Nella seconda metà del Settecento il principe Giuseppe III Caracciolo allargò ul- teriormente lo stato feudale con l’acquisto del feudo di Ruvo della Montagna, oggi Ru- vo del Monte, una Terra edificata sopra d’una collina d’un monte eminente di figura bislun- ga, e nell’entrare nella medesima si ritrovano gl’abituri nel borgo con una strada selicata nel mezzo larga con edificij di case da una parte, e dall’altra. Parte del territorio pianeggiante veniva seminato a grano, grano d’India, fave, ceci, cicercole, orzo, avena in mediocre quantità, mentre il rimanente costeroso, collinato, e montagnoso per uso di pascolo.
La coltura della vite era così diffusa che il vino però abonda di modochè ne vendono a forastieri, come dalla fede dell’Università160.
La terra di Ruvo confinava con i territori di San Fele, con i territori della terra di Atel- la, di Calitri, di Rapone, e col Bosco della Badia di Monticchio, le colture erano variegate e producevano ogni sorte di vittovaglie per comodo, e mantenimento degl’habbitanti della stes- sa, cosicché l’apprezzatore del feudo riferiva che li sudetti territorij fruttano secondo l’annate da 4 fino a 10 tommola per ogni tommolo seminato, un raccolto non disprezzabile.
Il luogo risultava vicino ai feudi lucani del Vulture ed era pienamente inserito nell’economia del circondario, caratterizzata da un vivace scambio di derrate alimenta- ri e di prodotti artigianali a cavallo delle province di Basilicata e Principato Ultra, infat- ti godono gl’habbitanti della detta Terra di Ruvo il commercio delle terre di S. Fele, e Rapone
159 L’algozziero o algozzino era il responsabile delle carceri durante il periodo delle fiere di Venosa e
a lui spettavano un terzo dei proventi esatti dopo le condanne, come riporta la copia dell’apprezzo di Venosa e Maschito del tavolario regio Onofrio Tango.
per la vicinanza di circa 2 miglia, e d’Atella distante circa 6 miglia, ove in tempo di fiera si pro- vedono del bisognevole, e di Calitri distante circa 6 miglia a gl’habbitanti della quale vendono il vino, che produce il territorio del sudetto feudo. La ricchezza d’acqua veniva sottolineata dalla esistenza di due fontane pubbliche per comodo dell’habitanti, una fuori l’abitato da sopra il Castello, l’altra dentro l’abitato, con canali che menano l’acqua, e da ben quattro sor- give d’acqua per uso de persone particolari e sopra tutte dette acque non ha jus alcuno la detta Baronal Camera, mentre sulle acque perenni del fiume Bradine, Liento e Ofanto e del fiume di Atella, possedeva lo jus di farne uso per mulini, e valchiere.
Dei tre mulini, due erano vicini al centro urbano in dove sono tenuti tutti cittadini della medesima portare a macinare il grano, essendovi lo jus proibitivo del signore, mentre il terzo è fabbricato ne confini di detta Terra verso Calitri, c’è macina coll’acqua del fiume Atel- la e questo ordinariamente serve per gl’habbitanti di Calitri, j quali nell’està, quando manca l’acqua né di loro molini vengono a macinare nel molino di Ruvo.
Altre attività industriali, sulle quali gravavano gli jus proibitivi del signore, carat- terizzavano l’economia locale, infatti nella terra di Ruvo si trovava una valchiera, alla quale sono tenuti gl’habbitanti portare a valchiare i panni,ed il comodo del forno per cuocere imbrici […] e due forni baronali per cuocere il pane né quali sono tenuti tutti j cittadini di Ru- vo portare a cuocere il pane. La maggior parte degli abitanti apparteneva al bracciantato agricolo e le modeste, ma dignitose, condizioni di vita permettevano il possesso di a- nimali domestici, 800 pecore, 40 agnelli, 50 bovi aratorj, 190 vacche, 8 cavalli, 13 giumente, 20 muli, 137 somari, 200 capre, 50 montoni e 57 maiali.
