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Il principio di proporzionalità e le sentenze della CGUE sui casi Lankhorst – Hohorst e

CAPITOLO II LE PREVISIONI ITALIANE IN TEMA DI CFC

1. L’incompatibilità nel caso italiano

1.3 Il principio di proporzionalità e le sentenze della CGUE sui casi Lankhorst – Hohorst e

Il principio di proporzionalità deve essere rispettato da tutte le norme istituite dagli Stati Membri dell’Unione Europea che prevedono una limitazione delle libertà fondamentali garantite dal Trattato.

In linea generale una misura si definisce proporzionale se il suo disposto non eccede quanto è ritenuto necessario per conseguire il suo scopo, quindi se è possibile individuare un metodo diverso e meno oneroso di quello contenuto nella disposizione al fine di restringere l’esercizio delle libertà fondamentali si può affermare la non proporzionalità della norma.

Nello specifico ambito di applicazione delle CFC rules una norma antielusiva, per essere considerata proporzionale, deve soddisfare alcuni requisiti: la sua applicazione deve essere limitata ai soli casi in cui il soggetto residente può effettivamente, tramite la detenzione del controllo, influenzare le decisioni di distribuzione degli utili; i redditi tassati devono essere uguali a quelli che vengono sottoposti a tassazione in capo alle società residenti e deve contrastare il tax deferral solo nei casi in cui la società controllata estera risulti effettivamente investita dal conseguimento di un considerevole vantaggio fiscale194

Per quanto riguarda la disciplina delle società estere contenuta nell’ordinamento italiano al suo interno possono essere ravvisate numerose ipotesi di contrarietà al

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193 Pare importante sottolineare come, in realtà, nella previsione italiana il contribuente non è

sottoposto al solo onere probatorio, ma su di esso ricade anche il dovere di procedere ogni anno al confronto tra la tassazione effettiva estera e quella virtuale domestica, procedimento che, come evidenziato in precedenza, risulta assai laborioso.

194 Si veda Sacchetto C., Plebani S., “Compatibilità della legislazione Cfc italiana con le norme

69 principio comunitario di proporzionalità, queste sono talvolta legate all’ambito di applicazione della normativa e altre volte agli oneri posti a carico del contribuente residente.

Sotto il primo punto di vista i contenuti “problematici” sono quelli di cui ai commi 1 e 8 bis dell’articolo 167 TUIR. Nel caso della disciplina CFC white list il problema in merito alla proporzionalità è riscontrabile soprattutto nel disposto delle lettere a) e b). Le condizioni, infatti per cui una società estera, anche residente nel territorio dell’Unione Europea, viene presumibilmente considerata artificiosa non sembrano rispettare parametri in grado di sottendere la non genuinità di una struttura, anzi sembrano addirittura recare pregiudizio a quelle società esercenti attività finanziarie le quali, per definizione, conseguono un reddito formato per la maggiore da passive income. Per di più il tax rate test richiesto dalla lettera a), oltre a non garantire l’inesistenza dello svolgimento di un effettiva attività economica, pone un eccessivo onere in capo al contribuente il quale è tenuto a svolgere un complesso calcolo soprattutto ai fini della quantificazione delle imposte virtuali domestiche.

Per quanto riguarda, invece, il disposto del comma 1 dell’articolo 167 del TUIR il problema in merito alla proporzionalità sorge con riferimento all’applicabilità della tassazione per trasparenza disposta dalla disciplina sulle Controlled Foreign Companies al caso della stabile organizzazione, infatti il comma 1 stabilisce che “(…)Tale disposizione si applica anche per le partecipazioni di controllo in soggetti non residenti relativamente ai redditi derivanti da loro stabili organizzazioni assoggettati ai predetti regimi fiscali privilegiati.” Stando al disposto letterale di tale comma è evidente come le società dell’Unione possano essere assoggettate alla disciplina CFC non solo in ragione della previsione contenuta nel comma 8 bis, ma anche nel caso di cui al comma 1. Risulta, infatti evidente che la fattispecie sopra delineata può verificarsi anche nel caso in cui un soggetto residente detenga una partecipazione di controllo in una società residente nell’UE la quale, a sua volta, esercita la proprio attività mediante una stabile organizzazione situata in un Paese a fiscalità privilegiata. In tal caso la suddetta previsione sembra andare oltre a quanto ritenuto necessario per combattere i comportamenti elusivi posti in essere dal contribuente poiché, in caso di partecipazione in una società residente in un

