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Primo plesso autobiografico e sua pregnanza gnoseologico-esistenziale

CAPITOLO I: LA GENESI DELLO ZARATHUSTRA

15. Primo plesso autobiografico e sua pregnanza gnoseologico-esistenziale

«Essi hanno qualcosa di cui vanno fieri. E come

chiamano ciò di cui vanno fieri? Istruzione lo chiamano, è ciò che li distingue dai caprai. Perciò non sentono parlare volentieri di disprezzo noi loro riguardi […]».

F. NIETZSCHE

Nell’analisi critica dell’attualità condotta da Nietzsche, una posizione di rilievo è occupata dalla sferzante messa in discussione dei falsi presupposti sui quali si esercita il potere spirituale derivante sia dai fraintendimenti del Cristianesimo scritturale533 che dall’impulso alla scienza nel modo in cui questo viene gestito dagli uomini del suo presente. A tal proposito, in chiave biografica, si può rievocare il cruciale, ma anche drammatico534 attacco sferzato da Nietzsche nei confronti dell’hegeliano David Strauss, autore di una Vita di Gesù e de La vecchia e la nuova fede (1872), in David Strauss l’uomo di fede e lo scrittore, la sua prima considerazione inattuale (1873).535

Qui si colgono anche i segni tangibili della critica all’attitudine razionalistica che la tradizione filosofica occidentale ha consacrato ad emblema del pensiero e dello spirito dialettico contro le visioni naturalistiche delle filosofie antecedenti,536 tema che è nodo cruciale de La nascita della tragedia

530 Za I: (Della virtù che dona § 1), pp. 84-85.

531 «L’intermediario o il redentore è sempre colui che libera dagli opposti e dagli opposti scaturisce, perciò il cerchio di

quel cerchio, dell’ourobóros, è la divinità». C. G. JUNG, Lo Zarathustra di Nietzsche. Seminario tenuto nel 1934-39, op. cit., p. 1389.

532 «Giacché, fratelli: il migliore deve dominare, il migliore vuole anche dominare! E dove la dottrina suona

diversamente, là – manca il meglio». Za III: (Di antiche tavole e nuove § 21), p. 247. Si veda anche: Za II: (Della

vittoria su se stessi), pp. 130-131; Za II: (L’ora più silenziosa), p. 172 [t.d.a]; Za III: (Di antiche tavole e nuove § 4), p.

234. Rendiamo il titolo dell’ultimo capitolo del secondo libro rendendo l’aggettivo “stilliste” con “più silenziosa” anziché con il corrente “senza voce”. Si veda: KSA: 4/187 e ss.

Za: (Prologo § 5), p. 10.

533 Ad. es. OFN: VIII, II, 11 295, p. 320.

534 «[…] Il colpo fu talmente rude che Strauss ne fu profondamente contrariato; alcuni vedono persino un legame tra

l’attacco del giovane Professore di Basilea e la morte, nel 1874, del vecchio studioso screditato». P. VALADIER,

Nietzsche e la critica radicale del cristianesimo, op. cit., pp. 7-8. Si veda: KSB: 4/200.

535 «Apparentemente molto lontana dai problemi esegetici esposti nella prima Vita di Gesù, quest’opera consacra, in

realtà, la vittoria della “colonizzazione” moderna sulla mentalità antica, già annunziata nella definizione dei miti e confortata dalla fiducia accordata al potere della ragione. È proprio questo il punto su cui verterà la polemica di Nietzsche: innanzitutto non sull’eliminazione straussiana del cristianesimo, ma più precisamente sulla permanenza di una fede nel momento stesso in cui crede di poter confessare l’abbandono dell’antica […]». P. VALADIER, Nietzsche e

la critica radicale del cristianesimo, op. cit., p. 10. 536 Ad es. DS: § 7, p. 53; EH: I, § 7, p. 29.

