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4-226

Marset Campos (GUE/NGL). - (ES) Signor Presidente, è un insulto alla coscienza e all’etica politica europea il fatto che, dopo un intervento militare della NATO e dell’Unione europea contro la Jugoslavia condotto sotto la bandiera delle ragioni umanitarie e motivato dall’esecrabile pulizia etnica compiuta dall’amministrazione jugoslava tra gli albanesi, in questo momento siamo tranquilli e comprensivi di fronte alla violenza perpetrata, per di più in proporzioni assai maggiori, dagli albanesi nei confronti di serbi, rom e altre minoranze,.

Riteniamo che, se l’Unione europea non condanna e non trova rimedio a tale condotta criminale, le conclusioni saranno ovvie: in primo luogo, l’Unione europea diventerebbe complice dei massacri di serbi e di rom organizzati dalle bande criminali e mafiose dell’UCK; in secondo luogo si dimostrerebbe che l’Occidente applica due pesi e due misure; e in terzo luogo, si direbbe che l’obiettivo dell’intervento era la distruzione del popolo serbo.

4-227

Sakellariou (PSE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, chi all'inizio di quest'anno non sopportava più di assistere agli omicidi, alle espulsioni di massa, ai saccheggi e agli incendi perpetrati dall’esercito e dalle milizie serbe in Kosovo e quindi era favorevole ai cosiddetti interventi umanitari, oggi deve chiedersi se la guerra, scatenata non contro chi ha commesso questi crimini, bensì contro la popolazione jugoslava, la guerra che abbiamo condotto per più di due mesi e mezzo e che è costata molti miliardi di euro, abbia effettivamente sortito i risultati sperati.

Gli assassini, le espulsioni di massa, i saccheggi e gli incendi sono forse finiti in Kosovo? Purtroppo no.

Purtroppo i crimini continuano, con due differenze. Primo: le loro vittime non sono più i kosovari albanesi, bensì i serbi, i rom e addirittura i bosniaci. Secondo: in Kosovo non c'è più l'esercito jugoslavo. Ci sono i nostri eserciti, che da un lato portano a compimento un'opera encomiabile, attivandosi per la ricostruzione, per proteggere le persone e per mettere ordine sotto tutti i punti di vista. Dall’altro però sono disperati perché non sono in grado di proteggere con efficacia le persone che sono chiamati e che vorrebbero proteggere. Di chi è la colpa? Purtroppo di coloro a favore dei quali la comunità internazionale ha portato avanti una guerra, la prima per motivi umanitari. L'ex-UCK, dico "ex", in quanto si presume che non esista più, perché pare che sia stato disarmato, ritiene di aver vinto una guerra e che da questo derivi il diritto di commettere esattamente gli stessi crimini che hanno portato alla guerra. E' una vergogna!

La comunità internazionale per ora sta a guardare. Potremmo accordare pieno sostegno all'incaricato delle Nazioni Unite Kouchner, e ai suoi ex-colleghi, se iniziasse a costruire un'amministrazione non sottomessa alla guida del governo falso e illegittimo dell'UCK, se le autorità comunali e i consigli cittadini e comunali non venissero designati dall'UCK, se tali incarichi, insieme a tutti i molteplici compiti che vanno affrontati in Kosovo, venissero affidati ad altri funzionari dell'ONU, se non ad altri kosovari.

4-228

Schroedter (Verts/ALE). - (DE) Signor Presidente, non posso che associarmi all'intervento dell'onorevole Sakellariou. Anch'io in ottobre sono stato in Kosovo. Posso confermare che il potere militare non era in grado di risolvere i problemi in loco. Anzi, viene ribadito il vecchio principio secondo cui la violenza genera violenza. La comunità internazionale non ha soluzioni per il conflitto del Kosovo, che continua a trascinarsi. Il conflitto c'è ancora. A livello internazionale si va dicendo che il Kosovo è una parte della Jugoslavia, e che si deve creare una società multietnica. La realtà in Kosovo è però molto diversa. Chiunque si trovi lì, o lavori lì, lo sa. Lo sanno anche le autorità dell'Unione europea.

