stati contraenti (questo è il senso di tale disposizione nonostante la "sua infelice formulazione": così L. PERRONE, La stabile organizzazione, in Rass. Trib. n. 3 del 2004, pag. 804; v. A. AMATUCCI, Il conflitto tra norme internazionali ed interne tributarie, in Riv. dir. trib. intern., 1999, pagg. 67-68, nota 24), nell'improbabile ipotesi che la disposizione convenzionale sia più gravosa di quella interna (i.e. l'aliquota convenzionale sia più elevata di quella interna) troverà applicazione quest'ultima. 474Questo diversamente da quanto avviene nelle altre due categorie di c.d. investment income (dividendi e gli interessi), in relazione alle quali gli artt. 10 e 11 del Modello OCSE, pur prevedendo il sistema della tassazione nello Stato del percettore, prevede altresì l'applicabilità del sistema della tassazione nello Stato del pagante con ritenuta ad aliquote ridotte: cfr. C. GARBARINO, Voce «royalty» (diritto tributario internazionale). Tuttavia, non mancano casi in cui nelle convenzioni stipulate dall'Italia si deroga alla tassazione concorrente. Si veda l’art. 12, par. 3 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia: l’ «uso o la concessione in uso di un diritto d'autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche (ad eccezione dei canoni relativi a “software”, a pellicole cinematografiche ed altre registrazioni di suoni o di 5 immagini) sono imponibili soltanto in questo altro Stato, qualora detto residente ne sia l'effettivo beneficiario».

475Per un esame dei requisiti cui la direttiva citata ricollega l’applicazione del beneficio dell’esenzione della ritenuta sui canoni e gli interessi corrisposti tra società consociate, si rinvia alla Circolare n. 47/E del 2 novembre 2005.

Se invece il reddito è di fonte estera e il suo percettore è un'impresa commerciale fiscalmente residente in Italia, tale provento sarà ivi qualificato come reddito d'impresa ai sensi dell'art. 55 del t.u.i.r., ma il suo inquadramento tra gli utili d'impresa o le royalties ai sensi della convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra l'Italia e lo Stato delle fonte assumerà comunque rilievo al fine di stabilire se, rispettivamente, esso vada tassato nello Stato della fonte ai sensi dell'art. 7 del Modello OCSE (il che avverrà solo se il reddito rientra in un'attività economica ivi svolta dall'impresa italiana per il tramite di una stabile organizzazione e «il diritto o i beni generati dai canoni si ricollegano effettivamente a tale stabile organizzazione»: cfr. art. 12, par. 3 del Modello OCSE)476 o se invece debba comunque essere tassato in tale Stato con la ritenuta convenzionale (ove prevista). A questo proposito, occorre sottolineare che – seppure con specifico riferimento alle stabili organizzazioni di società UE che beneficiano dell’applicazione della direttiva n. 2003/49/CE477 – il requisito dell'effettiva connessione dei canoni corrisposti con l'attività della stabile organizzazione si collega al fatto che essi siano inerenti a tale attività. La relazione di accompagnamento al d. lgs. n. 143 del 2005, con cui è stata recepita la direttiva n. 2003/49/CE, chiarisce che la specificazione del concetto di inerenza si lega al fatto che la direttiva stabilisce che «la stabile organizzazione è considerata pagatore di interessi o canoni soltanto nella misura in cui i pagamenti in questione rappresentano per la stabile organizzazione spese fiscalmente deducibili nello Stato membro in cui è situata». Peraltro, come evidenziato dalla Circolare n. 47/E del 2005, la definizione fornita dalla direttiva “canoni ed interessi” fa riferimento «alla sussistenza del requisito dell'effettiva connessione degli interessi e dei canoni corrisposti con l'attività della stabile organizzazione, e non ad un criterio di effettiva deduzione dei sopradetti

476 Art. 12, par. 3, del Modello OCSE: «Le disposizioni del paragrafo 1 non si applicano nel caso in cui il beneficiario dei canoni, residente di uno Stato contraente, eserciti nell'altro Stato contraente dal quale provengono i canoni un'attività economica per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata, ed il diritto o i beni generati dai canoni si ricollegano effettivamente a tale stabile organizzazione. In tal caso si applicheranno le disposizioni dell'art. 7».

