CAPITOLO I: LA GENESI DELLO ZARATHUSTRA
12. Profeta, non profeta
«Ai nottivaghi ai magi ai posseduti da Dioniso
alle menadi agli iniziati».
ERACLITO, Dell’Origine
L’idea di un oltrepassamento del limite stabilito dal linguaggio comune si fonde in Nietzsche con riflessioni che rimandano costantemente all’idea di un di più324
di forza, piacere e volontà, mediante cui esplicare la necessità di una nuova prospettiva per il futuro dell’uomo. Utilizzando il simbolo del ponte, elemento ben presente all’interno del contesto avestico e dottrinario zoroastriano,325 così si esprime:
L’oggi e il passato sulla terra – ah, amici miei – questo è per me il massimo di ciò che non posso sopportare; e non saprei vivere, se non avessi anche la visione di ciò che necessariamente verrà.
Uno che vede e vuole e crea, egli stesso un futuro e un ponte verso il futuro – e ahimè, ancora quasi uno storpio sul ponte: tutto ciò è Zarathustra.326
Nella previsione del futuro, spicca la vocazione profetica attribuita al personaggio. Ma lo Zarathustra storico era un profeta? Se la tradizione dei profeti, in senso stretto, appartiene al contesto religioso ebraico e biblico,327 la figura di Zarathustra è legata all’antica tradizione mazdea. Pur sussistendo, sia da un punto di vista storico che scritturale, una strettissima parentela tra i due ambienti religiosi e politici,328 come sottolinea Pardis, entrando in opposizione dialettica con le tesi di Du Breuil, l’antico Zoroastro è piuttosto un «Istruttore» e una guida:
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Za III: (Della virtù che rende meschini § 2), p. 196. Op. cit., [Fr. 1], p. 39.
324 Cfr.L. KLAGES, Nietzsche. Le sue conquiste psicologiche, op. cit., p. 232. 325
Si veda: F. CREUZER, Symbolik, op. cit., vol. 1, p. 707. Infra, Cap. III, § 9.
326 Za II: (Della redenzione), p. 161.
327 «Il dono della profezia è superiore a quello delle lingue – Aspirate alla carità. Desiderate intensamente i doni dello
Spirito, soprattutto la profezia. Chi infatti parla con il dono delle lingue non parla agli uomini ma a Dio poiché, mentre dice per ispirazione cose misteriose, nessuno comprende. Chi profetizza, invece, parla agli uomini per loro edificazione, esortazione e conforto. Chi parla con il dono delle lingue edifica se stesso, chi profetizza edifica l’assemblea. Vorrei vedervi tutti parlare con il dono delle lingue, ma preferisco che abbiate il dono della profezia. In realtà colui che profetizza è più grande di colui che parla con il dono delle lingue, a meno che le interpreti, perché l’assemblea ne riceva edificazione». 1 CORINZI, 14, 1-5.
328 «La letteratura religiosa di Israele è così ricca che anche la tradizione mosaica più ostile alle idee straniere ha potuto
modellarle su se stessa, e soprattutto conservare moltissimi concetti esotici, che arricchirono il profetismo post-esilico e quello che noi chiamiamo cripto-giudaismo, che nel corso dei secoli si è nutrito di esoterismo, attinto principalmente
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Nelle Gāthā, Zarathustra stesso si fa chiamare il Manthran, «colui che insegna le parole che svegliano il pensiero», i Manthra. Egli è dunque l’«Istruttore», il buon insegnante che segue il cammino della Giustizia e il giusto pensiero per guidare i popoli verso la felicità, al contrario del cattivo insegnante che li conduce verso la decadenza (déchéance).329
La figura originaria iranica corrisponde più a quella dell’emissario che non a quella del profeta, Zarathustra difatti ha da adempiere una sua specifica missione risanatrice dopo aver ricevuto da Mazdā lo “Zend-Avesta” sulla montagna.330
La rivelazione-ricezione della luminosa verità del Bene lo fa partecipe della volontà divina volta ad una piena e felice realizzazione dell’amore nel mondo e tra i viventi: compito che è chiamato, nella sua complicità col divino, a realizzare e porre in essere.331 Per adempiere a tale impresa etica l’antico maestro indugiava in un continuo scambio di ringraziamento, chiarificazione e preghiera col Dio che si è così mostrato nell’intenzione della verità, della saggezza e della giustizia.
Nietzsche infonde il carattere del “profeta” al suo personaggio ma, allo stesso tempo, in Ecce homo, sottolinea come ciò non sia da intendersi332 nel senso deteriore del termine, sollecitando a cogliere i nessi da lui stabiliti tra simbologia tipica dei culti delle origini, dimensione spirituale dello spirito veicolata dal Cristianesimo paolino333 e la tensione degli estremi mediante la quale vuole scardinare il fisso ordine di spiegazione dualistica della dinamica vitale. In apertura all’ultimo capitolo del terzo libro, I sette sigilli (Ovvero: il canto «sì e amen»), leggiamo:
Se io sono un profeta, pieno di quello spirito profetico che incede sull’alto giogo posto in mezzo a due mari, ‒
Come una nube greve incede in mezzo, tra passato e futuro, ‒ ostile alle bassure afose, a tutto quanto è stanco e non è capace di morire né di vivere:
Già pronta al fulmine nel petto tenebroso e al raggio di luce liberatore, gravida di fulmini che dicono «sì», ridono «sì», ai luminosi sprazzi profetici del fulmine: ‒
dalla gnosi zoroastriana e adattato all’inimitabile stile lirico dei libri profetici e degli apocrifi giudaici». P. DU BREUIL,
Zarathustra (Zoroastro) e la trasfigurazione del mondo, op. cit., p. 197. 329
K. K. PARDIS, Étude historique. § 4. La mission de Zarathoustra: la redécouverte des Gathas, in K. K. PARDIS (éd.),
Les Gathas, op. cit., p. 64 [t.d.a.].
