• Non ci sono risultati.

La relazione tra i Postcolonial Studies e i Postmodern Studies è un dibattito sempre molto acceso. Presso ampi strati della critica culturale più recente si è ormai fatta largo l’idea che lo sviluppo della prospettiva postcoloniale sia da mettere in stretta connessione con il pensiero postmoderno per cui i Postcolonial Studies si configurano come filiazioni dirette del postmodernismo. Implicando una radicale presa di distanza dal modernismo, globalmente inteso come un insieme ideologico che ha dato vita al colonialismo e che si è basato sul sistema dell’egemonia coloniale, il postcoloniale sarebbe così da intendere come una diretta conseguenza del postmoderno. Sulla contiguità e l’indisgiungibilità del discorso postcoloniale e di quello postmoderno si sono soffermati numerosi critici (da Said a Spivak, da Bhabha a Young, per citare i più importanti) i quali hanno riconosciuto nelle teorie postmoderne un

77 Sul concetto di transculturazione si veda M. L. Pratt, Imperial Eyes: Travel Writing

and transculturation, London, Routdledge, 1992.

78 Va chiarito che l’idea di Clifford sulle ‘travelling cultures’ non è del tutto nuova ed è

tutt’altro che recente. Cfr., J. Clifford, Travel and Translation in the Late Twentieth

contributo teorico essenziale per lo sviluppo del postcolonialismo, soprattutto nell’impulso verso l’apertura e il riconoscimento dell’altro, del diverso, del marginale, nel sospetto verso i principi assoluti, verso le visioni essenzialiste e totalizzanti. Il discorso postcoloniale, in nome del principio della differenza, nel tentativo di recuperare soggettività e identità emarginate, represse e soffocate dal colonialismo, non ha potuto dunque ignorare i risultati delle teorie postmoderne ma anzi ha trovato in esse un contributo teorico essenziale per il suo sviluppo. L’influenza stessa di Foucault su Said, di Barthes, Althusser e Lacan su Bhabha e di Derrida su Spivack indica una precisa affinità epistemologica tra la prospettiva postcoloniale e le problematiche del postmodernismo.

Tuttavia, il paradigma postcoloniale è tutt’altro che perfettamente sovrapponibile a quello postmoderno e i legami esistenti tra i due si rivelano invece assai complessi e spesso problematici. Said ha visto nel postmodernismo una forte preponderanza teoretica e un relativo distacco dagli urgenti imperativi storici e politici del postcolonialismo; secondo Kwame Anthony Appiah, invece, la relazione tra postcolonialismo e postmodernismo è di natura squisitamente politica. Egli sostiene infatti che:

[…] two hazardous generalisations might be made: post- colonialism is more overtly concerned with politcs than is post-modernism; […] the post-modern (in conjunction with post-structuralism) has exercised and is still exercising a cultural and intellectual hegemony in relation to the post-colonial world and over post-colonial cultural productions79.

79 K. A. Appiah, “Is the Post in Postmodernism the Post in Postcolonialism?”in P.

Cionondimeno, è proprio la questione del Potere, implicita nei termini “politics” e “hegemony” che, benchè apparentementemente li accomuni, per lo studioso segna invece le loro differenze e disuguaglianze. Se il postcoloniale, infatti, in un movimento che va dalla periferia verso il centro, focalizza la propria attenzione sulle specificità geografiche, sulle culture e le identità locali, il postmoderno, seguendo una direzione diametralmente opposta, esercita su quelle stesse aree un’egemonia di tipo culturale ed intellettuale. Muovendosi dal centro verso la periferia, esso si configura come una critica eurocentrica all’eurocentrismo che esporta e soprattutto impone ai margini e agli ex-centrics le proprie pratiche critiche e teoriche di stampo occidentale. In altre parole, le teorie postmoderne, e in particolare il pensiero di Lyotard e Jameson, esprimerebbero la (auto)coscienza della crisi del progetto della modernità che ha avuto origine nel cuore dell’accademia occidentale, mentre le prospettive postcoloniali, pur condividendo con il postmodernismo la stessa critica veemente al progetto della modernità, provengono da dislocazioni ex-coloniali, emergono dalla testimonianza coloniale. Il postmodernismo, dunque, a dispetto delle la sua dichiarata vocazione all’internazionalismo, affonda le proprie radici nell’ontologia e nell’epistemologia eurocentriche risultando intimamente connesso alle dinamiche imperialiste e neocoloniali:

In spite of the identification of post-modernism with differences, discontinuity and fragmentaion, it tends to be marked globally as a general movement which addresses global concerns. [This] perpetuates an amphasis on ‘global culture’ masking European and American metropolitan biases even as they describe this culture as de-centred,

fragmented and marked by difference in opposition to the

totalizing culture of modernity80.

Ed è proprio in questo senso che Hellen Tiffin ha definito il postmodernismo come “Europe’s export to what it regards as ‘margin’”81; margini/periferie dove esso replica un’egemonia culturale

eurocentrica volta a zittire, fagocitandola entro i propri paradgmi, la voce alternativa e non allineata degli ex-centrics. Non tutti i critici però sono d’accordo con questa impostazione e alcuni puntano piuttosto ad evidenziare nella relazione tra postcolonialismo e postmodernismo una forte complicità. E’ quanto, per esempio, sostiene Arif Dirlik il quale vede nel poststrutturalismo l’anello di congiunzione tra i due (egli definisce il postcolonialismo “figlio del postmodernismo”82) e,

conseguentemente, definisce il postcolonialismo alla stregua del postmodernismo come il prodotto della “logica culturale del tardo capitalismo”:

Both post-modernists and postcolonialists celebrate and mystify the workings of global capitalism. Even the language of postcolonialism is the language of First World post-structuralism83.

Linda Hutcheon nella sua interpretazione del discorso postmoderno, tesse invece un vero e proprio ‘elogio del margine’ ponendo l’accento sull’ esaltazione postmoderna della pluralità e della

80 Cfr. Elizabeth Ferrier, “Mapping the Space of the Other: Transformation of Space”

in Helen Tiffin et al., (eds.), Past The Last Post, Hemel Hempstead, Harvester Wheatsheaf 1991., p. 121.

81 Helen Tiffin et al., (eds.), Past The Last Post…, cit., p. ix.

82 Cfr. A. Dirlik, “The Postcolonial Aura: Third World Critiicsm in the Age of Global

Capitalism”, Critical Inquiry, 20.2 (Winter 1994), p. 328.

molteplicità, sottolineando come il discorso postmoderno smonti le strutture di potere esistenti decostruendone le forme culturali dominanti. In una prospettiva non troppo lontana da quella dei

Postcolonial Studies, la studiosa canadese parla del postmodernismo come di un “luogo capace di offrirci una prospettiva da cui guardare, creare, immaginare alternative e nuovi mondi”84. Da questa

prospettiva, infatti, le critiche anti-essenzialiste postmoderne sfidano le nozioni di universalità, di universalismo e di soggettivismo moderno. Persino Terry Eagleton, il quale ha più volte attaccato aspramente il postmodernismo, ha ammesso e riconosciuto la carica innovativa del postmodernismo affermando che “nei suoi momenti più decisamente militanti esso ha dato voce agli umiliati e ai più deboli e, ciò facendo, ha minacciato di far crollare l’arrogante sicurezza di sé del sistema occidentale nel suo nulcleo fondante. E per questo si è quasi portati a perdonargli i suoi madornali eccessi”85.

84 Cfr. Linda Hutcheon, A Poetics of Postmodernism. History, Theory, Fiction, London

Routledge, 1988, p. 49.

CAPITOLO II

Caryl Phillips: testi e contesti