70 territorio white list, i redditi derivanti dalla stabile organizzazione e di spettanza della società risultano comunque tassati ad un’aliquota normale. Non sembra, quindi necessaria la disposizione contenuta nella normativa interna, infatti con la sua applicazione si andrebbero ad attrarre in Italia redditi già congruamente tassati in un altro Stato195

Sul tema della proporzionalità anche la Corte ha avuto modo di esprimersi, ad esempio, nel caso Lankhorst – Hohorst

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196 il quale aveva ad oggetto la normativa

fiscale tedesca in tema di tassazione dei dividendi197. Secondo l’interpretazione fornita dalla CGUE la normativa tedesca andava ben oltre quanto necessario per evitare l’elusione fiscale, infatti il credito d’imposta sui dividendi distribuiti dalla società non veniva riconosciuto nei confronti dei soggetti non residenti198 senza effettuare alcuna considerazione circa la genuinità della struttura. La suddetta previsione è stata considerata illegittima199 in quanto destinata ad escludere dall’ottenimento di un vantaggio fiscale qualsiasi soggetto estero e non solo le costruzioni artificiose poiché non veniva preso in considerazione il fatto che la società partecipante di quella tedesca potesse subire, in realtà, una tassazione normale in un altro Stato Membro200

195 In particolare sul tema si sono espressi Gariboldi P., La Candia I., Marraffa V., “Sulla

compatibilità della normativa CFC con le convenzioni internazionali ed il diritto comunitario”,

cit., p.966-967 dove si legge “(…) In tal caso, infatti, essendo i redditi prodotti dalla stabile

organizzazione, tassati a regime fiscale ordinario, la CFC rule andrebbe oltre quanto strettamente necessario per raggiungere l’obiettivo prefissato.”

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196 Corte di Giustizia Europea, Sez. V, n. C – 324/00 del 12/12/2002.

197 La normativa prevedeva il riconoscimento di un credito d’imposta in capo agli azionisti

residenti in caso di distribuzione dei dividendi da parte della società, ma lo stesso trattamento non era previsto nei confronti degli azionisti non residenti. Inoltre era stabilito che i rimborsi dei finanziamenti concessi a una società tedesca da una società non residente avevano la natura di distribuzioni di utili.

198 Ivi inclusi quindi gli stabilimenti insediati nell’Unione Europea.

199 Par.37 della sentenza “Per quanto riguarda più specificamente la giustificazione fondata sul

rischio di evasione fiscale, occorre sottolineare che la normativa controversa nella causa principale non ha l'obiettivo specifico di escludere da un vantaggio fiscale le costruzioni puramente artificiose il cui scopo sia quello di eludere la normativa fiscale tedesca, ma ricomprende, in via generale, qualunque situazione in cui la società capogruppo abbia la sua sede, per qualsiasi motivo, fuori dalla Repubblica federale tedesca. (…)”

200 Questa fattispecie può ben essere raffrontata con il caso della tassazione della stabile

organizzazione previsto dalla normativa italiana e precedentemente trattato, infatti quanto disposto dall’art. 167 del TUIR applica la tassazione in base alle regole sulle CFC anche nel caso in cui ci sia una società controllata residente in uno stato UE posta tra la società controllante e la stabile organizzazione.

71 Il principio di proporzionalità opera anche nei confronti degli oneri amministrativi posti in capo al contribuente: questi se risultano troppo gravosi vengono censurati dalla Corte la quale li definisce alla stregua di undue administrative burden ovvero come oneri eccessivi.

