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CAPITOLO I: LA GENESI DELLO ZARATHUSTRA

14. Un cavo teso

«E Gesù disse loro: “Non avete mai letto nelle

scritture: La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo? […]». MATTEO, 21, 42.

Il Prologo dello Zarathustra rivela un particolare significato. Vi si trovano racchiuse le linee guida per l’interpretazione dell’intero svolgimento narrativo. L’annuncio della morte di Dio si accompagna alla serrata critica dei propugnatori dell’ascesi, dando vita ad un conseguente inno per il rispetto per la terra:

Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovra terrene speranze! Lo sappiano o no costoro esercitano il veneficio.

Essi sono dispregiatori della vita, moribondi e avvelenati essi stessi, hanno stancato la terra: possano scomparire!

Un tempo il sacrilegio contro Dio era il massimo sacrilegio, ma Dio è morto, e così sono morti anche tutti questi sacrileghi. Commettere il sacrilegio contro la terra, questa è oggi la cosa più orribile, e apprezzare le viscere dell’imperscrutabile più del senso della terra!398

396 Za: (Prologo § 3), p. 6.

397 Za III: (Il viandante), pp. 177-179.

THALÍA CEDE

ÑO FARFÁN, Casi Transaprente, AFESE Fondo Editorial de cultura Peruviana, 2008, p. 17. (Ho lasciato anche la casa e mi feci buio. /Attraversare il bosco per arrivare alla montagna. / Fu un cammino doloroso. / È qui che ho, tuttavia, piantato l’unica bandiera possibile) [t.d.a.]. Si ringrazia di cuore Elke Angelika Wachendorff, Presidente del “Nietzsche-Forum München e. V.”, per la segnalazione di questa bellissima poesia.

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Introdotta la sua proposta di superamento del dualismo anima/corpo, dove l’una, quanto alle qualità specifiche, si mostra come l’esatto riflesso dell’altra, Nietzsche presenta un ideale di oltrepassamento la cui realizzazione non può prescindere dal profondo disprezzo per tutto ciò che è umano, nel senso di piccolo, stanco, meschino, tiepido, interessato:

Davvero un fiume immondo è l’uomo. Bisogna essere un mare per accogliere un fiume immondo, senza diventare impuri.

Ecco, io vi insegno il sovrauomo: egli è il mare, nel quale si può inabissare il vostro grande disprezzo.

Qual è la massima esperienza che possiate vivere? […].

L’ora in cui diciate: «Che importa la mia felicità! Essa è indigenza e feccia e un miserabile benessere. Ma la mia felicità dovrebbe giustificare perfino l’esistenza!

L’ora in cui diciate: «Che importa la mia ragione! Forse che essa anela al sapere come il leone al suo cibo? Essa è indigenza e feccia e un miserabile benessere!».

L’ora in cui diciate: «Che importa la mia virtù! Finora non mi ha mai reso furioso. Come sono stanco del mio bene e del mio male! Tutto ciò è indigenza e feccia e benessere miserabile!» L’ora in cui diciate: «Che importa la mia giustizia! Non mi vedo trasformato in brace ardente! Ma il giusto è brace ardente!»

L’ora in cui diciate «Che importa la mia compassione! Non è forse la compassione la croce cui viene inchiodato che ama gli uomini? Ma la mia compassione non è crocefissione».

Avete già parlato così? Avete già gridato così? Ah vi avessi già udito gridare così!

