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124 Alla fine della prima strofa ti ricordo che parla del nostro primo incontro e scoppi a ridere

Nel documento I sentimenti dell’operatore (pagine 124-126)

- Mi hai detto che sono brutta!

- Non riuscivo a vedere quanto bella sei! Ho dovuto conoscerti per capirlo. - Sono bella dentro insomma…

- Ah beh, quello sicuramente. - Allora sei brutta anche tu. - Ah sì?!

Scoppiamo a ridere. Continuo la traduzione. Mi confermi che ti riconosci nella canzone. - Si Sì, io faccio così, schiaccio anche le foglie sai?!

- Perché porta fortuna… Sgrani gli occhi.

– Sì! Come fai a saperlo? Lo fai anche tu? - mi viene da ridere.

- No, è che me l’avevi spiegato una volta, prima di andare in mensa. Ti ricordi? - Ah già.

Confermi che anche la parte più dura della canzone coincide a con ciò che senti e alla fine ti emozioni. Quando finisco di tradurtela sono emozionatissima anch’io e lo so che non si fa, che tu non vuoi, ma devo farlo. Ti abbraccio forte con un braccio sopra le spalle e ti stampo un bacio forte sulla tempia. -Ti voglio bene Eva. Sei una dura.

- Anch’io.

Lo accetti e sorridi. Questo mi fa un immenso piacere. In quel momento l’emozione è fortissima. Mi spaventa. Sento il caldo nelle guance. Ho condiviso con te una cosa profondamente mia. La mia musica, il mio testo e soprattutto i miei pensieri per te. Avevo paura che fosse troppo per te e nel contempo temevo che non ti interessasse. Invece tu hai capito.

- Antonio fatti spiegare cosa dice, è una canzone per me, oh, fa piangere, fattelo spiegare!

Ti saluto come al solito. Chiudo la porta e la controllo una volta. Gridi dalla porta disperata, vuoi che stia con te mentre conti, non so cosa fare, l’ansia sale al collo. Alla fine entro con te. Tu ti concentri bene. Conti lentamente. Io cerco di calmarmi. Cerco di essere la tua calma in bottiglia. Ci sono, sono con te. Finisci di contare. Non ho mai capito perché conti anche le piastrelle, chi mai te le potrà portare via? Mi piaci tu, strana come sei.

Mercoledì 25 maggio

Oggi mi sorprendi. Arrivo a mezzogiorno e ti trovo in giro per i prati di Casvegno. Non hai su la tua solita giacca troppo grande, ma indossi un maglione giallo e delle scarpe gialle che hai comprato stamattina. Tu che non vuoi mai il bicchiere giallo perché porta sfortuna. Quando penso di aver capito tutto di te, come per ricordarmi chi è più sveglia, tu mi sorprendi. Camminiamo insieme verso Villa Ortensia. Hai lo sguardo un po’ triste e dici di esserlo.

- Sei stata bene stamattina a fare le compere con M.? - Sì. Ho anche mangiato tante patatine fritte.

- Ma allora cosa c’è che non va? – te lo dico gentilmente. - Eh non so... sono un po’ giù.

- È perché è finito questo momento bello?

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- Sì.

Spesso mi chiedo se rispondi di sì perché è vero o perché non lo puoi spiegare. Forse sbaglio a suggerirti una risposta. A volte mi sento così ignorante accanto a te. Io non so cos’è quell’ansia lì che ti prende e ti lega, ti sgrana gli occhi e ti fa respirare male. Mi ricordo quando mi avevi detto che di notte a volte non riesci a mandare giù la saliva. Ricordo che non ho nemmeno provato ad immaginarlo. Tu mi guardavi cercando nel mio sguardo un cenno di comprensione, ma non c’era. Lo so che non c’era. Mi dispiace di non capirti. A volte mi proteggo. Sento che è l’unico modo per starti vicino. Non posso sentire tutto, altrimenti divento cieca.

Stasera vuoi uscire a cena con me e Felix, gli ho fatto una sorpresa, ci sarà anche l’altro stagiaire che ha finito recentemente lo stage. Ci aspetta al Bar, Felix sarà molto felice perché ha legato tanto con lui. Lo confido a te e ti raccomando di non dire niente, mi fido.

Non ti ho mai visto uscire da Casvegno, sono emozionata. Ti porti l’ombrello perché hai paura che arrivi il temporale. Ci sono dei momenti difficili, momenti in cui vuoi tornare indietro. Io ti faccio coraggio, ma non ti forzo mai. Cerco di farti sentire accolta e sostenuta senza essere imprigionata. Seduta sulla panchina del bar, ti rendi conto che c’è un sole che spacca i sassi, fai la tua faccia furba, la mia preferita, e bisbigli vicino al mio orecchio.

- E io che ho portato l’ombrello. – ridiamo insieme.

L’uscita è bella malgrado le difficoltà, è una piccola grande avventura. Ad un certo punto ho l’impressione che sei venuta con noi solo per ottenere la cena gratis e probabilmente è così.

Mi viene in mente quella sera in cui fumavamo una sigaretta in Villa, fuori dal salotto, sulla panchina del piccolo terrazzo sovrastato dal glicine. Non la smettevi di rovesciarmi addosso richieste. Fai questo, poi questo e dopo voglio quello e poi… Ero esausta, erano quasi le otto la mia giornata di lavoro stava per finire.

- Sai che la ricchezza non sta nell’avere, ma nel dare? - Cosa vuol dire?

- Vuol dire che puoi anche dare ogni tanto, oltre che chiedere e chiedere. Perché dare ci fa stare bene. - Ma io non ho niente da dare.

- Non è vero. Per esempio potresti darmi il piacere di passare un bel momento qui con te, in tranquillità a parlare di qualchecosa di interessante. Regalare il nostro tempo è una delle cose più belle che possiamo fare, è regalare un po’ della nostra vita: cosa c’è di più prezioso?

Inaspettatamente avevamo parlato d’altro. Basta porte, terapie, controlli e lamentele. Cinque minuti di dolce normalità. Che sorpresa per me, che tanto detesto la normalità, ritrovarmi ad amarla così, intimamente.

Anche oggi al bar mi sorprendi. Vieni spinta dai tuoi stratagemmi per ottenere quello che più ti interessa, ma poi ti accorgi che c’è altro e riesci a viverlo. Ridere con te dei tuoi racconti del passato, conoscerti meglio, stare in mezzo alla gente, vederti riscoprire di essere simpatica e brillante nel far ridere gente che non conosci, … Tutto questo mi fa così felice. Sono fiera di te, anche oggi. Nel ritorno però è più difficile. Mi racconti degli avvenimenti terribili del tuo passato. Camminiamo fianco a fianco sul marciapiede.

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Nel documento I sentimenti dell’operatore (pagine 124-126)