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La produzione agricola fino al 1967: verso la Dichiarazione di Arusha

Indipendenza, socialismo, agricoltura e sviluppo (1961-1986)

2.2 La produzione agricola fino al 1967: verso la Dichiarazione di Arusha

Nel periodo 1961-1967, con l’eccezione della sisal, la produzione delle colture d’esportazione crebbe ad una media del 10-12%, nonostante la partenza di diversi coloni e il progressivo aumento della tassazione sull’agricoltura. Anche la produzione interna, sebbene non siano disponibili dati pienamente attendibili, sembra essere cresciuta sensibilmente in particolare nelle zone del sud e nell’area di Arusha-Moshi: nel 1968 vi fu ad esempio un surplus di 50.000 tonnellate che il NAPB fu incaricato di esportare a prezzi ribassati (Raikes 1986: 120).

Attraverso la diffusione/imposizione delle cooperative migliaia di agricoltori furono coinvolti nella produzione del caffè, del tè, del cotone, del tabacco e degli anacardi. La produzione del cotone crebbe di circa il 13% all’anno, quella del caffè del 12,5% e degli anacardi del 9% (Coulson 2013: tabella 17.1). Nell’area del lago Vittoria vennero costruiti i primi impianti per trasformare il cotone grazie anche allo sviluppo della Victoria Federation Cooperative Union, la quale divenne la più grande cooperativa d’Africa nel corso degli anni ‘60. Nella regione del Kilimanjaro la KNCU fu in grado non solo di co-finanziare gli impianti per trasformare il caffè, ma anche di costruire un ospedale, numerose scuole e un albergo (Lyimo 2012). Nelle aree nord-orientali la superficie occupata dal caffè raddoppiò tra il 1950 e il 1970 e oltre la metà delle famiglie che abitavano nelle montagne adottò il prodotto sui propri terreni. Gli agricoltori delle zone del Monte Meru e del Monte Kilimanjaro, anche grazie all’aumento dei prezzi del caffè nei mercati internazionali, espansero le produzioni e iniziarono a investire nell’istruzione dei propri figli, ad acquistare beni di consumo durevoli e a costruire abitazioni in muratura Temba 2016, Spear 1997). Nelle Usambara Mountains e nelle colline del sud migliaia di agricoltori iniziarono a produrre il tè e si svilupparono i primi impianti per trasformarne le foglie. Nella regione di Tabora, il tabacco si diffuse rapidamente tra i produttori fino ad occupare un terzo dell’area coltivabile agli inizi degli anni ‘70. Nelle regioni costali di Lindi e Mtwara si espanse notevolmente la produzione degli anacardi: agli inizi degli anni ’70 la Tanzania era uno dei maggiori esportatori al mondo.

Tabella 6- Esportazioni principali prodotti agricoli 1961-1968 (in migliaia di tonnellate)

Prodotto Media 1960-1962 Media 1966-1968 Crescita %

Sisal 202,3 197,5 -0,5

Caffè 23,6 48,1 12,5

Cotone 33,5 70,0 13

Anacardi 45,1 74,3 9

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Tabacco 2,2 3,8 10

Fonte: URT, Economic Survey 1970-71

Questa crescita della produzione delle colture d’esportazione fu spinta dall’aumento dei prezzi nei mercati internazionali e della conseguente espansione dell’area coltivata tra i piccoli agricoltori. La crescita della produzione, tuttavia, non fu accompagnata da aumenti significativi della produttività: i programmi di assistenza tecnica e i tentativi di diffondere le pratiche dell’agricoltura moderna (in particolare l’utilizzo di fertilizzanti e insetticidi) nell’ampia popolazione rurale non produssero gli effetti desiderati dal governo. Nelle parole di Coulson:

The evidence suggests that those increases [nei volumi della produzione] were made with only slight improvements in technique. They did not involve much use of fertilizer or insecticide, or follow many of the extension recommendations (Coulson 2013: 204).