Non il vostro peccato – la vostra accontentabilità grida al cielo, la vostra parsimonia nel vostro peccato grida al cielo!399

In Genesi 4, 10 avendo Caino ucciso il fratello Abele viene duramente ammonito dal Signore per l’ingiustizia primigenia commessa: «La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano […]».400

L’immagine di questo grido viene dunque ripresa come conclusione della descrizione del momento auto-questionante dell’ora del grande disprezzo. Ciò al fine di denotare, mediante un paradosso, la normalità comoda, indifferente, della quale bisogna anzitutto prendere coscienza. L’esigenza di superare se stessi trova la propria conditio sine qua non nella dirompente presa di coscienza del carattere limitato del proprio essere attuale. L’attaccamento a sé deve essere vinto nel questionamento essenziale ed esistenziale dei propri criteri usuali di azione e nel riconoscimento estremo della loro mediocrità e autenticità non radicale. La metafora ripresa dal

399 Za: (Prologo § 3), pp. 6-7 [t.d.a.]. 400 GENESI, 4, 10-11.

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libro della Genesi assume anch’essa un valore funzionale alla sottolineatura della consueta incapacità di riconoscere la propria mediocrità tanto nel bene, quanto nel male. Lo stesso criterio di «accontentabilità»401 che si stabilisce nelle passioni più radicali, si rivela norma anche nel presunto atto ribelle di sconfinare nella colpa e nel peccato.402 Viene in tal modo svelata una dinamica nella quale fare il “bene” a metà403

o in modo meschino, si sposa con un atteggiamento di mediocrità404 anche nel gesto ribelle di sottrarvisi.405

Zarathustra diviene, così, messaggero di una felicità talvolta anti-egoisticamente sottratta dall’essere scopo supremo dell’esistenza, di una ragione che sia vero anelito al sapere, di una virtù capace di questionare i propri criteri orientativi nel riconoscimento della loro pochezza interessata e, infine, di una giustizia che sia vera e ardente passione. In questa visione delle passioni trova spazio anche la schopenhaueriana compassione, la quale tuttavia non deve più essere intesa e percepita come principio metafisico, ma come vera e stringente crocifissione. Nella narrazione, ciò che segue è l’esibizione del funambolo che era stata promessa alla folla, nei pressi del «mercato»406

della città vicina «sita presso le foreste»407 ove il protagonista giunge dopo l’incontro con il «vegliardo» che, «cantando ridendo, piangendo, mugolando»,408 loda e ama solo Dio rinunciando all’amore degli uomini. Zarathustra aveva proposto il proprio insegnamento sul sovrumano stabilendo un parallelismo con ciò che sta per accadere e, rivolgendosi alla folla409 per la prima volta, spiega la sua visione “evolutiva”410

e creativa del destino del vivente sulla terra:

Io vi insegno il sovrauomo. L’uomo è qualcosa che deve essere superato. Che avete fatto per superarlo?

401 Za: (Prologo § 3), pp. 6-7 [t.d.a.].

402 «[…] Io però mi rallegro della grande peccato (Sünde) come del mio più grande conforto – Questo però non è detto

per chi ha le orecchie lunghe. Non ogni parola si addice ad ogni bocca. Queste son cose fini, remote: verso di esse non devono allungare le zampe le pecore». Za IV: (Dell’uomo superiore § 5), p. 335 [t.d.a.]. KSA: 4/359.

403 Il rigore etico propugnato da Zarathustra nell’andare «fino al fondo» delle cose disprezzando «tutti i mezzi-e mezzi

dello spirito, tutti i nebulosi, i fluttuanti», trova un corrispettivo “per eccesso” nell’immagine del «coscienzioso dello spirito» presentata nel quarto libro dell’opera. Si veda: Za IV: (La sanguisuga), p. 290.

404

«E volentieri si assumono la parte di quelli che conciliano: ma per me rimangono mezzani e intruglioni, gente di mezza tacca non pulita! Ah io ho gettato la mia rete nei loro mari, volevo fare una buona pesca; ma ho sempre tirato su il capo di un qualche vecchio dio. Così il mare portò all’affamato un sasso. E anche loro sembravano venire dal mare». Za II: (Dei poeti), p. 148. Cfr. MATTEO, 7, 9.

