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Alla fine del Cinquecento, la città di Venosa aveva riconosciuto al nuovo princi- pe, Fabrizio II Gesualdo, l’autorità signorile dopo la ratifica delle consuetudini che ab antiquo reggevano l’universitas civium, ricevendo in cambio che essa fosse nominata Ca- mera reserbata174 […] e se i suoi successori non tenessero loro Camera a Venosa che la città

domandi loro la bonatenenza sulle case burgensatiche175 .

Il feudatario dispensava grazie e favori nell’entrata trionfale nella città lucana, af- finché restassero a memoria i segni tangibili della sua infinita potenza e clemenza e, quindi, fa indulto e perdona a tutti debbiti ed eccessi a condannati de pene e proventi alli cita- dini et habitanti.

In cambio, tuttavia, l’università sia tenuta di pagare 1000 e seicento ducati in due anna- te la metà d’essi per le grazie ricevute dei proventi che doveva all’Ill(strissi)mo principe D(on) Fabrizio Gesualdo.

Il documento testimonia anche il ruolo delle istituzioni locali e le modalità d’elezione dei rappresentanti della comunità che necessitano della conferma del prin- cipe per ottemperare al loro incarico e ricevere specifiche remunerazioni.

La volontà di chiamare a rappresentare gli interessi cittadini coloro che mostra- vano di possedere competenze specifiche in campo giuridico testimonia l’avvio di quella serrata elitaria nei parlamenti locali sottolineata dalla maggior parte degli stu- diosi dell’età moderna176.

174 I capitoli cittadini confermati dal principe Fabrizio II Gesualdo alla città di Venosa sono stati og-

getto d’indagine in un mio saggio, In Universitate : poteri, istituzioni e risorse di Venosa, cit. Nel testo si a- nalizzano le possibilità delle istituzioni cittadine di gestire le risorse materiali ed immateriali del territo- rio nella transizione dalla signoria dei Gesualdo a quella dei Caracciolo che, occupando lo spazio di pa- recchi decenni, avviò la progressiva marginalizzazione della città per una serie di circostanze sfavorevo- li, quali le congiunture economiche negative del primo Seicento, l’indebitamento progressivo, l’innalzamento dei prezzi, lo stanziamento delle truppe, la rivolta di Masaniello, l’epidemia di peste e, non ultimo per effetti nefasti, il terremoto del 1694.

175 ASN, Archivio privato Caracciolo di Torella, b. 190, fasc.5, f. 1 a t.

176 L’accresciuta ingerenza dei ceti aristocratici, con una formazione culturale di tipo giuridico, tra-

sformerà i parlamenti cittadini da organi di democrazia diretta in organi di rappresentanza cetuale at- traverso una progressiva chiusura aristocratica. Anche la corte baronale sottrarrà fette sempre più gran- di di potere agli organi cittadini, favorendo o nascondendo le usurpazioni del signore nei feudi, come ri- leva A. MUSI, Mercato S. Severino…, cit, pag. 111-113.

Si ribadisce che l’università eleggerà un notaio in veste di Mastrogiurato e che sia confermato dal Principe e che egli confermi anche gli altri eletti, quelli che hanno avuto più voti come nel decreto del R(egi)o Consiglio e della R(egi)a Camera e questo Mastrogiurato nominato e confermato debba godere de’soliti emolumenti, cioè delle due fiere, della terza parte dei proven- ti civili e criminali e delli atti che si faranno in detta fiera e della metà del peso e della misura, delle robbe che si venderanno in dette fiere e la metà delle poteche alle fiere e che in medesimo stile debba tenere nell’elezione e confermazione de’ Giudici annuali.

Il signore era chiamato anche alla scelta fra i due candidati proposti dagli ordinati e dall’eletto del registramento al tempo solito, rappresentanti il ceto aristocratico, uno delli nobili o che nobilmente vive, e quello popolare, l’altro del Popolo, affinché ne risulti eletto uno soltanto.

Altra parte significativa è dedicata al giudizio delle cause civili e penali da parte di un esperto, definito auditore ordinario delle seconde e terze cause e quelli auditori per co- modità di detto S(igno)r Principe si contenta stia in Venosa o in Callitro dove più gli piacerà purchè accede in giornata e che infine ciascuno anno debbia stare a’ sindacato conforme sta il Capitano di detta città e li sindacatori di detta città se abbia da eleggere per detta università177.

