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preprintcapirlo bisogna guardare più all’atmosfera che all’azione, più che alle cose che s

dicono al tono come son dette198.

VII. 1925-1975: una parabola ascendente

1. Ancora nel 1908, Luigi Pirandello non era probabilmente a conoscenza degli scritti e dell’attività teatrale di Strindberg199, ma di

sicuro non è più così negli anni Venti. È impensabile, infatti, che gli stimoli critici provenienti da una figura come Adriano Tilgher, fra i primi penetranti interpreti sia dell’espressionismo sia dell’opera del siciliano200, e gli audaci cartelloni della

Pavlova201 e di Bragaglia non abbiano riscosso

l’attenzione dello stesso Pirandello. Certo non ha torto Mario Gabrieli quando afferma che Strindberg è «segretamente presente» nello scrittore siciliano «e nel pirandellismo»202 e vari

198 A. Tilgher, Il problema centrale cit., p. 350.

199 Vedi C. Vicentini, Pirandello, il disagio del teatro, Venezia, Marsilio, 1993, p.

26.

200 Sulla multiforme attività critica di Adriano Tilgher, vedi P. Giannangeli,

Adriano Tilgher. Filosofia del teatro, Macerata, Eum, 2008.

201 Sui rapporti diretti fra l’attrice russa e Pirandello, vedi D. Ruocco, Tatiana Pavlova cit., p. 79.

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studiosi si sono, del resto, impegnati a dimostrare convincentemente come l’influsso dello svedese s’infiltri in profondità nell’opera di Pirandello203.

Di fatto, nell’aprile del 1925, Pirandello aveva annunciato al quotidiano «L’Impero» l’intenzione di far allestire dalla propria compagnia del Teatro d’Arte di Roma «l’anno venturo […] una serie di lavori […] di grandi autori poco o punto rappresentati in Italia» ovvero «di Strindberg, di Wedekind, di Shaw, dello Shaw più rivoluzionario ed a noi ignoto, di Claudel, ecc.»204. Ancora, una nota dell’«Arte

Drammatica» del 19 dicembre 1925 conferma che la compagnia di Luigi Pirandello dimostrava interesse, in quel periodo, per Strindberg:

Mentre si attaccavano violentemente, a nome di Luigi Pirandello, Editori e importatori di commedie straniere, lo stesso Pirandello in data del 14 novembre inviava da Modena il seguente telegramma ad una nota Casa Editrice… di Via della Mercede 11, Roma:

“Prego spedirmi volta corriere maggiori novità straniere e lavori Wedekind et

Strindberg non rappresentati tutto protagonista donna. – Pirandello”.

203 François Orsini, per esempio, ha offerto una lettura strindberghiana dei drammi del siciliano (compresi i Sei personaggi in cerca d’autore) (cfr. Pirandello e l’Europa cit., p. 136 ss.). Umberto Artioli, per parte sua, ha letto Il fu Mattia Pascal all’insegna

di Verso Damasco, formulando questa ipotesi: «È possibile che Pirandello, ottimo conoscitore del tedesco (Verso Damasco è tradotto in Germania nel 1899), abbia potuto acquisire conoscenza diretta del più celebre tra i drammi strindberghiani; ancor più probabile è che gli fosse nota un’opera come Inferno, apparsa a Parigi l’anno precedente» (U. Artioli, Pirandello allegorico, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 196).

204 A. D’Amico-A. Tinterri, Pirandello capocomico. La compagnia del Teatro

dell’Arte di Roma, 1925-1928, Palermo, Sellerio, 1987, pp. 22; 300. Va altresì

osservato che, nella fondazione di questo teatro, era associato anche Guido Salvini, che era stato assistente di un regista strindberghiano come Max Reinhardt.

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L’«Arte Drammatica» commentava

severamente questo programma pirandelliano: «Per la compagnia che a tutt’oggi costa agli italiani un milione e mezzo per lo meno non c’è male davvero. Ohà l’italianità di certi autori!». Tuttavia, Strindberg Pirandello non lo allestì mai205.

Un diretto tramite fra Pirandello e l’autore svedese va altresì considerato Rosso di San Secondo (1887-1956), un altro autore siciliano di cultura germanica, «l’unico autentico drammaturgo espressionista italiano», spinto verso il Nord dal tentativo di trovare un «impossibile equilibrio tra Passione e Ragione» e assiduo frequentatore dei teatrini romani d’avanguardia, nei quali condivideva i cartelloni proprio con Strindberg. «Benché sia difficile» – osserva François Orsini – «essere categorici, in mancanza di documenti precisi, sembra che Rosso abbia conosciuto abbastanza presto gli scritti drammatici di Wedekind» (di cui era amico personale) e di «Strindberg, Kaiser, tra l’altro»206. Pare che Rosso di San Secondo fosse

sensibilmente influenzato da Strindberg207 e con

205 Ivi, p. 295.

206 F. Orsini, Il teatro espressionista di Pier Maria Rosso di San Secondo. Le

prime commedie, I, Foggia, Bastogi, 1995, pp. 44-5; 101.

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lui qualche altro importante autore dell’epoca, legato allo stile drammaturgico grottesco, come (in negativo) Luigi Chiarelli (1880-1947), che, nella Maschera e il volto del 1913, avrebbe espresso una specie di «reazione al teatro di Strindberg»208.

