Autopresentazione
Ci puoi dire qual è il tuo rapporto con Caritas Italiana?
Sono in Caritas Italiana, come dipendente, dal 1° feb-braio 1984. Mi sono avvicinato alla Caritas con il servizio civile, l’avevo iniziato nella Caritas diocesana di Roma ed un giorno a settimana andavo in Caritas Italiana per occu-parmi delle pratiche degli obiettori di coscienza nella se-greteria nazionale del servizio civile. Mentre stavo per ter-minare il servizio civile e l’università, l’allora segretario generale don Pasini mi chiese se ero disponibile “per una collaborazione”. In realtà, mi veniva proposto di lavorare in Caritas Italiana a tempo pieno al posto di Roberto Ram-baldi, che doveva tornare a Milano.
Ho iniziato ad occuparmi di progetti di sviluppo e di emergenza, nell’area internazionale, finanziati dal Mini-stero agli Affari Esteri. Il mio compito particolare era te-nere i rapporti col Ministero agli Affari Esteri, curare tutta la parte burocratico-amministrativa, con qualche mis-sione in loco. Grazie a questo, ho quindi fatto qualche viaggio in Africa e in Asia. Questo per circa tre anni.
Qualche tempo dopo è stato aperto un ufficio Studi e Ricerche e mi è stata affidata quella responsabilità lì, in-carico che ho poi ricoperto per oltre venti anni.
Quell’esperienza è iniziata con il secondo censimento na-zionale dei servizi socio-assistenziali ecclesiali, che ho cu-rato in prima persona. Si è poi incrociata ad un certo punto, nel 1994, con un mandato quinquennale di vicedi-rettore, con l’incarico specifico per gli aspetti organizza-tivi. C’era già un vicedirettore vicario, don Antonio Cec-coni, che si occupava della parte pastorale. Quell’espe-rienza s’è conclusa con la scadenza del mandato. Teorica-mente era rinnovabile, ma siccome nel frattempo era stato aggiunto un terzo vicedirettore, Roberto Rambaldi, per gli aspetti internazionali, la Presidenza decise, nel corso di una riorganizzazione, di tornare all’unico
vicedi-rettore. Quindi, man mano che scadevano i nostri man-dati non venivano rinnovati e rimase solo il vicedirettore vicario.
Successivamente mi sono occupato di diverse altre cose, oltre all’ufficio Studi, più di tipo organizzativo. Nel 2009 sono stato distaccato, per quasi cinque anni, presso il Centro studi e ricerche Idos che lavorava per conto di Caritas Italiana, Fondazione Migrantes e Caritas dioce-sana di Roma, per la realizzazione di studi in materia di migrazioni, in particolare il Dossier Statistico Immigra-zione. Essendo laureato in Scienze Statistiche, la Presi-denza di Caritas Italiana pensò che la mia presenza po-tesse contribuire all’attività di Idos e per favorire un le-game più stretto con Caritas Italiana. Questa esperienza si è conclusa nel 2014 e da allora sono tornato in pianta stabile nell’organico di Caritas Italiana con l’incarico di re-sponsabile del Centro documentazione e del Servizio Pro-mozione Caritas, a cui fanno capo le attività di formazione e di studio.
Recentemente questo ambito è stato unito all’Area nazionale, quindi si è ampliata la mia sfera di competenza, che ora comprende anche gli uffici che si occupano d’im-migrazione, di politiche sociali, del servizio civile: un’area piuttosto ampia, chiamata Area nazionale promozione Caritas. Con ogni probabilità concluderò la mia esperienza lavorativa in Caritas Italiana, una vita passata in Caritas Italiana.
Alla luce di questa militanza lunga sei particolarmente qualificato per esprimerti sulla specificità della Caritas Ita-liana sia nella chiesa itaIta-liana che nella società itaIta-liana.
Quali sono i caratteri, secondo te, che individuano questa specificità?
La specificità della Caritas nella chiesa italiana si può ritrovare nell’art. 1 dello statuto di Caritas Italiana.
Quando Paolo VI istituì nel 1971 la istituì le volle dare un carattere promozionale, cioè favorire il passaggio da una
visione di carità prevalentemente o puramente assisten-ziale ad una carità soprattutto promozionale, che mirasse alla promozione della persona, al coinvolgimento della comunità cristiana, a mettere la carità al centro della vita della chiesa riprendendo Matteo 25, il giudizio finale, che avverrà su questo. Questa è la specificità di Caritas Ita-liana, con tutto quello che significa in termini di realizza-zione di una società diversa, nella quale vengano ridotte le disuguaglianze, una società più a misura d’uomo, nella quale si realizzi la giustizia sociale, una civiltà dove si pro-muove la pace.