477 In seguito all'approvazione della direttiva citata, il Governo italiano, in base alla delega di cui all’art. 1, commi 1 e 2, della l. 31 ottobre 2003, n. 306, recante "Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2003" ha attuato la direttiva con d.lgs. 30 maggio 2005, n. 143 (in Gazzetta Ufficiale n. 172 del 26 luglio 2005).

pagamenti. Quanto specificato nella Direttiva, infatti, mira ad individuare con certezza quando i redditi pagati siano realmente inerenti all'attività svolta dalla stabile organizzazione e, di conseguenza, imputabili all'oggetto economico della stabile organizzazione stessa e non a quello della casa madre.»478

In termini più generali, l'inquadramento o meno dei proventi derivanti dal commercio elettronico diretto tra le royalties può portare a diverse conclusioni a seconda che essi derivino dall'uso o dalla concessione in uso di un bene immateriale o invece si sostanzino in una componente positiva di reddito originata dalla cessione di un bene digitale in cui si estrinseca il bene immateriale o da una prestazione di servizi.

Tre sono i principali profili che involgono in tale ambito il commercio elettronico. Il primo consiste nella distinzione tra la cessione integrale del bene immateriale e la cessione "parziale", ossia la sua concessione in uso, da cui discendono importanti conseguenze in ordine alla qualificazione reddituale, poiché nel primo caso si versa in tema di reddito d'impresa (utili d'impresa ex art. 7 del Modello OCSE) e nel secondo in tema di royalties.

Il secondo profilo attiene alla distinzione tra la cessione del bene digitale protetto dal diritto d'autore e la concessione in uso del bene immateriale. In tale ambito assume fondamentale importanza la differenza che intercorre tra la cessione del c.d. software standardizzato e la concessione in uso del software inteso come bene immateriale tutelato dal diritto d'autore, il quale può riguardare uno o più profili in cui si articola la privativa sulla proprietà intellettuale: il diritto di riproduzione, di distribuzione, di modifica, di esibizione del software etc.

Infine, il terzo profilo concerne la distinzione tra la concessione in uso del bene immateriale e la prestazione di servizi (rientrante tra le attività produttive di reddito d'impresa o, nell'ottica convenzionale, di utili d'impresa ex art. 7 del Modello OCSE). Può infatti accadere che la medesima prestazione abbia una connotazione – per così dire – "ibrida", in cui confluiscono elementi propri della concessione in uso di un bene immateriale e di una prestazione di servizi (si pensi al contratto di franchising), con importanti ricadute sul trattamento fiscale della fattispecie, oppure che il facere del prestatore si concreti nella creazione di un

bene immateriale per conto del destinatario della prestazione o – ancora – che la sofisticatezza delle prestazioni di consulenza tecnica rese renda difficile prima facie stabilire se, ad esempio, ci si trovi di fronte alla concessione di un know how o piuttosto ad una prestazione di servizi.

Il tema della qualificazione reddituale delle operazioni dell'e-commerce diretto – aventi ad oggetto anche l'uso o la concessione in uso di beni immateriali e la prestazione di servizi on line – ha costituito oggetto di un'interessante analisi casistica da parte dell'OCSE nel documento General Conclusions on Treaty Characterisation Issues and Analysis of E-Commerce Transactions, pubblicato nel 2000.479

Ancorché in questa sede non sia possibile diffondersi in dettaglio sulle fattispecie ivi esaminate, nel prosieguo sarà opportuno dar conto di alcune tra le ipotesi più interessanti considerate in tale sede dall'OCSE.

Prima di ciò, è tuttavia opportuno esaminare preliminarmente la nozione di royalty ed individuarne i tratti salienti.

2. La royalty come provento derivante dall'uso o dalla concessione in uso del bene immateriale. Profili generali.

Le radici del termine royalty vanno ricercate nel periodo storico dell'età moderna. In tale fase storica i sovrani rilasciavano la c.d. "graziosa concessione reale" con cui attribuivano in via originaria il diritto di sfruttamento dei rapporti commerciali con talune aree del mondo a determinate persone o enti (le prime società anonime).480

La denominazione attuale risente del collegamento ideale tra il monopolio del sovrano e quello attuale, regolato dalla legge e che attribuisce al titolare dei diritti

479Il testo è stato pubblicato – tra l'altro – in Riv. Dir. Trib., 2000, IV, pagg. 283 ss. Per un esame della casistica ed alcune considerazioni in argomento (salvo quanto si dirà in seguito) si veda S. MAYR, Dall’OCSE la qualificazione dei proventi da «e-commerce», Corr. Trib., 2001, pagg. 1400 ss.

480 Si pensi alla Compagnia delle Indie Orientali (a tal fine dotata di responsabilità limitata). Per i riferimenti storici si rinvia a M. GREGGI, Profili fiscali della proprietà intellettuale: le royalty nelle imposte dirette, Ferrara, 2008, pagg. 14-15, in cui sono reperibili interessanti riferimenti storici e bibliografici.

sulla proprietà intellettuale – seppure per un arco di tempo limitato – una privativa che può essere sfruttata economicamente.481

Da notare che mentre la versione del 1977 del Modello OCSE ricomprendeva tra le royalties anche i proventi derivanti dallo sfruttamento economico di beni materiali consistenti in “attrezzature industriali, commerciali e scientifiche” (come tutt’oggi avviene nell’ambito della direttiva “interessi e canoni”),482 la versione del Modello del 1992 ne ha circoscritto l’ambito oggettivo ai beni immateriali intesi nel senso prospettato in precedenza (v. il capitolo I).

