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L’analisi svolta fino a questo momento ha evidenziato che l’integrazione scolastica degli alunni diversamente abili e di quelli che presentano bisogni educativi speciali non rappresenta esclusivamente una modalità di realizzazione del pur fondamentale diritto all’istruzione, ma anche molto altro. Il diritto all’istruzione di tali soggetti infatti, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata, è anzitutto diritto all’integrazione nella società, oltre che nella scuola.

Va segnalato, tuttavia, che il legislatore ha sentito il bisogno di intervenire soprattutto per porre rimedio alle criticità che sono sorte in relazione al trattamento dei diversamente abili, in quanto le lacune normative storicamente e tradizionalmente

più profonde hanno riguardato proprio tale categoria, essendo quella dei soggetti titolari di bisogni educativi speciali una categoria di più recente introduzione: ne deriva che la riforma della "Buona Scuola", tra gli altri obiettivi, ha tenuto conto soprattutto delle criticità normative riguardanti i soggetti diversamente abili, che possono essere sinteticamente riassunte nei termini di cui si dirà.

Anzitutto, la partecipazione dei soggetti portatori di handicap alla scuola "normale" costituisce, infatti, il modo più coerente e lineare di dare attuazione al principio personalista, che prevede la necessaria tutela della dignità umana e l’eguaglianza sostanziale, non solo formale, di tutti i cittadini dinanzi alla legge.

Si tratta, in sostanza, di un principio di vera e propria civiltà giuridica158, quello dell’integrazione scolastica, che non lascia

158

In tal senso si v. Relazione conclusiva della commissione Falcucci concernente i problemi scolastici degli alunni handicappati (1975), secondo cui «la preliminare considerazione che la Commissione ha ritenuto di fare è che le possibilità di attuazione di una struttura scolastica idonea ad

affrontare il problema dei ragazzi handicappati presuppone il

convincimento che anche i soggetti con difficoltà di sviluppo, di apprendimento e di adattamento devono essere considerati protagonisti della propria crescita. In essi infatti esistono potenzialità conoscitive, operative e relazionali spesso bloccate degli schemi e dalle richieste della cultura corrente e del costruire sociale. Favorire lo sviluppo di queste potenzialità è un impegno peculiare della scuola, considerando che la funzione di questa è appunto quella di portare a maturazione, sotto il profilo culturale, sociale, civile, le possibilità di sviluppo di ogni bambino e di ogni

alcun margine di discrezionalità al legislatore, il quale è quindi tenuto a perseguire questo obiettivo. Questo principio di civiltà giuridica si traduce in una serie di punti fermi che, alla luce di quanto evidenziato finora, è possibile sintetizzare in questi termini: nessuna persona, nell’età evolutiva, può essere considerata irrecuperabile; l’inclusione scolastica, se correttamente posta in essere, rappresenta un fattore di recupero estremamente rilevante rispetto agli handicap da cui si è colpiti; qualunque interruzione del processo di integrazione

giovane. La scuola proprio perché deve rapportare l’azione educativa alle potenzialità individuali di ogni allievo, appare la struttura più appropriata per far superare la condizione di emarginazione in cui altrimenti sarebbero condannati i bambini handicappati, anche se deve considerarsi coessenziale una organizzazione dei servizi sanitari e sociali finalizzati

all’identico obiettivo. Questo impegno convergente si impone

preliminarmente sotto il profilo della prevenzione anche in senso diagnostico, terapeutico ed educativo da realizzarsi fin dalla nascita ed in tutto l’arco prescolare, specialmente nei confronti del bambino che abbia particolari difficoltà; sia per circoscrivere, ridurre ed eliminarne le cause, ove possibile, nonché gli effetti di esse; sia per evitare l’instaurazione di disturbi secondari. La scuola può contribuire a quest’opera di prevenzione e di recupero precoce, con la generalizzazione dalla scuola materna (anche se non obbligatoria) che, oltre ad offrire al bambino l’occasione di un più articolato processo di socializzazione, può favorire la tempestiva prevenzione ed il superamento delle difficoltà che possono ostacolare lo sviluppo psicofisico. Ma oltre alla generalizzazione scuola materna, è tutta la struttura scolastica, particolarmente quella della fascia dell’obbligo, che può e deve contribuire in modo decisivo al superamento di ogni situazione di emarginazione umana e culturale e sociale che abbia la sua radice nel mancato sviluppo delle potenzialità del soggetto. Fatta questa premessa, la Commissione ha cercato di individuare una strategia di attuazione di questo fondamentale obiettivo».

