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Il presupposto della tutela: la capacità distintiva della forma imitata e la creazione di confusione nel pubblico

LA LEGISLAZIONE ATTUALE A TUTELA DELLA FORMA

5. La protezione concorrenziale della forma del prodotto

5.1. Il presupposto della tutela: la capacità distintiva della forma imitata e la creazione di confusione nel pubblico

Ai sensi dell’art. 2598 n.1 cc. ciò che rileva è l’aspetto esterno del prodotto, ossia il rivestimento, gli involucri, le confezioni, in breve l’Ausstattung. Per converso, la sola imitazione di singoli elementi dell’aspetto complessivo potrà rappresentare una degli altri mezzi idonei a creare confusione, cioè rientrare nella clausola generale di chiusura del 1° comma art. 2598 che si riferisce, giustappunto, a chi “compie con qualsiasi

altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente”.

Fatta questa precisazione, una forma, per ottenere tutela con la disciplina dell’imitazione servile, non deve essere né generalizzata, né elementare e diffusa, né standardizzata, né unificata dalla prassi; ovvero è necessario che sia percepibile

indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Al fine della trattazione da noi svolta su la tutela della forma di un prodotto ciò che rileva è la prima fattispecie tipica di concorrenza sleale e cioè l’atto confusorio del 2598 n. 1. Si sanziona quell’atto che viola il diritto soggettivo alla leale differenziazione dei prodotti sul mercato (i prodotti devono essere riconosciti e riconoscibili sul mercato). Questo primo punto si articola al suo interno seguendo lo schema della norma principale e, perciò, individua tre sottocategorie di atto confusorio:

- Usa nomi o segni distintivi idonei a creare confusione con quelli utilizzati da altri

- Imitazione servile

- Formula generale di chiusura (“atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività del concorrente”).

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dal consumatore in posizione differente rispetto alla produzione corrente204.

In altre parole, presupposto per ottenere la tutela è la capacità distintiva delle forme considerate. In difetto di tale caratteristica un’imitazione illecita non è neppure ipotizzabile, giacché, non vi può essere confusione se non in riferimento a caratteristiche che distinguono il prodotto in questione dai prodotti similari205.

Idoneità a creare confusione e capacità distintiva sono due facce della stessa medaglia, infatti, affermare che la riproduzione fedele di un prodotto è illecita solo quando è idonea a creare confusione tra la copia e il prodotto originale, equivale a dire che il bene tutelato dal divieto di imitazione servile è la funzione distintiva della forma. La forma è protetta perché assolve, seppure in maniera atipica, lo stesso compito che è svolto, generalmente, dai segni distintivi e che il legislatore considera meritevole di salvaguardia per il normale svolgimento della gara concorrenziale206.

Alcuni autori, anche precedentemente all’entrata in vigore della disciplina dell’art. 2598207, hanno, però, sostenuto

la possibilità di parlare di imitazione servile non confusoria. Fra una forma del tutto banale e priva di qualsiasi

204GHIDINI, Della concorrenza sleale, in Il codice civile Commentario diretto da Piero Schlesinger, 1991, pag. 152-153.

205DE VITIIS, Osservazioni in tema di imitazione servile, in Riv. Dir. Civ., 2006. 206Nello steso senso VANZETTI, I diversi livelli di tutela delle forme ornamentali, in Riv. dir. ind., 1994, I, pag. 322-323 , “le forme protetto contro l’imitazione servile altro non sono se non marchi di forma di fatto la cui tutela è appunto la normale tutela concorrenziale contro la confusione fra segni distintivi”. 207ROTONDINI, L’imitazione servile come atto di concorrenza sleale, in Riv. dir.

priv., 1938, II, pag. 94, affermava “l’imitazione servile poteva essere mezzo di

sleale concorrenza anche indipendentemente dalla scopo di creare confusione fra prodotti”.

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caratterizzazione, come tale non meritevole di protezione, e una forma percepita dal pubblico come equivalente di un segno distintivo, vi è un’ampia gamma di forme le quali, non collocandosi in nessuno dei due casi limite, richiedono all’interprete un’indagine al fine di stabilire se possono essere tutelate208.

Si sosteneva che la tutela contro l’imitazione della forma sarebbe sempre possibile per il fatto che si tratta di una ripresa parassitaria dei risultati di un investimento o dello sforzo imprenditoriale del concorrente.

La gara concorrenziale fra imprenditori conosce una casistica potenzialmente infinita di comportamenti volti a conseguire un vantaggio competitivo. Ma, poiché l’attività imprenditoriale trova il proprio limite principale nel divieto di porre in essere atti contrari al principio di correttezza professionale del 2598 3° comma, si ipotizzava che nel giudizio di illiceità ex art. 2598 n. 3 fossero ricompresi i casi di imitazione non confusoria.

In realtà, una delle conseguenze più importanti dell’entrata in vigore del regolamento comunitario sul disegno e modello non registrato209, è quella di aver fornito tutela a

molte ipotesi che la giurisprudenza riconduceva all’imitazione servile non confusoria.

Dunque, a partire dall’entrata in vigore del regolamento suddetto, si può sostenere che, al di fuori della registrazione come disegno e modello e della tutela di 3 anni per design non registrato, nessuna imitazione di prodotto altrui non confusoria

208 DE VITIIS, Osservazioni in tema di imitazione servile, in Riv. Dir. Civ., 2006. 209Regolamento CE n. 6/2002 del 12 dicembre del 2001 e successive modifiche.

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può essere considerata atto di concorrenza sleale per violazione della correttezza professionale secondo il disposto dell’art. 2598 n.3 cc210.

Se così non fosse, la giurisprudenza nazionale offrirebbe alla forma del prodotto una overprotection rispetto allo standard comunitario. Inoltre, la creazione da parte della giurisprudenza nazionale di una tutela senza limiti di tempo contro l’imitazione servile non confusoria lascerebbe dei dubbi: sia sul piano dell’assetto degli interessi concorrenziali in gioco; sia su quello della conformità del diritto interno al principio che impone agli organi degli stati membri di non interpretare le norme nazionali in modo da porre restrizioni indirette alla libera circolazione delle merci e dei servizi tra gli stati Ue211.