I funzionari governativi (‘extension officer’) raggiunsero relativamente pochi agricoltori, i quali proseguirono ad ignorare in gran parte i consigli degli esperti. Questi ultimi continuarono a suggerire le stesse pratiche della coltivazione che già gli inglesi avevano tentato di diffondere, con scarsi risultati.37Secondo Sender (1974: 42) e Hulls (1971: 18), ad esempio, gli agronomi raggiunsero maggiormente i grandi produttori e in generale poche persone: nell’area del Sukumaland solo il 30 % degli agricoltori aveva piantato il cotone nei tempi indicati dagli esperti, mentre solo il 3% utilizzava fertilizzanti o insetticidi. Inoltre, gli esperti visitarono in media circa 73 famiglie all’anno (alcune più di una volta) e raggiunsero meno del 5% dei produttori (ibidem: 6, 23).

Anche la rapida espansione delle cooperative ebbe i suoi effetti indesiderati. La diffusione delle cooperative agricole permise agli agricoltori africani di emanciparsi dalla dipendenza dagli intermediari asiatici che, fino al momento dell’indipendenza, controllavano il commercio interno dei prodotti agricoli. Per questa ragione, le cooperative divennero fortemente popolari tra gli agricoltori africani negli anni immediatamente successivi all’indipendenza. Tuttavia, secondo alcuni studiosi, i beneficiari dello sviluppo delle cooperative e dei finanziamenti messi a disposizione del governo furono soprattutto i pochi agricoltori ormai benestanti che si erano rafforzati a partire dagli anni ’50 (Raikes 1986, 1978; Awiti 1972; Coulson 2013). Nell’opinione di Coulson, ad esempio:

37 Nelle zone montane dove veniva prodotto il caffè gli esperti continuarono a consigliare la ‘monocoltura’ e a

considerare le pratiche tradizionali di colture miste (nello specifico caffè e banana) come arretrate e antiscientifiche, nonostante questo sistema si fosse dimostrato può congruo ai bisogni delle popolazioni locali e avesse assicurato un relativo benessere nei decenni passati (Raikes 1986).

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…by the mid-1960s the co-operative movement after independence in no way reduced differentiation; on the contrary, it allowed the strong to get stronger while taxing the poor through its deductions and cesses on the value of their crops...When tractor hire service, or ox-plough, were available, the kulak made use of them. (Coulson 2013: 192, 204)

Secondo alcuni studi, una buona parte dell’incremento della produzione agricola fu dovuta all’espansione degli agricoltori capitalisti emersi del tardo periodo coloniale, i quali continuarono ad esercitare il controllo delle cooperative ed assicurarsi i finanziamenti governativi durante i primi anni ‘60.38 Nelle parole di Raikes:

With Independence the amount of credit disbursed to Africans was considerably increased and its local distribution placed under the control of District Loans Committees, composed of government officials, local politicians and large farmers. It is hardly surprising that the two latter overlapping categories were able to get hold of the lion's share of the funds, especially since credit in this area was only made available either for the expansion of tractor-cultivation or to pay for tractor contract services. After a few years, control of the local distribution of credit was transferred to the co-operative, still with the same group in control. A large proportion of the previously unallocated land had now been cleared and cultivated by tractor-owners, this constituting de facto ownership (Raikes 1978: 303).

Nelle montagne del Kilimanjaro la produzione del caffè, sebbene si fosse diffusa ampiamente tra i piccoli agricoltori, continuò ad espandersi anche tra i capi tradizionali e gli agricoltori più benestanti. La gran parte del mais e del grano immessi nei mercati continuò ad essere prodotto da pochi agricoltori dalle zone di Ismani (Awiti, 1972) e Mbulu (Raikes, 1971) attraverso l’utilizzo di trattori e lavoratori salariati. Nell’area di Isamai, secondo Awiti (1972: 50-58), più di un quarto del mais commercializzato veniva prodotto da sole due aziende che occupavano insieme oltre 600 ettari, mentre i produttori con terreni al di sotto di 2 ettari producevano meno del 5%. Nell’area di Mbulu la produzione del grano da parte di pochi agricoltori capitalisti triplicò durante gli anni ’60: alla fine del decennio si contavano oltre cento trattori (Raikes 1971: 79-102)39. Nelle aree fertili vicine al lago Nysasa il 10% delle famiglie possedeva il 40% dei terreni dove veniva prodotto il riso (Thoden van Velsen 1973: 162). Simili processi si stavano sviluppando nella produzione del tè e del tabacco rispettivamente nelle Usambara Mountains e nella regione di Tabora (Sender 1974). In generale, Raikes (1978) ha mostrato come ancora alla fine degli anni ’60 vi fosse nel paese un numero consistente (ma indefinito) di lavoratori salariati informali/casuali utilizzati dagli agricoltori