405

Rivolgendosi al «puro cielo», il sovrastante «baratro di luce»: «Noi detestiamo le nuvole pigre, fonte di mediazione e mescolanza delle cose: questi esseri a metà che né hanno imparato a benedire né a maledire con convinzione. […] Quante volte ho bramato di infilzarle col dentato filo d’oro del fulmine, e, come il tuono, di sonare il tamburo su quelle pentole panciute […]». Za III: (Prima che il sole ascenda), pp. 191-192.

406

Za: (Prologo § 3), p. 5.

407 Za: (Prologo § 3), p. 5.

408 Za: (Prologo § 2), pp. 4-5. Il vegliardo ha fatto del proprio eremitaggio un criterio assoluto di rinuncia, ha stabilito

un rapporto unidirezionale ed alienante con una trascendenza vissuta come fuga dal rapporto di amore con l’altro nella conseguente rinuncia a donare e donarsi.

409 Anche nel rivolgersi del personaggio alla folla Gramzow individua un parallelismo con lo Zoroastro mazdeo: O.

GRAMZOW, Kurzer Kommentar zum Zarathustra, op. cit., pp. 72-76. 410 Ad es. MA: P., § 2, p. 16.

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Tutti gli esseri hanno creato qualcosa al di sopra di sé: e voi volete essere il riflusso in questa grande marea e retrocedere alla bestia piuttosto che superare l’uomo?

Cos’è per l’uomo la scimmia? Un ghigno o una vergogna dolorosa. E questo appunto ha da essere l’uomo per il sovrauomo: Un ghigno e una dolorosa vergogna.

Avete percorso il cammino dal verme all’uomo, e molto ancora in voi ha ancora del verme. In passato foste scimmie, e ancor oggi l’uomo è più scimmia di qualsiasi scimmia.411

Mentre Zarathustra inizia la sua predicazione, il popolo radunato sul mercato già invoca di vedere il sovrauomo,412 mentre l’uomo destinato realmente all’esibizione, credendo ci si stia riferendo a lui, inizia a percorrere la fune tesa tra due torri,413 a ciò fa da sfondo questo discorso:

L’uomo è un cavo teso tra la bestia e il sovrauomo, – un cavo al di sopra di un abisso.

Un passaggio periglioso, un periglioso essere in cammino, un periglioso guardarsi indietro e un periglioso rabbrividire e fermarsi.

La grandezza dell’uomo è di essere un ponte e non uno scopo: nell’uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.414

Come all’interno di una dinamica speculare, alle parole del “profeta” corrisponde una situazione esterna corrispondente e presentata come pre-testo per l’esplicazione di un contenuto che rimanda alla necessità di riconsiderare il destino dell’umano nel suo dinamismo naturale e spirituale. Criterio evolutivo auspicabile, ma che non si realizza affatto per mera necessità esteriore. A far da contraltare all’immagine del sovrauomo, riflesso dal funambolo della scena “circense”, non è, in senso letterale, una pretesa e generica sfera subumana, ma l’ultimo uomo,415 i cui tempi malauguratamente stanno per giungere.416 Egli «non sa disprezzare se stesso»417 e, dunque, non è

411 Za: (Prologo § 3), pp. 5-6 [t.d.a.]. La figura della scimmia, come personaggio, ritorna nel suo aspetto mimetico nel

capitolo Del passare oltre: Za III: pp. 206-209.

412 Za: (Prologo § 3), p. 8. 413

Il simbolismo della torre «ha carattere universale e rimanda alla storia Biblica della costruzione della Torre di Babele, simbolo dell’aspirazione umana dell’elevazione a Dio, ma anche dell’orgoglio umano che in questa sua tensione tende a sostituirsi al divino: «Questa tradizione dell’edificio sacro elevato verso il cielo, alla cui origine vi era senza dubbio il desiderio di avvicinarsi alla potenza divina, si è convertita nel suo opposto nella rivelazione biblica: la torre di Babele è divenuta l’opera dell’orgoglio umano, il tentativo dell’uomo di alzarsi fino alla divinità e, sul piano collettivo, della città che si leva contro Dio». J. CHEVALIER, A. GHEERBRANT, Dizionario dei simboli, op. cit., pp. 1044- 1045. Si veda: GENESI, 11, 1-9. Dalla tradizione biblica deriva che il simbolo della torre è legato all’istanza di divisione e confusione tra gli uomini mediante la diversità delle lingue: «La diversità delle lingue impedisce più di ogni altra cosa di vedere ciò che in realtà sta avvenendo: la scomparsa della nazione e la creazione dell’uomo europeo». OFN: IV, II, 19 [75], p. 358.

