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Premessa

Nel documento IL DIVORZIO IMPOSTO (pagine 69-74)

2 IL DIVORZIO IMPOSTO

2.1 Premessa

Il divorzio è l’istituto mediante il quale si perviene allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio (ove si tratti di matrimonio concordatario) ed è stato introdotto e regolato nel nostro ordinamento dalla L. 898/1970.

L’approvazione della legge sul divorzio è stato l’esito di un processo molto lungo, arduo e pieno di ostacoli. Furono molte le proposte di legge sul divorzio, ma tutte naufragarono per svariati motivi (es. l’ostacolo della Chiesa, o perché bocciata proprio dal Parlamento); quindi, negli anni precedenti il 1970, rimase in vigore la regola dell’indissolubilità del matrimonio, ereditata dal codice previgente: ossia per il matrimonio non vi era alcuna possibilità di scioglimento, tranne quello naturale nel caso di morte di un coniuge (previsto dall’art.149 cc, abrogato con l’introduzione della legge sul divorzio).

Solo con la citata legge del 1970 si è arrivati alla presenza nel nostro ordinamento del fondamentale istituto del divorzio, la cui esigenza nacque soprattutto per la situazione d’inferiorità della moglie verso il marito nel rapporto coniugale, il che era contrastante con l’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi sancita dall’art.29 comma Cost.”.

Al divorzio i coniugi non possono ricorrere per scelta unilaterale ed in modo immediato, difatti “la cessazione o lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio” può essere domandato da uno dei due coniugi in due casi:

1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza:

a) all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale;

b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’art. 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione;

c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio;

d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio.

2) nei casi in cui:

a) l’altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti dalle lett. b) e c) del numero 1 del presente articolo, quando il giudice competente accerta l’inidoneità del

convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare;

b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale;

c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti alle lettere b) e c) del num. 1 del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi;

d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo;

e) l’altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto l’annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all’estero nuovo matrimonio;

f) il matrimonio non è stato consumato;

g) è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 164/1982.

Tra tutte le cause di divorzio, la più diffusa è certamente la separazione, che risulta quindi essere nella maggioranza dei casi il presupposto principale per poter ricorrere al divorzio. Cosicché, siccome tra i pur molti presupposti per poter ricorrere al rimedio del divorzio il principale risulta essere la separazione, ciò implica che in caso di intollerabilità della convivenza i coniugi dovranno attendere 3

anni (prima erano 5) per riottenere la libertà di stato. L’ampio ricorso a questo istituto (il divorzio) e le rarissime riconciliazioni hanno reso nel tempo sempre meno sostenibile la necessità di attendere il periodo di separazione (passato poi da 5 a 3 anni) per procedervi. Ecco per quale ragione è in corso di approvazione la riforma sul divorzio breve, passata alla Camera e in attesa di approvazione dal Senato, con cui i tempi per chiedere il divorzio si ridurranno da 3 anni (dal giorno in cui i coniugi sono comparsi avanti al Presidente del Tribunale nel giudizio separativo a condizione che vi sia una sentenza parziale, passata in giudicato, che attesti lo stato di separazione) a 12 mesi dalla notificazione della domanda di separazione giudiziale e a 6 mesi in caso di separazione consensuale. Si riuscirà in tal modo a frenare un fenomeno sempre più in aumento: il cosiddetto “turismo divorzile”, ossia andare in un paese dell’U.E. a sciogliere il vincolo coniugale per aggirare i tempi e i costi richiesti nel nostro ordinamento. Infatti con l’art. 64 della L. 218/199525, che riconosce

efficacia immediata alle sentenze pronunciate dai Tribunali degli Stati membri dell’UE purché tali sentenze non siano contrarie all’ordine pubblico, la sentenza di divorzio pronunciata da un giudice per esempio portoghese o rumeno può avere efficacia immediata in Italia senza che sia necessario un apposito procedimento di riconoscimento.

25 P. Rescigno, Matrimonio e famiglia-cinquant’anni del diritto italiano, Giappichelli Torino 2000, pag. 185

2.1.1 Il requisito della “diversità di sesso tra i coniugi”

Come già visto nel Capitolo 1, occorre ricordare che il tema del divorzio imposto nasce dalla necessaria diversità di sesso dei coniugi per contrarre matrimonio. Il che non è previsto espressamente dalla nostra legislazione, bensì in modo implicito sia dal codice civile (in varie norme che fanno riferimento a marito e moglie) che dalla Costituzione (ove l’art.29 Cost. viene interpretato dalla Consulta come facente riferimento a matrimonio eterosessuale).

Cosicché nel nostro ordinamento è vietato il matrimonio same sex, nonostante quanto disposto a livello europeo (che vieta ogni discriminazione basata sulla sessualità) e quanto previsto nei maggiori Paesi Europei (che legittimano il matrimonio omosessuale o comunque un’altra forma di convivenza giuridicamente regolata). Il punto focale sta nel fatto che, sebbene sia non legittimo il matrimonio tra persone dello stesso sesso, nell’ordinamento italiano manca per le coppie omosessuali la possibilità di rifarsi ad altra forma di convivenza giuridicamente regolata; il che è alquanto discriminante poiché, mentre per le coppie eterosessuali vi è la possibilità di scegliere se sposarsi o meno (ossia possono decidere se disciplinare la loro relazione), ciò non è possibile per le unioni omosessuali.

Di conseguenza, proprio dalla necessità di vietare il matrimonio

same sex, nasce il divorzio imposto, poiché con il mutamento di sesso

omosessuale che è vietato (implicitamente, giova ripeterlo) dalla nostra legislazione. A questo punto viene alla luce però l’esigenza di vedere che fine fa l’unione tra gli ex coniugi visto che non può trasformarsi in un’altra forma di convivenza; ossia, tali ex coniugi si troverebbero nella stessa posizione (fine del vincolo coniugale) di ogni altra causa di divorzio, sebbene in tal caso potrebbe mancare un elemento essenziale e previsto nelle altre cause divorzili: la volontà dei coniugi, ossia il matrimonio si scioglierebbe anche contro la loro volontà (soprattutto da tale mancanza nasce l’idea che il divorzio imposto sia discriminante).

2.2 Il divorzio imposto in caso di “cambiamento di sesso

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