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CAPITOLO II LE PREVISIONI ITALIANE IN TEMA DI CFC

1.2 Le possibili ragioni per una CFC rule

Dopo la diffusa introduzione da parte dei singoli Stati di norme concernenti le società estere, la dottrina127

124 DDL 28 luglio 1999, n.4185, “Disposizioni antielusive di carattere speciale per il contrasto

all’elusione fiscale internazionale”.

si è spesso interrogata su quali potessero essere le

125 Tale circostanza esimente era contenuta nell’art.4 del sopra citato DDL.

Per una più ampia trattazione delle modifiche legislative rivolte alla prima esimente si veda Lupi R., “Principi generali in tema di C.F.C. e radicamento territoriale delle imprese”, in Rassegna tributaria, 2000, n.6.

Successivamente sarà evidenziato come il riferimento al mercato dello Stato estero è stato introdotto nell’art. 167 TUIR.

126 La considerazione della soglia del 75% è avvalorata anche dall’Agenzia delle Entrate la quale

nella Risoluzione 18/E del 29/01/2003 rimanda al sopra citato articolo.

Sull’argomento si veda Corasaniti G., “Le misure di contrasto ai paradisi fiscali per le imprese e le persone fisiche”, in Diritto e pratica tributaria internazionale, 2016, n.1, p.68 ss.

127 Principalmente si sono espressi sul tema Ballancin A., “Note ricostruttive sulla ratio

sottesa alla disciplina italiana in tema di Controlled Foreign Companies”, in Rivista di Diritto Tributario, 2008, fasc.1, p.13 ss., Cordeiro Guerra R., “Riflessioni critiche e spunti sistematici sulla introducenda disciplina delle controlled foreign companies”, in Rassegna tributaria, 2000, n.5, Garufi S., “La nuova disciplina delle cfc”, in Rassegna

40 ragioni giustificatrici di tali previsioni individuandole, principalmente, nella volontà di contrastare l’elusione fiscale, di contrastare l’interposizione fittizia o di realizzare la c.d. capital export neutrality.

Per quanto riguarda la ratio antielusiva della norma questa ne comporta una applicazione nel caso in cui il contribuente ponga in essere fattispecie elusive della legislazione nazionale le quali, in tema di CFC, si concretizzano nel c.d. tax deferral, ossia quel comportamento che permette di spostare in avanti, presumibilmente all’infinito, la tassazione degli utili derivanti dalla partecipazione128

Il collegamento tra disposizioni sulle CFC e contrasto all’interposizione fittizia è, invece, individuato nel fatto che le norme oggetto di studio sono indirizzate a tassare nello Stato di residenza quei redditi prodotti solo in via apparente all’estero la cui fonte resta comunque collocata nel primo Stato. In tal caso la società estera funge da soggetto interposto nel quale il controllante residente fa transitare redditi non prodotti in quello Stato

nel soggetto estero. Seguendo questa impostazione le regole sulle società estere sono pensate per tutelare le entrate del sistema tributario nazionale evitando così una possibile erosione della base imponibile.

129

tributaria, 2010, fasc.3, p.619 ss., Lancelotti N., “La disciplina sulle imprese partecipate estere fra compatibilità con il diritto comunitario, con le norme convenzionali e costituzionalità”, in Diritto e Pratica Tributaria Internazionale, 2014, n.1, p.109 ss. e Ingrao G., “D.L. Anticrisi e stretta sulla normativa CFC: contrasto agli abusi fiscali o miopia del legislatore”, in Rassegna Tributaria, 2010, fasc.1, p.87 ss.

. In tal caso il contribuente residente si avvale delleìo schermo societario per evitare la tassazione del reddito in Italia in quanto, generalmente, il reddito conseguito da una società estera non può essere tassato

128 Il fatto che il legame sia connotato dall’esistenza di un rapporto partecipativo è rilevante ai

fini della ratio presa in esame perché solo in questo modo viene garantita l’influenza esercitabile dal soggetto estero su quello residente in tema di distribuzione degli utili.

129 Il perseguimento di tale ratio da parte delle norme sulle società estere è stata individuata in

particolare da Guerra R., “Riflessioni critiche e spunti sistematici sulla introducenda disciplina delle controlled foreign companies”, in Rassegna tributaria, 2000, n.5. L’Autore colloca le disposizioni sulle CFC nel novero delle regole anti-evasive in quanto riconducibili, ad esempio, all’art.37, c.3, D.P.R 600/1973 il quale dispone l’imputazione in capo all’interponente dei redditi conseguiti da un soggetto ad esso interposto. L’autore sostiene inoltre che questa sia la

ratio perseguita dalla legislazione italiana in base al disposto dell’art.127 bis del TUIR il quale

stabilisce la tassazione in Italia del reddito conseguito dal soggetto estero e non del dividendo spettante al soggetto residente.

In realtà la dottrina non ha poi avvalorato tale ipotesi relativamente alla ratio della CFC italiana orientandosi piuttosto al contrasto al tax deferral e alla capital export neutrality.

41 dall’altro Stato fino ad una sua distribuzione in quanto la società è autonomo soggetto passivo d’imposta. L’esistenza di una simile motivazione alla base delle norme sulle società estere può essere presa in considerazione soprattutto se si guardano le circostanze esimenti le quali, nella maggior parte dei casi, prevedono l’inapplicabilità della disciplina in caso di dimostrazione da parte del contribuente dell’effettività dell’attività svolta all’estero.

Infine le CFC rules potrebbero essere considerate norme atte a conseguire la capital export neutrality130 ovvero quella condizione nella quale il soggetto

residente che investe all’estero è parificato a quello che investe nel proprio Stato. In questa situazione le strategie d’investimento sono totalmente slegate dalla considerazione della variabile fiscale in quanto, utilizzando il metodo del credito d’imposta per evitare casi di doppia imposizione, l’investitore paga l’aliquota stabilita dal proprio ordinamento perdendo il beneficio della minor imposizione riconosciuta dallo Stato estero. In linea di massima si può affermare che il raggiungimento della neutralità fiscale ha l’obiettivo di disincentivare i soggetti residenti ad investire in Stati esteri131

Alla luce di quanto detto si può affermare che la primaria ragione giustificatrice dell’esistenza di norme sulle società controllate estere è legata alla volontà di evitare spostamenti di redditi dallo Stato di residenza a quello estero; ciò nonostante la disciplina pensata da ogni ordinamento diverge dalle altre a seconda dell’impianto costruttivo voluto dal legislatore. Se la ratio antielusiva può essere vista quale ratio originaria anche sulla base dei contributi apportati dall’OCSE, in realtà questa è affiancata, all’interno di ogni Stato, da ragioni ulteriori le quali dipendono direttamente dalle scelte fiscali operate dal legislatore interno e legate alla coerenza dell’intero sistema fiscale

.

132.

130 Sul tema si veda tema Ballancin A., “Note ricostruttive sulla ratio sottesa alla disciplina

italiana in tema di Controlled Foreign Companies”, in Rivista di Diritto Tributario, 2008, fasc.1, p.15 ss.

131 Ibid., p.16. Il perseguimento della neutralità fiscale era contenuto nella disciplina

inizialmente prevista negli Stati Uniti. Questa finalità, infatti è generalmente perseguita dagli ordinamenti che adottano il global approach.

132 Si veda Ballancin A., “Il regime di imputazione del reddito delle imprese estere controllate”,

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