CAPITOLO II LE PREVISIONI ITALIANE IN TEMA DI CFC
1.3 La ratio della disciplina italiana
Le disposizioni italiane in tema di Controlled Foreign Company, disciplinate oggi dall’articolo 167 del TUIR, rientrano tra le disposizioni antielusive ed in particolare hanno l’obiettivo di evitare che si verifichi un’artificiosa sottrazione della base imponibile dell’ordinamento interno. In generale tale sottrazione si verifica perché il soggetto residente controllante di una società estera ritarda la distribuzione, sotto forma di dividendi, dei redditi da questa conseguiti evitando in tal modo di assoggettare a tassazione in Italia una quota della sua ricchezza.
È importante sottolineare come il legislatore censuri il tax deferral solo nel caso in cui questo abbia ad oggetto gli utili conseguiti da una “struttura-schermo” che non esercita alcuna attività senza, invece, rilevare qualora gli utili spettanti al soggetto residente siano conseguiti da un ente che svolge un’attività economica. L’obiettivo del legislatore è, quindi, quello di contrastare solo lo spostamento abusivo di reddito che risulta scollegato da ogni qualsivoglia giustificazione economica.
Tale motivazione è il linea anche con il disposto letterale della norma ed in particolar modo con l’importanza da questo attribuita al legame esistente tra i due soggetti individuato nella presenza del controllo133
Nonostante tale finalità sia oggi accolta dalla maggior parte della dottrina ai sensi dell’articolo 2359 del Codice Civile. Solo in questo caso, infatti, il soggetto residente ha la possibilità di influenzare le decisioni di distribuzione del reddito dell’ente estero.
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In particolare l’estensione della disciplina alle società collegate estere era contraria all’idea di contrastare il tax deferral poiché il soggetto residente, non avendo il gli interventi legislativi avvenuti successivamente al 2000, anno di introduzione delle CFC rules, hanno destato alcune perplessità circa la finalità della normativa stessa la quale sembrava staccarsi dalla ratio originaria mutando la sua natura.
133 Molto importante a tal fine è l’esclusione del controllo sulla base di vincoli contrattuali se
accanto a questo non sussiste anche un legame partecipativo come sopra delineato.
134 Fra gli altri Garufi S., “La nuova disciplina delle cfc”, in Rassegna tributaria, 2010,
fasc.3, p.619 ss., Lancelotti N., “La disciplina sulle imprese partecipate estere fra compatibilità con il diritto comunitario, con le norme convenzionali e costituzionalità”, in Diritto e Pratica Tributaria Internazionale, 2014, n.1, p.109 ss. e Ingrao G., “D.L. Anticrisi e stretta sulla normativa CFC: contrasto agli abusi fiscali o miopia del legislatore”, in Rassegna Tributaria, 2010, fasc.1, p.87 ss, Tosi L., Baggio R., “Lineamenti di diritto tributario internazionale”, 2016, CEDAM, p.95 ss.
43 controllo della società estera, non avrebbe avuto la possibilità di esercitare un’influenza dominante in termini di decisioni riguardanti la distribuzione dell’utile conseguito e non si sarebbe, quindi potuta verificare la fattispecie che le norme in oggetto volevano osteggiare. Un simile intervento sembrava spostare la ratio della norma: da disciplina puramente antielusiva, come pensata in sede di sua primaria introduzione, a disciplina legata alla volontà di arginare l’interposizione fittizia. Così facendo il legislatore andava a contrastare lo spostamento di redditi nel soggetto interposto, cioè la società estera residente in uno Stato a fiscalità privilegiata, facendo venir meno la preoccupazione legata al solo tax deferral poiché veniva meno la considerazione del rapporto esistente tra controllante e controllato.
La successiva estensione dell’applicabilità della disciplina alle società estere localizzate in Stati non appartenenti alla black list sembrava affiancare alla ratio puramente antielusiva sopra esaminata quella collegata all’ottenimento della c.d capital export neutrality. In questo caso il legislatore italiano, dopo aver previsto l’adozione di un approccio jurisdictional, integrava nell’ordinamento l’approccio global anche se non nella versione totalizzante. Tale approccio, attraendo a tassazione i redditi indipendentemente dalla localizzazione dell’investimento, era affine alla realizzazione della neutralità fiscale tra soggetti investitori in Italia e all’estero. Applicando la disciplina sulle CFC a tutte le società estere a prescindere dalla loro localizzazione si andava, infatti, ad equiparare la posizione dei soggetti che investivano all’estero con quelli che investivano in Italia.
In realtà, come sarà diffusamente spiegato in seguito, tali modifiche non hanno mutato la ratio attuale della disciplina poiché queste sono poi state abrogate dal legislatore o affiancate da specifiche disposizioni che le rendono applicabili solo ai casi di elusione da parte del contribuente, ma hanno comunque individuato ulteriori finalità perseguite dalle CFC rules da affiancare a quella antielusiva.
È possibile, quindi affermare che le ragioni legate all’introduzione della normativa sulle società estere sono ancora oggi ravvisate nonostante le numerose modifiche che hanno caratterizzato questa disciplina. La sua ratio antielusiva appare, inoltre, in linea con quanto stabilito in ambito internazionale già nel 1998 con il Report “Harmful Tax Competition” e poi ribadito nel 2015 all’interno del progetto BEPS.
44 Nonostante la preoccupazione legata alla volontà di eliminare il tax deferral risulti quale ragione caratterizzante della disciplina accanto ad essa un’ulteriore finalità può essere ravvisata guardando all’impianto normativo costruito dal legislatore. Se l’interposizione fittizia non è stata più di tanto avvalorata quale ratio della disciplina sulle CFC in quanto ravvisata più che altro nell’impianto letterale della norma135
Alcuni tratti caratteristici dell’articolo 167 del TUIR quali l’estensione della disciplina a tutte le società estere, anche white list, e il riconoscimento del credito d’imposta quale metodo per arginare la doppia imposizione sembrano legare le ragioni di esistenza di tali norme anche a quest’ultima ratio. In particolare il credito d’imposta è il metodo prescelto per ottenere la c.e.n., solo in questo caso, infatti, è assicurata la neutralità fiscale poiché il residente sconta comunque l’aliquota applicata dal suo Stato senza nulla rilevare la variabile fiscale in tema di localizzazione degli investimenti
, lo stesso non può dirsi per la capital export neutrality.
136. Se la ragione antielusiva sembra essere la
prevalente, questa in ogni caso non può dirsi l’unica ragione di esistenza delle CFC rules.