Per quella che è stata la tua esperienza, quali sono gli ele-menti di continuità e quali eleele-menti di discontinuità ci sono rispetto alla Poa? E quanto ha inciso il coinvolgimento della Caritas nelle emergenze nazionali ed internazionali rispetto allo sviluppo di questo organismo ecclesiale?
Premesso che non ho conosciuto direttamente la Poa, però per quello che mi è stato riferito (e in base alla documentazione storica), la Poa era stata creata nell’im-mediato dopoguerra per la gestione degli aiuti dei catto-lici americani alla chiesa Italiana in quel periodo storico, quindi aveva una visione prevalentemente - se non total-mente - assistenziale. Caritas Italiana è stata voluta da Paolo VI in totale discontinuità con la Poa, non vedo ele-menti di continuità, perlomeno nella fase iniziale di Cari-tas Italiana. Forse nel tempo questa discontinuità si è un po’ attenuata. La mentalità assistenziale è comunque ri-masta forte nel vissuto della comunità ecclesiale italiana.
Molto spesso Caritas viene confusa con elemosina e con assistenza, questa è una mentalità che continua e forse oggi sta riprendendo più forza. In questo senso, cioè nel superare la mentalità assistenzialistica, si può cogliere l’importanza di Caritas nelle grandi emergenze.
Perché dico questo? Perché il ruolo delle emergenze nei primi anni di Caritas Italiana è stato molto forte; addi-rittura, c’è chi sostiene che le Caritas diocesane siano nate a seguito di interventi di emergenza. Mi riferisco soprat-tutto al terremoto del Friuli nel 1976, all’emergenza dei profughi del sud-est asiatico a fine degli anni ‘70, all’espe-rienza del terremoto dell’Irpinia nel 1980. In quelle occa-sioni gli interventi di emergenza non furono concepiti da Caritas Italiana semplicemente come interventi di soc-corso, ma si mirava a fare in modo che favorissero gemel-laggi tra le comunità colpite e le cosiddette. comunità do-natrici. Questo nel tempo è avvenuto. Ed è avvenuto in maniera molto forte con i due terremoti citati.
Ricordo monsignor Battisti, allora arcivescovo di Udine, che ogni volta che si parlava delle Caritas nel ter-remoto non finiva mai di ringraziare Caritas Italiana per i
gemellaggi che erano stati avviati con le altre diocesi Ita-liane. Oltre ad essere un intervento di soccorso e di assi-stenza diretta era, soprattutto, uno scambio tra chiese, uno scambio tra comunità e questo, secondo me, è stato un grosso elemento di discontinuità rispetto al passato e ha favorito fortemente la nascita delle Caritas diocesane e direi anche delle Caritas parrocchiali. Purtroppo questo ha avuto un risvolto, forse, non del tutto positivo, perché poi, in realtà, Caritas nei primi anni è stata percepita so-prattutto come un organismo che interveniva nelle emer-genze, quindi venivamo riconosciuti per questo, ma Cari-tas Italiana era molto altro. Però nell’opinione pubblica e nella chiesa venivamo percepiti soprattutto per questo.
Quindi, se da una parte ha favorito un certo cambiamento di mentalità, dall’altra ha forse creato anche un’immagine non del tutto coerente con quelli che erano i propositi di Paolo VI.
Nel progetto originario della Caritas quanta ecclesiologia conciliare noi possiamo ritrovare? E più in generale, quanta parte delle tensioni del Concilio Vaticano II troviamo in que-sta novità rappresentata dalla Caritas Italiana?
Io direi che ci troviamo tantissimo del Concilio. Cari-tas Italiana è stata voluta da Paolo VI proprio per favorire il rinnovamento della chiesa italiana alla luce del Concilio.