Nella sentenza Safir201 la Corte ha avuto modo di pronunciarsi su un adempimento, posto in capo al contribuente dalla legislazione svedese202, ritenuto ingiustificato. La CGUE ha ritenuto l’obbligo posto in capo al contribuente circa il dovere di trasmettere informazioni sulle imposte pagate dalla compagnia assicurativa estera troppo gravoso203

Anche nel contesto della normativa italiana sulle CFC possono essere individuati alcuni adempimenti particolarmente gravosi per il contribuente, il riferimento è, oltre alla procedura di tax rate test prevista dal comma 8 bis e precedentemente spiegata, alla (vecchia) previsione sull’obbligatorietà dell’interpello e al (nuovo) obbligo di segnalazione in dichiarazione.

poiché simili notizie sarebbero potute pervenire all’Amministrazione ricorrendo semplicemente allo scambio di informazioni.

L’obbligo di presentazione preventiva dell’istanza di interpello, in vigore fino al 2015204, costituiva un onere procedurale gravoso205

201 Corte di Giustizia Europea, n. C – 118/96 del 28/04/1998.

per il contribuente che era tenuto a presentare istanza entro il termine di presentazione della dichiarazione per

202 Secondo la normativa svedese, affinché un soggetto residente si vedesse riconosciuta

l’esenzione o la riduzione d’imposta sui premi assicurativi, il contribuente doveva fornire all’Amministrazione finanziaria informazioni sull’imposta gravante sulla compagnia assicurativa. Un tale onere era previsto solo nel caso in cui la compagnia fosse residente al di fuori della Svezia.

203 Par. 28 della sentenza, “ (…) Orbene, come fatto valere dalla signorina Safir, tale onere è

particolarmente gravoso per il contraente. Esso può parimenti dissuadere le compagnie di assicurazioni che non operino ancora sul mercato svedese a offrire ivi i loro servizi, considerato che il detto onere implica che le compagnie forniscano ai loro potenziali clienti informazioni precise in ordine al regime fiscale al quale esse sono soggette in un altro Stato membro.”

204 L’obbligatorietà è venuta meno con le modifiche apportate dal D.lgs. 147/2015.

205 Si veda Ballancin A., “Osservazioni a margine di una sentenza di merito in tema di

incompatibilità della disciplina CFC con le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Ulteriori riflessioni sul rapporto tra la novellata normativa CFC ed il diritto comunitario”, cit., p.168 ss. L’Autore sostiene come l’interpretazione circa l’obbligatorietà dell’interpello è da ritenersi contraria ai principi comunitari ed in particolare alla tutela delle libertà. Sarebbe, infatti assurdo permettere ad una normativa interna la possibilità di prevedere che la mancata presentazione dell’istanza renda artificiosa, senza prova contraria, la struttura.

72 ottenere la disapplicazione della norma sulle società estere dimostrando la sussistenza delle circostanze esimenti previste dalla legge206

Con l’approvazione del Decreto crescita e internazionalizzazione è venuta meno la previsione di obbligatorietà dell’interpello, ma il legislatore accanto a tale “alleggerimento” normativo ha introdotto un nuovo onere a carico del contribuente.

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A partire dal periodo d’imposta 2015, infatti il contribuente è tenuto ad indicare nella dichiarazione dei redditi le partecipazioni di controllo detenute nelle società estere qualora egli decida di non presentare l’interpello o qualora, pur avendolo presentato, abbia ottenuto parere negativo dall’Agenzia. Tale previsione, pur risultando meno gravosa dell’obbligatorietà di interpello precedentemente prevista, introduce comunque un onere in capo al contribuente il quale, in caso di inadempimento, sarà sottoposto ad una sanzione.

In base a quanto affermato dalla Corte non sembra impossibile la classificazione di tali obblighi al pari di adempimenti eccessivi, infatti il dovere del contribuente di effettuare una così ampia disclosure potrebbe portare ad uno scoraggiamento degli investimenti al di fuori dell’Italia e, quindi anche negli altri Stati Membri rendendo meno appetibile l’esercizio delle libertà fondamentali.