414 Za: (Prologo § 4), p. 8.

415 Se il sovrumano indicato da Nietzsche ha il proprio opposto nel dominio degli ultimi uomini, la sua dimensione

essenziale finisce per acquisire anche i caratteri del “primo-uomo” o uomo superiore, colui che può adesso, dopo la morte di Dio, vivere da risorto. Si veda: Za IV: (Dell’uomo superiore § 2), p. 333.

416 Za: (Prologo § 5), pp. 10-11. 417 Za: (Prologo § 5), p. 11.

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esposto alla dinamica del superamento di sé, giacendo passivo nella sua “modesta”418

e comoda condizione. Questi non questiona criticamente il proprio essere, in realtà egli pare essere l’ultimo in quanto crede d’essere il primo:

«Che cos’è amore? E creazione? E anelito? E stella?» ‒ così domanda l’ultimo uomo, e strizza l’occhio.

La terra allora sarà diventata piccola e su di essa saltellerà l’ultimo uomo, quegli che tutto rimpiccolisce.

La sua genia è indistruttibile, come la pulce di terra; l’ultimo uomo campa più a lungo di tutti. «Noi abbiamo inventato la felicità» ‒ dicono gli ultimi uomini e strizzano l’occhio.

Essi hanno lasciato le contrade dove la vita era dura: perché ci vuole calore. Si ama anche il vicino e a lui ci si strofina: perché ci vuole calore.

Ammalarsi e essere diffidenti è ai loro occhi una colpa: guardiamo dove si mettono i piedi. Folle chi ancora inciampa nelle pietre e negli uomini.419

Un’altra immagine biblica campeggia in questi passaggi mediante la menzione dissimulata della «pietra d’inciampo».420

Sul tema Jung si spingeva ad analizzare il simbolismo inconscio della prima letteratura cristiana (II sec.) contenuto nel Pastore di Erma. Qui si narrava «di una moltitudine di individui provenienti dai quattro angoli del mondo»421 e che «recano ciascuno una pietra, o sono essi stessi una pietra, che dispongono in maniera da congiungersi e costruire una torre; poi, in un batter d’occhi, le pietre si fondono insieme senza che sia visibile alcun punto di giunzione, il che produce un’unità straordinariamente forte, simbolo della costruzione della Chiesa».422

Questo testo veniva accostato alla visione dello Zarathustra423 e utilizzato più volte come metafora esplicativa

418 «Essi vorrebbero allettarmi e lodarmi per la virtù piccola; vorrebbero convincere il mio piede al ticchettare della

piccola felicità. Io passo in mezzo a questa gente e tengo gli occhi aperti: costoro sono diventati più piccoli e diventano sempre più piccoli: – ma in ciò consiste la loro dottrina sulla felicità e la virtù. Infatti, anche nella virtù essi sono modesti, – perché vogliono vivere comodi. Ma alla comodità di adatta solo la virtù modesta. Certo essi imparano a modo loro a marciare e ad avanzare marciando: è ciò che io chiamo il loro zoppicare –. Così essi sono d’ostacolo a chi ha fretta. E alcuni di loro vanno avanti guardando indietro, con la nuca irrigidita: questi mi piace aggredirli di corsa. Il piede e gli occhi non debbono mentire e neppure smentirsi a vicenda. Za III: (Della virtù che rende meschini § 2), p. 197.