può essere estremamente pericolosa, in quanto può comportare degli arresti o delle regressioni nella crescita della personalità dell’alunno diversamente abile; l’integrazione, infine, deve necessariamente essere indirizzata non solo all’apprendimento scolastico, ma anche alla socializzazione. Alla luce di queste finalità, è possibile tracciare un bilancio di oltre un trentennio di integrazione scolastica in Italia, evidenziandone anzitutto i profili critici, indispensabile per cogliere il contesto nel quale è maturata la riforma del legislatore.

Nonostante un ingente dispendio di risorse, sia umane che finanziarie, e la costruzione di un modello che, dal punto di vista teorico, ha effettivamente poco da invidiare alle altre esperienze comunitarie, il funzionamento concreto del sistema, tuttavia, si è dimostrato, sul piano pratico, del tutto insoddisfacente, a causa sia di carenze organizzative e strutturali, sia di carenze politiche, nonché di uno scarso controllo sulla qualità dei procedimenti e delle prestazioni, e dell’assenza di una verifica, anche solo statistica, dei risultati ottenuti159.

159

Su tali dati si v. ASSOCIAZIONE TREELLE, Caritas italiana, Fondazione Giovanni Agnelli (a cura di), Gli alunni con disabilità nella scuola italiana: bilancio e proposte, Trento, Erikson, 2011, 191 ss.

Del resto, il modello che è stato delineato si è fondato quasi esclusivamente sul binomio “insegnante di sostegno/alunno con disabilità certificata”: questa coppia, sostanzialmente indissolubile, ha praticamente assorbito tutte le risorse predisposte, non solo economiche, ma anche organizzative e professionali.

Questo sistema, però, si è rivelato del tutto inidoneo a soddisfare le esigenze di integrazione dei diversamente abili, risultando, in definitiva, solo eccessivamente “comodo”, per una serie di motivi: è stato sottratto alla famiglia il “peso” di dover svolgere per tutta la giornata una attività di servizio al figlio diversamente abile, consentendo, soprattutto ai genitori, di vivere, anche se solo per qualche ora al giorno, una vita “normale”; i docenti curricolari esercitano la loro attività con maggiore tranquillità, considerato che, non di rado, l’insegnante di sostegno rappresenta per loro un ausilio, più che per integrare nella classe l’alunno diversamente abile, anche per controllare i comportamenti degli altri alunni, che altrimenti potrebbero turbare il regolare esercizio delle lezioni; gli insegnanti di sostegno possono utilizzare il servizio come leva per transitare con precedenza assoluta nei ruoli dell’insegnamento ordinario, maturando per tale via il diritto dopo cinque anni di permanenza nel ruolo di sostegno; l’aumento degli studenti diversamente abili può comportare

l’applicazione del tetto massimo al numero di allievi per classe previsto dalle norme, e dunque un aumento del numero delle sezioni e dell’organico della scuola;

Va segnalato, ancora, che l’amministrazione viene ad essere dotata di una componente organica aggiuntiva di insegnanti di sostegno a tempo determinato anche come “valvola di sfogo" delle graduatorie bloccate dalla mancanza di assunzioni. Non è raro, infatti, che all’insegnamento di sostegno vengano adibiti docenti non specializzati oppure per soddisfare richieste di mobilità.

Infine, gli enti e i servizi esterni non sono stimolati a ritenersi pienamente coinvolti, ma spesso considerano la scuola come responsabile unica dell’integrazione e non si impegnano nella riuscita di quest’ultima160.

Questa molteplicità di esigenze rappresenta uno dei principali difetti del modello italiano di integrazione scolastica e della persistente assenza di segnali di evoluzione e di miglioramento161.

Bisogna inoltre osservare che l’insufficienza del nostro Stato sociale comporta che, piuttosto frequentemente, di fronte all’assenza delle autorità pubbliche, intervengano associazioni

160

Cfr. sul punto CANEVARO, A. Pedagogia speciale. La riduzione dell’handicap, Milano, Franco Angeli, 1999, 86 ss.