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(1872).537 Questa non a caso avrebbe causato, a sua volta, violente reazioni nel mondo accademico. Il 26 Maggio Rodhe ne proponeva una recensione sul «Norddeutsche Allgemeine Zeitung», suscitando la reazione gioiosa del giovane filologo.538 Come rileva Paul Curt Janz tuttavia «Nietzsche non si era affatto accorto nell’ebbrezza del suo entusiasmo, e nella persuasione che fosse l’avvio di un’enorme corso di adesioni, che la recensione di Rhode non forniva proprio ciò di cui egli aveva più bisogno e che si attendeva: la giustificazione filologica».539 Su ciò farà leva Ulkrich von Wilamowitz, per sferrrare un attacco nutrito di giudizi specialistici e personali mediante il quale «gli riconosce la qualità di ampliamento, di prosecuzione, dell’opera di Schopenhauer […] e così facendo inserisce Nietzsche in una tradizione»:540 quella filosofica. Il dato fondamentale della questione rimane che per Nietzsche la pedissequa e sedicente oggettiva indagine filologica, sganciata dai contenuti culturali veicolati, dai temi trattati e dai termini in gioco, non poteva che condurre ad una visione distorta dell’oggetto indagato. Nel suo modo originale di leggere la civiltà greca esulava volutamente dal limite stabilito dalla filologia accademica per dare spazio all’idea filosofica come ulteriore e feconda chiave interpretativa. Questa non veniva intesa come elemento ulteriore che che si sovrapponeva all’indagine filologica, ma come la naturale e spontanea emersione di un’intuizione cui i suoi stessi appassionati e pazienti studi sulla Grecità lo avevano condotto. Nel 1872 Nietzsche tenne anche, su incarico della “Società Accademica”, cinque conferenze Sull’avvenire delle nostre scuole. Esaminando le disfunzioni e limitazioni del sistema universitario tedesco affermava:

[…] al posto di una profonda interpretazione dei problemi eternamente eguali, è intervenuta lentamente una valutazione storica, anzi addirittura una ricerca filologica: si tratta ormai di stabilire che cosa abbia pensato o non abbia pensato questo o quel filosofo, di vedere se questo o quello scritto possa essergli attribuito con ragione, oppure se questa o quella variante meriti di essere preferita. […] Da molto tempo io mi sono perciò abituato a considerare questa scienza come un ramo della filologia, e a valutare i suoi rappresentanti a seconda che siano buoni o cattivi filologi. Ora quindi la filosofia come tale è senza dubbio bandita dall’università […].541

Nietzsche elabora il fulcro della sua idea della sincera e fruttuosa passione per la conoscenza declinandola secondo le concrete dinamiche affettive e vitali. Non a caso, in apertura della

537

«[…] Due sono le innovazioni decisive del libro: intanto la comprensione del fenomeno dionisiaco tra i greci – il libro ne dà la prima psicologia, vedendo in esso la radice di tutta l’arte greca. L’altra è la comprensione del socratismo: Socrate come strumento della disgregazione greca, riconosciuto per la prima volta come tipico décadent. “Razionalità”

contro istinto […]». EH: IV, § 1, p. 68. 538

KSB: 4/4.

539 C. P. JANZ, Vita di Nietzsche, op. cit., vol. 1, p. 430. 540 Ivi, p. 432 e ss.

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Genealogia della morale per descrivere l’anelito al conoscere traslittera un noto passaggio evangelico nella sua personale concezione dell’uomo della conoscenza:

Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi – come potrebbe mai accadere che ci si possa, un bel giorno, ritrovare? Non a torto è stato detto: «Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore»; il nostro tesoro è la dove sono gli alveari della nostra conoscenza. A questo scopo siamo sempre in cammino, come animali alati per costituzione, come raccoglitori di miele per lo spirito, e soltanto un’unica cosa ci sta veramente a cuore – «portare a casa» qualcosa.542

La critica della ragione logica, con le sue costruzioni fittizie e strumentali, riguardanti sia il sapere storico che quello filosofico,543 va di pari passo con l’affermazione di una modalità di conoscenza non disgiunta dall’elemento amoroso544

e passionale, i soli che possono rendere atto significativo un gesto di conoscenza che non sia mera vanità e presunzione:

[…] È vero: noi amiamo la vita non perché ci siamo abituati alla vita bensì all’amore. Nell’amore è sempre un po’ di demenza. Ma anche nella demenza è anche un po’ di ragione. E anche a me che voglio bene alla vita, pare che tutti quanti tra gli uomini abbiano della farfalla e della bolla di sapone, sappiano meglio di tutti che cos’è la felicità. […]

E quando ho visto il mio demonio, l’ho sempre trovato serio, radicale, profondo, solenne: era lo spirito di gravità, ‒ grazie a lui tutte le cose cadono.

Non con la collera, col riso si uccide. Orsù uccidiamo lo spirito di gravità.545

L’umana presunzione che pone il proprio istinto scientifico a fondamento della propria superiorità sulla natura, veniva anche descritta in tal modo:

542

GM: P., § 1, p. 3. Cfr. MATTEO, 6, 21: «Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro là sarà anche il tuo cuore […]». Sulla dialettica della conoscenza di sé in relazione a questi passaggi si veda: T. B. STRONG, Friedrich Nietzsche and the politics of Transfiguration, op. cit., p. XIX e ss.