419 Za: (Prologo § 5), p. 11. Sulla «Pietra di inciampo» si veda: ISAIA, 8, 14; ROMANI, 9, 33; 1 PIETRO, 2, 8. Zarathustra

inciamperà e calpesterà involontariamente il «coscienzioso dello spirito»: Za IV: (La sanguisuga), p. 288.

420 «Ecco, io pongo in Sion una pietra d’inciampo e un sasso che fa cadere; ma chi crede in lui non sarà deluso». ROMANI, 9, 32-33. Cfr. ISAIA, 28, 16.

421 C. G. JUNG, Lo Zarathustra di Nietzsche. Seminario tenuto nel 1934-39, op. cit., p. 1490. 422

Ibidem.

423 Jung interpreta lo scritto nietzscheano come resoconto «di esperienze dell’inconscio». In tal senso a ragione

potevano essergli accostati sia l’Apocalisse Giovannea che Il Pastore di Erma, opera la cui paternità rimane fino ad oggi incerta e discussa: ivi, p. 239.

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della stessa composizione e della costruzione del Sé.424 Già secondo il Codex Rhenovacensis, un codice alchimistico, l’Aurora consurgens attribuita a Tommaso d’Aquino (XV sec.), il cui procedimento alchemico viene espresso «nell’analogia del Cantico dei cantici», spiega Jung, la pietra era indicata come «il salvatore».425

Tornando alla narrazione di Nietzsche, il tema dell’ultimo uomo viene introdotto dopo che Zarathustra si rivolge al suo cuore426 constatando di non essere «la bocca» adatta per gli «orecchi»427 di chi sta sul mercato.428 Avendo così detto del sovrauomo, completa la strategia dialogica delineando sul versante opposto l’orizzonte cui l’umanità dovrebbe tendere, decidendo adesso «di parlare loro dell’essere più di tutti spregevole»:429

È tempo che l’uomo fissi la propria meta. È tempo che l’uomo pianti il seme della sua speranza più alta.

Il suo terreno è ancora fertile abbastanza per ciò. […]

Guai si avvicinano i tempi in cui l’uomo non scaglierà più la freccia anelante al di là dell’uomo, e la corda del suo arco avrà disimparato a vibrare!

Io vi dico: bisogna ancora avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante. Io vi dico: voi avete ancora del caos dentro di voi. […]

Guai! Si avvicinano i tempi dell’uomo più spregevole, quegli che non sa disprezzare se stesso.430

La folla che prima aveva invocato di poter vedere il sovrauomo, udito il messaggio sull’ultimo uomo, cambia repentinamente idea e reclama adesso che questi gli sia dato e concesso. Nel suo

424 «Si tratta dell’edificio della Chiesa ma è al contempo l’idea del Sé, che consiste di molte unità ereditate sicché viene

spesso paragonato a una manciata di grano o di ghiaia o di pezzi di ferro o d’oro; tutte quelle unità, una moltitudine, vengono riunite per costruire il Sé». Ivi, p. 1014. Si veda anche: Ivi, pp. 113, 239, 330.

425 Ivi, p. 1013 e n. 11. Cfr. MATTEO, 16, 13-21. Il passo dell’investitura di Pietro è stato centrale nello sviluppo della

riforma protestante ed alimenta tutt’oggi, grazie a differenti esegesi, diverse visioni della pratica autenticamente cristiana: Si veda: M. LUTERO, Le Resolutiones. Commento alle 95 tesi (1518), trad. it. di A. Alimonta e P. Ricca, Claudiana, Torino 2013, (Tesi 5), pp. 65-71.

426 A. PIEPER, «Ein Seil geknüpft zwischen Thier und Übermensch», op. cit., p. 78.

427 «Forse bisogna rompergli i timpani perché imparino a udire con gli occhi? Bisogna strepitare come tamburi e

predicatori di penitenza? O forse fan credito solo ai balbuzienti?». Za: (Prologo § 5), p. 10. In risposta alla domanda dei discepoli del perché Gesù parlasse mediante delle parabole questi rispondeva: «[…] perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete sì ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca” […]». MATTEO, 13, 13-17; ISAIA, 6, 9-10.