161

In questo senso D'ALONZO, L. Integrazione del disabile. Radici e prospettive educative, Brescia, La Scuola, 2008, 110 ss.

di volontariato alle quali vengono assegnati oneri e responsabilità che dovrebbero essere posti a carico della scuola o di altri enti.

I servizi forniti da tali organizzazioni, per quanto meritevoli, hanno comunque carattere di precarietà, e possono mancare da un momento all’altro, proprio perché si basano sulla generosità dei volontari e sui loro mezzi.

Inoltre, in molti casi si tratta di servizi resi da non professionisti, per cui poco specializzati, privi delle competenze specifiche necessarie. Infine, il profilo più rilevante è che, trattandosi di volontariato, non sussiste alcun diritto che sia suscettibile di rivendicazione.

Molteplici, quindi, sono i profili critici del sistema di integrazione scolastica dei diversamente abili, e, uno di questi, è certamente l’assenza di un adeguato coordinamento e di una sufficiente responsabilizzazione dei soggetti pubblici coinvolti.

Una delle cause è indubbiamente la frammentarietà eccessiva della distribuzione delle competenze, che è stata in parte sanata dalla legge quadro n. 328/2000, che prevede, tra l’altro, che venga garantito alle persone diversamente abili il diritto ad un sistema di servizi integrato e un progetto individuale, finalizzato a consentire la piena integrazione nella vita familiare e sociale, nonché nei percorsi scolastici professionali

e lavorativi. Il progetto individuale deve essere elaborato a livello comunale, in concerto con le Asl e con la scuola.

Nonostante tale previsione, risulta piuttosto complicato individuare, in concreto, le responsabilità di ogni soggetto pubblico, e finanche il territorio di riferimento in cui ogni funzione deve essere esercitata162.

Tale frammentazione di compiti e responsabilità è una delle principali ragioni per cui è difficile che vi sia una stretta collaborazione tra i vari soggetti istituzionali coinvolti; sul punto Vettor ha sostenuto che spesso «diverse sono le pubbliche amministrazioni e istituzioni chiamate a occuparsi di pratiche identiche, in nome della specificità del settore seguito, con un inutile dispendio di risorse (materiali e umane) e di tempi, a tutto vantaggio dell’inefficienza e dell’immobilismo, del non poter e del non voler fare anziché agire in modo costruttivo»163.

Un altro profilo critico chiama in gioco direttamente le figure professionali interne alla scuola, ossia quelle degli insegnanti

162

Sul punto si v. COMINI, G. Scuole autonome ed enti locali: la sfida dell’integrazione, BOSIO, P., MENEGOI BUZZI, I. (a cura di), Scuola e

diversità in Europa. Strumenti per la formazione dei docenti sull'integrazione dei disabili nella scuola, Milano, Franco Angeli, 2005, 278

ss.

163

VETTOR, L. Non solo leggi: la legislazione italiana sull’integrazione scolastica. Diritto sostanziale e rilievi critici, in CERVELLIN, D. (a cura di),

di sostegno, che, come si è detto, costituiscono il fulcro di tutto il modello italiano di integrazione.

A tal proposito, un primo problema riguarda, paradossalmente, la percezione e la considerazione che i dirigenti scolastici hanno degli insegnanti di sostegno, trattati come fossero professori di rango inferiore, in quanto del tutto inadeguati ad affrontare i casi loro affidati, in ragione anche del fatto che il più delle volte si tratta di giovani alle prime armi oppure di soggetti che in realtà mirano ad altro, per cui non sono realmente impegnati nella propria attività.

Di contro, sono gli stessi insegnanti di sostegno che, consci di questa scarsa considerazione, si sentono abbandonati a sé stessi e sono quindi poco stimolati e coinvolti nell’attività scolastica.

A ciò va aggiunto che il sostegno rappresenta una sorta di scorciatoia per accedere all’insegnamento “ordinario”, per cui sussiste una forte mobilità, che produce una cronica carenza di docenti specializzati, per cui o l’amministrazione rende più flessibili i criteri di selezione per l’accesso a tale ruolo oppure, come più frequentemente si verifica, nomina numerosi insegnanti a tempo determinato, cogliendo l’occasione per sistemare carenze di organico.