In particolare, l'art. 12, par. 3, dispone che il termine «canoni» (royalties in inglese e redevances in francese) designa i compensi di qualsiasi natura corrisposti per l'uso o la concessione in uso di un diritto d'autore su opere letterarie, artistiche o scientifiche, incluse le pellicole cinematografiche (il modello dell'ONU aggiunge «films o nastri usati per trasmissioni radiofoniche o televisive») di brevetti, marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule o processi segreti, o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico.483

481Cfr. M. GREGGI, op.cit., pag. 17, il quale osserva che il collegamento con sfruttamento dei beni immateriali «può forse essere trovato nel fatto che la disciplina giuridica della proprietà industriale e del diritto d'autore ha trovato la sua origine in statuti del Sovrano che garantivano al titolare di un bene (un'opera letteraria, una scoperta scientifica, e via dicendo) lo sfruttamento esclusivo della stessa. Questa forma di tutela non poteva essere trovata nel diritto comune, che naturalmente postulava la materialità del bene come elemento imprescindibile per ogni forma di salvaguardia.». In realtà, se la Rivoluzione francese segna una soluzione di continuità con gli antichi privilegi reali, abolendo i diritti di monopolio ed estendendo ai beni immateriali il regime del diritto di proprietà. Tuttavia, come ha osservato MESSINETTI, voce «Beni immateriali» (dir. privato), in Enc. giur. Treccani, V, Roma, pag. 5, «si trattò di una riforma più che altro verbale, giacché, una volta esteso il regime della proprietà ai beni immateriali, in concreto i diritti di questi ultimi continuarono ad essere caratterizzati a un contenuto sostanzialmente identico a quello dei diritti di monopolio».

482La norma convenzionale avente ad oggetto le fattispecie di royalties transnazionali si applica in via autonoma rispetto alle norme interne. Questo perché tale norma convenzionale non contiene, come altri similari norme definitorie, un rinvio alla norma interna, per cui può essere applicata indipendentemente da esse. Sulla interpretazione c.d. «in via autonoma» delle Convenzioni: C. GARBARINO, La tassazione del reddito transnazionale, Padova, 1990, pag. 546.

483Con Circolare n. 42 del 12 dicembre 1981, l'Amministrazione finanziaria aveva fornito una interpretazione estensiva della nozione di royalty, precisando che «i redditi cui si applica la normativa in esame sono costituiti da compensi corrisposti per l'utilizzazione di marchi di fabbrica e di commercio, di opere dell'ingegno, di invenzioni industriali e simili; trattasi, in effetti, di corrispettivi per l'utilizzazione di marchi di fabbrica e di commercio, di opere dell'ingegno, di invenzioni industriali e simili; trattasi, in effetti, di corrispettivi per l'uso o la concessione in uso di una vasta gamma di beni immateriali per i quali il legislatore ha usato una espressione sintetica, con un riferimento residuale ("e simili") ai beni immateriali di natura analoga a quelli elencati, per i quali si rende possibile, nei sistemi industriali evoluti, uno sfruttamento produttivo di redditi. E tale scelta legislativa e' ben comprensibile ove si consideri che la disposizione richiamata,

Le singole convenzioni contro le doppie imposizioni possono talvolta ampliare l’ambito applicativo delle royalties sino a ricomprendervi fattispecie che, secondo il Modello OCSE e/o l'interpretazione del relativo Commentario, non vi rientrano affatto (come talune prestazioni di consulenza, tecnica o legale) o che possono non rientrarvi nel caso di specie, così come – viceversa – può accadere che vengano escluse fattispecie che potrebbero o dovrebbero rientrarvi secondo il Commentario. Con riferimento a quest’ultimo caso si pensi – ad esempio – all’art. 12 della vigente convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia ed Australia, in cui si stabilisce che rientrano nell’ambito delle royalties i proventi derivanti «esclusivamente» dall’uso o dalla concessione in uso del software e di altri beni immateriali, per cui, contrariamente a quanto si prevede ai sensi del Commentario, in presenza di contratti cc.dd. misti (su cui v. infra), consistenti in parte in prestazione di servizi e in parte nella concessione d’uso di un bene immateriale, il provento rientrerà tra gli utili d’impresa anche se nella fattispecie contrattuale sia prevalente la parte relativa alla concessione d’uso di un bene immateriale.