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CAPITOLO 3 LA TASSAZIONE DELL’ECONOMIA DIGITALE IN

3.1 La prima “Google Tax” italiana

Da tutti ribattezzata la “Google Tax italiana”184, si tratta in realtà dell’emendamento Boccia (dal nome del deputato proponente le misure in questione) che instituì l’art.1 comma 3, della Legge n.147 del 27 dicembre 2013 (Legge di Stabilità per il 2014).

In pratica il suddetto comma introdusse, nella normativa IVA, un nuovo articolo, per l’esattezza l’art.17 bis del DPR 633/1972, secondo il quale: “i

soggetti passivi che intendano acquistare servizi di pubblicità e link sponsorizzati on line, anche attraverso centri media e operatori terzi, sono obbligati ad acquistarli da soggetti titolari di una partita IVA rilasciata dall'amministrazione finanziaria italiana. Gli spazi pubblicitari on line e i link sponsorizzati che appaiono nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca (servizi di search advertising), visualizzabili sul territorio italiano durante la visita di un sito internet o la fruizione di un servizio on line attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, devono essere acquistati esclusivamente attraverso soggetti, quali editori, concessionarie pubblicitarie, motori di ricerca o altro operatore pubblicitario, titolari di partita IVA rilasciata dall'amministrazione finanziaria italiana. La presente disposizione si applica anche nel caso in cui l’operazione di compravendita sia stata effettuata mediante centri media, operatori terzi e soggetti inserzionisti”.

Bisogna dire che la proposta originaria del deputato Boccia era strutturata per essere applicabile a tutti i beni e servizi venduti online. In sede di approvazione fu limitata in pratica ai soli servizi pubblicitari online (ma a modo di vedere di

184 Così anche C. TRENTA, The Italian “Google Tax”. National Taxation and the European E-

Economy, in AA.VV., La digital economy nel sistema tributario italiano ed europeo, a cura di L. DEL FEDERICO – C. RICCI, Amon edizioni, 2015, pp. 185-210.

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molti operatori della materia, la norma era mirata soprattutto a tassare il famoso servizio Top Positioning185 di Google).

Bisogna dire che, fin da subito, la norma apparse alla dottrina e agli operatori di problematica applicazione sotto diversi punti di vista, tanto è vero che fu definitivamente abrogata solamente pochi mesi più tardi.

L’idea di imporre una partita IVA italiana a tutti gli operatori online di pubblicità, senza addentrarci troppo in alcuni tecnicismi dell’Imposta sul Valore Aggiunto, non utili ai fini della presente trattazione, sarebbe stato un po’ come imporre una “stabile organizzazione” a tutti quei soggetti non residenti che di fatto non hanno nessun legame fisico con il territorio. Almeno questa era l’intenzione principale del legislatore, anche se, come ben sappiamo, un soggetto non residente può benissimo identificarsi in Italia ai soli fini dell’IVA, senza perciò essere assoggettato alle Imposte Dirette nel nostro Paese.186

Bisogna evidenziare tra l’altro che all’epoca (fine 2013), non era stato ancora riformato l’art.162 del TUIR (che introduce il concetto di “significativa presenza digitale”), né tantomeno era in analisi la proposta di Direttiva Comunitaria (147 final del marzo 2018, analizzata nell’apposito paragrafo che precede) sulla riforma del concetto di stabile organizzazione.

185 Che costituisce una delle maggiori fonti di reddito per Google. Così V. CARLINI, Ecco come fa BIG G. a guadagnare una montagna di soldi, il Sole 24 Ore, 25 giugno 2018, in cui tra l’altro: “Uno tra i

meccanismi , si sa, è quello in base al quale l’inserzionista paga nel momento in cui l’internauta clicca sull’annuncio (da cui la definizione “pay per click”). Il sistema, ad esempio, è molto sfruttato con il motore di ricerca di Google (“search advertising”). Vediamo di spiegarci. Quando una persona digita, nel campo di ricerca, una parola o una frase il “search engine”, dopo che i suoi algoritmi hanno lavorato, fa comparire una pagina (chiamata Serp) che contiene i risultati della ricerca stessa. Alcuni di questi sono risultati cosiddetti “naturali”, cioè non sponsorizzati. Altri invece, riconoscibili per la sigla “ann.” o l’indicazione “sponsorizzato”, sono gli annunci pubblicitari. Questi compaiono grazie ad un programma (sempre di Google) chiamato AdWords. Vale a dire: la piattaforma pubblicitaria attraverso cui l’inserzionista può organizzare le campagne di advertising. Tra cui, per l’appunto, quelle che sfruttano il motore di ricerca stesso”.

186 Alcuni di questi tecnicismi verranno approfonditi nel capitolo 4, dedicato esclusivamente alle considerazioni in campo IVA.

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Le difficoltà di applicazione della norma erano di due specie: tecniche e giuridiche.

Le difficoltà tecniche evidenziate erano relative soprattutto a una distinzione impraticabile tra contenuti (pubblicitari) accessibili dall’Italia e contenuti non accessibili dall’Italia.

Ma le difficoltà insormontabili si sono rivelate quelle di natura giuridica. Secondo alcuni autori187 la norma presentava addirittura principi di incostituzionalità, in quanto contrastante con il principio della libertà di iniziativa economica. Ma l’aspetto più critico è senz’altro quello relativo al contrasto con i fondamentali principi comunitari della libertà di stabilimento delle imprese e del principio di non discriminazione.188

Infatti, il principio più volte ribadito dalla Corte di Giustizia dell’Unione, della libertà di ogni Stato di imporre le proprie norme per contrastare fenomeni di elusione/evasione, non deve contrastare con i fondamentali principi di libertà di movimento e stabilimento delle imprese all’interno dell’Unione (artt. 49,50,51 e 52 TFUE) ed il principio di non discriminazione (art.18 TFUE).

In particolare, in una nota sentenza della ECJ si afferma: “Member States are

free to adopt or to maintain in force rules having the specific purpose of precluding from a tax benefit wholly artificial arrangements whose purpose is to circumvent or escape National tax law. None the less, the Court must ascertain

187 C. CANTATORE, Fiscalità nell’economia digitale, in Diritto.it, ottobre 2015.

188 Come abbiamo già visto nella trattazione che precede (in particolare quando si è analizzata l’Equalisation Levy Indiana), a livello comunitario la censura, da parte degli organi comunitari ma anche della CGUE, dei provvedimenti dei vari Stati Europei, soprattutto a livello fiscale, è sempre un’ipotesi altamente realizzabile. E’ molto semplice infatti che un tributo (soprattutto Indiretto come l’IVA, ma anche un tributo sul reddito) vada ad incidere sulle quattro libertà fondamentali dell’Unione, e cioè la libera circolazione di: Beni, Servizi, Persone e Capitali. Ma è soprattutto uno dei Principi fondamentali ispiratori della Carta Europea a porre in contrasto le norme fiscali dei singoli Stati con le norme del TFUE e cioè il Principio di Non Discriminazione.

127 whether the restrictive measure goes beyond what is necessary to attain the objectives pursued”.189

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