È comunque in questa fase della fortuna dell’autore svedese, che, sul numero dell’ottobre 1925 della menzionata rivista femminile «Idun», il giornalista Brage Engdahl firmava un articolo dal titolo assai ottimista:

Hur Strindberg erövrar Italien (Come

Strindberg conquista l’Italia): «Strindberg non

comprendeva l’Italia» – osserva d’esordio il pezzo – «e l’Italia si è vendicata non comprendendo Strindberg», sebbene sembri finalmente scoccata l’ora della riscossa dell’autore svedese nella penisola. Infatti, diversi suoi drammi sono passati per le scene romane e i grandi giornali si occupano della sua personalità, magari senza condividerla, «essendo così estranea alla mentalità italiana, ma inchinandosi al genio, che nessuno osa negare». Questo risultato lo si deve, oltre che ad

208 F. Orsini, Pirandello e l’Europa cit., p. 86. «Titolare d’una rubrica sulla rivista

“Comoedia”, Chiarelli ha modo di seguire e commentare da un osservatorio privilegiato la vita teatrale degli anni Venti: si impegna nel dibattito a sostegno d’un teatro nazionale (contro le commedie “di fiere parole e di aspri propositi” che scendevano dal nord capitanate da Hauptmann o Strindberg o quelle francesi raggianti “sorrisi, occhiate e sospiri”)» (L. Bottoni, Storia del teatro italiano, Bologna, Il Mulino, 1999, p. 76).

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Adriano Tilgher, essenzialmente ad Astrid Ahnfelt, protagonista di un attivo lavoro di raccordo fra cultura italiana e svedese, i cui risultati si possono apprezzare anche nell’adattamento operistico di Riccardo Zandonai della Saga di Gösta Berling di Selma Lagerlöf209. Se non aveva avuto particolare

fortuna la versione di Maestro Olof (vedi n. 12 del VI Cap.), «indubbiamente poco adatta per l’Italia», l’edizione della Storia di un’anima aveva invece ormai esaurito la larga tiratura di 6000 copie. Quindi, era giunta la contrastata messinscena della Signorina Giulia della Pavlova, vista comunque nelle principali città italiane e «il ghiaccio si era rotto», con il seguito degli allestimenti romani di Villa Ferrari e degli Indipendenti. Questi teatri sperimentali erano forse interessati ad allestire a breve, nella traduzione della Ahnfelt, anche Samum e

Scherzare col fuoco. In un momento in cui si

vuol dimostrare particolare impegno a propagandare la cultura e i prodotti svedesi a livello internazionale – conclude Engdahl –, meriterebbe maggiore attenzione e sostegno quest’opera di proselitismo in una nazione di 40 milioni di abitanti.

209 I cavalieri di Ekebù, dramma lirico in 4 atti su libretto di Arturo Rossato,

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Nel 1927, si poteva ancora registrare un notevole allargamento della bibliografia drammaturgica strindberghiana, sempre condizionato dall’attenzione che si portava in Italia all’espressionismo tedesco. Si trattava, infatti, della pubblicazione delle versioni di Clemente Giannini di opere come Svanevit e Il

sogno (Alpes) e, presso lo stesso editore, della

trilogia di Verso Damasco, curata dall’eclettico Nino Frank (1904-1988), amico di Joyce e importante critico cinematografico, che in questo caso traduceva dal tedesco210.

Nonostante ciò, lo stesso anno, un articolo sulla «Stampa» del 17 settembre 1927, firmato da John Nilsson, faceva rilevare non solo le difficoltà di affermazione del drammaturgo nella sua patria, ma tanto più nel nostro paese, a differenza che sul resto del continente:

In Italia ad esempio egli non è tenuto in grande considerazione. Può darsi che il pubblico sappia che Strindberg ha scritto La signorina Giulia, ma certamente nulla di più. In Germania invece egli ha battuto la fama di Ibsen, e si può dire quasi anche quella di Goethe e di Shakespeare. Non esiste città tedesca dove Strindberg non sia

210 Su «La Parola e il Libro», n. 7, luglio-agosto 1928, pp. 196-7, Giovanni

Cesari rilevava questo fermento editoriale del Teatro di Strindberg e, pur sostenendo che dell’autore svedese se n’era fatta ormai la «tara», l’opera restava «potentemente rappresentativa della sensibilità moderna». Il suo teatro – segnatamente quello che si andava pubblicando da Alpes – aveva tutta l’aria di essere «poco teatrale» e quindi più adatto alla lettura. Formulata una valutazione positiva su Svanevit, di cui si loda la leggerezza fiabesca e persino il senso autoironico con cui Strindberg tratta il genere, del Sogno si dà un giudizio più guardingo: c’è tanto «di oscuro e di incoerente, perché in troppe parti […] è la fotografia e non l’idealizzazione artistica del sogno». Verso

Damasco, invece, è senz’altro «una delle maggiori opere strindberghiane»: un mistero

insieme moderno e universale, percorso da «un amaro tetro spirito biblico», che, «non ostante certe contaminazioni poco felici di solenne e di meschino, di stilizzato e di fotografico», appare creazione «nobile, viva e potente».

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