543 Ad es. WL: § 1, p. 235.

544 «Nel descrivere questa grande passione Nietzsche ricorre ad una analogia tra passione della conoscenza e passione

erotica, nonché alla sua connotazione come “passiva” e “straordinariamente” energica al contempo. L’“irrequietezza dello scoprire e dell’indovinare” viene accostata all’“infelice amore” di chi ama e la grande passione è definita “affascinante e indispensabile” per il pensatore, così come l’infelicità dell’amore lo è per chi ama […]». B. GIOVANOLA,

Nietzsche e l’Aurora della misura, op. cit., p. 82 e n. 18. Si veda: M: V, § 471, p. 229. «[…] In noi la conoscenza si è

mutata nella passione che non teme nessun sacrificio, e in fondo di nulla ha paura se non del suo proprio estinguersi. […] Forse potrà anche darsi che l’umanità perisca per questa passione della conoscenza ‒ ma anche questo pensiero non ha alcun potere su di noi. Forse che il cristianesimo ha mai provato timore di fronte a un pensiero analogo? Non sono amore e morte fratello e sorella? […]». M: V, § 429, pp. 215-216.

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In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della «storia del mondo»: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire […].

E come ogni facchino vuole avere i suoi ammiratori, così il più orgoglioso tra gli uomini, il filosofo, crede che da tutti i lati gli occhi dell’universo siano rivolti telescopicamente sul suo agire e sul suo pensare.

È degno di nota che tutto ciò sia prodotto dall’intelletto, il quale è concesso – unicamente come aiuto – agli esseri più infelici, più delicati e più transitori, allo scopo di trattenerli per un minuto nell’esistenza […]. 546

In Zarathustra la sedicente istruzione e la cultura oggettiva sono vanto degli ultimi uomini. La concezione gerarchica delle odierne società, che colloca l’uomo di “cultura”547

ai vertici della scala sociale precostituita a mo’ di élite, viene tosto da Nietzsche rovesciata nel suo opposto. Analizzando l’innaturalità548

delle moderne modalità di accesso al sapere, si rimarca il loro carattere antivitale caratterizzato da una crudele e ingiusta diffidenza prossima alla malattia549 e da pratiche di conoscenza passive.550 Il rivestimento del sapere si mostra nel suo aspetto apparente che nasconde un’attitudine esistenziale ostile alla vita e, nel suo rendere la passione sincera alla conoscenza fenomeno basso e servile:

546 WL: § 1, pp. 227-228. Sulla dicotomia intelletto/volontà in Schopenhauer si veda: A. SCHOPENHAUER, Il Primato della volontà, a c. di G. Gurisatti, Adelphi, Milano 2002, (§ 67), pp. 141-143.

547 «I nostri accademici “indipendenti” vivono senza filosofia e senza arte: come potranno perciò sentire il bisogno dei

Greci e dei Romani, dato che nessuno ha ormai ragione di simulare una propensione verso di essi, e dato che inoltre gli antichi troneggiano in un maestoso distacco e in una solitudine quasi inaccessibile? Le università odierne perciò – d’altronde con coerenza – non si occupano affatto di tali tendenze culturali del tutto spente, e stabiliscono le loro cattedre filologiche per l’educazione di nuove generazioni di filologi esclusivi, cui incomberà la preparazione filologica dei liceali: un ciclo vitale, questo, che non va a favore né dei filologi né dei licei, ma che soprattutto incolpa per la terza volta l’università di non essere ciò per cui vorrebbe ostentatamente spacciarsi, ossia, un istituto di cultura». BA: V, pp. 118-119.

548 «Io sono troppo ardente e riarso dai miei stessi pensieri: spesso mi si mozza il fiato. E allora bisogna che fugga

all’aperto, via dal chiuso delle stanze polverose. Loro invece siedono freddi nell’ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori, e si guardano bene dal mettersi a sedere dove il sole arde i gradini». Za II: (Dei dotti), p. 143.

549

«Non perdono mai di vista le dita l’uno dell’altro e non si fidano di nessuno. Ingegnosi nelle piccole astuzie, aspettano coloro la cui scienza zoppica – aspettano come i ragni […]». Za II: (Dei dotti), p. 144.