38 Per una lista degli studi si veda Sender 1974.

39 Secondo Raikes (1978: 303) il reddito degli agricoltori capitalisti che utilizzavano i trattori era in media 10 volte

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benestanti africani, i cui redditi erano inferiori della metà rispetto a quelli stabiliti dalla legge per i lavoratori formali impiegati nelle imprese agricole:

Apart from 'official' wage-labour force, which is subject to minimum wage legislation and appears in statistical compilations, there is a substantial but unknown amount of casual seasonal migrant labour, both supplementing the official labour-force on the estates and, more importantly, working for rich peasants and African capitalist farmers. The wages of these workers are typically well below the official minimum wage (in some cases one third to one half the level) (Raikes 1978: 288).

Verso la dichiarazione di Arusha

La conseguenza inevitabile di una simile crescita capitalistica fu un aumento delle disuguaglianze. Se la produzione agricola aumentò nel periodo 61- 67 e la crescita del PIL si attestò su una media di circa il 6%,40 la strategia di sviluppo adottata dal governo fu dunque meno incisiva nel ridurre le disparità sociali. Inoltre, dalla metà degli anni ‘60 si verificarono numerosi episodi di corruzione e di speco di fondi pubblici all’interno delle cooperative, tanto da portare il Governo a stabilire una apposita commissione d’inchiesta nel 1966 (Lyimo 2012). La qualità e l’efficienza delle cooperative deteriorò progressivamente nella seconda metà degli anni 60’ per mancanza di personale qualificato, mezzi di trasporto inadeguati, mancanza di infrastrutture e costi di gestione elevati. La politica verso le cooperative agricole, prima viste come strumenti di emancipazione nati dal basso e simbolo stesso della lotta nazionalista contro il potere coloniale, cambiò drasticamente all’interno di un più ampio processo di ridefinizione della politica economica e dei rapporti tra società, Stato e partito (Aminzade 2013).

Le spinte interne al partito portarono Nyerere su posizioni sempre più anticapitalistiche e ostili verso gli agricoltori benestanti che stavano emergendo in diverse aree del Paese. I leader locali delle associazioni dei produttori, che fino a quel momento erano rimasti indipendenti dalla TANU, furono indentificati come ‘kulak’ e accusati di aver accumulato ricchezza e sottratto fondi pubblici. Dalla seconda metà degli anni 60’ le cooperative furono poste sotto il controllo governativo e i loro leader vennero sostituti con membri del partito. La politica economica del governo iniziò a prendere sempre più la strada del socialismo e i poteri dello Stato furono concentrati nelle mani del Presidente e dei massimi esponenti del partito. Già con la costituzione del 1965 il socialismo venne ufficialmente sancito come l’ideologia fondante del Paese e venne introdotto il modello di Stato a partito unico. I

40 Considerata la crescita della popolazione al 3,3%, la crescita pro-capite fu di circa il 3 %. L’aspettativa di vita crebbe

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partiti di opposizione furono vietati e le associazioni della società civile vennero poste sotto il controllo della TANU.41 A partire dal 1966 le politiche economiche furono decise dal National Economic Commettee del partito (ibidem: 89). La concentrazione dei poteri nelle mani del TANU e del Presidente fu ancora più esplicita quando Nyerere, quasi all’insaputa del parlamento e dei ministri, annunciò l’adozione della dichiarazione di Arusha. A contribuire a questo cambiamento radicale nella politica economica della TANU furono una serie di questioni: l’ammutinamento dell’esercito nel ’64 e la crescente pressione di alcuni membri del partito sostenitori dell’africanizzazione e dei sindacati, sempre più in rottura con la linea morbida del governo Nyerere verso gli europei e gli asiatici; l’unione con Zanzibar (1964) che portò nel governo nuove personalità più vicine all’ideologia socialista e comunista; la momentanea riduzione degli aiuti internazionali preziosi per i piani di sviluppo e la mancanza di investimenti esteri che potessero garantire risorse per l’industrializzazione; la crescita delle disuguaglianze; la presa di coscienza che gli incrementi della produttività agricola necessari a sostenere l’industrializzazione non si stavano verificando tra la maggioranza degli agricoltori (ibidem).