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Presidente Caritas Italiana dal 2008 al 2014

Monsignore, sulla base della traccia che le abbiamo in-viato e sul riscontro che Lei ci ha fornito, possiamo appro-fondire in particolare i seguenti aspetti:

la Sua esperienza con la Caritas, anche come pre-sidente della Caritas Italiana;

il rapporto con le Caritas diocesane;

il rapporto con La Conferenza Episcopale Italiana;

le situazioni di emergenza territoriale e gli inter-venti che sono stati fatti;

la formazione.

Il mio ricordo dell’esperienza in Caritas, a Roma in particolare, è un ricordo grato e significativo. È il ricordo del rapporto con gente motivata e professionalmente preparata. Motivata dai grandi valori a cui si fa riferi-mento da cinquant’anni: Paolo VI e lo Statuto del 1971, con il ruolo assegnato a Caritas Italiana di coordina-mento, di orientacoordina-mento, di testimonianza, con la prepa-razione di persone che ho trovato motivate da questi va-lori. Quelli che vengono dal Vangelo, quelli che vengono dall’esperienza, dalla solidarietà, dalla conoscenza da vi-cino della situazione delle persone, con la competenza in campi specifici che mi ha notevolmente stupito.

Ho il ricordo di gente che, capace di orientare, ca-pace di testimoniare, caca-pace di parlare, ma anche caca-pace di servire, ma anche capace, conoscendo il territorio, co-noscendo leggi e statuti, di mettere a disposizione la pro-pria disponibilità e il proprio cuore profondo che mi hanno consentito di riportare e testimoniare questa competenza, questo coraggio, questa disponibilità, que-sta capacità di servizio di solidarietà, sia in riferimento al Vangelo e sia in riferimento alla situazione storica. Mi ha colpito questa capacità di raccordare tra di loro il tema della profezia con gli statuti, i regolamenti e le leggi, le

risorse pubbliche e private e la conoscenza delle situa-zioni locali, che non sono tutte uguali. Nella conoscenza di Caritas Italiana c’era anche questa capacità di cono-scere le situazioni locali, le Caritas diocesane in modo particolare.

E la presenza, la competenza, con il riferimento alla Santa Sede, al Santo Padre ed alle sue indicazioni. E le prospettive con le quali ha arricchito il cammino in tutti quegli anni. In Caritas la presenza di persone motivate e competenti aiuta il riferimento alla comunità alla quale ci si rivolge per aiutare, per servire, per offrire compe-tenza e motivazione e aiuto concreto dentro un contesto in cui quella persona, quel gruppo, quella struttura di Ca-ritas diocesana si mette al servizio di una realtà che ben conosce.

Importante è la conoscenza di tante realtà diverse, ad esempio un conto è parlare di Caritas Ambrosiana e un conto è parlare di Lampedusa, un conto è parlare di diocesi grandi con strutture articolate. Quando penso a Lampedusa penso a situazioni difficili, se ne parla anche in questi nostri tempi. La presenza di Caritas Italiana in territori difficili in Italia, con i terremoti in modo partico-lare, e nei territori dell’ex Jugoslavia, Bosnia, Mostar, Ko-sovo, Pristina, era una presenza conosciuta e accolta vo-lentieri dalle istituzioni locali, che accettavano la nostra presenza e usufruivano volentieri della nostra disponibi-lità e dei nostri aiuti.

Una cosa significativa e bella è che riconoscevano in Caritas Italiana sia il servizio di coordinamento sia quello di orientamento nel rispetto delle Caritas locali, delle si-tuazioni e delle istituzioni locali. Quindi, devo dire che ho un ricordo grato di questa presenza, di queste persone, della loro motivazione, della loro competenza, della loro conoscenza del territorio e della loro generosità nei con-fronti di tante realtà che avevano bisogno di aiuto e della capacità di Caritas Italiana di orientare e coordinare come punto di riferimento importante.

Lei è stato presidente di Caritas Italiana nel periodo della crisi che è scoppiata nel 2007/08 e da cui non eravamo ancora usciti prima dello scoppio del Covid. C’è qualche elemento che Lei ricorda di quegli anni particolari in cui il Paese era ripiombato in una crisi molto grave?

La competenza e la presenza strutturale della Cari-tas, sia Italiana che diocesana, di fronte a un terremoto, a un’alluvione, di fronte a una situazione difficile, invita autorità civili ed ecclesiastiche alla collaborazione. La presenza “abituale” capace di orientare, capire e aiutare rende la struttura pronta a intervenire, in certi momenti bisognerà andare più al nord o più al sud, con un aiuto di carattere economico straordinario o di presenza diretta o di conforto o di coordinamento o di orientamento o di intervento perché intervengano altre realtà.

