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Le prime politiche di sviluppo del Tanganyika indipendente (1961-1967)

Indipendenza, socialismo, agricoltura e sviluppo (1961-1986)

2.1 Le prime politiche di sviluppo del Tanganyika indipendente (1961-1967)

Anche se già nel documento Ujamaa and African Socialism del 1962 il presidente Nyerere aveva espresso le sue perplessità sulla proprietà privata della terra e sul capitalismo, la politica economica del Tanganyika non si differenziò molto da quella di altri paesi africani che adottarono il modello di sviluppo capitalista, almeno fino al 1967. I primi piani di sviluppo (1961-63 e 1964-69), redatti con l’aiuto della Banca Mondiale e finanziati per il 77% da fondi stranieri (Rweyemamu 1973: 50), furono influenzati dal consenso dell’epoca sulla ‘modernizzazione’ e, in parte, ripresero le strategie di sviluppo della tarda epoca coloniale inglese. Agli inizi degli anni ’60 i vantaggi comparati del continente africano nella produzione delle colture tropicali erano alla base di un certo ottimismo tra gli economisti dello sviluppo e le nuove classi politiche (che in molti casi si erano formate nelle università europee). Nelle teorie della modernizzazione, l’export di questi prodotti avrebbe dovuto generare parte del capitale necessario a finanziare l’industrializzazione e la trasformazione economica. L’agricoltura tradizionale di sussistenza praticata dagli agricoltori africani, inoltre, era ritenuta arretrata e antiscientifica: i modelli produttivi tradizionali - caratterizzati dalla rotazione dei terreni, la policoltura e l’utilizzo di bassi livelli di input - sarebbero dovuti essere trasformati attraverso l’introduzione delle pratiche moderne della coltivazione, considerate necessarie a raggiungere aumenti della produttività tali da sostenere lo sviluppo industriale.

Il primo piano di sviluppo quinquennale (1964-1969) stabilì come obiettivi di lungo periodo di aumentare il reddito pro-capite da 386 a 900 scellini, di innalzare l’aspettativa di vita da 35-40 a 50 anni (entro il 1980) e di raggiungere una crescita del PIL del 6,7% annuale. In linea con la strategia di industrializzazione per la sostituzione delle importazioni adottata da numerosi governi indipendenti africani, l’agricoltura avrebbe dovuto generare il capitale per lo sviluppo dell’industrie.

Il documento affermò quindi che l’obiettivo delle politiche di sviluppo sarebbe dovuto essere la modernizzazione del settore agricolo:

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The greater part of Tanganyikan peasant agricolture continues to be characterized by primitive methods of production and inadequate equipment… [e l’obiettivo dei programmi di sviluppo deve essere] a relatively abrupt transition of the people concerned to modern techniques with regard to land use, land tenure and patterns of agricultural production, and economic attitudes (Five Year Development Plan 1961: 19-21, in Coulson 2013:199).

L’obiettivo delle politiche di sviluppo agricolo del governo tanzaniano, fino al 1967, fu dunque quello di incrementare la produttività, intensificare la commercializzazione dell’agricoltura e favorire la diffusione delle colture da esportazione attraverso due approcci apparentemente in contraddizione. Il primo, definito dalla Banca Mondiale ‘improvement approach’, fu rivolto alla piccola produzione contadina e previde il rafforzamento e la diffusione delle cooperative agricole, la distribuzione di input a credito e dei programmi di assistenza tecnica ai produttori. Il secondo approccio, definito ‘transformation approach’, ebbe come obiettivo la realizzazione di nuovi insediamenti nei quali praticare l’agricoltura (capitalista) moderna e meccanizzata su terreni di medie e grandi dimensioni. Entrambi gli approcci rappresentarono una prosecuzione delle politiche di modernizzazione dell’agricoltura implementate dalle autorità coloniali inglesi a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale.