Dal punto di vista giurisdizionale Ruvo veniva governata da un sindaco e tre e- letti dell’università che avevano bisogno dell’approvazione del feudatario161; inoltre, oc-
correva eleggere anche i Mastri Giurati a’ quali l’università dà le patenti e sono obbligati a servire tanto l’Università quanto la Baronal Camera. Dei quattro eletti due servivano la Ca- mera baronale e due l’università che provvedeva alla loro provisione senza ch’il Barone sia tenuto corrisponderli cosa alcuna, anche se dell’onere gravante sulla cittadina non ne sia
161 Nell’apprezzo si riporta che viene governata la sudetta Università dal Sindico, ed eletti, de quali si fà l’elezzione in pubblico parlamento convocato a suono di campana a voti de cittadini, qual parlamento, acciò sia per-
fetto non deve essere minore di 40 voti, quale elezzione sortita l’utile Principe di detta Terra di Ruvo ha il Jus di confirmare gl’eletti.
trovata traccia né in documenti pubblici e né in privati, come commentava l'apprezzato- re a metà del XVIII secolo.
Al Governatore, eletto dal signore del feudo, venivano corrisposti carlini 25 per li bannij pretorij, ed egli ottemperava all’amministrazione della giustizia delle prime cause ci- vili, criminali e miste: assistendo con esso il Mastrodatti, Servienti, e Giurati che venivano pagati dall’università, mentre il Giudice delle seconde cause viene anco eletto dal possessore di detto feudo.
Per quanto atteneva lo spirituale la Terra viene governata da Monsignor Vescovo di Muro suffraganeo di Monsignor Arcivescovo di Conza […] e nella quaresima vi è il Predicato- re, quale viene eletto dal Vescovo di Muro, e sulla scelta del religioso non aveva diritti da rivendicare il signore, infatti né sopra questa elezzione have Ius alcuno la Baronal Camera.
A distanza di pochi anni dall’acquisto di Ruvo, il principe di Torella partecipò all’asta del Sacro Regio Consiglio per la vendita del feudo irpino di Gesualdo, patri- monio di Vincenzo de Sangro che ratificò la transazione con un istrumento del 10 aprile 1772 dal notaio Antonio Cervelli di Napoli, per la somma di 40617 ducati162.
Figura 21 – Il castello normanno di Gesualdo nell’attuale aspetto.
162 Il regio assenso su tale vendita fu accordato a’ 7 settembre 1775 ed il Caracciolo ebbe nel Cedolario l'intesta- zione della Terra di Gesualdo nel 29 maggio 1778, come riporta E. RICCA, La nobiltà…, cit., vol. II, pp. 8-9.
La Terra di Gesualdo, fino alla fine del Seicento, apparteneva al vasto stato feuda- le dei principi di Venosa e Piombino, e le rendite feudali comprendevano la mastrodat- tia, la bagliva, l’affitto del giardino, la Colta del castello (Fig. 21), lo jus proibitivo sul mulinello ed alcuni censi in denaro da vari particolari. Le entrate erano affittate ai fra- telli Andrea e Francesco Pisapia, di Cava, per 1100 ducati, dai quali, tolti i burgensatici, restavano nelle casse principesche 776 ducati163.
In altri testi antichi si riportano i beni burgensatici dei Gesualdo-Ludovisi, costi- tuiti da una rilevante quantità di territori affittati a coloni che portavano censi in grano, vino e prodotti ortofrutticoli venduti anche in tempo di tutt’e tre le fiere che si celebrano nell’istessa (terra) ogn’anno, a la Maddalena, Santa Croce e San Luca164.
Isabella della Marra, figlia del duca di Guardia e di Beatrice Frangipani della Tol- fa, aveva acquistato il feudo, dopo la morte del marito Geronimo Gesualdo, lasciando- la in eredità al figlio Domenico che ottenne il titolo di principe di Gesualdo nel dicem- bre del 1704.