Se, ad esempio, leggiamo lo statuto, ma anche la storia di Caritas Italiana, e leggiamo insieme la “Gaudium et Spes”
ci troviamo una piena corrispondenza: penso a tutti i temi legati alla pace, tutti i temi legati allo sviluppo, i temi le-gati alla difesa della vita dell’uomo e, soprattutto, dei più poveri. Ecco, ci troviamo pienamente in quello che è con-tenuto nella “Gaudium et Spes”. Se penso alla mia espe-rienza personale da giovane obiettore di coscienza, la let-tura di questo documento per me fu uno stimolo fortis-simo ad avvicinarmi alla Caritas, perché intanto era un te-sto che mi entusiasmava e poi sentivo gli stessi discorsi fatti in Caritas Italiana; quindi, secondo me, c’è una totale consonanza tra quelle che sono le istanze conciliari e quelli che sono gli obiettivi, l’azione e la storia della Cari-tas. Forse, anche per questo motivo nel corso del tempo Caritas ha incontrato tante difficoltà e resistenze, che sono legate al recepimento del Concilio.
Adesso vorremmo chiederti di intervenire su un grappolo di questioni che hanno a che fare con la prima fase della Caritas, che per comodità abbiamo fatto arrivare fino al Convegno di Loreto del 1985, e la Caritas attuale. Ecco, mettendo a confronto il cammino della prima fase ed il cammino attuale, che collegamenti vedi? E,
eventual-mente, quali differenze rispetto, per esempio, al radica-mento della Caritas nelle diocesi e rispetto alla questione del volontariato che noi abbiamo definito politico?
Questa è una domanda a cui non è facile rispondere.
Probabilmente il convegno di Loreto è stato un crinale im-portante nella storia della Caritas in rapporto alla chiesa italiana. Ero entrato da poco in Caritas Italiana e forse neanche ero cosciente di ciò che questo evento rappre-sentava per Caritas Italiana. Io l’ho vissuto un po’ di ri-flesso per quella che era la partecipazione di monsignor Nervo nel comitato preparatorio.
Ricordo che monsignor Nervo era un po’ perplesso per l’andamento della preparazione del convegno, lo ca-pivo attraverso i suoi racconti. E se penso a quello che in-vece fu il primo convegno della chiesa italiana, quello del 1976, “Evangelizzazione e promozione umana”, dove una delle tre relazioni fondamentali venne affidata a monsi-gnor Nervo, c’era una grande differenza, si era in due epo-che ecclesiali diverse. Si potrebbe parlare a lungo di que-sto. Certamente dal ’76 all’85 furono anni in cui fu molto forte l’investimento, soprattutto di monsignor Nervo e monsignor Pasini, nella creazione e nel radicamento della Caritas nelle diocesi e c’era anche un grande protagoni-smo delle Caritas.
Io vedo poi una fase che va dall’85 e fino al ’95, quando vi fu il terzo convegno ecclesiale, quello di Pa-lermo. In quegli anni la presenza delle Caritas diocesane si era ormai abbastanza consolidata, però c’era qualche sospetto - passatemi il termine - da parte di alcune sfere ecclesiastiche nei confronti di Caritas Italiana. Monsignor Nervo diceva sempre che veniva considerata come una sorta di figlio illegittimo rispetto alla Cei, forse anche per-ché la volle Paolo VI in persona. Ricordava spesso anche l’intervento di monsignor Motolese, che fu il secondo pre-sidente di Caritas Italiana, che quando lasciò la Presidenza disse nell’Assemblea della Cei “mi raccomando, non toc-cate Caritas Italiana!”, perché percepiva che, forse, c’era qualche perplessità su alcune linee, sulla non compren-sione e così via.
Diciamo che nella prima fase, comunque, c’era molta spinta, molta libertà d’azione da parte di Caritas Italiana, che, forse, negli anni successivi all’85 è stata un po’ miti-gata. Ci furono rapporti sempre più stretti tra Caritas Ita-liana e segreteria della Cei e questo portò anche a contatti sempre più frequenti. All’inizio degli anni 90 ci fu anche un cambiamento dello statuto di Caritas Italiana. Se te-niamo presente che il primo statuto prevedeva che il pre-sidente di Caritas Italiana fosse uno dei tre vicepresidenti della Cei, nello statuto successivo non fu più così: il presi-dente di Caritas Italiana divenne il presipresi-dente di una delle commissioni episcopali e, soprattutto, il bilancio di Caritas
Italiana non veniva più approvato dal Consiglio Nazionale, che approvava solo il programma di attività, ma dalla Pre-sidenza.