550 «Simili a quelli che in mezzo alla strada guardano a bocca spalancata i passanti, essi pure aspettano e guardano a

bocca spalancata pensieri che altri hanno pensato […]». Za II: (Dei dotti), p. 143. Cfr. BA: V, pp. 117-118. In questo passaggio sono stati riconosciuti alcuni motivi schopenhaueriani dei Parerga riguardanti il carattere del genio. Nietzsche mantiene il concetto di autonomia del vero amante della conoscenza la cui superiorità tuttavia non si stabilisce rispetto all’uomo naturale e comune ma soprattutto in contrasto a coloro che vengono solitamente considerati sapienti e dotti. Ad es. Za II: (Dei dotti), pp. 144-145. In Nietzsche svanisce inoltre l’eredità di matrice kantiana della concezione di un mondo puro del conoscere indipendente dalle vicissitudini e dal destino, che riporta Schopenhauer a postulare una duplice forma della facoltà intellettiva: l’intelletto «per sé» come sfera oggettiva del volere e un più basso intelletto «per il mondo». Si veda: A SCHOPENHAUER, Parerga e paralipomena, a c. di M. Carpitella, Adelphi, Milano 1963, vol. 2, § 51-52, pp. 101-102.

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E voi saggi e sapienti, voi fuggireste davanti all’incendio solare di saggezza, in cui il sovrauomo bagna con diletto la sua nudità!551

Questo passaggio tratto dal capitolo Dell’accortezza verso gli uomini anticipa, a proposito degli uomini di cultura, la nota fondamentale della paura in quanto momento genetico del loro ‘slancio’ conoscitivo. Nel capitolo Della scienza, difatti, al coscienzioso dello spirito, la cui virtù è una scienza contrapposta «al coraggioso piacere dell’avventura, «per l’incerto e l’inosato»,552

vengono fatte proferire tali parole:

La paura, infatti – questo è il sentimento fondamentale, retaggio dell’uomo; con la paura si spiega ogni cosa, il peccato originale e la virtù ereditata. Dalla paura crebbe anche la mia virtù, che si chiama: scienza.

Proprio la paura delle bestie feroci – fu quella che per tempo lunghissimo fu istillata nell’uomo, compresa la belva che egli porta e teme dentro di sé – Zarathustra la chiama la “bestia interiore” Questa lunga antica paura, diventata infine raffinata, spirituale, intellettuale, – oggi mi sembra si chiama scienza.553

La stessa paura, timore, che Nietzsche avrebbe qualche anno dopo indicato nella Genealogia della morale come elemento che fonda antropologicamente554 la credenza negli dèi, era già nello Zarathustra elemento da capovolgere555 e vincere nella sua valenza primaria e fondativa, per lasciare posto al vero elemento umano naturale: coraggio che sferza «con ali d’aquila e prudenza di serpente».556

I riferimenti al mondo della cultura557 e dell’istruzione anticipati nel Prologo, divengono già nel secondo capitolo del primo libro, Delle cattedre della virtù, spunto per una sarcastica critica dei maestri del presente. Critica che verrà poi approfondita nei tre capitoli appositamente dedicati al tema: Dei dotti, Del paese dell’istruzione e Dei saggi illustri. Temi che, con altri elementi via via

551 Za II: (Dell’accortezza verso gli uomini), p. 168 [t.d.a.]. 552

Za IV: (Della scienza), p. 353; Za II: (Dei saggi illustri), p. 118: «[…] Avete mai visto la vela andare sul mare, rotonda e gonfia e tremante per l’impeto del vento? Come la vela, tremante per l’impeto dello spirito, va la mia saggezza sul mare – la mia saggezza selvaggia! Ma voi servitori del popolo, voi saggi illustri, ‒ come potreste andare con me! ‒».

553

Za IV: (Della scienza), p. 352. Cfr. Za IV: (Dell’uomo superiore § 13), p. 340: «Nella solitudine, ciò che uno si è portato con sé cresce, anche la bestia interiore. Per questo la solitudine è da sconsigliare a molti. Vi sono stati mai sulla terra individui più sudici dei santi del deserto? Attorno ad essi non si scatenava soltanto il diavolo, – bensì anche il maiale».

554

GM: II, § 19, p. 79.

555 Za IV: (Della scienza), p. 353. 556 Za IV: (Della scienza), p. 353. 557 Cfr. SE: § 5, p. 65 e ss.

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presentati, riemergono nella vicenda conclusiva del quarto ed ultimo libro e, nello specifico, nel sopramenzionato capitolo Della scienza.

Alla tensione esistenziale che stabilisce un primato della vita558 scandito dall’elemento amoroso, fa da pendant una esaltazione della vita attiva e vigile rispetto alle predominanti «virtù oppiacee».559 In virtù di queste viene capovolto il rapporto di valore tra sonno e veglia, come quelle promosse dei predicatori di morte560 sconvolgono il senso del nesso vita/trapasso. Zarathustra implementa in tal modo l’insegnamento della circolarità eraclitea, che intreccia e annoda gli opposti, rafforzando al suo interno una volitiva tensione escatologica volta a dar risalto in modo deciso agli elementi vitali, gioiosi e leggeri sui loro reciproci opposti:

Si facevano gran lodi a Zarathustra di un saggio che sapeva parlare molto bene intorno al sonno e alla virtù: perciò – si diceva – egli veniva grandemente onorato e ricompensato, e tutti i giovinetti sedevano davanti alla sua cattedra. E così parlò il saggio:

Il sonno sia onorato e rispettato questa è la prima cosa! […].