Dicevamo delle diocesi, della Cei, della Santa Sede e non possiamo dimenticare Caritas Europa che ha una struttura diversa dal punto di vista istituzionale: molto più legata al punto di partenza di base. Certo, occorre su-perare la tentazione d’immaginarsi unicamente una struttura ben organizzata perché ci vuole cuore, ci vuole passione, ci vuole capacità di mettere a disposizione il va-lore profondo che nasce dalla fede e dalla solidarietà, dalla fede che diventa carità, la disponibilità per venire sia in momenti straordinari di difficoltà sia in quelli ordi-nari in cui c’è sempre il povero, in cui c’è sempre l’ultimo, in cui c’è sempre l’immigrato che ha bisogno, quindi il cuore e la capacità d’aprirsi rende meno difficile l’inter-vento anche di carattere operativo.

Nei tempi difficili di emergenza rispetto a quelli or-dinari, che poi sono sempre un po' d’emergenza perché i poveri ci sono sempre, gli ultimi ci sono sempre, per cui c’è sempre bisogno di una presenza che dice cuore, che dice persone impegnate, che dice riferimento ad un’isti-tuzione, che è di carattere ecclesiale, ma che testimo-niava la sua presenza nella società civile, rispettosi delle istituzioni, delle autorità competenti, ma anche capacità di offrire un aiuto. E quando la società civile chiama, Ca-ritas s’è sempre messa a disposizione.

Crediamo, visti i tempi che stiamo vivendo, che sia utile soffermarci sul rapporto con le diverse Chiese italiane.

Quando Lei era presidente aveva a che fare con le tante Chiese, le tante diocesi del nostro Paese. C’è qualche cosa che ritiene sia utile richiamare e rimarcare nel modo con cui collaborare con le Chiese e le Caritas locali in questo tempo di pandemia?

Ricordo quelle occasioni periodiche, annuali fonda-mentalmente, che vedevano raccolte in un’assemblea di Caritas Italiana tutte le diocesi (il convegno nazionale

delle Caritas diocesane) e che sono state molto significa-tive e importanti. Occorreva una preparazione accurata, bisognava indicare delle tematiche preferenziali, portare esperienze, portare anche esigenze e necessità.

Si comprese che era necessario un rapporto conti-nuativo con le altre realtà che non erano, sempre, di Ca-ritas ma che erano presenti sul territorio e con le quali si doveva necessariamente collaborare. Di questi incontri nazionali ho un ricordo molto bello e positivo, perché consentivano anche di parlare con i responsabili delle Ca-ritas diocesane, sia con quelle che si conoscevano abi-tualmente e che partecipavano senza difficoltà e quelle che, invece, erano in crisi e in difficoltà. Queste occasioni consentivano di ascoltare, sentire, orientare e poi, ma-gari, di favorire una nostra partecipazione agli incontri diocesani o regionali.

Anche l’ambito regionale è significativo perché con-sente di riconoscere una realtà sul territorio che trova, in particolare nelle responsabilità regionali, un luogo di ar-ticolazione e di spiegazione, di proposta, di raccolta di iniziative e di suggerimenti. Ecco, io dico che gli ambiti regionali consentono un’articolazione significativa, con una grande preoccupazione di evitare che tutto si riduca sia al solo coordinamento, che è pure fondamentale, che pure lo statuto di Paolo VI richiedeva, ma non ferman-dosi lì, cercando di dare orientamento, cercando di sen-sibilizzare, cercando di andare incontro, cercando di co-gliere le difficoltà presenti sul territorio e supportando e aiutando, rappresentando, magari, ai livelli nazionali, an-che della Cei, situazioni an-che hanno bisogno di una certa attenzione.

Devo anche dire che il rapporto con la Cei è sempre stato molto significativo; tra l’altro il presidente di Cari-tas Italiana, in quanto presidente della Commissione epi-scopale della carità e la salute, aveva la possibilità, credo ce l’abbia anche oggi, di partecipare ai lavori del Consi-glio permanente della Cei. Questa presenza nel ConsiConsi-glio permanente, oltre che nell’assemblea dei vescovi ita-liani, era un luogo che consentiva di dire la parola oppor-tuna al momento giusto, di chiedere e di rispondere ad eventuali osservazioni su alcune situazioni locali di cui si veniva a conoscenza; quindi, era un lavoro svolto, spesso, in un contesto ordinario, ma significativo perché in ogni ambito e territorio di fronte a ogni esigenza c’era un ascolto, un approfondimento, una proposta e un aiuto secondo le possibilità.