Altri profili, poi, presentano criticità: gli insegnanti di sostegno sono spesso assegnati agli alunni dopo che la scuola è già

iniziata, depotenziando fortemente il loro ruolo; il docente di sostegno finisce con l’occuparsi esclusivamente dell’alunno diversamente abile, venendo sostanzialmente isolato dagli altri insegnanti; è assente, come per tutti gli altri docenti, una valutazione delle prestazioni professionali: «senza valutazione il sistema non sa chi sia e che cosa faccia un buon insegnante di sostegno»164.

Ad una situazione siffatta non contribuisce in senso positivo il dirigente scolastico, il quale dovrebbe darsi da fare per migliorare la coordinazione tra le varie componenti scolastiche. Nella prassi ciò non avviene, in quanto i dirigenti scolastici sono concentrati sulla necessità di far quadrare i conti economici e di sfruttare al meglio le poche risorse, anche organiche, di cui dispongono.

Un ultimo evidente fattore di criticità riguarda l’incertezza circa la procedura di certificazione della disabilità da parte degli specialisti dell’ASL. Non esistendo, infatti, una chiara definizione di alunno con disabilità, né standard oggettivi per l’individuazione della tipologia e della quantità di ausili

164

Associazione Treelle, Caritas italiana, Fondazione Giovanni Agnelli (a cura di), Gli alunni con disabilità nella scuola italiana, cit., 146. Cfr. anche PAPARELLA, E. Il diritto all’integrazione e all’istruzione scolastica dei soggetti diversamente abili: una fondamentale declinazione del diritto allo studio nella prassi governativa e nelle recenti politiche governative, in AA.VV., Studi in onore di Vincenzo Atripaldi II, Napoli, Jovane, 2010, 961 ss.

necessari, le unità specialistiche cui spetta il compito di certificare la disabilità agiscono ricorrendo a criteri molto diversi tra loro.

Una delle cause di tale situazione è certamente il fatto che l’ASL, oltre a non essere dotata di insegnanti o di esperti di pedagogia, non ha una responsabilità diretta rispetto alla distribuzione delle risorse, che sono invece assegnate all’amministrazione scolastica.

Questa situazione, oltre a produrre seri problemi organizzativi e di bilancio, tende anche a medicalizzare problemi sociali, ritardi o semplici difficoltà degli alunni che in realtà poco hanno a che vedere con una situazione di vera e propria disabilità, «rischiando di sovrapporre una spiegazione biologica e patologica a comportamenti e predisposizioni individuali, sociali, relazionali … e di stigmatizzare lo studente “difficile da tenere” come “diverso”, pur se da integrare nel gruppo»165.

La conseguenza di questa situazione di incertezza è che le famiglie, la scuola e i servizi sanitari e sociali non possono contare su punti fermi e condivisi per stabilire ciò che è da considerarsi vera disabilità e che, per tale ragione, va affrontata con gli strumenti più adeguati.

165

TROILO, S. Tutti per uno o uno contro tutti? Il diritto all’istruzione e all’integrazione scolastica dei disabili nella crisi dello Stato sociale, cit., 395.

Va infine evidenziato il gravoso carico di documentazione attualmente richiesta; oltre alla certificazione iniziale di disabilità, infatti, le scuole devono tenere conto, o redigere direttamente, nonché aggiornare, numerosi documenti, quali la diagnosi funzionale, il profilo dinamico funzionale, il piano educativo individualizzato e il piano di studio personalizzato, tutti all’interno del progetto individuale di vita dell’alunno con disabilità.

Ancora, le scuole sono chiamate ad istituire organismi permanenti di partecipazione, quali il gruppo di studio e di lavoro sull’handicap, il gruppo di lavoro operativo sul singolo alunno, il gruppo operativo integrato, oltre che mantenere i rapporti con altre istituzioni ed organismi esterni.

Le numerose incombenze burocratiche distolgono l’attenzione degli insegnanti e degli operatori responsabili del progetto dalla qualità dell’integrazione, per cui spesso lo stesso piano educativo non viene elaborato in maniera collegiale e non è utilizzato in maniera flessibile rispetto ai cambiamenti degli alunni con disabilità.

Quanto detto sinora ci spinge a concludere che, nel nostro ordinamento, l’integrazione dei diversamente abili nella vita scolastica non è del tutto garantita, in quanto, a fronte di esperienze indubbiamente positive e meritevoli, il sistema, nel

suo complesso, si presenta inidoneo a garantire un diritto che la Costituzione riconosce come fondamentale.