Il cosiddetto "ex" UCK, onorevole Sakellariou, lo sottolineo, si sente vincitore; oltre a tutto gli aiuti internazionali, prevalentemente economici, non fanno che confermare tale vittoria. Tutte le parti dichiarano che in teoria esiste una convivenza tra serbi, rom e albanesi. In pratica, però, a Pristina, predomina una situazione diversa. Le scritte in caratteri cirillici non esistono più. Sono state tutte distrutte, perché la lingua slava non deve più essere parlata. Per tutti i serbi che vivono a Pristina ciò significa che non possono più prendere parte alla vita pubblica. Si tratta di Pristina, una città piena di organizzazioni internazionali! A Mitrovica la situazione è ancora peggiore. La città è divisa, giorno dopo giorno la separazione si acuisce. Tutti i progetti multietnici, compresi quelli dell'Unione europea, sono falliti a questo riguardo.

A che cosa è dovuto questo? E' dovuto al fatto che ci concentriamo esclusivamente sugli aiuti economici, e perdiamo invece di vista le cose più importanti, cioè la tolleranza, la democrazia e gli aiuti nel settore sociale.

Per questi settori, in loco, non ci sono finanziamenti disponibili. Kouchner sa che la ricostruzione in Kosovo fallirà proprio a causa del problema della tutela delle minoranze. A questo proposito non riceve alcun aiuto dall'Unione europea.

4-229

Pack (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la situazione in Kosovo è caratterizzata da grande incertezza e violenza, addirittura a volte da omicidi, il che mette in cattiva luce e discredita anche noi, come già abbiamo sentito. In molti casi, nei quali tento di intervenire già dal 1989, anch'io mi sento tradita. Perché siamo intervenuti come comunità internazionale? Abbiamo deciso di aiutare gli albanesi, perché i loro diritti fondamentali e umani erano violati. Per questo siamo intervenuti, e continuo a pensare che si è trattato di una decisione giusta.

Durante gli otto anni di regime di apartheid in Kosovo, gli albanesi non hanno fatto nulla di male a nessuno, né ai serbi, né ai rom, né ai croati, né ai bosniaci. Hanno però dovuto patire terribili sofferenze, e ciò non va dimenticato. Le fosse comuni, che vengono alla luce con cadenza giornaliera, ne sono la testimonianza. Per questo ritengo che la convivenza sarà molto difficile. Ci vuole tantissimo tempo per rimarginare le ferite. Lo sappiamo anche noi, nell'Europa centro-settentrionale. Pertanto sono del parere, che si debba pretendere qualcosa che loro potrebbero realizzare e cioè la coesistenza in loco. Serve un nostro contributo. Anche i leader albanesi dovrebbero deplorare i fatti. Dobbiamo contribuire, servendoci dei mezzi a nostra disposizione, a trovare e condannare i colpevoli.

Volevamo scongiurare le ingiustizie e ora alcuni di coloro che abbiamo sostenuto ci sbugiardano e a loro volta espellono le minoranze. I rom, i serbi, i croati e bosniaci, tutti quelli che non parlano la loro lingua ne fanno parte. Non vorrei che gli oppressi divenissero oppressori. Per questo dobbiamo fare in modo che nei comuni, nei quali si verificano persecuzioni, vengano sospesi gli aiuti per la ricostruzione, di modo che tutti i singoli cittadini in questo paese si prendano le proprie responsabilità e si impegnino ad evitare episodi di questa natura. Le truppe della KFOR non possono essere onnipresenti, non possono stare dietro a tutti; pertanto tutti gli albanesi rispettabili - e sono molti di più di quanti crediamo - dovrebbero sentirsi davvero responsabili.

Il problema sta anche nel fatto che i leader albanesi, o quelli che si ritengono tali, non sono in grado di costruire insieme il futuro del paese, della loro patria; per questo dobbiamo appellarci anche a loro. Sono del parere che ci voglia un governo provvisorio, da insediare in tempi più brevi di quanto non sia possibile per Kouchner.

Secondo, a livello locale abbiamo bisogno di persone veramente responsabili. Se non potranno essere albanesi o serbe, là dove sono in maggioranza, allora dovrà essere qualcuno della comunità internazionale, perché noi si possa avere un interlocutore. In tutti i comuni dove le cose vanno bene, dobbiamo reagire in modo positivo e assicurare più aiuti di quelli che non fanno niente.