Questi sono tutti cambiamenti significativi avvenuti dopo il convegno di Loreto, fra l’85 ed il ’95. In questo senso va visto anche il legame con il mondo del volonta-riato. Si veniva da anni molto fecondi per la promozione del volontariato, c’erano esperienze innovative rilevate anche dal secondo censimento dei servizi socio-assisten-ziali, la nascita di cooperative sociali, tutto il rapporto col Cnca, il volontariato politico. Ecco, tutte queste questioni qualche problema ai vertici della chiesa Italiana lo provo-cavano e, forse, non veniva ben capito. Anche in questo io vedo una difficoltà di comprensione di quelli che erano gli obiettivi dati da Paolo VI alla Caritas Italiana.
Cosa creava problemi secondo te?
Secondo me era il concetto di carità politica, che è sempre stato mal compreso, mal capito, mal interpretato.
Nello statuto di Caritas Italiana c’è scritto chiaramente che uno dei compiti di Caritas Italiana è quello di realiz-zare studi e ricerche al fine di capire le cause delle po-vertà, intervenire sulle cause e promuovere un’adeguata legislazione e piani d’intervento. Questo significa spor-carsi le mani con la storia, significa sporspor-carsi le mani con la politica nel senso più nobile del termine, dire “questo provvedimento va nella direzione di una società più giusta o di una società più ingiusta”, “va nella direzione di difen-dere o meno gli interessi delle fasce deboli”. Ecco, tutto questo non è stato ben capito dalla chiesa Italiana nel corso del tempo e ancora oggi qualche difficoltà ci sta, non tanto nei vertici, ma nella mentalità diffusa nella chiesa Italiana. Questo penso sia stato il motivo principale di sospetto verso Caritas Italiana e tutto ciò che si muo-veva in quegli anni.
E l’atteggiamento e le linee della Caritas rispetto a grandi temi come: la pace, la non violenza, la giustizia, la salva-guardia del creato, qual è? Tu noti una continuità nell’im-pegno militante ed anche politico-culturale su questi temi o ci sono delle differenze nel passaggio da una fase all’altra?
Sui temi della pace, della nonviolenza e della salva-guardia del creato, secondo me c’è continuità. Chiara-mente, verso l’ultimo tema, la salvaguardia del creato, ci viene anche molto in soccorso papa Francesco, che sta in-sistendo moltissimo su questi temi, tutto ciò che sta av-venendo nel mondo, la sensibilizzazione rispetto ai cam-biamenti climatici, la mobilitazione dei giovani, la perce-zione che questo è un tema che non si potrà mai più elu-dere… penso che ci sta provocando molto in questo senso e Caritas Italiana sta lavorando molto su questo tema. Tra
qualche mese faremo anche uscire una nostra pubblica-zione sull’argomento. Sul tema della pace vedo conti-nuità, anche se apparentemente può sembrare che non ci sia. Perché dico questo? Perché, a seguito anche di cam-biamenti che sono avvenuti nella legislazione (prima c’era il servizio militare obbligatorio, poi è arrivata l’obiezione di coscienza, il servizio civile… su questi temi Caritas era impegnata fortemente, anche perché era l’ente che acco-glieva il maggior numero di obiettori di coscienza in Italia), venuto meno tutto questo, può sembrare che sia venuto meno anche l’interesse, perlomeno esplicito, di Caritas Italiana.
Dal punto di vista di linea d’azione io però non vedo grandi differenze: la sensibilità su questi temi è molto forte e anche i nostri interventi, le nostre pubblicazioni e i nostri documenti a mio giudizio lo testimoniano bene.
Penso che gli interventi effettuati in seguito a grandi que-stioni internazionali - in Somalia, in Ruanda, ecc. - lo pos-sano testimoniare. Forse c’è meno esposizione mediatica, però dal punto di vista della linea di intervento non ci vedo differenze.
Pensando alla tua valutazione di quegli anni (quelli tra l’85 e il ’95, in cui crolla la Prima Repubblica, esplode la que-stione della mafia, le stragi, crolla il Muro di Berlino, Tan-gentopoli...), in cui “cambia il mondo”, che riflessione si faceva all’interno della Caritas rispetto a ciò che stava av-venendo? Perché, poi, Ruini prese in mano la situazione nel rapporto diretto con la politica, cioè, cambiarono le di-namiche della politica come politique, non come policy.
C’era discussione su questo? Si parlava di questo? C’era un livello di confronto su questi cambiamenti, chiamia-moli, di contesto?