Pare opportuno, però, indicare come la situazione potrebbe migliorare: anzitutto, occorre ripensare totalmente il meccanismo di certificazione della disabilità, riducendo la frammentazione normativa, semplificando la rigorosa fase documentale, nonché intervenendo sulla delega eccessiva da parte dei docenti curricolari dei compiti di cura ed istruzione dei diversamente abili agli insegnanti di sostegno. Inoltre, è opportuno passare da un approccio medico ad uno pedagogico, onde evitare una medicalizzazione della disabilità.

Ancora, bisogna intervenire sui criteri di distribuzione delle risorse, sulle procedure, sostanzialmente assenti, di controllo dell’utilizzo di tali risorse, sulle modalità di orientamento ed avviamento al lavoro ed alla vita attiva degli studenti.

Tuttavia, non bisogna pensare che tutto questo sarebbe sufficiente a risolvere tutti i problemi, in quanto probabilmente non risolverebbe l’aspetto più critico, che maggiormente ostacola una effettiva integrazione scolastica, ossia l’acquisizione di competenze ed abilità, che costituisce una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per potersi inserire pienamente nella vita sociale, in quanto non c’è possibilità di integrazione, se anche coloro coi quali il

diversamente abile si relaziona nella vita adulta non decideranno di accettare la diversità e di considerarla un valore166.

Per tale ragione, è opportuno soprattutto concentrarsi, oltre che su una più ampia evoluzione culturale della società, sul “progetto di vita” per il diversamente abile previsto dall’art. 14 della legge n. 328/2000, il cui obiettivo deve essere il

conseguimento dell’autonomia personale dell’alunno

diversamente abile in un quadro di relazioni sociali.

Allo stesso modo, è necessario essere consapevoli che l’entità delle risorse utilizzabili non costituisce più solo un elemento succedaneo alle scelte di indirizzo politico, ma un aspetto da conciliare con tali opzioni167.

I piani di intervento, dunque, devono riguardare, sul piano finanziario, la necessità di mantenere l’attuale livello di risorse con nuove modalità di utilizzazione (risorse umane, tecnologie, servizi vari, tempi extrascolastici); sul piano operativo, invece,

166

Cfr. in tal senso VALASTRO, A. Le vicende giuridiche dell’handicap e la società dell’informazione: vecchie conquiste e nuove insidie per la Corte Costituzionale, in PACE, A. (a cura di), Corte Costituzionale e processo

costituzionale. Nell'esperienza della rivista «Giurisprudenza costituzionale» per il cinquantesimo anniversario, Milano, Franco Angeli, 2006, 998 ss.

167

Sul punto si v. TROILO, S., Tutti per uno o uno contro tutti? Il diritto all’istruzione e all’integrazione scolastica dei disabili nella crisi dello Stato sociale, cit., 441; cfr. anche SCAGLIARINI, S. Diritti sociali nuovi e diritti sociali in fieri nella giurisprudenza della Corte Costituzionale, in

bisogna valutare sistematicamente efficacia ed efficienza delle prassi di integrazione scolastica e dei risultati per gli alunni con disabilità; abbandonare le rigide procedure che riducono l’integrazione a una meccanicistica attribuzione di

insegnante/ore di sostegno; garantire la piena

corresponsabilizzazione di tutti i docenti: la qualità dell’integrazione si fa con la didattica individualizzata quotidiana da parte di tutti gli insegnanti, non con la delega all’insegnante di sostegno; valorizzare l’autonomia gestionale e organizzativa delle scuole; rendere possibile una efficace collaborazione scuola, famiglia, servizi sociali e sanitari, comunità locale.

Pare opportuno, inoltre, agire anche sulle figure professionali, facendo evolvere la figura degli insegnanti curricolari e di quelli di sostegno. A tal fine, in linea con gran parte dei Paesi europei, è necessaria una preparazione di base in pedagogia e didattica speciale nella formazione di tutti gli insegnanti - iniziale o in itinere - e per tutti i gradi scolastici (non prevista dall’attuale percorso formativo per la scuola secondaria); un passaggio graduale degli insegnanti di sostegno all’organico normale delle scuole.

2. La riforma della "Buona scuola" e l'inclusione

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