Onorevoli colleghi, si tratta di un compito molto arduo, che andrebbe risolto dall'UNMIK. Il problema sta nel fatto che si tratta di qualcosa che si risolve molto più facilmente sulla carta che non nella realtà. Non ritengo però che ciò possa essere ottenuto soltanto seguendo la via dell'instaurazione della democrazia. Dobbiamo perseguire tale obiettivo, però come prima cosa è necessario creare posti di lavoro, costruire infrastrutture, facendo sì che i giovani, che girano tuttora con i kalaschnikov, prendano in mano qualche utensile per fare qualcosa di utile per la loro patria. Allora sì che avremo imboccato la strada giusta; anche in quel caso Kouchner dovrebbe poter ottenere più risultati di quanto non faccia attualmente, pur con tutti gli ostacoli che incontra.

(Applausi)

4-230

Posselt (PPE-DE). - (DE) Signor Presidente, purtroppo finora il dibattito odierno è stato piuttosto unilaterale, perché abbiamo dimenticato da fare autocritica. Per molto tempo l’Assemblea ha ignorato l’oppressione in atto in Kosovo negli ultimi 10 anni. La onorevole Pack e altri non l'hanno fatto, mentre la maggioranza dei colleghi l’ha ignorata. La nostra è una responsabilità collettiva, o perlomeno, la colpa è di quelli che hanno preso determinate posizioni che hanno contribuito a demolire la figura di Rugova, in quanto per 10 anni lo abbiamo lasciato solo nella sua ricerca verso soluzioni pacifiche. E' evidente che, in una situazione disperata, nella quale centinaia di migliaia di persone venivano espulse con sistematica violenza attuata dallo Stato (questa è la grande differenza rispetto alle attuali ritorsioni isolate, anche se condannabili), Rugova abbia perso il controllo sulle forze coinvolte nella lotta.

Giudicare gli altri è lecito, ma sarebbe bene dar prova di autocritica, soprattutto ammettendo che su questo fronte abbiamo fallito. Dobbiamo inviare un segnale chiaro e deplorare qualsiasi espulsione. Provengo da una famiglia che, pur essendo innocente, è stata esiliata 50 anni fa in seguito a dei decreti statali. Ogni espulsione è un'evacuazione di troppo e il XX secolo rischia di passare alla storia come il secolo dei genocidi e delle espulsioni di massa. Abbiamo pertanto il dovere di fermare tutte le espulsioni, comprese quelle in Kosovo.

Abbiamo anche il dovere di batterci affinché il divieto di espulsione e il diritto di restare nella propria patria diventino i fondamenti dell'ordinamento internazionale, per evitare che in futuro si producano orrori analoghi.

4-231

Swoboda (PSE). - (DE) Signor Presidente, onorevoli colleghi, la verità è che, e qui non posso che associarmi ai colleghi che mi hanno preceduto, si corre il rischio di mancare l'obiettivo proprio quando si era ormai vicini alla meta, e di non riuscire a creare un Kosovo multietnico, cosa che era nelle nostre intenzioni, ma piuttosto di ritrovarsi con un Kosovo etnico, cioè popolato di soli albanesi. Onorevole Posselt, lei ha ragione a proposito della critica. Proprio in questa Assemblea, la onorevole Pack, molti altri colleghi ed io stesso da anni stiamo facendo notare quello che si può verificare in Kosovo, se stiamo a guardare, contribuendo a che Rugova venga demolito.

Quando di recente ci siamo recati in Kosovo, con la Presidente di questa Assemblea e la onorevole Pack, abbiamo visto che nelle zone dove è stata fatta pulizia etnica, più o meno le cose vanno bene. Invece, dove esiste una convivenza di gruppi etnici diversi, ci sono conflitti molto aspri che non fanno che acuirsi. E' inaccettabile che in ospedale serbi o albanesi corrano il rischio di subire lesioni ancora più gravi di quelle che presentano al

momento del ricovero. La comunità internazionale deve assumere una posizione univoca e chiara. E' inaccettabile che gli albanesi che hanno una mentalità liberale e aperta vengano minacciati, come è avvenuto all'ex-portavoce della delegazione di Rambouillet, che nel suo paese si batte per far accettare serbi, rom, sinti e altri gruppi etnici.

Ciò dipende anche da quanto già menzionato, ossia dal fatto che purtroppo in Kosovo ci sono politici albanesi che non fanno politica per configurare un futuro, bensì che curano soltanto alcuni aspetti, a seconda della parte da cui si trovano. E’ stato il portavoce della delegazione a Rambouillet a spiegarci il concetto con grande incisività: "Chiedete a un politico albanese una qualsiasi data insignificante, un piccolo evento storico, e ve ne parlerà a lungo. Chiedetegli come dovrà essere costruita la previdenza sociale del futuro. Non troverete nessuno in grado di darvi una risposta." Ancor più importante è che - e tengo a sottolinearlo - l'UNMIK e Bernard Kouchner possano compiere progressi rapidi nell'instaurare un nuovo governo, che deve mantenere i contatti con la gente e collaborare con i cittadini. E’ anche opportuno considerare con attenzione di chi sia la responsabilità.