Papa Francesco insiste molto sui concetti di cammi-nare insieme e costruire insieme, sono indicazioni molto significative e molto utili. Accennavo prima alla forma-zione: è una tematica ed è un impegno che Caritas ha sempre guardato con grande attenzione e sensibilità.

Formazione che vuol dire: i valori, i contenuti, la situa-zione, le leggi e i decreti, il rapporto pubblico/privato, perché Caritas sta dentro una struttura che scaturisce da un valore che nasce dal cuore, che nasce dalla vita eccle-siale; però, poi, dentro il cammino della società civile è presente con una sua capacità istituzionale di orientare e di offrire un aiuto. Il tema della formazione significa aiutare la gente sui valori, sui contenuti, sulle priorità, ma anche col servizio, con la presenza nei luoghi in cui vi sono difficoltà ed emergenze.

Quindi, il valore di carattere teorico e istituzionale è la presenza, l’orientamento e la conoscenza dal vivo delle realtà; certo, in alcune situazioni e con alcune storie e tradizioni è più facile ed in altre situazioni è meno fa-cile. Nei convegni nazionali, a proposito della presenza dei giovani, dicevamo che volevamo più giovani. I giovani c’erano in Caritas, solo che, magari, non potevano venire agli incontri nazionali. È difficile immaginare un servizio di Caritas che non sia legato, oltre che alla presenza di gente motivata, esperta e competente, anche a gente giovane.

Rispetto ai giovani c’è un elemento che noi stiamo racco-gliendo, sia dalle interviste che dai dati: abbiamo rilevato che tra i direttori Caritas ci sono tanti obiettori di co-scienza che avevano maturato in Caritas questa voca-zione e che, poi, chi da sacerdote, chi da religioso, chi da laico ha continuato questo percorso. C’è un messaggio pedagogico nella formazione alla carità che Lei si sente di rimarcare e di sottolineare?

Sì, bisogna tener presente il cambiamento di vita e di cammino della società civile, sia prima dell’obiezione di coscienza sia dopo con il servizio civile. Prima il servizio di leva era obbligatorio, mentre ora la struttura è un po' cambiata, il servizio militare è diventato volontario. Però devo anche aggiungere l’impegno che abbiamo cono-sciuto nell’impegno quotidiano di tanti obiettori di co-scienza che rendevano un servizio molto significativo.

Voleva dire dare la priorità alla pace e quindi essere un’occasione di riflessione per i giovani e anche di pro-posta alla società civile.

Bisognava articolare il discorso in modo corretto e competente, perché guai se si ci fosse fermati unica-mente ad un dibattito teorico o sulla possibilità della di-fesa rispetto all’eventuale invasione, ma invece andava articolato partendo da un discorso generale sul tema della giustizia, sul tema della solidarietà, sul tema della pace, sul tema del rispetto di ogni libertà e poi si è ag-giunto, giustamente, di ogni libertà legittima che sia, a sua volta, rispettosa della legge che, a sua volta, sia

ri-spettosa di tutto quello che il diritto naturale mette a di-sposizione della riflessione e dell’impegno sulla pace. Poi ci sono state le marce nazionali della pace così significa-tive, nelle quali si ascoltavano testimoni importanti.

Alcuni dicono che se non c’è la guerra è difficile par-lar di pace; io dico: ringrazia il cielo che non ci sia la guerra e si parla comunque di pace per evitare che ci siano altre guerre. Noi dicevamo sempre che il punto di partenza è la struttura della società internazionale, la presenza dell’Onu e di realtà che sono di carattere inter-nazionale, capaci di interventi operativi per superare le difficoltà e le crisi locali in territori difficili.

Quindi l’impegno per la pace, la proposta, la testi-monianza in condizioni che cambiano nel corso della sto-ria, con la testimonianza, l’educazione, la formazione alla pace nella giustizia e nella libertà. Si diceva: pace non vuol dire solo assenza di guerra; ma vuol dire capacità di vivere in un contesto in cui tutti quanti sono in grado di realizzare i propri obiettivi legittimi. Citando Roosevelt,

“tutti quanti possano dare il meglio di sé, tutti quanti nella pace e nella giustizia siano in grado di dare al pro-prio paese e attraverso il propro-prio paese a tutta la società civile, superando le tentazioni che ciascuno può avere, mettendosi a disposizione della pace e della solidarietà per tutti”.

Sappiamo che quando monsignor Pasini interloquiva con i vescovi e presentava questo tema della pace e dell’obie-zione di coscienza incontrava qualche resistenza. I primi tempi non tutti erano d’accordo e per convincerli diceva che molti obiettori erano diventati sacerdoti.