Il principe Nicolò Ludovisi, vedovo della principessa Isabella nel 1629, aveva de- legato Geronimo Gesualdo al disbrigo di numerose pratiche a Napoli, affidandogli il compito di corrispondere ai creditori le somme dovute, secondo transazioni effettuate per mezzo delle lettere di cambio del banco di Cornelio Spinola165.
163 Non avendo rinvenuto nel fondo archivistico esaminato alcun apprezzo della Terra di Gesualdo,
si riportano i dati del Conto di quant’importa la rendita de’ beni feudali del Stato di Venosa, tanto in denari,
quant’in grano, orgio, oglio, et altr’effetti dal primo Maggio 1629 a tutt’Agosto 1630, analizzato nel saggio Lo
stato feudale dell’ultima principessa di Venosa, cit.
164 Il documento riporta uno stralcio della composizione delle controversie in merito ai diritti dei cit-
tadini di Frigento di poter fidare liberamente nel territorio di Gesualdo, alzar baracche, per vendere vino, et altro
nel territorio della Terra di Gesualdo nel luogo detto il Mercato durante le fiere. Esso fu sottoscritto nei primi anni del 1700 dal nuovo feudatario di Gesualdo, Domenico Gesualdo, figlio di Isabella della Marra, e da Domenico Caracciolo, acquirente del feudo di Frigento con i casali sturnesi, ASN, Archivio privato Ca- racciolo di Torella, b. 84, fasc. 9, f. 1 r.
165 Nella redazione delle spese dell’anno figurava anche la corresponsione di 960 ducati che Geroni-
mo Gesualdo avrebbe dato al Monte della famiglia, secondo le clausole del testamento del principe Car- lo Gesualdo, morto nel 1613.
CAPITOLO IV
La giurisdizione
4.1 La prudenza di dar leggi a’ popoli
Gran parte dell’età moderna fu percorsa dall’utopica volontà di creare una nuova società sotto la guida del potere monarchico assoluto, in cui il progetto legislativo par- tiva dall’assioma che scopus legis est aut ut eum quem punit emendet aut poena eius caeteros meliores reddet aut sublatis malis caeteri securiores vivant. Ai principi di piccoli o grandi stati si dedicarono trattati che guidassero le loro azioni politiche con esempi ed ammo- nimenti ripresi dai testi antichi passati indenni alla dura cernita della censura tridenti- na, così si scriveva che Collocato il Prencipe nella successione, e data di sé con le prime attio- ni quella più efficace opinione, che si può, di Religioso, e di prudente, accioché tal fama non svanisca, ma vada crescendo fino al termine, che gli bisogni, per gettare fondamenti saldi, e sta- bili, cominciare giudiziosamente à maneggiare quelli strumenti del regnare de’ quali il primo è l’intelligenza di penetrare la natura de’sudditi.
Dall’atteggiamento del principe, definito “intelligentia”, nasce il secondo capo, che è la prudenza di dar leggi convenienti a’ popoli d’un paese particolare […] non potrà giammai un Prencipe dar leggi convenienti ad uno Stato, se prima egli non hà intiera notizia della particolar natura, e di quelli affetti, che frà quelle genti sogliono essere più intenti, e più vivaci166.
166 I brani sono tratti da L. RICCI, Thesoro politico, parte II, La Compagnia nova della Stampa, Bolo-
gna, 1612, pp. 323-324. L’opera è dedicata al principe di Mantova e del Monferrato Francesco Gonzaga ed in essa si contengono Trattati, Discorsi, Relationi, Ragguagli, Instruttioni, di molta importanza per li ma-
neggi, interessi, pretensioni, dipendenze, e disegni de’Principi. Si indicano anche i fruitori ideali di un tale ti- po di opera molto aggradevole à gli elevati, e nobilissimi ingegni, che si compiacciono di materia di Stato; et anco
è molto utile à gli stessi Principi, à Secretari, Ambasciatori, et à tutti quelli, che ne gli affari de’Principi