L’improvement approach e le cooperative agricole

L’amministrazione inglese aveva creato un sistema di controllo della produzione basato sui marketing board statali e le cooperative agricole dei produttori. I primi avevano funzioni quali la regolamentazione dei prezzi dei prodotti d’esportazione, il controllo della qualità dei prodotti, il rilascio delle licenze agli agenti privati per il commercio, e la supervisione delle aste pubbliche dei prodotti (in particolare nel caffè e nel cotone). Le cooperative, negli ’40 e ‘50, furono incaricate di agire come ‘agenti’ dei marketing board (assieme ad altri intermediari privati) e si diffusero in particolare tra i produttori del caffè e del cotone nel nord del territorio. Da un lato, la creazione delle cooperative fu una strategia degli agricoltori africani per ottenere prezzi maggiori e ridurre la dipendenza dagli intermediari asiatici per la vendita dei loro prodotti. Dall’altro, le cooperative furono funzionali alle autorità coloniali nel loro intento di creare mercati formali e tassabili, di controllare la produzione (prezzi, qualità, etc..), di incrementare le esportazioni e, dopo la Seconda guerra mondiale, di implementare le direttive sulla conservazione dei suoli e sulle pratiche della coltivazione ritenute appropriate per la modernizzazione dell’agricoltura. Mentre inizialmente le cooperative agricole erano controllate largamente dalle autorità native istituite dall’amministrazione coloniale, durante gli anni ’50 gli agricoltori che erano stati favoriti dal ‘focal ponti approach’ acquisirono notevole influenza all’interno delle associazioni (Coulson 2013: 85).

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Tuttavia, è solo con l’indipendenza che le cooperative iniziarono ad assumere un ruolo centrale nello sviluppo agricolo e divennero uno strumento di implementazione delle politiche economiche del governo32 (Raikes 1986: 123). Con l’Agricultural Products Control and Marketing Act del 1962, il Ministero dell’agricoltura fu incaricato di riformare ed estendere i marketing board a tutti i principali prodotti d’esportazione, mentre con il Cooperative Societies Ordinance le cooperative furono trasformate nelle sole entità autorizzate ad acquistare i prodotti dagli agricoltori (Lyimo 2012: 46).33

I marketing board divennero responsabili per l’acquisto dei prodotti dalle cooperative regionali, le quali, a loro volta, riunivano le diverse associazioni dei produttori a livello di villaggio o distretto (cooperative primarie). Inoltre, il governo creò il National Agricolture Product Board con l’obiettivo di controllare la produzione interna (e se necessario le importazioni) dei principali cereali, per i quali fu vietato il commercio privato inter-regionale. Sebbene la vendita di questi prodotti nei mercati locali (a livello di distretto) continuò ad essere permessa, le cooperative si diffusero anche nella produzione del mais, del riso e del grano.

Nel 1962 fu lanciata la Cooperative Bank of Tanganyika – sostituita due anni dopo dalla National Cooperative Bank (NCB)-, la quale fu incaricata di fornire il credito alle cooperative per l’acquisto dei beni agricoli dagli agricoltori e di finanziare gli investimenti per gli impianti necessari a trasformare i prodotti, congiuntamente ai marketing board. In questo sistema le cooperative divennero responsabili della distribuzione degli input (fertilizzanti, insetticidi, trattori, aratri), dell’assistenza tecnica a livello di villaggio/distretto (alle cooperative primarie) e dei pagamenti finali agli agricoltori. Questi ultimi iniziarono così ad essere pagati per i loro prodotti sulla base del ‘residuo’, ovvero dopo che erano state dedotte le tasse e i costi in cui incorrevano le cooperative e i marketing board. I prezzi vivano stabiliti dal governo all’inizio di ogni stagione e avevano delle differenze regionali, che riflettevano i maggiori o minori costi del trasporto, della distribuzione degli input e della commercializzazione dei prodotti.

Solo tra il 1962 e il 1966 la NCB fornì alle cooperative un credito di circa 40.000.000 scellini e raggiunse oltre 100.000 agricoltori l’anno (Maghimbi 2010: 3). La crescita delle cooperative nei primi anni’60 fu molto sostenuta: tra il 1961 e il 1965 il volume dei prodotti commercializzati dalle

32 Durante i primi anni dell’indipendenza, il governo promosse lo sviluppo delle cooperative anche al di fuori del settore

agricolo e accentuò l’enfasi sulla funzionalità di quest’ultime nel terminare il monopolio asiatico sul commercio. Le cooperative erano infatti viste come ‘strumento di emancipazione dei contadini africani nei confronti dei bianchi europei e di altri residenti di origine non africana’ (Shivji 1976: 73).