Secondo me, nel ’96 è successo qualcosa d’impor-tante anche nella storia di Caritas Italiana, perché finì il secondo mandato di don Giuseppe Pasini che, insieme a don Giovanni Nervo, ha avviato e seguito l’evoluzione ini-ziale di Caritas Italiana. Con la fine di tale mandato, che non poteva essere ulteriormente rinnovato perché per lo statuto si possono avere solo due mandati quinquennali, noi percepimmo nettamente che ci sarebbe stato un cam-biamento in Caritas Italiana, ma non tanto per le persone, perché chi è venuto dopo - don Elvio Damoli e don Vitto-rio Nozza - sulla sensibilità e sui nostri temi ci stavano pie-namente, ma soprattutto il cambiamento era, forse, nella direzione che si voleva che Caritas Italiana avesse.
Con Nervo e, soprattutto, con Pasini il dibattito terno era molto forte, c’era un grosso protagonismo in-terno, si discuteva molto. Negli anni presi in considera-zione ci fu la caduta del muro di Berlino, tangentopoli, le stragi… ricordo anche tutto quello che è seguito con la
guerra del Golfo, nel ’91: internamente per noi quello fu un momento drammatico, perché era la prima volta dal dopoguerra che l’Italia veniva chiamata in prima persona a intervenire in un quadro bellico, seppur sotto l’egida dell’Onu. Per noi fu un momento che provocò grandi ri-flessioni.
Con la direzione di don Pasini c’era un forte dibattito interno su questi temi. Ricordo in particolare quello che si dibatteva a proposito degli scenari internazionali e si di-ceva che con la fine del blocco sovietico, col crollo del blocco comunista, ci sarebbe stato uno strapotere degli Stati Uniti d’America, del capitalismo, cosa che in realtà negli anni successivi è avvenuta. Questo poneva tutta una serie d’interrogativi dal punto di vista della politica ita-liana, dal modo in cui si dovevano affrontare i temi della pace, della guerra, della nonviolenza; sì, su questo il di-battito era molto forte. Ricordo, ancora, che ci fu tensione sull’intervento dell’Italia negli scenari di guerra, perché ci veniva detto “non possiamo dire qualcosa che va in con-trasto col Governo” e questo ci provocava malessere, per-lomeno a chi di noi era più esposto verso l’esterno.
Poi c’era tutto il dibattito relativo ai soggetti con cui interloquire nell’ambito politico; se prima c’era, in qual-che modo, un interlocutore, più o meno privilegiato, qual-che era la Democrazia Cristiana, dopo non c’era più e la per-cezione era che i vertici della Cei privilegiassero uno schie-ramento piuttosto che un altro. Si diceva che i cristiani erano presenti in entrambi gli schieramenti che si erano creati, che bisognava animare dal punto di vista cristiano entrambi gli schieramenti, però, tutto sommato, l’impres-sione era che ci fosse uno sguardo un po’ più privilegiato per uno schieramento piuttosto che per l’altro e questo ce lo siamo portato dietro per un bel po’ di tempo; questo qualche disagio ce l’ha creato. Noi che, tutto sommato, si cercava di tenere la consegna, cioè, appunto, di non pri-vilegiare uno schieramento rispetto ad un altro, in realtà non vivevamo benissimo questa percezione. Tante volte negli ultimi anni della direzione di don Pasini ci sono state
Poi c’era tutto il dibattito relativo ai soggetti con cui interloquire nell’ambito politico; se prima c’era, in qual-che modo, un interlocutore, più o meno privilegiato, qual-che era la Democrazia Cristiana, dopo non c’era più e la per-cezione era che i vertici della Cei privilegiassero uno schie-ramento piuttosto che un altro. Si diceva che i cristiani erano presenti in entrambi gli schieramenti che si erano creati, che bisognava animare dal punto di vista cristiano entrambi gli schieramenti, però, tutto sommato, l’impres-sione era che ci fosse uno sguardo un po’ più privilegiato per uno schieramento piuttosto che per l’altro e questo ce lo siamo portato dietro per un bel po’ di tempo; questo qualche disagio ce l’ha creato. Noi che, tutto sommato, si cercava di tenere la consegna, cioè, appunto, di non pri-vilegiare uno schieramento rispetto ad un altro, in realtà non vivevamo benissimo questa percezione. Tante volte negli ultimi anni della direzione di don Pasini ci sono state