La risposta chiara e netta deve essere: è dell'ONU - infatti è in gioco il suo mandato e la sua autorità - e naturalmente anche dell'Unione europea.

Dobbiamo aiutare la popolazione albanese a creare una società multietnica. E' questo il grosso compito che ci attende. La battaglia per la libertà del Kosovo non è ancora vinta. C'è ancora molto da fare!

(Applausi)

4-232

Presidente. - Prendo atto che per fortuna a proposito di questi temi tutti i gruppi parlamentari in questo Emiciclo sono d'accordo. Non guasta affatto.

4-233

Coûteaux (UEN). – (FR) Signor Presidente, il gruppo UEN voterà a malincuore la proposta di risoluzione comune. Dico a malincuore poiché ci troviamo a dover constatare i risultati della nostra costante ipocrisia sulla questione del Kosovo, per non dire della nostra cecità e addirittura della nostra viltà. Ipocrisia dal momento che in primavera eravamo consapevoli che scegliendo la guerra, e cioè rinunciando all’equilibrio che rappresentava l’unica condizione per la pace fra le parti in guerra, avremmo causato le manifestazioni di violenza senza fine alle quali continuiamo ad assistere.

Facendo di tutto per sostenere un gruppo terrorista, l’UCK, appoggiato purtroppo da uno Stato membro in quanto per molti anni ha avuto sede a Francoforte, abbiamo dato il via libera al regno del terrore. Inoltre, eravamo consapevoli del fatto che il nostro attivismo non aveva niente a che vedere con i diritti dell’uomo, poiché favoriva lo scatenarsi del terrore. Ormai non siamo altro che semplici testimoni, più o meno impietositi, di una nuova pulizia etnica di cui noi europei, e in particolare la missione Kouchner, siamo i complici, per non dire gli organizzatori.

All’ipocrisia si aggiunge la cecità, in quanto noi abbiamo confuso le nozioni di nazione e di etnia, di principio nazionale e di principio etnico. Nazione, bisogna ricordarlo, è il contrario di etnia. E’ triste dover ricordare cose tanto ovvie, ma l’Europa ha a tal punto perso di vista il principio nazionale da doverlo ricordare instancabilmente. Una nazione rappresenta il superamento delle etnie in un insieme pluralista che cancella i legami della razza o del sangue, o almeno li relega all’ambito privato per lasciare spazio ad una costruzione politica. E’ quello che in Francia chiamiamo da due secoli, e forse anche da molto più di due secoli, repubblica.

Distruggendo le nazioni - e l’insieme jugoslavo col tempo sarebbe potuto diventare una nazione soprattutto se l’Europa gli avesse aperto le braccia tempo prima -, distruggendo le nazioni otterremo un brulicare di etnie dappertutto, per non dire un brulicare di bande, cioè di regolamenti di conti e, alla fine, la guerra in Europa.

Distruggendo le nazioni, ossia la sua base, il suo principio fondamentale, la sua forza essenziale, l’Europa oggi si sta autodistruggendo.

Alla cecità si aggiunge la viltà. Gli europei infatti hanno combattuto questa guerra, lo sappiamo bene, solamente per debolezza nei confronti degli Stati Uniti, e cioè nei confronti di un impero che non ha concorrenti sulla terra e che ha iniziato a dividere l’Europa per dominarla. Questo è uno degli scopi degli Stati Uniti, che noi abbiamo assecondato per debolezza e per viltà.

Onorevole Pack., è chiaro che adesso non possiamo fare altro che osservare le rovine, che sono soltanto il primo risultato di una visione federalista dell’Europa che, partendo dalla fiera Serbia, che si è spesso distinta per il suo coraggio nel corso della storia, porta lentamente i popoli europei al disordine, alla discordia e, lo ribadisco, alla guerra.

4-234

Belder (EDD). – (NL) Signor Presidente, Hashim Thaqi, leader dell’UCK, l’esercito di liberazione del Kosovo, ha recentemente dichiarato: “Sono il presidente del Kosovo. Coloro che appoggiano il mio governo sono i benvenuti in Kosovo. Chi farà difficoltà dovrà lasciare il Kosovo.”