L’ultimo scorcio del XVI secolo fu un periodo di valutazione delle risorse territo- riali che la città ed il principe s’impegnarono a definire, delineando i limiti reciproci che il contratto di vassallaggio portava con sé in uno scambio ancora biunivoco fra il giuramento di fedeltà e la protezione assicurata dal nuovo feudatario, rispettoso degli antichi capitoli che s’impegnava a salvaguardare.

Tale processo investì tutti i feudi in possesso del principe di Venosa che, in modo diverso, contrattarono le proprie libertà e subirono i rigori maggiori o minori della sua signoria, risultato della capacità/incapacità di contrastare il potere feudale, come si e- vince dall’analisi di documenti rinvenuti e relativi ai feudi irpini della casata.

A Gesualdo una lapide all’ingresso dell’area individuata come spazio fieristico documenta la vittoriosa battaglia ingaggiata dalla cittadina per contrastare la protervia del principe di Venosa nel voler incamerare per sé i proventi dei mercati cittadini (Fig. 22), cosicché si portava avanti un contenzioso in causa Regi Fisci cum universitate

Terr(a)e Iesualdi super ostensione tituli quorumdam mercatorum Terr(a)e preditt(a)e ac etiam super pretcritione Ill(llustrissi)mi principis Venusii. La vertenza si concluse con una sen- tenza della Regia Camera della Sommaria che fu favorevole alla comunità irpina, dopo il superamento dei due gradi di giudizio, consensu proviso paritiero decreto, ed ebbe la ratifica finale del presidente Berardino di Santa Croce e la trascrizione del mastrodatti Scipione Solimena178.

Figura 22 – La lapide commemorativa della vertenza all’entrata dell’area fieristica di Gesualdo.

178 La lapide riporta la data DIE QUARTO MENSIS XBRIS 1578 ed è posta all’ingresso dell’arco mo-

numentale edificato nel 1558. All’interno dell’iscrizione compare il nome di Luigi Gesualdo che in tale periodo era il feudatario di tale Terra, tuttavia la storiografia locale indica il figlio Fabrizio II Gesualdo, insignito del titolo principesco solo dopo la morte del padre, nel 1584, come il protagonista della vicen- da.

Nella città di Frigento, invece, il rapporto di subordinazione al principe risultava molto più marcato e, seppur non si dispone dei testi antichi dei capitoli cittadini, si possono ricavare i caratteri della giurisdizione delle prime e seconde cause e dell’imperium signorile dal bando del capitano Scipione Paolella, datato 3 settembre 1588, e da quello del governatore Prospero Prignano di alcuni anni successivo179.

Dal bando di Scipione Paolella180, riferito a Frigento, Castelvetere e Paternopoli, si

deduce che all’interno della corte baronale frigentina operavano un capitano, un go- vernatore, laureato in legge con patente per esercitare l’ufficio, un assessore o consulto- re, il luogotenente dei quattro baglivi, un procuratore fiscale, un mastrodatti, alcuni in- servienti. L’universitas frigentina era retta da un Sindaco e quattro Eletti, nominati in pub- blico parlamento e confermati dal feudatario, ed era obbligata anche a dar stato e vitto a la tabola delo offitiale de lo iodece, a procurare il sostentamento per i cavalli portando la pa- glia a la Corte per colibet anno ed, infine, a dare obidientia ala Corte in viagio o vero ad altre opere mediante iusto salario, secondo un antico documento conservato nel fondo archivi- stico dei principi di Torella risalente alla seconda metà del XVI secolo181.

Le sempre maggiori ingerenze dei governatori o dei giudici delle corti baiulari depauperarono le possibilità di consultazione democratica del parlamento cittadino, poiché il capitano ordinava alli M(agnifi)ci Sindici delle dette città (Frigento, Paternopoli, Castelvetere) presenti e futuri e tali cittadini che da oggi in avanti non presumano congregare ne fare alcuno parlamento et altro senza espressa licentia de detto S(igno)r Capitano a la pena de onze vinticinque da applicarsi ad essa Corte tante volte quante contravverrà.

179 I due documenti sono conservati presso l’Archivio di Stato di Napoli nel fondo donato dalla fami-

glia Caracciolo di Torella, Bando ordinato dal Capitano Scipione Paolella per la Corte di Frigento per la giuri-

sdizione delle prime e delle seconde cause della Provincia di Venosa del 3 settembre 1588, e Bando generale del Go-

vernatore della città di Frigento Prospero Prignano del 25 ottobre 1596. Di quest’ultimo è stata redatta la tra- scrizione ed un commento da G. STANCO, L’ordinamento di Frigento in un inedito “bando” di fine Cinque-

cento, in «Rivista storica del Sannio», Terza Serie, Anno IV, Arte Tipografica, 1997.