Dormire non è arte dappoco: intanto per dormire bisogna vegliare tutto il giorno. […] Tu devi trovare dieci verità al giorno: altrimenti ti metti a cercare la verità anche di notte, e la tua anima è rimasta affamata. […].

Per me sarà il pastore migliore quello che porta la sua pecora dove l’erba è più verde: questo si accorda con il buon sonno. […].

Molto mi piacciono anche i poveri di spirito: essi favoriscono il sonno. Beati son essi soprattutto se si dà loro sempre ragione.561

Questo saggio che esalta il sonno come elemento pacificatore subordina, addolcendole, tutte le attività della veglia in vista di un dormire che, perseguito persino nell’assenza di sogni,562

è presagio del nulla ricercato:

Questo saggio coi suoi quaranta pensieri è per me un pagliaccio: ma io credo che si intenda a fondo di dormire. […].

La sua saggezza si chiama: stare svegli, per dormire bene.

558 «L’aderenza alla vita del resto è il banco di prova che permette a Nietzsche di esprimere i suoi apprezzamenti di

valore in merito alle molteplici manifestazioni della realtà, che esse riguardino il pensare o l’agire. Nel campo del pensiero possiamo riferirci in modo paradigmatico alla stessa filosofia, il cui principio di apprezzamento viene ravvisato proprio nella capacità di rapportarsi alla vita […]». B. GIOVANOLA, Nietzsche e l’Aurora della misura, op. cit., p. 81.

559 Za I: (Delle cattedre della virtù), p. 28. 560

Za I: (Dei predicatori di morte), pp. 46-47.

561 Za I: (Delle cattedre della virtù), p. 26.

562 «Sognare. Non si sogna, oppure si sogna in modo interessante. – Si deve imparare a fare altrettanto nella veglia: non

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E, in verità, se la vita non avesse senso e io dovessi scegliere un’assurdità, questa sarebbe anche per me la più preferibile delle assurdità.

Adesso capisco chiaramente che cosa un tempo si cercava innanzitutto, quando si andava in cerca dei maestri della virtù.

Si cercava un buon sonno e, a questo fine, virtù oppiacee!

Per tutti questi rinomati saggi in cattedra la saggezza era il sogno senza sogni: essi non conoscevano un migliore senso della vita.563

A questo passo fa da contrappunto il discorso di Zarathustra sulla virtù contenuto nel capitolo Delle gioie e delle passioni dove veniva prefigurata la sua auspicabile specificità e unicità a fronte della lotta che virtù molteplici possono ingaggiare tra loro.564 Anche questa immagine ha un antecedente ne La gaia scienza dove, in polemica con l’idea spinoziana della conoscenza, Nietzsche ridefiniva l’attività dell’intelligere. Come le virtù possono sgorgare dalle passioni più basse, mediante un processo di capovolgimento che trasforma, trasfigurandoli, i «diavoli» (Teufel) in «angeli» (Engeln),565 il conoscere giungeva alla sua apparente autonomia per via di una temporanea e nascosta pacificazione dei moti del mondo istintivo e pulsionale:

«Che cosa significa conoscere. Non ridere, non lugere, neque detestari, sed intelligere! Dice Spinoza […]. Ciò nondimeno: che cos’è in ultima analisi questo intelligere se non la forma in cui appunto ci diventano a un tratto avvertibili questi tre fatti? […] Prima che sia possibile un conoscere, ognuno di questi tre impulsi deve avere già espresso il proprio unilaterale punto di vista sulla cosa o sul fatto: in seguito nasce il conflitto tra queste unilateralità, e a partire da esso talora un termine medio, una pacificazione, un salvar le ragioni di tutte e tre le parti, una specie di giustizia e di accordo: in virtù, infatti, della giustizia e dell’accordo, tutti questi impulsi possono sostenersi nell’esistenza e darsi reciprocamente ragione. Noi che siamo consapevoli soltanto delle ultime scene di conciliazione e della liquidazione finale di questo lungo processo, riteniamo perciò che intelligere sia qualcosa di conciliante, di giusto, di buono, qualcosa di essenzialmente contrapposto agli impulsi: mentre esso è soltanto un certo rapporto degli

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