33 Nel 1962 vennero istituiti il Tanganiyka Coffee Board e il Lint and Seed Marketing Board. I marketing board avevano

il compito di commercializzare la produzione, regolamentare i prezzi, supervisionare le aste (nel caso del caffè e del cotone) e, infine, collezionare le tasse sulle esportazioni. Alla fine degli anni ’60 si contavano 12 marketing board.

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cooperative passò da 145.000 tonnellate a 496.000 (Lyimo 2012: 46). Nella seconda metà degli anni ’60 le cooperative del Tanganyika avevano il primato in Africa e il terzo posto nel mondo per valore delle esportazioni (Iliffe 2007: 464). Nel 1967 le cooperative potevano contare su oltre 3.000.000 di membri, generavano oltre un terzo del valore delle esportazioni e avevano accumulato riserve monetarie per oltre 97.000.000 scellini. (Maghimbi 2010: 4).

Tabella 5. Sviluppo delle Cooperative (1952-1967)

Anno Num. Cooperative Membri

1952 172 N.D 1957 474 N.D. 1960 691 236.211 1962 974 330.644 1965 1518 607.655 1967 1649 3.000.000 Fonte: Maghimbi 2010

Strettamente connesso con lo sviluppo delle cooperative fu il programma di assistenza tecnica ai produttori con personale qualificato incaricato di diffondere le pratiche agricole moderne e favorire così la trasformazione dell’agricoltura di sussistenza. Secondo Coulson, “il governo estese i fondi per l’assistenza agli agricoltori per offrire alla più ampia popolazione i servizi che il governo coloniale aveva riservato ai ‘focal point” (Coulson 2013 :185). I funzionari governativi specializzati furono inviati ad ‘insegnare ai contadini’ i benefici delle cooperative e le pratiche scientifiche considerate appropriate per l’aumento della produttività, la conservazione dei terreni o la prevenzione delle crisi alimentari (l’utilizzo dell’aratro, la monocultura, l’utilizzo di fertilizzanti, etc..). Inoltre, il governo aumentò i fondi destinati al Department of Community Development e incrementò il numero dei ‘community development officer’. Ancora secondo Coulson, questi ultimi “furono incaricati di influenzare la parte della popolazione contadina maggiormente restia al cambiamento (in particolare le donne) e alle influenze capitaliste ad abbandonare l’economia di sussistenza e le pratiche agricole tradizionali (Coulson 2013 :185).

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Il transformation approach rappresentò una versione rivisitata del ‘focal point approach’ dell’epoca coloniale ed ebbe come obiettivo principale la diffusione di nuovi insediamenti dove sviluppare produzioni agricole moderne di medie e grandi dimensioni, sotto la supervisione dei tecnici governativi.34 Durante gli anni ’50 alcune aree inoccupate del territorio furono selezionate dall’amministrazione inglese per l’avvio di produzioni del tabacco, del mais e del grano con l’obiettivo di creare una classe di ‘yeoman farmers’ africani. Nelle parole di Ruthemberg:

Extension officers… [were] expected to approach the interested and the important ones in a village and group them together as progressive farmers… The grouping together of the progressive farmers can be called an attempt to establish rural elites with progressive attitudes (Ruthemberg 1964: 64).

I nuovi “settler” africani iniziarono così ad utilizzare sistemi d’irrigazione, fertilizzanti, insetticidi, trattori e lavoratori agricoli salariati (ibidem: 65). In breve tempo si sviluppò nel Paese una piccola minoranza di agricoltori capitalisti africani che alla fine degli anni ’50, secondo alcuni studiosi, produceva la gran parte del surplus agricolo immesso nei mercati interni. Questi agricoltori, i quali emersero sia tra le fila delle autorità native, sia tra i nuovi leader delle cooperative, accumularono una discreta ricchezza e contribuirono in gran parte alla crescita della produzione agricola che si registrò nel dopoguerra. Nella seconda metà degli anni ’50 l’agricoltura capitalista africana si era (modestamente) sviluppata nelle Usambara Mountains (Sender, Smith 1974: 2-17), nell’area di Iringa e Mbeya (Raikes 1986: 116) e nelle aree vicine al Monte Kilimanjaro e nel Monte Meru (Iliffe, 2007: 458). Alle pendici del Monte Kilimanjaro alcuni agricoltori possedevano delle coltivazioni di caffè nelle montagne che si estendevano per 20-40 acri, delle coltivazioni di mais nelle pianure di oltre 50 acri, e dei terreni di oltre 200 acri adibiti al pascolo degli animali (ibidem). Nell’area di Mbulu, a sud della città di Arusha, circa 150 produttori producevano il grano utilizzando oltre 4000 lavoratori salariati. Nell’area di Ismani, vicino alla città di Iringa, alcuni agricoltori producevano il mais su terreni di oltre 100 acri utilizzando trattori e lavoratori salariati provenienti da Njombe: il 9% dei produttori di quest’area possedeva il 54% dell’area coltivata e produceva circa il 70% del mais venduto nei mercati (Awiti 1972: 61-75). Secondo Raikes, al momento dell’indipendenza questi agricoltori benestanti avevano raggiunto una discreta influenza politica ed economica a livello locale, attraverso il controllo delle cooperative agricole e delle istituzioni amministrative locali:

34 Il primo insediamento sviluppato dagli inglesi interessò l’area originariamente predisposta per il Groundunts scheme

nella zona di Urambo. Quest’ultimo previde di mettere a produzione oltre un milione di ettari di foresta vergine, tuttavia, si rivelò un fallimento. Le autorità inglesi cambiarono il progetto e destinarono una parte dell’area che era stata disboscata alla produzione capitalista africana del tabacco (Coulson 2013: 197).

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A class of African rich peasants was emerging which, though still in its infancy, had already achieved a substantial degree of economic and political control at the local level, through improved access to resources related to its domination of the co-operatives and most other local administrative and decision-making bodies (Raikes 1978: 298).

Il transformation approach si pose in continuità con il focal point approach attuato dalle autorità inglesi e tentò di diffondere tra la più ampia popolazione rurale i benefici che erano stati riservati ad una minoranza di produttori (Coulson 2013: 183). Il primo piano di sviluppo quinquennale previde di stabilire entro il 1970 oltre sessanta nuovi insediamenti ‘pilota’ composti di circa 250 produzioni individuali, con l’intenzione di incrementarli fino a 200 entro il 1980. Ogni insediamento sarebbe costato circa 150,000 sterline per finanziare la preparazione dei terreni, la costruzione delle case per i nuovi abitanti, la fornitura di trattori,35 di fertilizzanti, di insetticidi e lo sviluppo di sistemi di irrigazione.36 Durante un discorso al Parlamento il presidente Nyerere spiegò il sostengo del governo ai nuovi insediamenti in questi termini:

All the help which the government can give in the way of tractors, improved houses and rural water supplies will be concentrated in those New Village Settlement Schemes. Volunteers coming to these new areas will be becoming modern farmers in every sense. New Settlement schemes will be established all over the country, as fast as the shortage of capitals allow, for they are expensive things(…) We expect by 1980 to have about one million people living under these new conditions (Nyerere, cit in Inukai 1974: 13)

Questa politica richiese cospicue risorse economiche: il piano quinquennale stanziò in totale circa 28 milioni di sterline per lo sviluppo dell’agricoltura, di cui 19 dovevano essere investiti nelle misure previste dal ‘transformation approach’ (Coulson, 2013: 186). Nel complesso, la strategia dei nuovi insediamenti si rivelò fallimentare e fu abbandonata ufficialmente nel 1966 con perdite superiori a 20 milioni di sterline (ibidem). I terreni messi a disposizione dal governo furono raramente portati a produzione da quanti ricevettero nuove case e strumenti agricoli. Inoltre, secondo numerosi studiosi, a beneficiare dei fondi e degli strumenti agricoli finanziati dal governo furono soprattutto le élite locali che avevano connessioni con il partito del TANU o che controllavano le cooperative (Lofche 2014; Coulson 2013; Raikes 1986).

35 Il numero di trattori aumentò da 16.500 a 17.000 tra il 1961 e il 1970

http://data.worldbank.org/indicator/AG.AGR.TRAC.NO?locations=TZ

36 Un altro pilastro della strategia del transformation approach fu la costruzione di sistemi di irrigazioni su vasta scala:

il governo previde di costruire sistemi di irrigazione lungo le valli del Rufiji per oltre 25000 ettari all’anno a partire dal 1970.

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