L’obiezione di coscienza, il servizio civile ed il tema della pace, a partire dalla propria testimonianza, erano situazioni in cui la contingenza e il momento della vita del mondo, ed anche dei nostri Paesi, qualificavano questa riflessione e questa proposta in modo differenziato se-condo le situazioni. Credo che la testimonianza di Caritas e tante altre realtà nella vita, nel cammino della nostra società sia stato molto importante. Poi occorre anche te-ner presente che in relazione alla responsabilità di cia-scuno bisogna capire e comprendere che ci sono tante situazioni diverse, ci sono tanti pareri da rispettare, ma-gari non si condividono, però occorre conoscerli e rispet-tarli e dare le risposte. Questa è una delle cose significa-tive per cui Caritas Italiana, ma tanti altri insieme con la Caritas, si sono distinti positivamente: nel dare delle ri-sposte bisogna darle argomentate e plausibili e non sol-tanto slogan, non solsol-tanto indicazioni generali, ma rispo-ste, proporispo-ste, osservazioni, orientamenti argomentati e plausibili. E poi c’è il cammino in cui devono essere pre-senti la formazione, le motivazioni, quindi stare insieme

in un cammino, in una prospettiva anche nei confronti di coloro che non condividevano le nostre indicazioni.

Dell’ultima enciclica di Papa Francesco, “Fratelli Tutti”, ci ha colpito molto il passaggio che parla dell’essere arti-giani della pace. Crediamo che questa espressione con-fermi quello che diceva Lei, cioè di costruire la pace ogni giorno e l’apertura alle soluzioni nelle situazioni concrete.

Pensiamo sia il senso che ha cercato di dare Caritas nel proprio lavoro.

Certo, le encicliche di Papa Francesco - “Laudato Sii”

sull’ecologia integrale, che comprende il riferimento alle persone e alle realtà in cui le persone sono chiamate a vivere; “Fratelli Tutti” che parla di fraternità e di amicizia sociale - credo che abbiano colpito tutti sulla concretezza del camminare insieme in varie realtà: a scuola, sul la-voro, sulla prospettiva più ampia, perché la sottolinea-tura del sociale dice che star dentro il cammino di una società civile di cui tutti facciamo parte, significa star dentro con questa prospettiva di apertura, di fraternità, di fratellanza, di accoglienza, di camminare tenendosi per mano insieme. Io credo che questi siano elementi su cui educare, coinvolgere, orientare e sensibilizzare le no-stre realtà, quelle dei giovani, ma anche quelle degli adulti.

Il 19 marzo inizierà l’anno della famiglia, perché che a livello di famiglie - mi pare che lo ha ricordato an-che il Cardinale Bassetti - dopo questi momenti difficili della pandemia occorre, in qualche modo, rimettersi in-sieme, costruire inin-sieme, riconciliarsi nella misura in cui questo sia necessario. Allora, l’invito della Caritas di dare una prospettiva di amicizia sociale, di coordinamento e di camminare insieme nella fraternità possa essere utile, sia per gli ambiti giovanili e sia per gli ambiti dei gruppi familiari e degli adulti.

Prima dicevamo di una tradizione di Caritas Italiana che deve essere capace di raccordare la profezia, le regole, le risorse e le situazioni locali con le emergenze che abbiamo citato e che tutti possiamo ricordare o immaginare.

Aggiungo che occorre anche, a livello di responsabi-lità, ma anche di formazione, raccordare insieme sia le esigenze del proprio territorio, del proprio paese, della propria parrocchia, con le situazioni in cui è capitato il momento difficile che può essere il terremoto, può es-sere l’alluvione, può eses-sere la presenza di gente che viene da lontano, può essere la povertà, che non è mai sufficientemente combattuta e vinta, che siano le situa-zioni di malattia, di solitudine, di gente senza fissa di-mora, gente abbandonata, i poveri della porta accanto.

Ecco, raccordare questi elementi che ciascuno conosce e che se non conosce è bene che venga aiutato a cono-scere, con i valori, con la formazione e con le prospettive di fondo. Io credo che la scelta di responsabili capaci di raccordare questi elementi sia molto importante, in rife-rimento anche alle istituzioni.

Quindi, occorre la capacità di avere un rapporto cor-retto a livello istituzionale, lasciandosi coinvolgere, of-frendo una prospettiva, insistendo e testimoniando sulla giustizia e la carità con la conoscenza del territorio, il rap-porto con le istituzioni, la formazione e i nostri gruppi o le realtà di territorio; il rischio dell’impegno solitario di qualcuno, magari capace, magari bravo, non deve an-dare contro le esigenze della comunità, è sempre neces-sario ragionare insieme.