428 «Il popolo capisce poco ciò che è grande, cioè: la creazione. Ma esso ha comprensione per tutti gli attori e i

commedianti delle grandi cause». Za I: (Delle mosche del mercato), p. 55. Cfr. A. PIEPER, «Ein Seil geknüpft zwischen Thier und Übermensch», op. cit., p. 71.

429

Scrive Annemarie Pieper: «Gli ultimi uomini vogliono rimanere nelle tenebre (Dunkel) della caverna come gli abitanti della Caverna di Platone, questa contiene così tanta luce che possono essere percepite solo le ombre sulla parete». Ivi, p. 72 [t.d.a.].

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«clamore smanioso»431 pare risuonare la risposta della folla a Pilato sulla possibile scelta della liberazione di Gesù o di Barabba: «Dacci l’ultimo uomo, Zarathustra, così gli gridavano, – fa’ di noi degli ultimi uomini! E noi ti lasciamo il tuo sovrauomo!».432 Questa evocazione formale e tematica sancirebbe una ulteriore connessione tra l’idea della morte di Dio e quella implicata e connessa del sovrumano.433 La prospettiva in seguito si sposta sull’esibizione del funambolo:

Nel frattempo, infatti, il funambolo si era messo all’opera: era uscito da una porticina e camminava sul cavo teso tra le due torri, per modo che ora si librava sopra il mercato e la folla. Ma era giusto a metà del suo cammino, quando la porticina si aprì di nuovo e ne saltò fuori una specie di pagliaccio dai panni multicolori, che a rapidi balzi si avvicinò all’altro. «Muoviti, piè zoppo, gridava con voce agghiacciante, muoviti poltrone, impostore, faccia di tisico! Che io non ti solletichi col mio calcagno! Che stai a fare qui tra le due torri? Dentro la torre dovresti essere, lì bisognerebbe rinchiuderti, tu sei d’impaccio a chi è meglio di te!». – E a ogni parola che diceva, si avvicinava sempre di più: ma quando fu a un passo dall’altro, ecco che accadde la cosa atroce che fece ammutolire tutte le bocche e strabuzzare gli occhi di tutti: cacciò un urlo diabolico e con un salto superò colui che gli ostacolava il cammino. Questi però vedendosi battuto dal rivale, perse la testa e l’equilibrio e, ‒ più rapido ancora del bilanciere che aveva lasciato cadere, ‒ precipitò in basso, in un mulinello di braccia e di gambe. […].434

L’immagine lineare del cavo teso, si sovrappone a quelle del ponte e dell’arcobaleno,435

ma esprimendo la sola dinamica rettilinea, non coniugata in modo complementare al senso del luminoso espresso dalla “metafora” della circolarità436

propria dell’insegnamento di Zarathustra nel suo identificarsi con il sole, segna il fallimento437 prospettico dell’impresa del cammino dell’uomo e si conclude con la sua “caduta”. Il doppio movimento di ascesa e tramonto, realizzazione di sé e consapevolezza del destino tragico iscritto nella condizione umana, viene confermato dal titolo dell’aforisma 342 de La gaia scienza “Incipit tragoedia”, nel quale si anticipava l’incipit dello Zarathustra.438

Alla realizzazione donante cui perviene il personaggio nel

431 Za: (Prologo § 5), p. 12.

432 Za: (Prologo § 5), p. 12 [t.d.a.]. «Ma essi si misero a gridare tutti insieme: «Togli di mezzo costui! Rimettici in

libertà Barabba!». LUCA, 23-18. Cfr. MATTEO 17, 17-26; MARCO 15, 7-15.

433 «[…] Uomini superiori, questo Dio era il vostro più grave pericolo. Da quando egli giace nella tomba, voi siete

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