Questa consapevolezza del potere, assolutamente fuori luogo, è la prosecuzione esecrabile dell’abominevole regime di oppressione di Slobodan Milosevic. Questa condotta politica si scontra al contempo con la pacificazione – e con il processo di rinnovamento sociale – del leggendario campo di battaglia di Kosovo Polje e dell’area circostante. Sostanzialmente, le parole di Thaqi invitano i membri della minoranza serba ancora presente in Kosovo a lasciare la regione. Queste parole sono state rafforzate negli ultimi mesi dai frequenti atti di terrore commessi dalle vittime di ieri, gli albanesi del Kosovo.

E’ significativo il fatto che il giornalista albanese Veton Surroi abbia criticato aspramente questa biasimevole linea di condotta affermando che si tratta di “atti organizzati e sistematici di terrore che possono soltanto essere definiti fascisti”. Le stesse sofferenze sono state inflitte alla minoranza rom dalla strategia da pogrom adottata dagli albanesi. Desidero richiamare l’attenzione dell’Assemblea sui rom del Kosovo, che – si badi bene – è una delle etnie più antiche della regione. Oggi questa minoranza paga collettivamente in quanto accusata di essere stata complice del regime di Milosevic. Come è noto, Belgrado ha affidato ai rom i posti di lavoro tolti ai kosovari nel periodo fra il 1989 e il 1999.

Signor Presidente, un’indagine storica approfondita e imparziale dovrà dimostrare il grado di fondatezza delle accuse secondo le quali i rom del Kosovo avrebbero commesso atrocità nei confronti degli albanesi. Una cosa è certa sotto il profilo cristiano e morale: un crimine non giustifica in alcun modo un altro crimine.

Invece, nuovi crimini sono stati commessi dall’arrivo dell’ONU e della KFOR in Kosovo il 12 giugno. Ciò che è peggio è che questi crimini avvenivano già nei campi profughi macedoni. La conseguenza è ovvia: secondo le stime, 20.000 rom sono fuggiti dal Kosovo. La maggior parte ha trovato rifugio nei campi di accoglienza delle vicine repubbliche del Montenegro e della Macedonia. Secondo le informazioni in mio possesso, tuttavia, questi campi dovrebbero essere smantellati entro la fine dell’anno. Se le mie informazioni si riveleranno corrette, che cosa pensa di fare l’Unione europea a favore dei profughi rom?

A questo proposito, mi si consenta un altro quesito importante. In Montenegro molti rom del Kosovo cadono nelle mani di spietati trafficanti di persone per essere inviati in Italia. Quali iniziative può adottare l’Unione europea in stretta collaborazione con le autorità montenegrine per fronteggiare questo fenomeno?

Infine, il settimanale ceco Tyden ha scritto recentemente nel servizio “L’esodo segreto dei rom” che questa etnia non presta molta attenzione al proprio futuro. Per quale motivo? Perché non ha un futuro, un futuro dignitoso. E’

un’etnia “stretta fra il terrore albanese in Kosovo, il rifiuto e la discriminazione in altri paesi e l’affievolirsi degli aiuti umanitari nel centro dei Balcani”. Per tutte queste ragioni è necessario che la comunità internazionale intervenga per offrire protezione ai rom rimasti in Kosovo.

4-235

Alexandr Nikitin

4-236

Schroedter (Verts/ALE). - (DE) Signor Presidente, il 23 novembre Alexandr Nikitin subirà nuovamente un processo. Di nuovo, dovrà rispondere in tribunale per un vecchio caso di presunto spionaggio. Da tempo ormai è stato chiarito che le informazioni della relazione Bellona le aveva ottenute da fonti aperte al pubblico. La sua cognizione di causa però ha consentito a tutti noi di renderci conto dell'enorme pericolo latente nel Mare del Nord. Egli ha agito con grande spirito di umanità. L'Unione europea ha una responsabilità particolare, perché utilizza il materiale che è stato messo assieme da Alexandr Nikitin. La dimensione nordica, decisa ad Helsinki, comprende come parte essenziale il problema della pulizia del Mare del Nord e le modalità per scongiurare il pericolo che partendo da lì, potrebbe riguardare tutti noi. Per questo motivo dobbiamo intervenire con molta più determinazione, affinché Alexandr Nikitin possa essere rilasciato e i capi d'accusa vengano fatti cadere, perché

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