330 In questa occorrenza la sua figura risulta accostabile a quella di Mosé: ESODO, 31, 18; ivi, 32, 15. D’altra parte
nell’invito nietzscheano a spezzare le antiche tavole pare anche evocato il gesto di Mosé al constatare la perversione cui versava il popolo di Israele: ESODO, 32-19. Cfr. Ad. es Za III: (Di antiche tavole e nuove § 7), pp. 235-236.
331 «Egli chiede ad Ahura Mazda che gli faccia conoscere la felicità e che gli riveli la falicità dei due mondi, il materiale
e lo spirituale, affinché possa a sua volta non solamente adempierla per l’anima della terra, ma anche giudare i suoi compagni verso la felicità». K. K. PARDIS, Étude historique. § 4. La mission de Zarathoustra: la redécouverte des Gathas, in K. K. PARDIS (éd.), Les Gathas, op. cit., p. 65. [t.d.a.].
332 EH: P., § 4, p. 13.
333Ad es. H. DE LUBAC, Nietzsche mistico, Mistica e Mistero Cristiano, vol. 6, II, La fede Cristiana, trad. it. di A. Sicari,
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‒ beato colui che sopporta una tale gravidanza! E, in verità colui che un giorno dovrà appiccare l’incendio della luce avvenire deve incombere a lungo sul monte come una nube.334
Nella lezione del 1 febbraio presso il Collège de France dove nel 1984 tenne un corso su Il coraggio della verità, Foucault operava una ricostruzione volta a mostrare «i modi di veridizione»335, di «dire-il-vero»336 e delle modalità della loro affermazione e strutturazione reciproca all’interno del «tema delle relazioni di potere e del loro ruolo all’interno del gioco tra soggetto e verità».337 Qui stabilisce le seguenti forme principali338 in cui la verità può darsi nella sua manifestazione: nella modalità della profezia, legata all’idea del destino; nella forma della saggezza (sapere) che dice l’essere; nel modo dell’insegnamento, che fa riferimento alla tekhnē e, infine, mediante la parrēsia che chiama in causa l’ēthos. Quasi in perfetta consonanza con l’immagine del brano di Nietzsche sopra riportato, indagando le variabili del rapporto al vero nell’antichità e nel mondo moderno, affermava:
In primo luogo c’è il dire il vero della profezia. […]. Anche il profeta – alla pari, certo, del parresiasta – è ovviamente qualcuno che dice il vero. Fondamentalmente credo tuttavia che l’aspetto caratteristico del profeta che dice il vero, cioè la sua veridizione, sia la postura di mediazione. Per definizione, egli non parla a proprio nome. Parla per trasmettere un’altra voce. La sua bocca serve da intermediario a una voce che viene da un altro luogo. Il profeta trasmette una parola che in genere è la parola di Dio. Articola e pronuncia un discorso che non è il suo. Rivolge agli uomini una verità che viene da un altro luogo. Anche in un altro senso il profeta funge da intermediario: si colloca infatti tra il presente e il futuro; è colui che svela ciò che il tempo sottrae agli uomini, e che nessuno sguardo umano potrebbe vedere […]. Il dire-il-vero profetico è intermediario anche per una terza ragione: in un determinato modo, certo, il profeta svela, mostra e chiarisce ciò che per gli uomini è nascosto, ma per un altro verso – o, piuttosto, nello stesso tempo – non svela senza essere oscuro, non rivela senza avviluppare ciò che dice in una certa forma, che è quella dell’enigma.339
Il personaggio di Nietzsche svolge il ruolo di medium o intermediario nell’immagine spaziale dell’«alto giogo posto in mezzo a due mari»,340
ma anche nella rappresentazione temporale del suo
334 Za III: I sette sigilli (Ovvero: il canto «sì e amen» § 1), p. 269. Cfr. Za III: (Della virtù che rende meschini § 2), p.
196.
335 M. FOUCAULT, Il coraggio della verità. Il governo di Sé e degli altri II. Corso al Collège de France (1984), trad. it.
di M. Galzigna, Feltrinelli Editore, Milano 2011, p. 40.
336 Ivi, p. 26. 337
Ivi, p. 20.
338 Ivi, p. 40. 339 Ibidem.
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essere collocato «tra passato e futuro».341 Nel brano de I sette sigilli si fa riferimento anche ad un’altra dimensione di medietà atipica: quella che sancisce, stavolta in negativo, l’ostilità verso «tutto quanto è stanco e non è capace di morire né di vivere».342 Questo passaggio indica come rispetto al rapporto tra vita e non vita non si dia alcuna possibilità lodevole di mediazione propendendo per una oltremodo decisa affermazione della prima.343 In tal senso Nietzsche definirà mezzo-e-mezzi gli individui la cui volontà di conciliare344 in campo etico-esistenziale si spinge, varcando le soglie della mediocrità,345 in uno sconvolgimento male assortito del rapporto spirituale che intercorre tra «volontà d’amore», 346
considerazione della morte e vero coraggio.