180 Scipione Paolella fu un insigne giurista, autore di un trattato inedito in tre volumi, che fece parte

della celeberrima Accademia napoletana degli Oziosi. Egli fu nominato giudice di curia nella terra di San Severino nel 1601 ed ottenne la riconferma della carica nel 1605 e nel 1610, chiamato in quei territori dal principe di Avellino Camillo Caracciolo, cfr. M. MONTANILE, Le Accademie e la cultura del ‘600, in F. BARRA (a cura di), Storia illustrata di Avellino e dell’Irpinia, cit., pag. 230 e A. MUSI, Mercato S. Severino…, cit., pag. 74.

181 ASN, Archivio privato Caracciolo di Torella, Notamenti delle giurisdizioni et entrate della città di Fri- gento, e di tutte le terre della sua Baronia, b. 87, fasc. 17, ff. 2v-3v.

Il feudatario, avendo avuto dal sovrano la concessione della giurisdizione delle seconde cause, aveva il diritto di avocare a sé le cause di propria competenza e poteva impedire ai propri vassalli di rivolgersi alle corti di giustizia regia prevedendo pene molto rilevanti per i contravventori182. Nei due testi è presente il divieto e le pene sono

severe, cinquanta once d’oro nel bando del Paolella e venticinque once d’oro in quello del Prignano, che risultano essere le multe maggiori da comminarsi.

Nell’articolo 15 del bando del 1588 si ordina che nessuno ardisca lasciare il proprio tribunale del S(igno)r Capitano et andare ad altri tribunali a fare altre audizioni per altre sorte de cause ne tampoco quando loro occorrendo appellare alle sentenze de le prime cause ne deb- biano lasciare la giurisdizione di detto Ill(ustrissi)mo Principe di Venosa per le seconde cause servando la forza delle giurisdizioni esperite dal Regno, così anche nel documento del 1596, nell’articolo 13. Il divieto di portare armi, perentoriamente ribadito, appariva quanto mai necessario in una zona che da sempre aveva rappresentato il ricettacolo ideale per banditi e fuorilegge, in un’epoca particolarmente difficile nella quale la salvaguardia dell’incolumità personale risultava un compito arduo e complesso che mobilitava ri- sorse e strumenti dai più alti gradi della gerarchia sociale fino ai più bassi183.

Il fenomeno del banditismo, quale espressione di miseria e di contrasti sociali, at- traversa tutta la storia del Meridione permeando di sé interi secoli e, nelle sue conclu- sioni storiografiche, F. Braudel aveva scritto che in tutta l’area del Mediterraneo il

182 In tal senso ci sembra di non poter assolutamente condividere che il bando emanato dal Prignano

fosse un vero e proprio atto di arbitrio di Carlo Gesualdo che, con esso veniva praticamente a modificare, se non ad

abrogare del tutto gli statuti della città. L’unilateralità del provvedimento è dimostrata, tra l’altro, dal divieto ai vassalli di ricorrere alle autorità centrali(…) Un mezzo, questo, per far tacere i “gravamina” che i Gesualdo pote- vano arrecare ai loro vassalli di Frigento, commento riportato in G. STANCO, L’ordinamento …, cit., pag. 77, poiché tali conclusioni ignorano che ai feudatari che avessero avuto il merum et mixtum imperium era sta- ta concessa la giurisdizione delle prime e delle seconde cause nella loro Corte baronale, con i relativi lauti proventi. La Regia Curia non poteva essere interpellata se non dopo l’espletamento di tutti i gradi della giurisdizione inferiore, solo se il barone non rendeva giustizia clauso vel aperto oculo o per negligen-

tiam iudicis, tenendo presente che dicitur iudex negligens si ter ex intervallo fuit interpellatus quod iustitiam

faciat, ci si poteva rivolgere alla Vicaria e alle Regie Udienze, cfr. A. CERNIGLIARO, Sovranità e feudo…,

cit.., pp. 483-487.

183 Nel saggio Lo stato feudale dell’ultima principessa di Venosa, cit., si riporta il rilevante esborso di de-

naro che i Gesualdo versavano a compagnie di uomini armati che garantissero sicurezza nei tragitti di uomini e merci sul territorio di loro giurisdizione, testimonianza inequivocabile della presenza di mani- poli di fuorilegge nei territori campani e lucani che ordivano imboscate, male endemico che esploderà con varia virulenza nel corso di tutta l’età moderna all’interno della società meridionale.

banditismo si è sempre diffuso laddove lo Stato è debole, dove è facile sfuggire all’autorità costituita riparando in luoghi soggetti ad altra giurisdizione184.